Sussurri

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Sussurri Page 41

by Dean Koontz


  "Ma non sarò io a morire," esclamò a voce alta conti­nuando a fissare la casa. "Mi hai sentito, puttana? Ti in­chioderò per primo. Ti troverò prima che tu possa scovare me. E ti taglierò quella fottuta testa."

  Poco prima delle cinque, le ragazze caricarono l'attrez­zatura nel retro del furgoncino. Chiusero a chiave la porta d'ingresso e si allontanarono.

  Bruno le seguì.

  Era l'unica traccia che potesse condurlo a Hilary Tho­mas. Era stata quella puttana a farle venire e sicuramente loro sapevano dove si trovava. Se fosse riuscito a far parlare una di quelle ragazze, avrebbe scoperto dove si nascondeva Katherine.

  L'impresa di pulizie aveva la propria sede in un edificio di un solo piano in una sudicia stradina laterale nella zona di Pico. Frye seguì il furgoncino che andò a parcheggiare sul retro della costruzione, accanto ad altri otto veicoli si­mili con la medesima scritta in caratteri blu e dorati.

  Frye passò davanti alla schiera di furgoncini bianchi, giunse al primo incrocio, svoltò intorno alla rotonda e ri­tornò da dove era venuto. Arrivò giusto in tempo per ve­dere le tre ragazze che entravano nell'edificio. Nessuna sembrava essersi accorta di lui o del fatto che il Dodge era lo stesso posteggiato per tutta la giornata nei pressi della casa della Thomas. Si fermò accanto al marciapiede, sotto le fronde di un'enorme palma, e attese che una delle tre ra­gazze uscisse di nuovo.

  Nel giro di dieci minuti, notò molte donne con il grem­biule bianco che andavano e venivano, ma fra queste non riconobbe le tre che si erano occupate della casa di Hilary Thomas. Finalmente vide uscire una ragazza dal viso fami­liare che si diresse verso una Datsun gialla. Era giovane, sulla ventina, con i capelli lunghi e scuri che le arrivavano fino alla vita. Camminava con le spalle alte, la testa diritta e l'andatura sciolta e vigorosa. Il vento le incollava il grem­biule ai fianchi e faceva svolazzare l'orlo all'altezza delle ginocchia. Salì sulla Datsun, uscì dal parcheggio e svoltò a sinistra.

  Frye ebbe un attimo di esitazione e si chiese se non fosse il caso di aspettare una delle altre due. Ma qualcosa gli di­ceva che era la persona giusta. Mise in moto il Dodge e si allontanò dal marciapiede. Per non farsi riconoscere, cercò di lasciare qualche macchina fra il furgone e la Datsun gialla. La pedinò in modo estremamente discreto e la ra­gazza non si accorse di essere seguita.

  Abitava a Culver City, a pochi isolati dagli studi cinema­tografici della MGM. Viveva in una vecchia e graziosa ca­setta in una strada piena di villette tutte uguali fra loro. Al­cune avevano un aspetto un po' squallido e triste e avreb­bero avuto bisogno di qualche ritocco, ma la maggior parte era ben conservata: casette linde e riverniciate di fresco, con le persiane in colore contrastante, minuscole verande ben curate, qualche vetrata colorata, graziosi lampioncini e aiuole fiorite. Non era propriamente un quartiere facol­toso, ma si respirava un'atmosfera di gente determinata.

  La casa della ragazza era immersa nell'oscurità. Lei andò all'interno e accese le luci.

  Bruno posteggiò il Dodge dall'altra parte della strada. Spense i fanali e il motore e abbassò il finestrino. Il quar­tiere era tranquillo e sprofondato nel silenzio. Gli unici ru­mori provenivano dagli alberi scossi dall'insistente vento autunnale, dalle macchine di passaggio e da un giradischi o una radio lontana che trasmetteva musica swing. Era un pezzo di Benny Goodman, ma Bruno non riusciva a ricor­dare il titolo; la melodia di ottoni gli giungeva frammenta­riamente, secondo i capricci del vento. Rimase seduto die­tro il volante con le orecchie tese e gli occhi vigili.

