Slan Hunter

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Slan Hunter Page 3

by Kevin J. Anderson


  Anthea aveva sempre odiato gli slan perché le avevano detto di odiarli.

  Aveva sentito una versione distorta della storia. Si chiese quanti racconti delle atrocità slan fossero soltanto propaganda diffusa da gente come John Petty.

  A ogni passo le sembrava di diventare più forte. «Lascia che lo tenga i-o.» Prese tra le braccia il bimbo avvolto nella coperta. Il semplice fatto di toccare il neonato parve infonderle ulteriori energie. Non avrebbe saputo dire se fosse frutto della sua immaginazione o se si trattasse di un autentico influsso mentale da parte della creaturina.

  Davis la condusse svelto oltre la porta a vento della sala parto e imboc-carono di corsa il corridoio. Gli allarmi stavano già suonando. Una voce aspra attraverso l'impianto interfonico chiese sbraitando l'intervento della sicurezza.

  Un guizzo di comprensione balenò nella mente di Davis. Anthea vide che la sua espressione cambiava, passando dallo stordimento alla determinazione e infine a una rabbia rassegnata. «Devi andartene, Anth.» La spinse di lato verso un altro corridoio che andava nella direzione opposta.

  «Prendi il nostro bambino e scappa. Nasconditi. Vivi. »

  «Davis, vieni con noi!»

  «Se non fuggite, vi uccideranno tutti e due. Io sono sicuro di morire. Ho ammazzato il dottore. Non avrò un processo. Con tutte le notizie degli slan pronti ad attaccare mi abbatteranno subito e attaccheranno la mia testa co-me un trofeo nella sede centrale della polizia segreta.»

  All'improvviso, guidate dall'inserviente agitato, tre guardie in uniforme arrivarono di gran carriera verso di loro armi in pugno.

  Davis diede un rapido sguardo alla camicia ospedaliera della moglie, ai suoi lineamenti stanchi, ai capelli sporchi e arruffati. La baciò svelto, il ba-cio più appassionato che lei avesse mai ricevuto. «Vai! Guadagnerò tempo così potrai trovare un nascondiglio. Non perdere nemmeno un secondo,»

  «No! Dev'esserci un'altra soluzione!» Tra le braccia di Anthea il bambino cominciò a piangere.

  Senza ascoltarla, Davis corse nel corridoio principale, gridando alle guardie. Anthea gemette. Voleva andare con lui, voleva stargli accanto, ma il bambino che stringeva aveva la precedenza.

  Si concesse solo un attimo per guardare la schiena di Davis mentre il marito si scagliava contro le guardie, urlando come una furia. Sebbene fossero armate, le guardie avevano paura di Davis, quasi si aspettassero che si facesse spuntare un paio di corna sulla fronte e li colpisse con qualche ma-ledizione funesta. L'agente della polizia segreta si era unito a loro. Aveva la faccia rossa di collera.

  Con un groppo in gola, Anthea si allontanò dalla sala parto, correndo scalza. Appoggiandosi ai muri di blocchi di calcestruzzo verniciati, reggendo il bambino, percorse il corridoio laterale, non sentendosi più debole... non poteva permettersi di sentirsi debole. Il neonato era calmo tra le sue braccia, non le fiaccava le forze, non la distraeva.

  Provò ad aprire parecchie porte chiuse a chiave e alla fine trovò un ufficio buio. Dentro, a un attaccapanni, un dottore aveva appeso un lungo impermeabile ancora bagnato per l'acquerugiola che cadeva quel giorno. Le avrebbe coperto la camicia dell'ospedale.

  Indossò l'impermeabile e scoprì che era abbastanza largo da nascondere il fagotto del bambino che stringeva al petto. Sotto la scrivania il dottore aveva un paio di scarpe senza lacci, comodi mocassini troppo grandi per lei. Anthea si arrangiò con quelli. Sperava che il suo travestimento fosse sufficiente a permetterle di uscire dall'ospedale. Affrettandosi, ma cercando di non dare l'impressione di avere fretta, percorse veloce il corridoio, distogliendo lo sguardo quando delle infermiere le passavano accanto di corsa. Tutti avevano un'espressione terrorizzata e confusa.

