Sussurri

Home > Thriller > Sussurri > Page 45
Sussurri Page 45

by Dean Koontz


  "E proprio quello che le sto domandando," confermò Tony.

  "No," rispose Joshua. "Non era incinta."

  "Ne è sicuro?"

  "Be'," proseguì Joshua. "Non le ho fatto personalmente l'analisi delle urine. Nel 1940 non abitavo ancora nella valle. Mi sono trasferito qui nel 1945, dopo la guerra. Ma ho sentito raccontare diverse volte la sua storia, a volte solo in parte, altre volte interamente, da persone che nel 1940 erano qui. Mi dirà che probabilmente si limitavano a ripetere quello che lei aveva raccontato loro. Ma se fosse stata incinta non avrebbe potuto tenerlo nascosto. Non in un centro piccolo come St. Helena. L'avrebbero saputo tutti."

  "Una piccola percentuale di donne non ingrassa quando aspetta un bambino," commentò Hilary, "e il loro stato non è tanto evidente."

  "Dimenticate che a Katherine non interessavano gli uo­mini," replicò Joshua. "Non usciva mai con nessuno. Come poteva rimanere incinta?"

  "Forse non usciva con quelli del posto," disse Tony. "Ma durante la vendemmia, verso la fine dell'estate, non ci sono i contadini che vengono per lavorare nelle vigne? E molti di loro non sono forse giovani, belli e virili?"

  "Aspetti un attimo," lo interruppe Joshua. "Non riesco a seguirla. Sta cercando di dirmi che Katherine, il cui disinte­resse nei confronti degli uomini era risaputo, si è improvvi­samente innamorata di un contadino?"

  "Sono cose che succedono."

  "Ma allora sta anche insinuando che questa improbabile coppia di amanti ha portato avanti una storia in un posto minuscolo senza farsi mai sorprendere e senza dare adito a pettegolezzi. E oltretutto mi sta dicendo che Katherine era una di quelle rare donne che non sembrano incinte quando lo sono. No." Joshua scosse la testa. "Per me è troppo. Troppe coincidenze. Lei pensa che la storia di Katherine sia troppo perfetta, ma, dopo le sue incredibili supposi­zioni, direi che ha l'inconfondibile sapore della verità."

  "Ha ragione," sospirò Hilary. "E così un'altra teoria pro­mettente finisce nel nulla." Sorseggiò l'ultimo goccio di vino.

  Tony si grattò il mento e trasse un profondo respiro. "Già. Temo di essere troppo stanco per ragionare in modo lucido. Ma comunque resto dell'idea che nella storia di Katherine c'è qualcosa che non quadra. Qualcosa che lei ha tenuto nascosto. Qualcosa di strano."

  Nella cucina di Sally, in piedi sui piatti rotti, Bruno Frye aprì l'elenco telefonico alla ricerca del numero della Topelis & Associates. Gli uffici si trovavano a Beverly Hills. Compose il numero e gli rispose il centralino, esattamente come si aspettava.

  "Si tratta di un'emergenza," spiegò all'impiegata, "e ho pensato che forse lei potrebbe aiutarmi."

  "Un'emergenza?" domandò la donna.

  "Sì. Vede, mia sorella è cliente di Mr Topelis. È appena deceduto un nostro parente e io devo avvertirla immediata­mente."

  "Oh, mi spiace."

  "Il problema è che mia sorella è partita per una breve vacanza e io non so dove rintracciarla."

  "Capisco."

  "Devo mettermi urgentemente in contatto con lei."

  "Be', normalmente avrei passato il suo messaggio diret­tamente a Mr Topelis. Ma oggi è fuori e non ha lasciato un numero presso il quale rintracciarlo."

  "Non vorrei comunque disturbarlo," continuò Bruno. "Ho pensato che con tutte le telefonate che prende per lui, forse anche lei sa dove si trova mia sorella. Forse ha chia­mato lasciando un messaggio a Mr Topelis, dicendogli dove andava."

  "Come si chiama sua sorella?"

