Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)

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Paradiso (The Divine Comedy series Book 3) Page 33

by Dante


  150

  che non avea cagione onde piangesse.

  Con queste genti vid’ io glorïoso

  e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio →

  non era ad asta mai posto a ritroso, →

  154

  né per divisïon fatto vermiglio.” →

  PARADISO XVII

  Qual venne a Climenè, per accertarsi → →

  di ciò ch’avëa incontro a sé udito,

  3

  quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi;

  tal era io, e tal era sentito

  e da Beatrice e da la santa lampa

  6

  che pria per me avea mutato sito.

  Per che mia donna “Manda fuor la vampa →

  del tuo disio,” mi disse, “sì ch’ella esca

  9

  segnata bene de la interna stampa:

  non perché nostra conoscenza cresca

  per tuo parlare, ma perché t’ausi

  12

  a dir la sete, sì che l’uom ti mesca.”

  “O cara piota mia che sì t’insusi, → →

  che, come veggion le terrene menti

  15

  non capere in trïangol due ottusi, →

  così vedi le cose contingenti

  anzi che sieno in sé, mirando il punto

  18

  a cui tutti li tempi son presenti;

  mentre ch’io era a Virgilio congiunto → →

  su per lo monte che l’anime cura

  21

  e discendendo nel mondo defunto,

  dette mi fuor di mia vita futura

  parole gravi, avvegna ch’io mi senta

  24

  ben tetragono ai colpi di ventura; →

  per che la voglia mia saria contenta

  d’intender qual fortuna mi s’appressa:

  27

  ché saetta previsa vien più lenta.” →

  Così diss’ io a quella luce stessa

  che pria m’avea parlato; e come volle

  30

  Beatrice, fu la mia voglia confessa.

  Né per ambage, in che la gente folle → →

  già s’inviscava pria che fosse anciso →

  33

  l’Agnel di Dio che le peccata tolle,

  ma per chiare parole e con preciso →

  latin rispuose quello amor paterno,

  36

  chiuso e parvente del suo proprio riso:

  “La contingenza, che fuor del quaderno → →

  de la vostra matera non si stende,

  39

  tutta è dipinta nel cospetto etterno;

  necessità però quindi non prende

  se non come dal viso in che si specchia

  42

  nave che per torrente giù discende.

  Da indi, sì come viene ad orecchia → →

  dolce armonia da organo, mi viene

  45

  a vista il tempo che ti s’apparecchia.

  Qual si partio Ipolito d’Atene → →

  per la spietata e perfida noverca,

  48

  tal di Fiorenza partir ti convene.

  Questo si vuole e questo già si cerca, →

  e tosto verrà fatto a chi ciò pensa

  51

  là dove Cristo tutto dì si merca. →

  La colpa seguirà la parte offensa →

  in grido, come suol; ma la vendetta

  54

  fia testimonio al ver che la dispensa.

  Tu lascerai ogne cosa diletta →

  più caramente; e questo è quello strale

  57

  che l’arco de lo essilio pria saetta.

  Tu proverai sì come sa di sale → →

  lo pane altrui, e come è duro calle

  60

  lo scendere e ’l salir per l’altrui scale.

  E quel che più ti graverà le spalle, →

  sarà la compagnia malvagia e scempia

  63

  con la qual tu cadrai in questa valle;

  che tutta ingrata, tutta matta ed empia

  si farà contr’ a te; ma, poco appresso, →

  66

  ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.

  Di sua bestialitate il suo processo →

  farà la prova; sì ch’a te fia bello

  69

  averti fatta parte per te stesso.

  Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello →

  sarà la cortesia del gran Lombardo

  72

  che ’n su la scala porta il santo uccello; →

  ch’in te avrà si benigno riguardo, →

  che del fare e del chieder, tra voi due,

  75

  fia primo quel che tra li altri è più tardo.

  Con lui vedrai colui che ’mpresso fue, →

  nascendo, sì da questa stella forte,

  78

  che notabili fier l’opere sue. →

  Non se ne son le genti ancora accorte →

  per la novella età, ché pur nove anni

  81

  son queste rote intorno di lui torte;

  ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni, →

  parran faville de la sua virtute

  84

  in non curar d’argento né d’affanni.

  Le sue magnificenze conosciute →

  saranno ancora, sì che ’ suoi nemici

  87

  non ne potran tener le lingue mute.

  A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;

  per lui fia trasmutata molta gente, →

  90

  cambiando condizion ricchi e mendici;

  e portera’ne scritto ne la mente →

  di lui, e nol dirai”; e disse cose

  93

  incredibili a quei che fier presente.

  Poi giunse: “Figlio, queste son le chiose →

  di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie

  96

  che dietro a pochi giri son nascose.

  Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie, →

  poscia che s’infutura la tua vita

  99

  via più là che ’l punir di lor perfidie.”

  Poi che, tacendo, si mostrò spedita →

  l’anima santa di metter la trama

  102

  in quella tela ch’io le porsi ordita,

  io cominciai, come colui che brama, →

  dubitando, consiglio da persona

  105

  che vede e vuol dirittamente e ama:

  “Ben veggio, padre mio, sì come sprona →

  lo tempo verso me, per colpo darmi

  108

  tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; →

  per che di provedenza è buon ch’io m’armi, →

  sì che, se loco m’è tolto più caro,

  111

  io non perdessi li altri per miei carmi. →

  Giù per lo mondo sanza fine amaro, →

  e per lo monte del cui bel cacume

  114

  li occhi de la mia donna mi levaro,

  e poscia per lo ciel, di lume in lume,

  ho io appreso quel che s’io ridico,

  117

  a molti fia sapor di forte agrume;

  e s’io al vero son timido amico, →

  temo di perder viver tra coloro →

  120

  che questo tempo chiameranno antico.”

  La luce in che rideva il mio tesoro →

  ch’io trovai lì, si fé prima corusca,

  123

  quale a raggio di sole specchio d’oro;

  indi rispuose: “Coscïenza fusca →

  o de la propria o de l’altrui vergogna

  126

  pur sentirà la tua parola brusca.

  Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, →

  tutta tua visïon fa manifesta;

  129

  e lascia pur grattar dov’ è la rogna.

  Ché se la voce tua sarà molesta →

 
; nel primo gusto, vital nodrimento

  132

  lascerà poi, quando sarà digesta.

  Questo tuo grido farà come vento, → →

  che le più alte cime più percuote;

  135

  e ciò non fa d’onor poco argomento.

  Però ti son mostrate in queste rote,

  nel monte e ne la valle dolorosa

  138

  pur l’anime che son di fama note,

  che l’animo di quel ch’ode, non posa →

  né ferma fede per essempro ch’aia

  la sua radice incognita e ascosa,

  142

  né per altro argomento che non paia.” →

  PARADISO XVIII

  Già si godeva solo del suo verbo →

  quello specchio beato, e io gustava

  3

  lo mio, temprando col dolce l’acerbo; →

  e quella donna ch’a Dio mi menava

  disse: “Muta pensier; pensa ch’i’ sono →

  6

  presso a colui ch’ogne torto disgrava.”

  Io mi rivolsi a l’amoroso suono →

  del mio conforto; e qual io allor vidi → →

  9

  ne li occhi santi amor, qui l’abbandono:

  non perch’ io pur del mio parlar diffidi,

  ma per la mente che non può redire

  12

  sovra sé tanto, s’altri non la guidi.

  Tanto poss’ io di quel punto ridire,

  che, rimirando lei, lo mio affetto

  15

  libero fu da ogne altro disire,

  fin che ’l piacere etterno, che diretto →

  raggiava in Bëatrice, dal bel viso

  18

  mi contentava col secondo aspetto.

  Vincendo me col lume d’un sorriso, →

  ella mi disse: “Volgiti e ascolta;

  21

  ché non pur ne’ miei occhi è paradiso.”

  Come si vede qui alcuna volta →

  l’affetto ne la vista, s’elli è tanto,

  24

  che da lui sia tutta l’anima tolta,

  così nel fiammeggiar del folgór santo,

  a ch’io mi volsi, conobbi la voglia

  27

  in lui di ragionarmi ancora alquanto.

  El cominciò: “In questa quinta soglia →

  de l’albero che vive de la cima →

  30

  e frutta sempre e mai non perde foglia,

  spiriti son beati, che giù, prima →

  che venissero al ciel, fuor di gran voce,

  33

  sì ch’ogne musa ne sarebbe opima. →

  Però mira ne’ corni de la croce: →

  quello ch’io nomerò, lì farà l’atto

  36

  che fa in nube il suo foco veloce.” →

  Io vidi per la croce un lume tratto →

  dal nomar Iosuè, com’ el si feo; →

  39

  né mi fu noto il dir prima che ’l fatto. →

  E al nome de l’alto Macabeo →

  vidi moversi un altro roteando,

  42

  e letizia era ferza del paleo. →

  Così per Carlo Magno e per Orlando →

  due ne seguì lo mio attento sguardo,

  45

  com’ occhio segue suo falcon volando.

  Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo →

  e ’l duca Gottifredi la mia vista →

  48

  per quella croce, e Ruberto Guiscardo. →

  Indi, tra l’altre luci mota e mista, →

  mostrommi l’alma che m’avea parlato

  51

  qual era tra i cantor del cielo artista. →

  Io mi rivolsi dal mio destro lato →

  per vedere in Beatrice il mio dovere,

  54

  o per parlare o per atto, segnato;

  e vidi le sue luci tanto mere,

  tanto gioconde, che la sua sembianza →

  57

  vinceva li altri e l’ultimo solere.

  E come, per sentir più dilettanza

  bene operando, l’uom di giorno in giorno

  60

  s’accorge che la sua virtute avanza,

  sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno →

  col cielo insieme avea cresciuto l’arco,

  63

  veggendo quel miracol più addorno.

  E qual è ’l trasmutare in picciol varco →

  di tempo in bianca donna, quando ’l volto

  66

  suo si discarchi di vergogna il carco,

  tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,

  per lo candor de la temprata stella

  69

  sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.

  Io vidi in quella giovïal facella →

  lo sfavillar de l’amor che lì era

  72

  segnare a li occhi miei nostra favella. →

  E come augelli surti di rivera, → →

  quasi congratulando a lor pasture, →

  75

  fanno di sé or tonda or altra schiera,

  sì dentro ai lumi sante creature →

  volitando cantavano, e faciensi

  78

  or D, or I, or L in sue figure.

  Prima, cantando, a sua nota moviensi;

  poi, diventando l’un di questi segni,

  81

  un poco s’arrestavano e taciensi.

  O diva Pegasëa che li ’ngegni → →

  fai glorïosi e rendili longevi,

  84

  ed essi teco le cittadi e ’ regni,

  illustrami di te, sì ch’io rilevi

  le lor figure com’ io l’ho concette:

  87

  paia tua possa in questi versi brevi!

  Mostrarsi dunque in cinque volte sette → →

  vocali e consonanti; e io notai

  90

  le parti sì, come mi parver dette.

  “DILIGITE IUSTITIAM,” primai → →

  fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;

  93

  “QUI IUDICATIS TERRAM,” fur sezzai.

  Poscia ne l’emme del vocabol quinto →

  rimasero ordinate; sì che Giove →

  96

  pareva argento lì d’oro distinto.

  E vidi scendere altre luci dove →

  era il colmo de l’emme, e lì quetarsi

  99

  cantando, credo, il ben ch’a sé le move. →

  Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi → →

  surgono innumerabili faville, →

  102

  onde li stolti sogliono agurarsi,

  resurger parver quindi più di mille

  luci e salir, qual assai e qual poco,

  105

  sì come ’l sol che l’accende sortille; →

  e quïetata ciascuna in suo loco,

  la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi

  108

  rappresentare a quel distinto foco.

  Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi; →

  ma esso guida, e da lui si rammenta

  111

  quella virtù ch’è forma per li nidi.

  L’altra bëatitudo, che contenta →

  pareva prima d’ingigliarsi a l’emme, →

  114

  con poco moto seguitò la ’mprenta.

  O dolce stella, quali e quante gemme →

  mi dimostraro che nostra giustizia

  117

  effetto sia del ciel che tu ingemme!

  Per ch’io prego la mente in che s’inizia → →

  tuo moto e tua virtute, che rimiri

  120

  ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia;

  sì ch’un’altra fiata omai s’adiri

  del comperare e vender dentro al templo →

  123

  che si murò di segni e di martìri.

  O milizia del ciel cu’ io contemplo, →<
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  adora per color che sono in terra

  126

  tutti svïati dietro al malo essemplo! →

  Già si solea con le spade far guerra; →

  ma or si fa togliendo or qui or quivi

  129

  lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra.

  Ma tu che sol per cancellare scrivi, → →

  pensa che Pietro e Paulo, che moriro →

  132

  per la vigna che guasti, ancor son vivi.

  Ben puoi tu dire: “I’ ho fermo ’l disiro

  sì a colui che volle viver solo

  e che per salti fu tratto al martiro,

  136

  ch’io non conosco il pescator né Polo.”

  PARADISO XIX

  Parea dinanzi a me con l’ali aperte → →

  la bella image che nel dolce frui →

  3

  liete facevan l’anime conserte;

  parea ciascuna rubinetto in cui

  raggio di sole ardesse sì acceso,

  6

  che ne’ miei occhi rifrangesse lui.

  E quel che mi convien ritrar testeso, →

  non portò voce mai, né scrisse incostro,

  9

  né fu per fantasia già mai compreso; →

  ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro, →

  e sonar ne la voce e “io” e “mio,”

  12

  quand’ era nel concetto e “noi” e “nostro.”

  E cominciò: “Per esser giusto e pio →

  son io qui essaltato a quella gloria →

  15

  che non si lascia vincere a disio;

  e in terra lasciai la mia memoria →

 

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