  Gli allarmi continuavano a suonare assordanti. Il sistema interfonico era un accavallarsi di voci che gridavano ordini contradditori. Uomini della sicurezza si precipitavano di stanza in stanza, quasi si aspettassero di trovare uno slan nascosto sotto ogni letto. Anthea approfittò del caos momentaneo, pregando che Davis trattenesse le guardie e la polizia segreta abbastanza a lungo. In qualche modo continuava a illudere se stessa, credendo che anche il marito sarebbe scappato.

  Dietro di sé udì delle urla, grida di paura, quindi un rumore secco di spari. Quattro spari, una pausa, altri tre colpi... poi silenzio assoluto.

  Anthea per poco non stramazzò. I rumori stessi erano come fredde pallottole di piombo che le avevano trafitto la schiena. Una parte del suo cuore sembrò morire, e Anthea provò un senso di vuoto nella mente. Fino a quel momento non si era resa conto di quanto Davis avesse colmato quel vuoto. Adesso quella sensazione era scomparsa. Lui era scomparso. Le guardie e la polizia segreta non lo avevano interrogato, non lo avevano sot-toposto a un processo. Lo avevano semplicemente abbattuto perché aveva osato difendere suo figlio e sua moglie.

  Anthea aveva l'impressione che la sua anima fosse spaccata in due. Voleva tornare indietro, scagliarsi sugli assassini di Davis, sollevare il corpo di Davis e stringerlo con dolcezza. Ma il fagotto caldo che reggeva la in-dusse a continuare a correre verso la salvezza. Doveva fuggire. Davis si era sacrificato perché lei e il bambino potessero mettersi in salvo. Anthea non avrebbe reso vano il gesto del marito.

  Nonostante gli allarmi nessuno sapeva dove trovarla. La polizia sarebbe accorsa all'ospedale da tutti i quartieri della città. Squadre di agenti avrebbero perlustrato ogni singolo isolato, dandole la caccia. Avrebbero dato per scontato che Anthea si fosse allontanata il più possibile e il più in fretta possibile dall'ospedale.

  Trattenendo le lacrime, Anthea seguì i segnali d'uscita. Procedendo con estrema cautela, scese una scala e trovò una porta che dava su un grande parcheggio al chiuso, il parco macchine dell'ospedale. Parecchie vetture occupavano gli spazi riservati, nuovi modelli costosi con grandi pinne posteriori, vistosi ornamenti sul cofano, e pneumatici dalle spalle bianche.

  Due ambulanze erano parcheggiate in attesa.

  Anthea ebbe un'idea improvvisa. Se chi le dava la caccia si aspettava che lei cedesse al panico e scappasse, allora la cosa più sicura che potesse fare, il miglior posto per nascondersi, sarebbe stata rimanere lì vicino all'ospedale. Mentre i cacciatori di slan battevano la città in lungo e in largo, Anthea raggiunse di soppiatto una delle ambulanze e aprì il portellone posteriore.

  L'interno buio conteneva una barella, medicinali d'emergenza, attrezzature di pronto soccorso... e oscurità in abbondanza. Era un posto tranquillo e isolato dove nascondersi, riprendersi, e addolorarsi.

  Stringendo il figlio, Anthea si insinuò nella vettura, chiuse adagio il portellone dietro di sé, e tenne stretta la sua creatura appena nata, mentre piangeva in silenzio il marito morto.

  4

  La porta sbarrata scorse sulle guide e scattò chiudendo Jommy Cross in una cella isolata nelle viscere del grande palazzo. In trappola, prigioniero e impossibilitato ad avvertire il resto dell'umanità dell'attacco imminente.

  Era completamente tagliato fuori da qualsiasi speranza di fuga. Nessuno si fidava di uno slan.