  Alle 18.40, Frye decise che la ragazza non era sposata e non viveva neppure con un fidanzato. Se avesse diviso la casa con un uomo, questi avrebbe già dovuto essere di ri­torno dal lavoro.

  Frye le concesse altri cinque minuti.

  La musica di Benny Goodman si interruppe.

  Per il resto, tutto era rimasto uguale.

  Alle 18.45 scese dal Dodge e attraversò la strada dirigen­dosi verso la casa.

  Bruno notò che la villetta era decisamente troppo attac­cata a quella dei vicini, ma perlomeno la linea di divisione era ricoperta da alberi fronzuti e cespugli rigogliosi che contribuivano a isolare il portico della ragazza da occhi in­discreti. Ma anche così avrebbe dovuto agire rapidamente, introducendosi nella casa senza fare confusione e non la­sciandole il tempo di gridare.

  Salì i due gradini della veranda. Le assi scricchiolarono. Suonò il campanello.

  La ragazza rispose con voce incerta. "Sì?"

  Alla porta era stata applicata una catena di sicurezza. Era più robusta della maggior parte delle catene, ma non era certo efficace come probabilmente pensava la ragazza. Un uomo molto più debole di Bruno Frye avrebbe potuto spezzarla con un paio di colpi ben assestati. Bruno non do­vette fare altro che appoggiarsi con la spalla contro la porta, proprio mentre lei sorrideva e mormorava: "Sì?"

  La porta esplose, con le schegge che volavano verso l'in­terno e pezzi di catenella che ricadevano sul pavimento con un rumore metallico.

  Bruno spiccò un salto in avanti e si chiuse l'uscio alle spalle. Era sicuro che nessuno l'avesse visto entrare.

  La ragazza era distesa sul pavimento. Il colpo l'aveva fatta cadere. Indossava ancora il grembiule bianco e la gonna era alzata sulle cosce. Aveva due splendide gambe.

  Bruno si inginocchiò accanto a lei.

  Era sbalordita. Aprì gli occhi e cercò di alzare lo sguardo verso di lui, ma sembrava facesse fatica a metterlo a fuoco.

  Le puntò il coltello alla gola. "Se gridi," la minacciò, "ti apro in due. Hai capito?"

  Dai suoi grandi occhi scuri svanì lo smarrimento per la­sciar posto alla paura. Iniziò a tremare. Le si riempirono gli occhi di lacrime scintillanti.

  Con aria impaziente, Bruno le sfiorò la gola con la lama e apparve una minuscola goccia di sangue.

  La ragazza si ritrasse.

  "Non gridare," ripetè. "Mi hai sentito?"

  Con un enorme sforzo, lei riuscì a sussurrare: "Sì."

  "Farai la brava?"

  "Ti prego. Ti prego, non farmi del male."

  "Non voglio farti del male," rispose Frye. "Se sarai buona, se sarai carina e se collaborerai con me, non dovrò farti del male. Ma se ti metterai a urlare o cercherai di fug­gire, sarò costretto a farti a pezzi. Mi sono spiegato?"

  Con voce flebile, lei mormorò: "Sì."

  "Sarai carina?"

  "Sì."

  "Vivi qui da sola?"

  "Sì."

  "Non sei sposata?"

  "No."

  "Hai un ragazzo?"

  "Non abita qui."

  "Lo aspetti questa sera?"

  "No."

  "Mi stai mentendo?"

  "E la verità. Lo giuro."

  Era terribilmente pallida nonostante la carnagione piut­tosto scura.

  "Se scopro che mi stai mentendo," la minacciò, "ti ri­durrò quel bel visino a strisce."

  Alzò il coltello e glielo appoggiò sulla guancia.

  La ragazza chiuse gli occhi e rabbrividì.

  "Aspetti qualcuno?"

  "No."

  "Come ti chiami?"

  "Sally."

  "Va bene, Sally, voglio farti alcune domande, ma non qui, non in questo modo."

  Lei aprì gli occhi. Erano pieni di lacrime. Una le rotolò lungo il viso. Inghiottì la saliva. "Che cosa vuoi?"