  "Hilary Thomas."

  "Oh, sì. So dov'è."

  "Magnifico. Dove?"

  "Non ha telefonato lei personalmente, ma hanno la­sciato un messaggio per lei tramite Mr Topelis. Resti in li­nea mentre controllo. Va bene?"

  "Certo."

  "L'ho scritto da qualche parte."

  Bruno aspettò pazientemente mentre lei cercava fra i suoi appunti.

  "Eccolo qua. Ha chiamato un certo Mr Wyant Stevens. Voleva che Mr Topelis riferisse a Miss Thomas che lui, Mr Stevens, era pronto a occuparsi dei dipinti. Mr Stevens vo­leva che lei sapesse che non riuscirà a chiudere occhio fino a quando non sarà rientrata da St. Helena e gli darà la possibilità di concludere l'affare. Per cui immagino che sua so­rella sia a St. Helena."

  Bruno era sbalordito.

  Non riusciva ad aprire bocca.

  "Non so in quale hotel o motel," si scusò la centralinista. "Ma in tutta Napa Valley non ci sono molti alberghi, per­ciò non dovrebbe essere difficile trovarla."

  "Nessun problema," rispose Bruno confuso.

  "Conosce qualcuno a St. Helena?"

  "Eh?"

  "Forse è ospite di amici," suggerì la donna.

  "Già," affermò Bruno. "Penso di sapere dove si trova."

  "Mi spiace veramente per quel suo parente."

  "Come?"

  "Il parente che è morto."

  "Oh, esclamò Bruno. Si inumidì nervosamente le lab­bra. "Sì. Negli ultimi cinque anni abbiamo perso molti dei nostri cari. La ringrazio per il suo aiuto."

  "Si figuri."

  Frye riagganciò.

  Lei era a St. Helena.

  Quella puttana era tornata.

  Perché? Mio Dio, che cosa stava combinando? Che co­s'aveva in mente? Che cosa stava escogitando?

  Qualsiasi cosa stesse tramando, era sicuramente contro di lui. Ne era certo.

  Cominciò a tempestare di telefonate le compagnie aeree per prenotare un posto su un volo diretto a nord: temeva che lei stesse preparando una trappola per farlo fuori. Non c'erano voli fino al mattino successivo e i primi a decollare erano già tutti al completo. Non sarebbe riuscito ad andarsene da Los Angeles fino al pomeriggio successivo.

  Sarebbe stato troppo tardi.

  Lo sapeva. Aveva quel presentimento.

  Doveva agire in fretta.

  Decise di prendere il furgoncino. Non era molto tardi e se avesse guidato tutta notte, pigiando sull'acceleratore, sa­rebbe arrivato a St. Helena all'alba.

  Sentiva che la sua vita era legata a un filo.

  Si precipitò fuori della villetta inciampando nei resti dei mobili e spalancò la porta senza controllare se c'era qual­cuno nei dintorni. Corse sul prato, nella strada buia e de­serta, verso il furgone.

  Dopo il caffè e il brandy, Joshua mostrò a Tony e Hilary la camera degli ospiti e il bagno che si trovavano sul retro della casa. La stanza era spaziosa e accogliente, con finestre luminose come quelle del soggiorno. Hilary rimase visibil­mente sorpresa di fronte al letto a baldacchino.

