02 Hold Me. Qui

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02 Hold Me. Qui Page 12

by Kathinka Engel


  Wow! Spara!

  Ho conosciuto una persona. Il mio cuore batte all’impazzata mentre digito sul cellulare, e le mie labbra si incurvano automaticamente verso l’alto.

  Ooooooh! scrive Jasmine, aggiungendo subito dopo un’emoji che ride. Raccontami tutto. Come si chiama? Quanti anni ha? Com’è? Che fa? Come la conosci?

  Sono sconcertato dalla velocità con cui Jasmine è capace di digitare, ma ormai la cosa non dovrebbe più stupirmi.

  Si chiama Zelda. È un’amica di Tamsin, la ragazza di Rhys. Ti ricordi di lei?

  Sì, risponde lei, con l’emoji che alza gli occhi al cielo. Jasmine ha una specie di cotta per Rhys e non è stata felice di sapere che lui ha la ragazza.

  Quando ce la presenti? chiede.

  Quando sarò ragionevolmente sicuro che non si spaventi, rispondo.

  Divertente, scrive Jasmine. Quindi mai? Visto che non rispondo subito, lei ricomincia a digitare. Io aspetto, poi vedo che si ferma. Ricomincia, poi si ferma di nuovo. Alla fine il mio cellulare vibra e leggo: Sei felice?

  Sorrido. Sì, lo sono. Molto felice, scrivo.

  Allora sono felice anche io, risponde lei, e mi manda un cuore.

  * * *

  L’unica luce della mia vita qui all’hotel è Lenny, che per quanto possibile cerca sempre di aiutarmi. Ma anche lui viene umiliato in continuazione. L’atmosfera in questa cucina è agitata, sgradevole e dai toni accesi. Io sono veloce, ma spesso non abbastanza. I compiti che mi vengono affidati di per sé sarebbero facili, perché non richiedono altro che velocità e abilità con il coltello, ma Alec e, soprattutto, Clément trovano sempre qualcosa che non va. Mi sforzo di soddisfare le loro aspettative, ma, con i minuti sempre contati e la costante sensazione di essere osservato, commetto più errori del normale.

  Oggi l’umore è particolarmente negativo. A Clément non è piaciuta una consegna, perciò il menu per un congresso con trecento partecipanti è stato cambiato all’ultimo minuto. E, a quel punto, a lui non è più andato bene niente.

  «Chi è l’idiota che ha pelato le patate?» sta gridando adesso, sopra la confusione generale.

  Tutte le volte che non sono io quello che ha sbagliato, provo un profondo sollievo. Il garzone che ha passato tutta la mattina a pelare patate, invece, diventa bianco come un cencio. Stiamo tutti lavorando sotto pressione, perché il banchetto di benvenuto di questa sera è un’occasione importante.

  «È rimasta della buccia!» ringhia Clément. «Sei cieco?» E lancia una patata contro il ragazzo, che la evita all’ultimo momento. Il proiettile lascia un’ammaccatura sulla superficie d’acciaio del frigo alle sue spalle. Noi ci sforziamo di ignorare la scena, perché non c’è niente di peggio delle occhiate di commiserazione.

  «Fuori dalla mia cucina! Di idioti come te possiamo farne a meno!» strilla Clément. E poiché il ragazzo è rimasto paralizzato dal terrore, aggiunge: «Muoviti!» e gli lancia un’altra patata.

  Il ragazzo si incammina a passo incerto verso la porta.

  «Lascia qui il coltello», ringhia Clément, «e anche il grembiule, sono di proprietà dell’hotel. O vuoi forse che aggiungiamo ‘ladro’ accanto a ‘incapace’, nelle tue referenze?»

  Il malcapitato torna tremando al suo banco di lavoro, dove lascia il coltello con cui stava sminuzzando il prezzemolo, e si toglie il grembiule. Dopodiché corre fuori. Chiudo gli occhi. Che Clément fosse uno stronzo l’avevo capito dal primo giorno, ma le sue sfuriate mi lasciano sempre sconcertato. E il fatto che adesso licenzi la gente per un singolo errore non è molto incoraggiante.

