Collected Poetical Works of Francesco Petrarch

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Collected Poetical Works of Francesco Petrarch Page 50

by Francesco Petrarch


  Quando ‘l sol bagna in mur l’ aurato carro.

  S’ una fede amorosa, un cor non finto.

  Dodici donne onestamente lasse.

  Passer mai solitario in alcun tetto.

  Aura, che quelle chiome bionde e crespe.

  Amor con la man destra il lato manco.

  Cantai, or piango; e non men di dolcezza.

  I’ piansi, or canto; che ‘l celeste lume.

  I’ mi vivea di mia sorte contento.

  Vincitore Alessandro l’ ira vinse.

  Qual ventura mi fu, quando dall’ uno.

  O cameretta che già fosti un porto.

  Lasso! Amor mi trasporta ov’ io non voglio.

  Amor, io fallo e veggio il mio fallire.

  Non ha tanti animali il mar fra l’ onde.

  Là ver l’ aurora, che sì dolce l’ aura.

  Real natura, angelico intelletto.

  I’ ho pregato Amor, e nel riprego.

  L’ alto signor, dinanzi a cui non vale.

  Mira quel colle, o stanco mio cor vago.

  Fresco ambroso fiorito e verde colle.

  Il mal mi preme, e mi spaventa il peggio.

  Due rose fresche, e colte in paradiso.

  L’ aura che ‘l verde Lauro e l’ aureo crine.

  Parrà forse ad alcun, che ‘n lodar quella.

  Chi vuol veder quantunque può Natura.

  Qual paura ho, quando mi torna a mente.

  Solea lontana in sonno consolarme.

  O misera ed orribil visione.

  In dubbio di mio stato, or piango, or canto.

  O dolci sguardi, o parolette accorte.

  I’ pur ascolto, e non odo novella.

  La sera desiar, odiar l’ aurora.

  Far potess’ io vendetta di colei.

  In quel bel viso, ch’ i’ sospiro e bramo.

  Vive faville uscian de’ duo bei lumi.

  Cercato ho sempre solitaria vita.

  In tale Stella duo begli occhi vidi.

  Qual donna attende a gloriosa fama.

  Cara la vita, e dopo lei mi pare.

  Arbor vittoriosa e trionfale.

  I’ vo pensando, e nel pensier m’ assale.

  Aspro core e selvaggio, e cruda voglia.

  Signor mio caro, ogni pensier mi tira.

  Oimè il bel viso! oimè il soave sguardo!

  Che debb’ io far? che mi consigli, Amore?

  Rotta è l’ alta Colonna, e ‘l verde Lauro.

  Amor, se vuoi ch’ i’ torni al giogo antico.

  L’ ardente nodo ov’ io fui, d’ ora in ora.

  La vita fugge, e non s’ arresta un’ ora.

  Che fai? che pensi? che pur dietro guardi.

  Datemi pace, o duri miei pensieri.

  Occhi miei, oscurato è ‘l nostro sole.

  Poichè la vista angelica serena.

  S’ Amor novo consiglio non n’ apporta.

  Nell’ età sua più bella e più fiorita.

  Se lamentar augelli, o Verdi fronde.

  Mai non fu’ in parte ove sì chiar’ vedessi.

  Quante fiate al mio dolce ricetto.

  Alma felice, che sovente torni.

  Discolorato hai, Morte, il più bel volto.

  Sì breve è ‘l tempo e ‘l pensier sì veloce.

  Nè mai pietosa madre al caro figlio.

  Se quell’ aura soave de’ sospiri.

  Sennuccio mio, benchè doglioso e solo.

  I’ ho pien di sospir quest’ aer tutto.

  L’ alma mia fiamma oltra le belle bella.

  Come va ‘l mondo! or mi diletta e piace.

  Quand’ io veggio dal ciel scender l’ Aurora.

  Gli occhi di ch’ io parlai sì caldamente.