  Con le antenne Jommy percepiva che la paura che le guardie avevano di lui era maggiore della fiducia nelle loro armi. Si riteneva fortunato che non lo avessero semplicemente ucciso sparandogli a vista, come faceva di solito la polizia segreta con gli slan... come avevano fatto con gli slan membri del gabinetto del presidente Gray.

  Quando Jommy aveva appena nove anni, i cacciatori di slan avevano ucciso sua madre in mezzo alla strada. Lei si era sacrificata perché il figlio potesse fuggire e vivere e sviluppare le potenzialità che i suoi genitori sapevano essere presenti in lui. Dopo la morte della madre, il giovane Jommy aveva prima vissuto da latitante, poi imbattendosi nella vecchia e contorta Nonna che lo aveva costretto a rubare per lei. Quando aveva raggiunto la maggiore età e aveva scoperto i tesori occultati per lui dal padre morto, il grande scienziato slan Peter Cross, Jommy aveva giurato di scoprire dove si fosse nascosto il resto della sua razza.

  Dall'altra parte del corridoio, appena una cella più in là, gli giunse il vo-ciare di Kathleen che lottava con le guardie. «Non avete il diritto di fare una cosa simile! Abbiamo la p
rotezione del presidente in persona! Noi...»

  Non le mostrarono nemmeno un po' di gentilezza. «Il presidente è stato arrestato. Chiudi il becco!»

  «Meglio non lasciarla parlare affatto» disse una seconda guardia. «Questi slan possono ipnotizzarti con una parola.»

  Se solo fosse stato vero... se gli slan fossero stati potenti come immaginava la gente, né lui né Kathleen sarebbero mai stati catturati. Jommy era ancora frastornato dal turbine degli eventi.

  La ragazza era stata allevata nel palazzo di Kier Gray, un esemplare di slan da sondare, pungolare e analizzare perché la polizia segreta potesse scoprire modi di opporsi a una insurrezione slan. Anche se Kathleen, secondo quanto prestabilito, avrebbe dovuto essere giustiziata una volta compiuti undici anni, il presidente era riuscito a mantenerla in vita ricorrendo a vari pretesti.

  Nessuno aveva immaginato che Kathleen fosse in realtà la figlia di Gray.

  Dopo avere scoperto documenti che parlavano di un insediamento segreto slan, Kathleen era fuggita dal palazzo senza esitare. Sebbene la base fosse abbandonata e deserta, Kathleen si era rifugiata là mentre Petty e la sua polizia segreta lanciavano una colossale caccia all'uomo.

  Jommy l'aveva trovata in quel riparo protetto. Con il legame telepatico dei veri slan, sia lui sia Kathleen si erano riconosciuti e amati all'istante.

  Quel breve periodo trascorso insieme nel nascondiglio sotterraneo era stato il periodo più perfetto della vita di Jommy. Tutto sembrava possibile.

  Ma i cacciatori di slan di Petty avevano attaccato la base segreta. Kathleen era stata colpita, le avevano sparato alla testa. Jommy era riuscito a stento a mettersi in salvo. Temprato dal dolore e certo che lei fosse morta, aveva intrapreso una ricerca spossante per trovare altri slan, per comprendere gli strani e spietati senzantenne che odiavano sia gli slan sia gli umani, senza rinunciare al proposito di abbattere l'odiato Petty. Quando finalmente era penetrato nel palazzo di Kier Gray per avvertirlo dell'attacco imminente dei senzantenne, Jommy era rimasto sbalordito scoprendo che Kathleen era stata guarita dalle avanzatissime apparecchiature mediche slan. Era di nuovo viva!

  Lei e Jommy avevano trascorso un giorno teso ma splendido con Gray e i suoi consiglieri, studiando in che modo affrontare la crisi ormai prossima.

  Quando si era insinuato la prima volta nel palazzo, Jommy aveva parcheggiato il suo veicolo corazzato ad alta tecnologia nella foresta sull'altra sponda del fiume nei pressi del palazzo, dove aveva lasciato anche l'arma disintegratrice di suo padre.