  «Ehi tu», ringhia adesso rivolto verso di noi. Tutte le teste chine che lavorano sul mio bancone si alzano e lo guardano terrorizzate. «Sì, tu. Pain noir. Controlla le patate. E subito, se non vuoi guai. Tu invece, jambon blanc, ti occupi delle verdure.» Poi scoppia a ridere. «Pain noir e jambon blanc. D’ora in poi vi chiamerò così, mi pare perfetto. Pane nero e prosciutto.»

  Lenny mi lancia un’occhiata con cui vuole evidentemente dirmi: «Contieniti, se vuoi tenerti il lavoro». Poi fa il giro del bancone e mi toglie di mano il coltello.

  «Lascia perdere», sibila a denti stretti.

  Sebbene detesti Clément dal profondo del mio cuore, so che Lenny ha ragione. Il coltello dalla parte del manico ce l’ha lui, perché questo lavoro è l’unica opportunità che ho per dimostrare quanto valgo. Perciò tengo la bocca chiusa e vado a controllare che nel quintale di patate pelate non siano rimaste bucce. Mentre le esamino una per una, constatando che sono state pelate alla perfezione, cerco di concentrare i pensieri su qualcosa di positivo e bello. Qualcosa che mi renda felice, e mi faccia dimenticare Clément e le sue umiliazioni. Zelda.

  15

  Zelda

  «OH, oh», dice Tamsin guardando lo smalto nero che ho sulle unghie. «Che succede?»

  Siamo sedute vicine a lezione di Letteratura, un altro corso che ho scelto non per una vera passione, ma solo per poterlo frequentare insieme a lei. Non posso nemmeno farmelo riconoscere nel piano di studi, ma questa lezione del mercoledì, e la mezz’ora successiva che passiamo in un bar o in qualche locale nei dintorni, è l’unico appuntamento fisso che abbiamo. E poi l’insegnante, il professor McPerfect – che in realtà si chiama Sam McPherson – è un dottorando molto carino ed è anche il migliore amico di Tamsin. O almeno lo era, finché non ha provato a baciarla. Da allora il clima tra loro si è fatto un po’ gelido, soprattutto perché lui pareva davvero innamorato di lei. Ma, con il passare delle settimane, la tensione si sta sciogliendo.

  «Mi sto incasinando la vita», dico per rispondere alla sua domanda.

  Negli ultimi giorni ho di nuovo trascurato gli studi, perché ho passato fin troppo tempo a riflettere sulla mia situazione. Sui miei genitori e le loro aspettative. Sui miei desideri. Su Malik. Ho scritto delle liste con da una parte il suo nome e dall’altra tutto quello renderebbe impossibile stare insieme. Ho lasciato vagare i pensieri, rimuginato a lungo e su tutto.

  «È per via di Malik?» chiede Tamsin con l’aria di chi la sa lunga, mentre tira fuori la sua copia di Dracula di Bram Stoker, che da due settimane è l’oggetto principale del dibattito.

  Già domenica sera, al telefono, le ho raccontato tutto. Del gioco, di come ho ballato, di quando ci siamo baciati, della nostra serata e dell’incredibile senso di felicità che mi suscita stare con lui. Ma anche dell’impossibilità di stare insieme. Quest’ultimo punto lei non lo condivide, e probabilmente ha ragione.

  «Penso solo a lui da quando ci siamo salutati», rispondo. «Proprio non capisco cosa mi stia succedendo. Dico sul serio, Tamsin, è la cosa più incredibile che mi sia mai successa.»

  Lei sorride. «E qual è il problema?»

  «Lo sai benissimo qual è. La mia vita parallela. Posso ingannare Arush e Leon, ma non voglio ingannare Malik.»

  In quel momento, McPerfect entra in aula e tutti ammutoliscono. Solo Tamsin continua a sussurrare.

  «E non devi farlo, secondo me. Non sarebbe giusto.»

  «L’unica alternativa è darci un taglio. E non ho la forza di farlo.» Solo il pensiero mi toglie l’aria dai polmoni.