  S’ io avessi pensato che sì care.

  Soleasi nel mio cor star bella e viva.

  Soleano i miei pensier soavemente.

  I’ mi soglio accusare, ed or mi scuso.

  Due gran nemiche insieme erano aggiunte.

  Quand’ io mi volgo indietro a mirar gli anni.

  Ov’ è la fronte che con picciol cenno.

  Quanta invidia ti porto, avara terra.

  Valle che d’ lamenti miei se’ piena.

  Levommi il mio pensier in parte ov’ era.

  Amor che meco al buon tempo ti stavi.

  Mentre che ‘l cor dagli amorosi vermi.

  Anima bella, da quel nodo sciolta.

  Quel sol che mi mostrava il cammin destro.

  Io pensava assai destro esser sull’ ale.

  Quella per cui con Sorga ho cangiat’ Arno.

  L’ alto e novo miracol ch’ a dì nostri.

  Zefiro torna, e ‘l bel tempo rimena.

  Quel rosignuol che sì soave piagne.

  Nè per sereno cielo ir vaghe stelle.

  Passato è ‘l tempo omai, lasso! che tanto.

  Mente mia che presaga de’ tuoi danni.

  Tutta la mia fiorita e verde etade.

  Tempo era omai da trovar pace o tregua.

  Tranquillo porto avea mostrato Amore.

  Al cader d’ una pianta che si svelse.

  I dì miei più leggier che nessun cervo.

  Sente l’ aura mia antica, e i dolci colli.

  E questo ‘l nido in che la mia Fenice.

  Mai non vedranno le mie luci asciutte.

  Standomi un giorno solo alla finestra.

  Amor, quando fioria.

  Tacer non posso, e temo non adopre.

  Or hai fatto l’ estremo di tua possa.

  L’ aura e l’ odore e ‘l refrigerio e l’ ombra.

  L’ ultimo, lasso! de’ miei giorni allegri.

  O giorno, o ora, o ultimo momento.

  Quel vago, dolce, caro, onesto sguardo.

  Solea dalla fontana di mia vita.

  Mia benigna fortuna e ‘l viver lieto.

  Ite, rime dolenti, al duro sasso.

  S’ onesto amor può meritar mercede.

  Vidi fra mille donne una già tale.

  Tornami a mente, anzi v’ è dentro quella.

  Questo nostro caduco e fragil bene.

  O tempo, o ciel volubil che fuggendo.

  Quel, che d’ odore e di color vincea.

  Lasciato hai, Morte, senza sole il mondo.

  Conobbi, quanto il ciel gli occhi m’ aperse.

  Dolce mio caro e prezioso pegno.

  Deh qual pietà, qual angel fu sì presto.

  Del cibo onde ‘l signor mio sempre abbonda.

  Ripensando a quel ch’ oggi il ciel onora.

  Fu forse un tempo dolce cosa amore.

  Spinse amor e dolor ove ir non debbe.

  Gli angeli eletti e l’ anime beate.

  Donna che lieta col Principio nostro.

  Da’ più begli occhi e dal più chiaro viso.

  E’ mi par d’ or in ora udire il messo.

  L’ aura mia sacra al mio stanco riposo.

  Ogni giorno mi par più di mill’ anni.

  Non può far morte il dolce viso amaro.

  Quando il suave mio fido conforto.

  Quell’ antiquo mio dolce empio signore.

  Dicemi spesso il mio fidato speglio.

  Volo con l’ ali de’ pensieri al cielo.

  Morte ha spento quel Sol ch’ abbagliar suolmi.

  Tennemi Amor anni ventuno ardendo.

  I’ vo piangendo i miei passati tempi.

  Dolci durezze e placide repulse.

  Spirto felice, che sì dolcemente.

  Deh porgi mano all’ affannato ingegno.

  Vago augelletto che cantando vai.

  Vergine bella che di sol vestita.