  Una volta appreso che il presidente accettava il suo aiuto, Jommy e Kathleen erano tornati insieme alla macchina per recuperare il disintegratore, che sarebbe stato prezioso nella lotta contro i senzantenne. Jommy stentava a credere che la ragazza fosse viva e di nuovo con lui. Nonostante il pericolo che incombeva tutt'intorno a loro, erano completamente presi l'uno dall'altra. Jommy e Kathleen ebbero appena qualche attimo per conoscere la gioia del loro ricongiungimento prima che tutto attorno a loro crollasse...

  Nel frattempo, John Petty aveva ascoltato di nascosto Gray e preparato una trappola. Quando Jommy e Kathleen erano tornati, la polizia segreta di Petty aveva fatto irruzione arrestandoli tutti e trascinandoli via. Petty aveva confiscato il disintegratore, ucciso gli altri consiglieri slan e si era im-padronito del potere. Nessuno aveva voluto dar retta ai prigionieri che parlavano della vera minaccia imminente...

  Mentre Kathleen lottava contro le guardie che cercavano di spingerla nella cella, Jommy capì che gli sgherri erano sul punto di reagire con violenza. «Non opporre resistenza, Kathleen. Non voglio che tu rimanga ancora ferita.» La voce di Jommy era bassa e garbata, ma era perfettamente udibile nei corridoi chiusi della prigione. Anche le guardie avevano sentito. «Questi uomini non hanno importanza. Abbiamo nemici più grandi.»

  Dopo che Kathleen si lasciò spingere all'interno, anche la porta della sua cella si richiuse con un rumore metallico. La giovane si accostò alle sbarre, ma le loro celle erano sul medesimo lato del corridoio, e non riuscirono a vedersi. «Usciremo di qui» disse Kathleen. Era una promessa.

  «Questo dipende dal signor Petty e dalla legge» disse una guardia. «E

  ora come ora sembra che nessuno dei due sia dalla vostra parte.»

  Jommy avrebbe voluto tendere il braccio attraverso le sbarre e toccarle le dita, ma la distanza che li separava era eccessiva. Quella era una punizione più crudele della prigionia stessa.

  Il capitano delle guardie si fermò di fronte alle sbarre, guardando torvo Jommy. «Non tentate di combinare qualcosa. Ci saranno due uomini a sorvegliare questo livello, e queste celle sono state progettate per contenere i peggiori criminali politici.»

  Jommy si sedette sulla branda, l'aria sconfitta. La polizia segreta probabilmente aveva delle telecamere nascoste da qualche parte. «Quindi, evidentemente, è inutile che cerchiamo di evadere.»

  «Sono contento che tu l'abbia capito, Cross.» La guardia si allontanò a passo spedito, ansiosa di interrompere il contatto visivo.

  Jommy non si era arreso. Avrebbe voluto sapere dove avevano portato la sua arma disintegratrice. Quell'invenzione gli aveva salvato la vita più di una volta. Senza dubbio la polizia segreta l'avrebbe smontata, analizzata, cercato di capire come funzionasse... ma neppure Jommy era mai riuscito a decifrare la complessa invenzione di suo padre.

  Jommy immaginava che anche il presidente Gray fosse in gravi difficoltà adesso, alle prese con John Petty. Ma l'arresto del presidente non era l'aspetto peggiore della crisi. L'attacco degli slan senzantenne era imminente.

  Jommy aveva rischiato tutto per recarsi al palazzo di Gray e trasmettere un avvertimento. Mentre gli umani sprecavano tempo ed energie braccando i veri slan e temendo il nemico sbagliato, i senzantenne si muovevano libe-ramente nella società preparandosi a una presa di potere totale e violenta.

  L'attacco sarebbe avvenuto molto presto. Soddisfatto della sua piccola vittoria, Petty non sarebbe stato in guardia e non si sarebbe accorto di un altro pericolo proveniente dal cielo. La Terra sarebbe stata colta alla sprovvista.

  Jommy e Kathleen avrebbero dovuto fare qualcosa per porre rimedio.