  «Se fossi al tuo posto, proverei a prendere tutto un po’ più alla leggera», bisbiglia Tamsin. «Non dovete mica sposarvi domani. Se dovessi capire che Malik è davvero l’amore della tua vita, a quel punto penserai a cosa fare.»

  «Tamsin, Zelda, volete condividere con noi l’argomento del vostro dibattito?» dice McPerfect, e noi ci azzittiamo all’istante. Le altre studentesse ci guardano con disapprovazione. È strabiliante quanto sia frequentato questo corso, considerando che non è nemmeno obbligatorio. Ma se si fa caso al fatto che il novanta per cento degli studenti è di sesso femminile, forse non è più così sorprendente. Adesso sono tornate tutte a fissare Sam, in adorazione. Tamsin sospira e alza gli occhi al cielo. Lei e McPerfect si conoscono da quando sono bambini.

  «Almeno concedigli un po’ di attenzione», le sussurro, sogghignando.

  «Credo che Zelda abbia voglia di renderci partecipi delle sue riflessioni su Dracula», dice Sam, lanciandomi un’occhiata severa. Io arrossisco.r />
  Dall’ultima lezione ricordo che Dracula è un romanzo gotico, ma non ho granché da aggiungere sull’argomento.

  «Ehm», balbetto. Non voglio fare brutta figura davanti a Sam, e non voglio dargli l’impressione che il suo corso non mi interessi. «In realtà…» Non so bene cosa dire, perciò tiro fuori la prima cosa che mi viene in mente. «In realtà, credo che il tema centrale sia il sesso.»

  Alle mie spalle una studentessa scoppia a ridere, e ne sento un altro paio sghignazzare.

  «In che senso?» chiede McPerfect.

  «Be’, tutto quel mordere il collo femminile. E il succhiare.»

  Altre risatine.

  «Sì, di sicuro è un aspetto presente», dice Sam con un sorriso. Adesso mi sono attirata l’invidia di tutte le altre. I capelli castani e ondulati di Sam, che gli ricadono continuamente sulla fronte, e gli occhiali da professore sexy rendono quasi impossibile resistere al suo fascino.

  «E c’è un personaggio in particolare in cui questa consapevolezza sessuale è più evidente», continua Sam. Una studentessa alta e bionda, seduta davanti a me, sbuffa.

  «Lucy», si inserisce Tamsin. «Finché è umana è l’incarnazione della virtù vittoriana, ma quando si trasforma in vampiro scopre il suo lato passionale.»

  «Molto bene, Tamsin», Sam regala anche a lei un sorriso.

  «Si potrebbe dire che la scena in cui Arthur impala Lucy sia una sorta di sublimazione della loro prima notte di nozze mai consumata, giusto?» aggiungo un po’ esitante.

  «E come mai?» chiede Sam.

  «Be’, l’atto stesso dell’impalare…»

  «E Lucy che si lascia sfuggire un gemito…» aggiunge Tamsin, sfogliando il libro in cerca della frase precisa.

  «Bene, molto bene», commenta McPerfect entusiasta.

  «In pratica è un capovolgimento dell’immagine sadica del vampiro. Lucy sembra quasi masochista», dice Tamsin. «Perché è evidente che prova piacere.»

  «E le vittime potenziali di Lucy possono godere senza remore del suo sadismo, perché in realtà stanno neutralizzando la vampira», proseguo.

  «Molto comodo. La virtuosa Lucy, così pura, alla fine incarna non solo l’ideale nostalgico della brava moglie, ma anche quello della passione sadica», conclude Tamsin.

  Sam sorride. «Qualcun altro vuole aggiungere un commento su questo tema?»

  Dopo la lezione, Sam viene da noi. «Andate a bere qualcosa?»

  «Volevamo andare al Pearls», risponde Tamsin.

  «Se non avete niente in contrario, verrei anche io.»

  Tamsin spalanca gli occhi. È la prima volta dall’episodio del bacio che esce con noi.

  «E come mai? Sei a corto di accompagnatrici oggi?» chiedo per provocarlo.

  «Divertente», ribatte Sam, fingendo di volermi picchiare con la sua copia di Dracula.