  Nel tempo che rinova i miei sospiri.

  Stanci già di mirar, non sazio ancora.

  Era sì pieno il cor di maraviglie.

  Poscia che mia fortuna in forza altrui.

  Quando ad un giogo ed in Un tempo quivi.

  Questa leggiadra e gloriosa Donna.

  La notte che seguì l’ orribil caso.

  Da poi che Morte trionfò nel volto.

  Pi
en d’ infinita e nobil maraviglia.

  Io non sapea da tal vista levarme.

  Dell’ aureo albergo con l’ Aurora innanzi.

  Da poi che sotto ‘l ciel cosa non vidi.

  Qui reposan quei caste e felice ossa.

  LIST OF POEMS BY ITALIAN FIRST LINE (ALPHABETICAL)

  A piè de’ colli ove la bella vesta.

  A qualunque animale alberga in terra.

  Ahi bella libertà, come tu m’ hai.

  Al cader d’ una pianta che si svelse.

  Alia dolce ombra de le belle frondi.

  Alma felice, che sovente torni.

  Almo Sol, quella fronde ch’ io sola amo.

  Amor che ‘ncende ‘l cor d’ ardente zelo.

  Amor che meco al buon tempo ti stavi.

  Amor che nel pensier mio vive e regna.

  Amor con la man destra il lato manco.

  Amor con sue promesse lusingando.

  Amor ed io sì pien di maraviglia.

  Amor fra l’ orbe una leggiadra rete.

  Amor m’ ha posto come segno a strale.

  Amor mi manda quel dolce pensero.

  Amor mi sprona in un tempo ed affrena.

  Amor piangeva, ed io con lui talvolta.

  Amor, che vedi ogni pensiero aperto.

  Amor, Fortuna, e la mia mente schiva.

  Amor, io fallo e veggio il mio fallire.

  Amor, Natura, e la bell’ alma umile.

  Amor, quando fioria.

  Amor, se vuoi ch’ i’ torni al giogo antico.

  Anima bella, da quel nodo sciolta.

  Anima, che diverse cose tante.

  Anzi tre di creata era alma in parte.

  Apollo, s’ ancor vive il bel desio.

  Arbor vittoriosa e trionfale.

  Aspro core e selvaggio, e cruda voglia.

  Aura, che quelle chiome bionde e crespe.

  Avventuroso più d’ altro terreno.

  Beato in sogno, e di languir contento.

  Ben mi credea passar mio tempo omai.

  Ben sapev’ io che natural consiglio.

  Benedetto sia ‘l giorno e ‘l mese e l’ anno.

  Cantai, or piango; e non men di dolcezza.

  Cara la vita, e dopo lei mi pare.

  Cercato ho sempre solitaria vita.

  Cesare, poi che ‘l traditor d’ Egitto.

  Che debb’ io far? che mi consigli, Amore?

  Che fai, alma? che pensi? avrem mai pace?

  Che fai? che pensi? che pur dietro guardi.

  Chi è fermato di menar sua vita.

  Chi vuol veder quantunque può Natura.

  Chiare, fresche e dolci acque.

  Come ‘l candido piè per l’ erba fresca.

  Come talora al caldo tempo suole.

  Come va ‘l mondo! or mi diletta e piace.

  Conobbi, quanto il ciel gli occhi m’ aperse.

  Così potess’ io ben chiuder in versi.

  D’ un bel, chiaro, polito e vivo ghiaccio.

  Da poi che Morte trionfò nel volto.

  Da poi che sotto ‘l ciel cosa non vidi.

  Da’ più begli occhi e dal più chiaro viso.

  Datemi pace, o duri miei pensieri.

  Deh porgi mano all’ affannato ingegno.

  Deh qual pietà, qual angel fu sì presto.

  Del cibo onde ‘l signor mio sempre abbonda.

  Del mar Tirreno alla sinistra riva.

