by Dante
e queste son salite ov’ eran quelle.”
Com’ ei parlava, e Sordello a sé il trasse →
dicendo: “Vedi là ’l nostro avversaro”;
96
e drizzò il dito perché ’n là guardasse.
Da quella parte onde non ha riparo →
la picciola vallea, era una biscia,
99
forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia,
volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso
102
leccando come bestia che si liscia.
Io non vidi, e però dicer non posso, →
come mosser li astor celestïali;
105
ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso.
Sentendo fender l’aere a le verdi ali,
fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta,
108
suso a le poste rivolando iguali.
L’ombra che s’era al giudice raccolta →
quando chiamò, per tutto quello assalto
111
punto non fu da me guardare sciolta.
“Se la lucerna che ti mena in alto
truovi nel tuo arbitrio tanta cera
114
quant’ è mestiere infino al sommo smalto,”
cominciò ella, “se novella vera →
di Val di Magra o di parte vicina
117
sai, dillo a me, che già grande là era.
Fui chiamato Currado Malaspina;
non son l’antico, ma di lui discesi;
120
a’ miei portai l’amor che qui raffina.”
“Oh!” diss’ io lui, “per li vostri paesi →
già mai non fui; ma dove si dimora
123
per tutta Europa ch’ei non sien palesi?
La fama che la vostra casa onora,
grida i segnori e grida la contrada,
126
sì che ne sa chi non vi fu ancora;
e io vi giuro, s’io di sopra vada,
che vostra gente onrata non si sfregia
129
del pregio de la borsa e de la spada.
Uso e natura sì la privilegia, →
che, perché il capo reo il mondo torca,
132
sola va dritta e ’l mal cammin dispregia.”
Ed elli: “Or va; che ’l sol non si ricorca →
sette volte nel letto che ’l Montone
135
con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,
che cotesta cortese oppinïone
ti fia chiavata in mezzo de la testa
con maggior chiovi che d’altrui sermone,
139
se corso di giudicio non s’arresta.”
PURGATORIO IX
La concubina di Titone antico →
già s’imbiancava al balco d’orïente,
3
fuor de le braccia del suo dolce amico;
di gemme la sua fronte era lucente,
poste in figura del freddo animale
6
che con la coda percuote la gente;
e la notte, de’ passi con che sale, →
fatti avea due nel loco ov’ eravamo,
9
e ’l terzo già chinava in giuso l’ale;
quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo, →
vinto dal sonno, in su l’erba inchinai
12
là ’ve già tutti e cinque sedavamo.
Ne l’ora che comincia i tristi lai →
la rondinella presso a la mattina,
15
forse a memoria de’ suo’ primi guai,
e che la mente nostra, peregrina →
più da la carne e men da’ pensier presa,
18
a le sue visïon quasi è divina,
in sogno mi parea veder sospesa →
un’aguglia nel ciel con penne d’oro, →
21
con l’ali aperte e a calare intesa;
ed esser mi parea là dove fuoro →
abbandonati i suoi da Ganimede,
24
quando fu ratto al sommo consistoro.
Fra me pensava: “Forse questa fiede →
pur qui per uso, e forse d’altro loco
27
disdegna di portarne suso in piede.”
Poi mi parea che, poi rotata un poco, →
terribil come folgor discendesse,
30
e me rapisse suso infino al foco.
Ivi parea che ella e io ardesse; →
e sì lo ’ncendio imaginato cosse,
33
che convenne che ’l sonno si rompesse.
Non altrimenti Achille si riscosse, →
li occhi svegliati rivolgendo in giro
36
e non sappiendo là dove si fosse,
quando la madre da Chirón a Schiro
trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
39
là onde poi li Greci il dipartiro;
che mi scoss’ io, sì come da la faccia
mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto,
42
come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.
Dallato m’era solo il mio conforto, →
e ’l sole er’ alto già più che due ore,
45
e ’l viso m’era a la marina torto.
“Non aver tema,” disse il mio segnore;
“fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
48
non stringer, ma rallarga ogne vigore.
Tu se’ omai al purgatorio giunto:
vedi là il balzo che ’l chiude dintorno;
51
vedi l’entrata là ’ve par digiunto.