  Dopo aver augurato la buonanotte a Joshua, chiusero la porta della stanza e tirarono la tenda della finestra per nascondersi dagli occhi indiscreti della notte. Decisero di fare una doccia insieme per rilassare i muscoli indolenziti. Erano stanchi e volevano solo ritrovare quel piacere dolce e innocente di un bagno caldo che avevano condiviso la notte precedente nell'albergo dell'aeroporto di Los Ange­les. Nessuno di loro si aspettava che la passione prendesse il sopravvento. Ma mentre lui le insaponava il seno, i movi­menti delicati e ritmici delle sue mani le provocarono bri­vidi di piacere. Tony le accarezzò il seno, lo soppesò nelle mani e i capezzoli di Hilary s'inturgidirono facendo capo­lino dalla schiuma profumata che li nascondeva. Tony si mise in ginocchio passandole dolcemente il sapone sul ven­tre, sulle gambe lunghe e affusolate e sui glutei. Per Hilary il mondo si ridusse a una sfera di sospiri, di suoni e di me­ravigliose sensazioni: il profumo di lillà, il gorgoglio dell'acqua, il calore del vapore, il corpo di Tony flessuoso e scattante, scintillante sotto le gocce d'acqua, la sua virilità che si manifestava meravigliosa mentre lei cominciava ad accarezzarlo. Quando finirono la doccia, avevano ormai di­menticato la stanchezza e i muscoli doloranti: rimaneva solo il desiderio.

  Sul letto a baldacchino, illuminato da un'unica luce sof­fusa, Tony ricoprì di baci quel corpo meraviglioso. Posò le labbra ardenti sul mento, sul collo e sul seno di Hilary.

  "Ti prego," sussurrò lei. "Adesso."

  "Sì," mormorò Tony contro la sua pelle.

  Hilary lo invitò verso di lei e Tony la penetrò.

  "Hilary," sussurrò.
"Mia dolcissima Hilary."

  Si mosse dentro di lei con forza mista a tenerezza.

  Hilary oscillò in sintonia con lui. Le sue mani gli acca­rezzavano la schiena, seguendo il disegno dei muscoli. Non si era mai sentita così viva, galvanizzata. Dopo solo un mi­nuto, cominciò a godere, e si augurò che quella meravi­gliosa sensazione non avesse mai fine; avrebbe voluto con­tinuare in eterno e rimanere all'apice dell'estasi per sem­pre.

  Mentre Tony si muoveva dentro di lei, divennero un corpo e un'anima sola. Era una sensazione che Hilary non aveva mai provato con nessun altro uomo. E sapeva che anche Tony avvertiva quel legame profondo e unico. Erano uniti a livello fisico, emotivo, intellettuale e psi­chico, fusi in un'unica entità superiore alla somma delle due metà che la componevano e in quel momento di com­pleta sinergia davvero eccezionale, Hilary capì che quello che condividevano era talmente speciale, importante, raro e meraviglioso da durare in eterno.

  Mormorando il suo nome, si sollevò versò di lui per ri­spondere alle sue spinte e mentre Tony raggiungeva l'estasi dentro di lei, Hilary si rese conto, come la prima volta che avevano fatto l'amore, che poteva davvero fidarsi di lui, poteva contare su di lui come non aveva mai potuto fare con nessun altro; ma soprattutto ebbe la certezza che non sarebbe mai più stata sola.

  Più tardi, sdraiati sotto le coperte, Tony le chiese: "Vuoi raccontarmi di quella cicatrice sul fianco?"

  "Sì, adesso posso dirtelo."

  "Sembra una ferita d'arma da fuoco."

  "Esatto. Avevo diciannove anni e abitavo a Chicago. Avevo finito la scuola da un anno. Lavoravo come datti­lografa cercando di risparmiare per andarmene a vive­re da sola, ma pagavo a Earl ed Emma l'affitto della mia stanza."

  "Earl ed Emma?"

  "I miei genitori."

  "Li chiamavi per nome?"

  "Non ho mai pensato a loro come a un padre e a una madre."

  "Devono averti fatto molto male," mormorò.

  "Non perdevano occasione."

  "Se non hai voglia di parlarne..."

  "No," affermò Hilary. "Per la prima volta in vita mia, voglio parlarne. Non mi fa male. Ora ci sei tu e mi ripaghi per tutto quello che ho sofferto in passato."

  "La mia famiglia era povera," spiegò Tony. "Ma ero cir­condato dall'amore."

  "Sei stato fortunato."

  "Mi dispiace, Hilary."

  "Ormai è finita. Sono morti molto tempo fa e avrei do­vuto superare le mie paure già da tempo."

  "Raccontami tutto."

