by Dante
18
di grado in grado, come que’ che lassi.
Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
21
intendi come e perché son costretti.
D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista, →
ingiuria è ’l fine, ed ogne fin cotale
24
o con forza o con frode altrui contrista.
Ma perché frode è de l’uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
27
li frodolenti, e più dolor li assale.
Di vïolenti il primo cerchio è tutto; →
ma perché si fa forza a tre persone,
30
in tre gironi è distinto e costrutto.
A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
33
come udirai con aperta ragione.
Morte per forza e ferute dogliose →
nel prossimo si danno, e nel suo avere
36
ruine, incendi e tollette dannose;
onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
39
lo giron primo per diverse schiere.
Puote omo avere in sé man vïolenta →
e ne’ suoi beni; e però nel secondo
42
giron convien che sanza pro si penta
qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
45
e piange là dov’ esser de’ giocondo.
Puossi far forza ne la deïtade, →
col cor negando e bestemmiando quella,
48
e spregiando natura e sua bontade;
e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
51
e chi, spregiando Dio col cor, favella.
La frode, ond’ ogne coscïenza è morsa, →
può l’omo usare in colui che ’n lui fida
54
e in quel che fidanza non imborsa.
Questo modo di retro par ch’incida
pur lo vinco d’amor che fa natura;
57
onde nel cerchio secondo s’annida
ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
60
ruffian, baratti e simile lordura.
Per l’altro modo quell’ amor s’oblia →
che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
63
di che la fede spezïal si cria;
onde nel cerchio minore, ov’ è ’l punto
de l’universo in su che Dite siede,
66
qualunque trade in etterno è consunto.”
E io: “Maestro, assai chiara procede →
la tua ragione, e assai ben distingue
69
questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede.
Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
72
e che s’incontran con sì aspre lingue,
perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
75
e se non li ha, perché sono a tal foggia?”
Ed elli a me “Perché tanto delira,” →
disse, “lo ’ngegno tuo da quel che sòle?
78
o ver la mente dove altrove mira?
Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
81
le tre disposizion che ’l ciel non vole,
incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
84
men Dio offende e men biasimo accatta?
Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
87
che sù di fuor sostegnon penitenza,
tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
90
la divina vendetta li martelli.”
“O sol che sani ogne vista turbata, →
tu mi contenti sì quando tu solvi,
93
che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.
Ancora in dietro un poco ti rivolvi,”
diss’ io, “là dove di’ ch’usura offende
96
la divina bontade, e ’l groppo solvi.”
“Filosofia,” mi disse, “a chi la ’ntende, →
nota, non pure in una sola parte,
99
come natura lo suo corso prende
dal divino ’ntelletto e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
102
tu troverai, non dopo molte carte,
che l’arte vostra quella, quanto pote,
segue, come ’l maestro fa ’l discente;
105
sì che vostr’ arte a Dio quasi è nepote.
Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
108
prender sua vita e avanzar la gente;
e perché l’usuriere altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
111
dispregia, poi ch’in altro pon la spene.
Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace; →
ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace,
115
e ’l balzo via là oltra si dismonta.”
INFERNO XII
Era lo loco ov’ a scender la riva
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,
3
tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.
Qual è quella ruina che nel fianco →
di qua da Trento l’Adice percosse,
6
o per tremoto o per sostegno manco,
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
9
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:
cotal di quel burrato era la scesa;
e ’n su la punta de la rotta lacca
12
l’infamïa di Creti era distesa →
che fu concetta ne la falsa vacca;
e quando vide noi, sé stesso morse,
15
sì come quei cui l’ira dentro fiacca.
Lo savio mio inver’ lui gridò: “Forse →
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
18
che sù nel mondo la morte ti porse?
Pàrtiti, bestia, ché questi non vene
ammaestrato da la tua sorella,
21
ma vassi per veder le vostre pene.”
Qual è quel toro che si slaccia in quella →
c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,
24
che gir non sa, ma qua e là saltella,
vid’ io lo Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: “Corri al varco;
27
mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale.”
Così prendemmo via giù per lo scarco →
di quelle pietre, che spesso moviensi
30
sotto i miei piedi per lo novo carco.
Io gia pensando; e quei disse: “Tu pensi
forse a questa ruina, ch’è guardata →
33
da quell’ ira bestial ch’i’ ora spensi. →
Or vo’ che sappi che l’altra fïata →
ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno,
36
questa roccia non era ancor cascata.
Ma certo poco pria, se ben discerno,
che venisse colui che la gran preda
39
levò a Dite del cerchio superno, →
da tutte parti l’alta valle feda →
tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
42
sentisse amor, per lo qual è chi creda
più volte il mondo in caòsso converso;
e in quel punto questa vecchia roccia,
45
qui e altrove, tal fece riverso.
Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
la riviera del sangue in la qual bolle
48
qual che per vïolenza in altrui noccia.” →
Oh cieca cupidigia e ira folle, →
che sì ci sproni ne la vita corta,
51
e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!
Io vidi un’ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto ’l piano abbraccia,
54
secondo ch’avea detto la mia scorta;
e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette, →
57
come solien nel mondo andare a caccia.
Veggendoci calar, ciascun ristette, →
e de la schiera tre si dipartiro
60
con archi e asticciuole prima elette;
e l’un gridò da lungi: “A qual martiro
venite voi che scendete la costa?