  "Vorrei farti qualche domanda su Katherine."

  Lei aggrottò le sopracciglia. "Non conosco alcuna Ka­therine."

  "La conosci come Hilary Thomas."

  "La donna che abita a Westwood?"

  "Hai pulito casa sua oggi."

  "Ma... io non la conosco. Non l'ho mai vista."

  "Ne parleremo più tardi."

  "È la verità. Non so niente di lei."

  "Forse sai più di quanto immagini."

  "No. Davvero."

  "Coraggio," disse, sforzandosi di sorridere e di parlare con voce amichevole. "Andiamo in camera dove possiamo chiacchierare meglio."

  La ragazza si mise a tremare ancora più forte. "Hai in­tenzione di violentarmi, non è vero?"

>   "No, no."

  "Invece sì."

  Frye riuscì a stento a controllare la collera. Non gli an­dava che quella ragazza discutesse con lui. Non gli andava che fosse così dannatamente riluttante ad alzarsi. Avrebbe voluto affondarle il coltello nella pancia e strapparle le in­formazioni, ma, naturalmente, non era possibile. Voleva sapere dove si nascondeva Hilary Thomas. Il modo migliore per carpirle qualcosa era quello di spezzarla come un filo di ferro: sarebbe bastato piegarlo e ripiegarlo più volte e alla fine avrebbe ceduto, con una minaccia accompagnata da una lusinga e un gesto violento da una parola di conforto. Non prese neppure in considerazione il fatto che forse la ragazza gli avrebbe rivelato spontaneamente tutto quello che voleva sapere. Era convinto che fosse stata assunta da Hilary Thomas, quindi da Katherine, e di conseguenza che facesse parte del complotto che mirava a ucciderlo. Quella donna non era semplicemente una domestica innocente. Era una serva di Katherine, una cospiratrice, forse una morta vi­vente. Bruno era convinto che volesse mantenere il segreto e che avrebbe parlato solo se costretta.

  "Ti assicuro che non ho intenzione di violentarti," mor­morò in tono dolce. "Ma mentre ti rivolgo le domande, vo­glio che tu rimanga distesa sulla schiena, in modo da non poterti alzare e scappare. Mi sentirò meglio se sarai sdra­iata. E visto che dovrai restare così per un po', ho pensato che saresti stata più comoda su un soffice materasso piutto­sto che per terra. Lo faccio per te, Sally."

  "Io sto bene qui," ribattè lei nervosamente.

  "Non essere stupida," sbottò. "Oltretutto, se dovesse ar­rivare qualcuno a suonare il campanello... potrebbero sen­tirci e capire che c'è qualcosa che non va. In camera sa­remo più tranquilli. Coraggio adesso. Forza. In piedi."

  La ragazza si alzò.

  Lui le puntò il coltello alla schiena.

  Si diressero verso la camera.

  Hilary non era una grande bevitrice, ma fu felice di avere un bicchiere di whisky fra le mani mentre, seduta sul di­vano nell'ufficio di Joshua Rhinehart, ascoltava le parole dell'avvocato. Joshua raccontò a lei e Tony del denaro scomparso a San Francisco, del sosia che aveva lasciato quella strana lettera nella cassetta di sicurezza e del suo di­lemma relativo all'identità del defunto seppellito nella tomba di Bruno Frye.

  "Ha intenzione di riesumare la salma?" chiese Tony.

  "Non ancora," rispose Joshua. "Prima devo chiarire un paio di cose. Se riesco a ottenere determinate risposte, forse non sarà necessario aprire la tomba."

  Riferì loro di Rita Yancy a Hollister, del dottor Nicholas Rudge a San Francisco e della conversazione avuta con Latham Hawthorne.

  Nonostante la stanza riscaldata e il whisky, Hilary si sentì raggelare. "Questo Hawthorne mi sembra appena uscito da un manicomio."

  Joshua sospirò. "Se dovessimo mettere tutti i matti in manicomio, non vedremmo più nessuno in giro."

  Tony si sporse in avanti. "Crede davvero che Hawthorne non sapesse nulla del sosia?"