  Poco dopo entriamo tutti e tre al Pearls. È un locale del campus molto amato dagli studenti, anche se l’arredamento non è particolarmente curato, con le sedie di plastica e i tavoli di seconda mano. Ma serve caffè a prezzi imbattibili e di sera ci sono spesso eventi, annunciati dai manifesti colorati appesi ovunque: poetry slam, jam session, dibattiti e concerti, tutto organizzato dagli studenti.

  Sam si occupa di procurarci tre bicchieri della famosa limonata della casa, mentre io e Tamsin ci sediamo a un tavolino accanto alla finestra, da dove si vedono il prato e l’edificio principale, e riprendiamo la nostra conversazione.

  «Quindi, secondo te dovrei vedere come va questa faccenda con Malik», riassumo.

  «Che faccenda con Malik?» chiede Sam, posando i bicchieri sul tavolo e sedendosi.

  «La faccenda con Malik», dichiaro, e aggiungo in breve: «Coccole bollenti e sentimenti confusi».

  Mentre pronuncio queste ultime parole, Sam lancia una rapida occhiata a Tamsin, ma lei per fortuna non se ne accorge. Lui si passa una mano sulla barba corta.

  «Intrigante», dice poi. «E come fai con i sentimenti confusi?»

  «Stavamo giusto parlando di prendere le cose più alla leggera», spiega Tamsin.

  Sorrido. Prendere le cose alla leggera mi piace. Ed è più o meno quello che ha detto Malik.

  «Mi pare un buon metodo.» Sam solleva la sua limonata per brindare.

  Facciamo tintinnare i bicchieri l’uno contro l’altro.

  «Al prendere le cose alla leggera», esclamo, cercando di suonare il più convinta possibile.

  Ma sento davvero il cuore un po’ più lieve. Tamsin è un fenomeno, è sempre sinceramente convinta che alla fine tutto si sistemerà. Non perché creda ciecamente nel destino, ma perché decide lei che vita vuole condurre. Vorrei esserne capace anch’io. Nel frattempo, però, ogni tanto riesco a godere di un po’ del suo ottimismo, come è successo oggi. Frugo nello zaino in cerca del flaconcino di smalto giallo, con cui dare un nuovo colore alle mie preoccupazioni.

  «Vedo che l’umore sta migliorando», dice Tamsin, scompigliandomi i capelli.

  Mentre torno a casa, rifletto di nuovo su tutto quello che è stato detto oggi. Non sulla faccenda dei vampiri e del sesso, ma sulle cose che Tamsin ha detto a proposito di me e Malik. So che ha ragione. So che dovrei prendere tutto più alla leggera. Mi piacerebbe poter stare con lui senza pensare alle conseguenze. Senza permettere ai miei di distruggere tutto. Ecco cosa distingue la California di questo secolo dalla Gran Bretagna dell’epoca vittoriana. Per un istante, fantastico su Malik che mi morde e mi libera così da tutti miei obblighi, poi penso che sarebbe senz’altro meglio poter impalare la mia famiglia.

  Però c’è una cosa che Tamsin non sa, e non può sapere, ed è come mi sento io. Il problema è che non ci sono parole per descriverlo, non so davvero come spiegare le sensazioni che il pensiero di Malik suscita in me. Per questo motivo il suo consiglio di prendere le cose alla leggera e vedere come va mi aiuta solo fino a un certo punto. Perché tutto questo non mi sta semplicemente accadendo, mi ha completamente sopraffatta.

  Sono così immersa nei miei pensieri, che mi accorgo di essere a casa solo quando chiudo la porta. Neanche mi ricordo come sono arrivata fin qui.

  Sento le voci di Leon e di Arush in salotto. La televisione è accesa.

  «Ciao ragazzi!» grido.

  «Ciao Zelda!» rispondono loro in coro, strappandomi un sorriso. È bello tornare a casa.

  Mi affaccio sulla soglia, giusto per vedere cosa stanno guardando. È un documentario in cui dei pinguini scivolano sulla neve, sdraiati sulla pancia.

  «Ti va di unirti a noi?» chiede Leon, facendomi spazio sul divano.