63
Ditel costinci; se non, l’arco tiro.”
Lo mio maestro disse: “La risposta →
farem noi a Chirón costà di presso:
66
mal fu la voglia tua sempre sì tosta.”
Poi mi tentò, e disse: “Quelli è Nesso, →
che morì per la bella Deianira,
69
e fé di sé la vendetta elli stesso.
E quel di mezzo, ch’al petto si mira, →
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
72
quell’ altro è Folo, che fu sì pien d’ira. →
Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
75
del sangue più che sua colpa sortille.” →
Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle: →
Chirón prese uno strale, e con la cocca
78
fece la barba in dietro a le mascelle.
Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
disse a’ compagni: “Siete voi accorti
81
che quel di retro move ciò ch’el tocca?
Così non soglion far li piè d’i morti.”
E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto,
84
dove le due nature son consorti,
rispuose: “Ben è vivo, e sì soletto
mostrar li mi convien la valle buia;
87
necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.
Tal si partì da cantare alleluia →
che mi commise quest’ officio novo:
90
non è ladron, né io anima fuia.
Ma per quella virtù per cu’ io movo
li passi miei per sì selvaggia strada,
93
danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo, →
e che ne mostri là dove si guada,
e che porti costui in su la groppa,
96
ché non è spirto che per l’aere vada.”
Chirón si volse in su la destra poppa, →
e disse a Nesso: “Torna, e sì li guida,
99
e fa cansar s’altra schiera v’intoppa.”
Or ci movemmo con la scorta fida
lungo la proda del bollor vermiglio,
102
dove i bolliti facieno alte strida.
Io vidi gente sotto infino al ciglio;
e ’l gran centauro disse: “E’ son tiranni →
105
che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.
Quivi si piangon li spietati danni; →
quivi è Alessandro, e Dïonisio fero
108
che fé Cicilia aver dolorosi anni.
E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo,
111
è Opizzo da Esti, il qual per vero
fu spento dal figliastro sù nel mondo.”
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
114
“Questi ti sia or primo, e io secondo.” →
Poco più oltre il centauro s’affisse
sovr’ una gente che ’nfino a la gola →
117
parea che di quel bulicame uscisse.
Mostrocci un’ombra da l’un canto sola,
dicendo: “Colui fesse in grembo a Dio
120
lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola.”
Poi vidi gente che di fuor del rio →
tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
123
e di costoro assai riconobb’ io.
Così a più a più si facea basso →
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
126
e quindi fu del fosso il nostro passo. →
“Sì come tu da questa parte vedi →
lo bulicame che sempre si scema,”
129
disse ’l centauro, “voglio che tu credi
che da quest’ altra a più a più giù prema
lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge
132
ove la tirannia convien che gema.
La divina giustizia di qua punge →
quell’ Attila che fu flagello in terra,
135
e Pirro e Sesto; e in etterno munge
le lagrime, che col bollor diserra, →
a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
che fecero a le strade tanta guerra.”
139
Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo. →
INFERNO XIII
Non era ancor di là Nesso arrivato, →
quando noi ci mettemmo per un bosco
3
che da neun sentiero era segnato.
Non fronda verde, ma di color fosco; →
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
6
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.
Non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
9
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, →
che cacciar de le Strofade i Troiani
12
con tristo annunzio di futuro danno.
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
15
fanno lamenti in su li alberi strani.
E ’l buon maestro “Prima che più entre,
sappi che se’ nel secondo girone,”
18
mi cominciò a dire, “e sarai mentre
che tu verrai ne l’orribil sabbione.
Però riguarda ben; sì vederai →
21
cose che torrien fede al mio sermone.”
Io sentia d’ogne parte trarre guai
e non vedea persona che ’l facesse;
24
per ch’io tutto smarrito m’arrestai. →
Cred’ ïo ch’ei credette ch’io credesse →
che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
27
da gente che per noi si nascondesse.
Però disse ’l maestro: “Se tu tronchi
qualche fraschetta d’una d’este piante,
30
li pensier c’hai si faran tutti monchi.”
Allor porsi la mano un poco avante →
e colsi un ramicel da un gran pruno;
33
e ’l tronco suo gridò: “Perc
hé mi schiante?”
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: “Perché mi scerpi?
36
non hai tu spirto di pietade alcuno?
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb’ esser la tua man più pia,
39
se state fossimo anime di serpi.”
Come d’un stizzo verde ch’arso sia →
da l’un de’ capi, che da l’altro geme
42
e cigola per vento che va via,
sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond’ io lasciai la cima
45
cadere, e stetti come l’uom che teme.
“S’elli avesse potuto creder prima,” →
rispuose ’l savio mio, “anima lesa,
48
ciò c’ha veduto pur con la mia rima,
non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
51
indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa.
Ma dilli chi tu fosti, si che ’n vece →
d’alcun’ ammenda tua fama rinfreschi
54
nel mondo sù, dove tornar li lece.”
E ’l tronco: “Si col dolce dir m’adeschi, →
ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
57
perch’ ïo un poco a ragionar m’inveschi.
Io son colui che tenni ambo le chiavi →
del cor di Federigo, e che le volsi,
60
serrando e diserrando, sì soavi,
che dal secreto suo quasi ogn’ uom tolsi;
fede portai al glorïoso offizio,
63
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.