  Dell’ aureo albergo con l’ Aurora innanzi.

  Dell’ empia Babilonia, ond’ è fuggita.

  Di dì in dì vo cangiando il viso e ‘l pelo.

  Di pensier in pensier, di monte in monte.

  Di tempo in tempo mi si fa men dura.

  Dicemi spesso il mio fidato speglio.

  Dicesett’ anni ha già rivolto il cielo.

  Discolorato hai, Morte, il più bel volto.

  Dodici donne onestamente lasse.

  Dolce mio caro e prezioso pegno.

  Dolci durezze e placide repulse.

  Dolci ire, dolci sdegni e dolci paci.

  Donna che lieta col Principio nostro.

  Due gran nemiche insieme erano aggiunte.

  Due rose fresche, e colte in paradiso.

  E questo ‘l nido in che la mia Fenice.

  E’ mi par d’ or in ora udire il messo.

  Era ‘l giorno ch’ al sol si scoloraro.

  Era sì pieno il cor di maraviglie.

  Erano i capei d’ oro all’ aura sparsi.

  Far potess’ io vendetta di colei.

  Fera stella (se ‘l cielo ha forza in noi).

  Fiamma dal ciel su le tue treccie piova.

  Fontana di dolore, albergo d’ ira.

  Fresco ambroso fiorito e verde colle.

  Fu forse un tempo dolce cosa amore.

  Fuggendo la prigione ov’ Amor m’ ebbe.

  Gentil mia donna, i’ veggio.

  Geri, quando talor meco s’ adira.

  Già desiai con sì giusta querela.

  Già fiammeggiava l’ amorosa stella.

  Giovane donna sott’ un verde lauro.

  Giunto Alessandro alla famosa tomba.

  Giunto m’ ha Amor fra belle e crude braccia.

  Gli angeli eletti e l’ anime beate.

  Gli occhi di ch’ io parlai sì caldamente.

  Gloriosa Colonna, in cui s’ appoggia.

  Grazie ch’ a pochi ‘l ciel largo destina.

  I begli occhi, ond’ i’ fui percosso in guisa.

  I dì miei più leggier che nessun cervo.

  I’ dolci colli ov’ io lasciai me stesso.

  I’ ho pien di sospir quest’ aer tutto.

  I’ ho pregato Amor, e nel riprego.

  I’ mi soglio accusare, ed or mi scuso.

  I’ mi vivea di mia sorte contento.

  I’ piansi, or canto; che ‘l celeste lume.

  I’ pur ascolto, e non odo novella.

  I’ vidi in terra angelici costumi.

  I’ vo pensando, e nel pensier m’ assale.

  I’ vo piangendo i miei passati tempi.

  Il cantar novo e ‘l pianger degli augelli.

  Il figliuol di Latona avea già nove.

  Il mal mi preme, e mi spaventa il peggio.

  Il mio avversario, in cui veder solete.

  Il successor di Carlo, che la chioma.

  In dubbio di mio stato, or piango, or canto.

  In mezzo di duo amanti onesta altera.

  In nobil sangue vita umile e queta.

  In qual parte del cielo, in quale idea.

  In quel bel viso, ch’ i’ sospiro e bramo.

  In quella parte dov’ Amor mi sprona.

  In tale Stella duo begli occhi vidi.

  Io amai sempre, ed amo forte ancora.

  Io avrò sempre in odio la fenestra.

  Io canterei d’ Amor sì novamente.

  Io mi rivolgo indietro a ciascun passo.

  Io non fu’ d’ amar voi lassato unquanco.

  Io non sapea da tal vista levarme.

  Io pensava assai destro esser sull’ ale.

  Io sentia dentr’ al cor già venir meno.

  Io son dell’ aspectar omai sì vinto.

  Io son già stanco di pensar siccome.

  Io son sì stanco sotto ‘l fascio antico.

  Io temo sì de’ begli occhi l’ assalto.