  "Pagavo qualche dollaro la settimana per l'affitto e loro ne approfittavano per comperarsi altre bottiglie, ma met­tevo da parte il resto dello stipendio. Ogni singolo centesimo. Non era molto, ma depositavo tutto in banca. Saltavo perfino i pasti per risparmiare. Ero decisa a trovare un appartamento per me sola. Non mi importava di finire in un altro posto squallido, con le stanzette piccole e buie, il ba­gno rovinato e gli scarafaggi in giro, a condizione che non ci fossero Earl ed Emma."

  Tony le posò un bacio sulla guancia e sulla bocca.

  Hilary proseguì: "Finalmente riuscii a risparmiare a sufficienza. Ero pronta per andarmene. Ancora un giorno, l'ul­timo stipendio e poi sarei stata in pace."

  Rabbrividì.

  Tony la strinse a sé.

  "Quel giorno, quando tornai a casa dal lavoro, entrai in cucina e trovai Earl che teneva Emma contro il frigorifero. Aveva una pistola e gliela puntava contro la faccia."

  "Mio Dio."

  "Era in preda a un violento attacco di... Sai che cos'è il delirium tremens?"

  "Certo. Allucinazioni. Attacchi di paura folle. È una ma­lattia che colpisce gli alcolizzati cronici. Ho avuto a che fare spesso con persone in preda al delirium tremens. Pos­sono essere violente e imprevedibili."

  "Earl le teneva la pistola puntata in bocca e urlava cose assurde su dei vermi giganti che secondo lui stavano uscendo dalla parete. Accusava Emma di aver lasciato uscire i vermi e voleva che li fermasse. Ho cercato di par­largli ma non mi ascoltava. Poi i vermi cominciarono a stri­sciargli attorno ai piedi, lui si arrabbiò con Emma e pre­mette il grilletto."

  "Cristo."

  "Ho visto la sua faccia saltare in aria."

  "Hilary..."

  "Devo parlarne."

  "Va bene."

  "Sei la prima persona a cui lo racconto."

  "Ti ascolto."

  "Quando lui fece fuoco, scappai dalla cucina," continuò Hilary. "Sapevo che non ce l'avrei fatta a uscire dall'appar­tamento prima che mi sparasse alla schiena, così mi precipi­tai in camera. Chiusi la porta a chiave ma lui riuscì a far sal­tare la serratura. Ormai era convinto che i vermi uscissero dal muro per colpa mia. Mi sparò. La ferita non era grave, ma faceva un male d'inferno, era come se avessi un attizza­toio ardente contro il fianco e perdevo molto sangue."

  "Perché non ti ha sparato di nuovo? Come hai fatto a salvarti?"

  "L'ho accoltellato."

  "Accoltellato? E dove hai preso il coltello?"

  "Da quando avevo otto anni ne tenevo uno nella mia stanza. Non l'avevo mai usato. Ma avevo sempre pensato che se un giorno avessero esagerato con le loro percosse, mettendo in pericolo la mia vita, li avrei accoltellati per sal­varmi. Così pugnalai Earl nello stesso istante in cui lui pre­meva il grilletto. Non lo ferii gravemente, ma rimase sba­lordito e terrorizzato alla vista del suo stesso sangue. Cor­se fuori della stanza e ritornò in cucina. Cominciò a urla­re a Emma dicendole di cacciare i vermi prima che sentis­sero l'odore del suo sangue e lo inseguissero. Poi le scari­cò addosso la pistola perché lei non voleva mandare via i vermi. Io soffrivo terribilmente per la ferita al fianco ed ero terrorizzata, ma cercai ugualmente di contare il nu­mero degli spari. Quando pensai che avesse finito tutti i colpi, mi trascinai fuori della stanza cercando di raggiun­gere la porta d'ingresso. Ma lui aveva molte scatole di mu­nizioni. Aveva ricaricato la pistola. Mi vide e mi sparò dalla cucina. Mi rifugiai in camera mia. Appoggiai un cas­settone contro la porta e pregai che arrivasse qualcuno prima che morissi dissanguata. Earl continuava a urlare qualcosa a proposito dei vermi e dei granchi giganti sul davanzale della finestra e intanto scaricava la pistola sul corpo di Emma. Le ha sparato circa centocinquanta colpi prima di calmarsi. Era letteralmente maciullata e la cucina assomigliava a un macello."