  Jommy chiuse gli occhi e sentì che le antenne dorate si muovevano dietro la testa, alzandosi nell'aria. Si concentrò, trasmettendo i propri pensieri come segnali radio... "Kathleen, mi senti?" Attese, avvertì un formicolio, poi una presenza familiare.

  "Sì, Jommy. Sono qui. Sono vicina. Ma non posso vederti né toccarti."

  Jommy avvertì dentro di sé una premura crescente. "Dobbiamo andarcene di qui. Dobbiamo trovare il presidente Gray, e dobbiamo avvisare le difese terrestri dell'attacco dei senzantenne."

  Anche la mente di Kathleen era in tumulto. "Non possiamo far nulla intrappolati in queste celle."

  La presenza mentale della ragazza lo fortificò. Jommy si guardò attorno nella cella, non vide nulla che potesse usare come arma. C'erano solo una branda, un lavabo, un impianto igienico. Niente specchio, niente tavolo, nient'altro. Sebbene il suo corpo fosse più forte di quello di un umano medio, Jommy non era in grado di spezzare le sbarre. La cella era a prova di evasione. Quindi il punto più debole era il fattore umano. Jommy avrebbe dovuto incoraggiare le due guardie ad aprire la porta.

  Inviò un messaggio mentale, riassumendo come intendeva procedere.

  "Kathleen, fai quello che faccio io e trasmetti la stessa immagine. Dev'essere convincente."

  Insieme, separati da spessi muri di calcestruzzo, Jommy e Kathleen in-viarono la stessa idea minacciosa. L'idea colpì le due guardie già spaventate e diffidenti. Jommy impiegò un attimo per trovare i loro centri di pensiero confusi. I cervelli delle guardie erano così racchiusi da muri di paranoia che lui riuscì a stento a penetrarvi. Ma alla fine fece leva su quella paura irrazionale, inviando un'immagine di Jommy Cross che usava la forza slan per aprire un buco nella parete della cella, accingendosi alla fuga.

  Le guardie arrivarono di corsa. «Apri la porta! Dobbiamo fermarlo.»

  «Te l'avevo detto che gli slan sono pericolosi!»

  La serratura scattò. I due uomini fecero scorr
ere le sbarre sferraglianti, aspettandosi di vedere uno squarcio nel muro e il prigioniero che scappava.

  Prima che l'immagine ingannevole potesse svanire, Jommy si scagliò in avanti come il macigno di una catapulta medievale. Non era un combatten-te brutale, però disponeva di una grande forza fisica e del fattore sorpresa.

  Sbatté da parte le guardie. Mentre quelle sbraitavano e cercavano di conciliare quel che vedevano con quello che fino a un istante prima erano certi stesse accadendo, Jommy le prese a pugni entrambe.

  Afferrò il braccio di un uomo e lo tirò dentro la cella. Sferrò all'altra guardia un pugno in faccia e poi lo buttò addosso al compagno all'interno della piccola cella. Gridando, le due guardie cercarono di districarsi, ma Jommy fece scorrere la porta della cella che si chiuse con lo scatto oppor-tuno della serratura.

  Jommy guizzò subito lungo il corridoio. Dietro le sbarre, le guardie avevano estratto le loro pistole di grosso calibro e gli spararono, ma non potevano mirare bene data l'angolazione eccessiva. Fuori vista, Jommy si appiattì contro le sbarre della cella di Kathleen. Le pallottole colpirono semplicemente i muri, sibilando e rimbalzando. La ragazza si precipitò in avanti, lui allungò le mani oltre le sbarre per stringere le sue.

  «Te l'ho detto che saremmo usciti da questo posto.» Usando i comandi esterni, Jommy aprì la serratura della cella, e pochi istanti dopo Kathleen era libera accanto a lui. «Andiamo. Dobbiamo trovare la via per attraversare questi livelli.»

  I due cominciarono a correre rasentando i muri, tenendosi fuori tiro. I carcerieri imprigionati nella cella continuarono a inveire contro di loro, sparando parecchie altre volte, ma i proiettili non colpirono nulla.

 

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