Dianzi, ne l’alba che procede al giorno, →
quando l’anima tua dentro dormia,
54
sovra li fiori ond’ è là giù addorno
venne una donna, e disse: ‘I’ son Lucia; →
lasciatemi pigliar costui che dorme;
57
sì l’agevolerò per la sua via.’
Sordel rimase e l’altre genti forme;
ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro,
60
sen venne suso; e io per le sue orme.
Qui ti posò, ma pria mi dimostraro
li occhi suoi belli quella intrata aperta;
63
poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro.”
A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta →
e che muta in conforto sua paura,
66
poi che la verità li è discoperta,
mi cambia’ io; e come sanza cura
vide me ’l duca mio, su per lo balzo
69
si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.
Lettor, tu vedi ben com’ io innalzo →
la mia matera, e però con più arte
72
non ti maravigliar s’io la rincalzo.
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte
che là dove pareami prima rotto,
75
pur come un fesso che muro diparte,
vidi una porta, e tre gradi di sotto
per gire ad essa, di color diversi,
78
e un portier ch’ancor non facea motto.
E come l’occhio più e più v’apersi,
vidil seder sovra ’l grado sovrano, →
81
tal ne la faccia ch’io non lo soffersi; →
e una spada nuda avëa in mano, →
che reflettëa i raggi sì ver’ noi,
84
ch’io dirizzava spesso il viso in vano.
“Dite costinci: che volete voi?” →
cominciò elli a dire, “ov’ è la scorta? →
87
Guardate che ’l venir sù non vi nòi.”
“Donna del ciel, di queste cose accorta,”
rispuose ’l mio maestro a lui, “pur dianzi
90
ne disse: ‘Andate là: quivi è la porta.’ ”
“Ed ella i passi vostri in bene avanzi,”
ricominciò il cortese portinaio:
93
“Venite dunque a’ nostri gradi innanzi.”
Là ne venimmo; e lo scaglion primaio → →
bianco marmo era sì pulito e terso,
96
ch’io mi specchiai in esso qual io paio.
Era il secondo tinto più che perso, →
d’una petrina ruvida e arsiccia,
99
crepata per lo lungo e per traverso.
Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia, →
porfido mi parea, sì fiammeggiante
102
come sangue che fuor di vena spiccia.
Sovra questo tenëa ambo le piante →
l’angel di Dio sedendo in su la soglia
105
che mi sembiava pietra di diamante.
Per li tre gradi sù di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: “Chiedi
108
umilemente che ’l serrame scioglia.”
Divoto mi gittai a’ santi piedi; →
misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,
111
ma tre volte nel petto pria mi diedi. →
Sette P ne la fronte mi descrisse →
col punton de la spada, e “Fa che lavi,
114
quando se’ dentro, queste piaghe” disse. →
Cenere, o terra che secca si cavi, →
d’un color fora col suo vestimento;
117
e di sotto da quel trasse due chiavi. →
L’una era d’oro e l’altra era d’argento;
pria con la bianca e poscia con la gialla
120
fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.
“Quandunque l’una d’este chiavi falla,
che non si volga dritta per la toppa,”
123
diss’ elli a noi, “non s’apre questa calla.
Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa
d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
126
perch’ ella è quella che ’l nodo digroppa.
Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri
anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,
129
pur che la gente a’ piedi mi s’atterri.”
Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate; ma facciovi accorti →
132
che di fuor torna chi ’n dietro si guata.”
E quando fuor ne’ cardini distorti →
li spigoli di quella regge sacra, →
135
che di metallo son sonanti e forti,
non rugghiò sì né si mostrò sì acra
Tarpëa, come tolto le fu il buono
138
Metello, per che poi rimase macra.
Io mi rivolsi attento al primo tuono, →
e “Te Deum laudamus” mi parea
141
udire in voce mista al dolce suono.
Tale imagine a punto mi rendea
ciò ch’io udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si stea;
145
ch’or sì or no s’intendon le parole.
PURGATORIO X
Poi fummo dentro al soglio de la porta →
che ’l mal amor de l’anime disusa,
3
perché fa parer dritta la via torta,
sonando la senti’ esser richiusa;
e s’io avesse li occhi vòlti ad essa,
6
qual fora stata al fallo degna scusa?