  Sto per sedermi, quando Arush dice: «È arrivato un pacco per te, mi sa che è un vestito elegante. Sta in camera tua».

  Sospiro. Di sicuro è l’abito per sabato.

  Quando vedo la grande scatola piatta posata sul mio letto, chiudo gli occhi per un istante. Quanto vorrei che mia madre avesse un hobby. Uno che richiede un sacco di tempo. O, al limite, un amante.

  Sollevo il coperchio della scatola e scosto la carta velina, rivelando della stoffa morbida color verde scuro. Al tocco dà una sensazione di fresco. Tiro fuori il vestito dalla scatola e lo stendo sul letto. È lungo fino a terra, con un taglio a sirena. Lo scollo a V del corpetto aderente sembra incredibilmente profondo, la gonna si allarga leggermente in basso. Rabbrividisco. È un vestito splendido, ma io detesto tutto quello che rappresenta. Quando l’ho tirato fuori, dalla scatola è caduto un biglietto. Lo apro e leggo:

  Zelda, per favore, indossa questo vestito al galà dei Forsyth. Puoi abbinarci i sandali Versace che a quanto ricordo non hai mai indossato. Non dimenticare l’imbottitura, finalmente avrai qualcosa da mostrare.

  Grazie, mamma, quanto amore in un solo messaggio. E cos’è questa storia dell’imbottitura? Do un’altra occhiata nella scatola e scopro un pacchettino. Lo apro, tiro fuori il contenuto, e lancio immediatamente sul letto due affari morbidi e tremolanti, disgustata. Imbottitura push-up, sul serio? Questo è un nuovo minimo storico. Sapevo già di avere un colore di capelli inappropriato e troppe lentiggini in faccia, di non sapermi comportare e di essere una delusione su tutta la linea, sono c
ose che mi sono state spiegate fin troppo chiaramente. Ma che anche il mio fisico non corrispondesse alle aspettative della mia famiglia è una novità. Incrocio le braccia sul seno, come per proteggerlo. Ma come osano?

  Mi accascio sul letto e mi prendo il viso tra le mani. A volte è veramente dura sopportare questi continui promemoria di quanto io sia inadeguata. Come se non lo sapessi da sola, tra l’altro.

  Mi concedo qualche minuto per calmarmi, poi mi riprendo e vado da Leon e Arush. È bello che siano qui con me. Guardiamo il documentario sui pinguini, insieme a loro ho la sensazione di essere al sicuro.

  16

  Malik

  IL piano originale prevedeva di sfruttare il sabato per preparare l’appuntamento con Zelda, ma la mia famiglia ha pensato bene si sabotarlo. Mamma mi ha chiesto di portare fuori le gemelle e Theo, in modo da potersi dedicare a Ebony, che è ancora malata. Papà ha trovato un lavoretto occasionale come elettricista, e Jasmine ha detto che doveva andare a studiare da un’amica, perciò nessuno dei due era disponibile.

  Quindi ho dovuto cambiare le mie priorità. Per fortuna organizzare attività che sembrano apparentemente inconciliabili è il mio forte, ed è uno dei motivi per cui mi sento portato per il lavoro in cucina. Al Fairmont non ho ancora avuto modo di sfruttare questa mia abilità, anche se a dirla tutta mi sono ritagliato un po’ di tempo per osservare quello che fanno gli altri e imparare cose nuove.

  Quando parcheggio sotto casa dei miei, vedo già le testoline di Ellie ed Esther affacciate alla finestra del salotto. Mi salutano eccitate e cominciano a saltare sul divano. Mi sbrigo a entrare, di sicuro staranno facendo un casino infernale.

  «Finalmente!» esclama mia madre sopra le grida delle bambine, nell’istante in cui apro la porta. «Portale via, Malik, prima che esploda.»

  «Non ti preoccupare ma’, adesso andiamo», la tranquillizzo, dandole un bacio sulla guancia. «Come sta Ebony?»

  «Devo andare subito in farmacia, le è venuta la febbre. Ma se ci vado con loro mi buttano fuori», dice lei con un sospiro.

 

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