  "Sì," disse Joshua. "È abbastanza curioso, ma gli credo. Può darsi sia un po' pazzo con il suo satanismo, forse non ha un'etica morale ineccepibile e potrebbe persino rivelarsi pericoloso, ma non credo abbia mentito. Per quanto possa sembrare strano, lo reputo un uomo sincero sotto molti aspetti e non penso che sappia altro. Forse il dottor Rudge o Rita Yancy ci saranno più utili. Ma ora basta. Tocca a voi raccontare. Che cos'è successo? Che cosa vi ha portato a St. Helena?"

  Hilary e Tony gli riferirono a turno gli avvenimenti degli ultimi giorni.

  Quando ebbero finito, Joshua fissò Hilary per un attimo, poi scosse la testa ed esclamò: "Certo che ne ha di corag­gio, ragazza mia."

  "Si figuri," ribattè lei. "Sono una vigliacca. Sono spaven­tata a morte. Sono giorni che muoio di paura."

  "Avere paura non significa essere vigliacchi," spiegò Jo­shua. "Il coraggio è basato sulla paura. Sia il vigliacco sia l'eroe agiscono in preda al terrore e alla necessità. L'unica differenza fra loro è che il vigliacco soccombe alle proprie paure mentre l'individuo coraggioso riesce a trionfare. Se fosse una vigliacca, sarebbe scappata in Europa, alle Hawaii o in qualche altro posto per un bel mese di vacanza e avrebbe lasciato che il mistero di Frye venisse risolto con il tempo. Invece è venuta qui, nella città natale di Bruno, dove potrebbe correre ancora più pericoli che a Los Angeles. Non apprezzo molte cose nella vita, ma invidio la sua audacia."

  Hilary era arrossita. Lanciò un'occhiata a Tony e poi fissò il bicchiere di whisky. "Se fossi coraggiosa," disse, "sa­rei rimasta in città e gli avrei teso una trappola usando me stessa come esca. Qui non sono in pericolo. Dopotutto, lui mi sta cercando a Los Angeles e non ha modo di scoprire dove sono finita."

  La camera.

  Dal letto, Sally lo osservò con gli occhi pieni di paura.

  L'uomo passeggiò per la stanza, curiosando nei cassetti. Poi ritornò da lei.

  Il collo della ragazza era morbido e sottile. Il sangue era colato fino alla clavlcola sulla pelle levigata.

  Vide che lui stava guardando il sangue e allungò una mano, sfiorandosi il collo e fissando le dita sporche.

  "Non preoccuparti," la rassicurò. "È solo un graffio."

  La stanza di Sally era posta sul retro della casa ed era di­pinta interamente nei toni caldi della terra. Tre pareti erano beige mentre la quarta era rivestita di tappezzeria. Il tappeto era marrone scuro. Il copriletto e le tende erano in una fantasia astratta color caffelatte. Tutti colori naturali e rilassanti che calmavano lo spirito. I mobili in mogano lu­cido scintillavano sotto la luce morbida e ambrata prove­niente dalle due lampade di rame appoggiate sui comodini.

  Sally era distesa sul letto, con le gambe tese, le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi. Indossava ancora il grem­biule bianco leggermente alzato a scoprirle le ginocchia. I lunghi capelli scuri erano sparsi sul cuscino come un venta­glio. Era piuttosto carina.

  Bruno si sedette sul bordo del letto accanto a lei. "Dov'è Katherine?"

  Lei battè le palpebre. Una lacrima le scivolò dall'angolo dell'occhio. Stava piangendo, ma in assoluto silenzio, nel timore che un gemito o un sussulto spingesse quell'uomo a pugnalarla.

  Lui ripetè la domanda: "Dov'è Katherine?"

  "Te l'ho già detto, non conosco nessuno di nome Katherine," rispose. Parlava a scatti, con voce tremante; ogni pa­rola le costava un'enorme fatica. Le morbide labbra sen­suali continuavano a fremere.

  "Sai a chi mi riferisco," l'aggredì brutalmente. "Non cer­care di fare la furba con me. Ora si fa chiamare Hilary Thomas."