Noi salavam per una pietra fessa, →
che si moveva e d’una e d’altra parte,
9
sì come l’onda che fugge e s’appressa.
“Qui si conviene usare un poco d’arte,”
cominciò ’l duca mio, “in accostarsi
12
or quinci, or quindi al lato che si parte.”
E questo fece i nostri passi scarsi,
tanto che pria lo scemo de la luna
15
rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
che noi fossimo fuor di quella cruna;
ma quando fummo liberi e aperti
18
sù dove il monte in dietro si rauna,
ïo stancato e amendue incerti →
di nostra via, restammo in su un piano
21
solingo più che strade per diserti.
Da la sua sponda, ove confina il vano, →
al piè de l’alta ripa che pur sale,
24
misurrebbe in tre volte un corpo umano;
e quanto l’occhio mio potea trar d’ale,
or dal sinistro e or dal destro fianco,
27
questa cornice mi parea cotale.
Là sù non eran mossi i piè nostri anco,
quand’ io conobbi quella ripa intorno
30
che dritto di salita aveva manco, →
esser di marmo candido e addorno →
d’intagli sì, che non pur Policleto,
33
ma la natura lì avrebbe scorno.
L’angel che venne in terra col decreto →
de la molt’ anni lagrimata pace,
36
ch’aperse il ciel del suo lungo divieto,
dinanzi a noi pareva sì verace
quivi intagliato in un atto soave,
39
che non sembiava imagine che tace.
Giurato si saria ch’el dicesse “Ave!”;
perché iv’ era imaginata quella
42
ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave;
e avea in atto impressa esta favella
“Ecce ancilla Deï,” propriamente
45
come figura in cera si suggella.
“Non tener pur ad un loco la mente,” →
disse ’l dolce maestro, che m’avea
48
da quella parte onde ’l cuore ha la gente.
Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea
di retro da Maria, da quella costa
51
onde m’era colui che mi movea,
un’altra storia ne la roccia imposta;
per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso,
54
acciò che fosse a li occhi miei disposta.
Era intagliato lì nel marmo stesso →
lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa, →
57
per che si teme officio non commesso.
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
partita in sette cori, a’ due mie’ sensi
60
faceva dir l’un “No,” l’altro “Sì, canta.” →
Similemente al fummo de li ’ncensi
che v’era imaginato, li occhi e ’l naso
63
e al sì e al no discordi fensi.
Lì precedeva al benedetto vaso,
trescando alzato, l’umile salmista, →
66
e più e men che re era in quel caso.
Di contra, effigïata ad una vista →
d’un gran palazzo, Micòl ammirava
69
sì come donna dispettosa e trista.
I’ mossi i piè del loco dov’ io stava,
per avvisar da presso un’altra istoria,
72
che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
Quiv’ era storïata l’alta gloria → →
del roman principato, il cui valore
75
mosse Gregorio a la sua gran vittoria; →
I’ dico di Traiano imperadore; →
e una vedovella li era al freno, →
78
di lagrime atteggi
ate e di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno
di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
81
sovr’ essi in vista al vento si movieno.
La miserella intra tutti costoro →
pareva dir: “Segnor, fammi vendetta
84
di mio figliuol ch’è morto, ond’ io m’accoro”;
ed elli a lei rispondere: “Or aspetta
tanto ch’i’ torni”; e quella: “Segnor mio,”
87
come persona in cui dolor s’affretta,
“se tu non torni?”; ed ei: “Chi fia dov’ io,
la ti farà”; ed ella: “L’altrui bene
90
a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?”;
ond’ elli: “Or ti conforta; ch’ei convene
ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova:
93
giustizia vuole e pietà mi ritene.”
Colui che mai non vide cosa nova →
produsse esto visibile parlare,
96
novello a noi perché qui non si trova.
Mentr’ io mi dilettava di guardare →
l’imagini di tante umilitadi,
99
e per lo fabbro loro a veder care,
“Ecco di qua, ma fanno i passi radi,” →
mormorava il poeta, “molte genti:
102
questi ne ’nvïeranno a li alti gradi.”
Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti →
per veder novitadi ond’ e’ son vaghi,
105
volgendosi ver’ lui non furon lenti.
Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi →
di buon proponimento per udire