  Italia mia, benchè ‘l parlar sia indarno.

  Ite, caldi sospiri, al freddo core.

  Ite, rime dolenti, al duro sasso.

  L’ aere gravato, e l’ importuna nebbia.

  L’ alma mia fiamma oltra le belle bella.

  L’ alto e novo miracol ch’ a dì nostri.

  L’ alto signor, dinanzi a cui non vale.

  L’ arbor gentil che forte amai molt’ anni.

  L’ ardente nodo ov’ io fui, d’ ora in ora.

  L’ aspettata virtù che ‘n voi fioriva.

  L’ aspetto sacro della terra vostra.

  L’ aura celeste che ‘n quel verde Lauro.

  L’ aura che ‘l verde Lauro e l�
� aureo crine.

  L’ aura e l’ odore e ‘l refrigerio e l’ ombra.

  L’ aura gentil che rasserena i poggi.

  L’ aura mia sacra al mio stanco riposo.

  L’ aura serena che fra verdi fronde.

  L’ aura soave ch’ al sol spiega e vibra.

  L’ avara Babilonia ha colmo ‘l sacco.

  L’ oro e le perle, e i fior vermigli e i bianchi.

  L’ ultimo, lasso! de’ miei giorni allegri.

  La bella donna che cotanto amavi.

  La donna che ‘l mio cor nel viso porta.

  La gola e ‘l sonno e l’ oziose piume.

  La guancia che fu già piangendo stanca.

  La notte che seguì l’ orribil caso.

  La sera desiar, odiar l’ aurora.

  Là ver l’ aurora, che sì dolce l’ aura.

  La vita fugge, e non s’ arresta un’ ora.

  Lasciato hai, Morte, senza sole il mondo.

  Lassare il velo o per sole o per ombra.

  Lasso me, ch i’ non so in qual parte pieghi.

  Lasso! Amor mi trasporta ov’ io non voglio.

  Lasso! ben so che dolorose prede.

  Lasso! quante fiate Amor m’ assale.

  Lasso, ch’ i’ ardo, ed altri non mel crede!

  Lasso, che mal accorto fui da prima.

  Le stelle e ‘l cielo e gli elementi a prova.

  Levommi il mio pensier in parte ov’ era.

  Liete e pensose, accompagnate e sole.

  Lieti flori e felici, e ben nate erbe.

  Ma poi che ‘l dolce riso umile e piano.

  Mai non fu’ in parte ove sì chiar’ vedessi.

  Mai non vedranno le mie luci asciutte.

  Mai non vo’ più cantar, com’ io soleva.

  Mente mia che presaga de’ tuoi danni.

  Mentre che ‘l cor dagli amorosi vermi.

  Mia benigna fortuna e ‘l viver lieto.

  Mia ventura ed Amor m’ avean sì adorno.

  Mie venture al venir son tarde e pigre.

  Mille fiate, o dolce mia guerrera.

  Mille piagge in un giorno e mille rivi.

  Mira quel colle, o stanco mio cor vago.

  Mirando ‘l sol de’ begli occhi sereno.

  Morte ha spento quel Sol ch’ abbagliar suolmi.

  Movesi ‘l vecchierel canuto e bianco.

  Nè così bello il sol giammai levarsi.

  Nè mai pietosa madre al caro figlio.

  Nè per sereno cielo ir vaghe stelle.

  Nel dolce tempo della prima etade.

  Nel tempo che rinova i miei sospiri.

  Nell’ età sua più bella e più fiorita.

  Nella stagion che ‘l ciel rapido inchina.

  Nom d’ atra e tempestosa onda marina.

  Non al suo amante più Diana piacque.

  Non dall’ Ispano Ibero all’ Indo Idaspe.

  Non fur mai Giove e Cesare sì mossi.

  Non ha tanti animali il mar fra l’ onde.

  Non può far morte il dolce viso amaro.

 

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