  "Ti prego. Ti prego... lasciami andare."

  Frye alzò il coltello all'altezza dell'occhio destro, con la punta diritta verso la pupilla dilatata. "Dov'è Hilary Thomas?"

  "Oh Gesù," gemette. "Senti, c'è qualcosa che non qua­dra. È un errore. Stai compiendo un madornale errore."

  "Vuoi rimetterci un occhio?"

  Sally aveva la fronte imperlata di sudore.

  "Vuoi diventare mezza cieca?" insistè.

  "Non so dove sia," mormorò Sally.

  "Non mentirmi."

  "Non sto mentendo. Ti giuro di no."

  La fissò per alcuni secondi.

  Goccioline di sudore si erano raccolte sopra le labbra.

  Allontanò il coltello dagli occhi.

  Lei ne fu visibilmente sollevata.

  La sberla la colse di sorpresa. La colpì con tale forza sul viso da farle schioccare i denti e roteare gli occhi all'indietro.

  "Puttana."

  Le lacrime scendevano copiose. Sally gemeva sottovoce tentando di ritrarsi da lui.

  "Tu sai dove si trova," insistè. "È stata lei a chiamarti."

  "Lavoriamo per lei regolarmente. Si è limitata a chia­marci e ha chiesto una pulizia straordinaria. Ma non ha detto dov'era."

  "Era a casa quando siete arrivate?"

  "No."

  "C'era qualcuno in casa?"

  "No."

  "E allora come avete fatto a entrare?"

  "Come?"

  "Chi vi ha dato le chiavi?"

  "Oh. Oh sì," disse, felice di avere forse trovato una via di sca
mpo. "Il suo agente. Ci siamo dovute fermare nel suo ufficio per prendere le chiavi."

  "Dov'è?"

  "A Beverly Hills. Forse sarebbe meglio parlare con il suo agente. E da lui che dovresti andare. Sicuramente sa come rintracciarla."

  "Come si chiama?"

  Esitò un attimo. "Un nome buffo. L'ho scritto da qual­che parte... ma non sono sicura di ricordarlo con preci­sione..."

  Lui riavvicinò il coltello all'occhio.

  "Topelis," rispose.

  "Dimmi come si scrive."

  Lei obbedì. "Non so dove sia Miss Thomas. Ma Mr To­pelis lo saprà di sicuro. Ne sono certa."

  Lui allontanò il coltello dall'occhio.

  Sally abbandonò per un attimo la posizione rigida.

  Lui la fissò. Nella mente gli balenò un'idea confusa che si trasformò lentamente in una terribile certezza.

  "I tuoi capelli," disse. "Hai i capelli scuri. E gli occhi. Sono così neri."

  "Che cosa c'è di male?" chiese lei in tono preoccupato, rendendosi conto di non essere ancora al sicuro.

  "Hai gli stessi capelli, gli stessi occhi e la stessa carna­gione," spiegò Frye.

  "Non capisco, non so che cosa stia succedendo. Mi fai paura."

  "Pensavi di poterti prendere gioco di me, vero?" Le fece una smorfia, felice di non essersi fatto ingannare dalla sua astuzia.

  Lui sapeva. Sapeva.

  "Pensavi che sarei andato da questo Topelis," proseguì Bruno. "Così tu avresti avuto modo di fuggire."

  "Topelis sa dove si trova. Lui sì, ma io no. Io non so dav­vero nulla."

  "Ora anche io so dove si trova," ringhiò Bruno.

  "Allora puoi anche lasciarmi andare."

  Scoppiò a ridere. "Hai cambiato corpo, vero?"

  Lo fissò incredula. "Che cosa?"

  "In qualche modo sei uscita dal corpo della Thomas e ti sei impossessata di questa ragazza, giusto?"

  Sally smise di piangere. Il terrore si era impadronito di lei prosciugando le lacrime.

  La puttana.

  Quella lurida puttana.

  "Pensavi davvero di prenderti gioco di me?" chiese Frye. Scoppiò di nuovo a ridere, sollevato. "Dopo tutto quello che mi hai fatto, come potevi pensare che non ti ricono­scessi?"

 

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