  Tony si schiarì la voce. "Che cosa ne è stato di lui?"

  "Si è ucciso appena la squadra speciale è riuscita a en­trare in casa."

  "E tu?"

  "Ho trascorso una settimana in ospedale. Mi è rimasta una cicatrice come ricordo."

  Per un attimo rimasero in silenzio.

  Oltre le finestre chiuse il vento continuava a sibilare.

  "Non so che cosa dire," mormorò Tony.

  "Dimmi che mi ami."

  "Certo."

  "Dimmelo."

  "Ti amo."

  "Ti amo, Tony."

  La baciò.

  "Ti amo come non pensavo si potesse amare una per­sona," gli confidò Hilary. "In una settimana, mi hai cam­biata per sempre."

  "Sei incredibilmente forte."

  "Tu mi dai la forza di cui ho bisogno."

  "Ne avevi a sufficienza anche prima di incontrarmi."

  "Non abbastanza. Tu mi hai reso più forte. Fino a oggi, mi bastava ripensare a quella terribile giornata per farmi prendere dal panico, come se fosse successo ieri. Ma questa volta non ho avuto paura. Ti ho raccontato tutto e non mi ha fatto un grande effetto. E sai perché?"

  "Perché?"

  "Perché tutte le cose terribili accadute a Chicago, la spa­ratoria e tutto il resto, appartengono al passato. Ormai non mi preoccupano più. Ho trovato te e questo basta a ripa­garmi dei tempi più bui. Hai pareggiato i conti. Anzi, direi che ora la bilancia pende in mio favore."

  "Ha funzionato per tutt'e due, sai? Io ho bisogno di te proprio come tu hai bisogno di me."

  "Lo so. E per questo che è tutto così perfetto."

  Rimasero nuovamente in silenzio.

  Hilary proseguì: "E c'è un altro motivo per cui i ricordi di Chicago non mi sconvolgono più. Voglio dire, oltr
e al fatto che ormai ho te."

  "E sarebbe?"

  "Be', ha a che fare con Bruno Frye. Questa sera ho sco­perto che io e lui abbiamo molte cose in comune. Apparen­temente abbiamo dovuto sopportare le stesse torture: lui da Katherine e io da Earl ed Emma. Ma lui è crollato, io no. Quell'omone grande e grosso ha ceduto, mentre io ce l'ho fatta. Significa molto per me. Significa che non dovrei preoccuparmi tanto, che non dovrei aver paura di aprirmi alla gente è che dovrei imparare ad accettare quello che il mondo mi offre."

  "L'avevo detto. Sei dura e forte come l'acciaio."

  "Non sono dura. Prova. Ti sembro dura?"

  "Qui no."

  "E qui?"

  "Soda."

  "Soda è diverso da dura."

  "Hai un'ottima consistenza."

  "Questo non significa essere dura."

  "Carina, soda e calda."

  Hìlary lo strinse a sé.

  "Questo è duro," osservò con una smorfia. "' "E se è duro non deve tornare molle. Vuoi che ti faccia vedere?"

  "Sì. Sì. Fammi vedere."

  Fecero di nuovo l'amore.

  Mentre Tony si spingeva dentro di lei ed esplorava il suo corpo con carezze di fuoco, mentre il piacere cresceva come un'onda che si ingrossa prima di frangersi contro la riva, Hilary capì che sarebbe andato tutto bene. Quel gesto d'amore la rassicurò e la colmò di fiducia per l'avve­nire.

  Bruno Frye non era tornato dalla tomba. Non era inse­guita da un morto vivente. C'era una spiegazione logica. Avrebbero parlato con il dottor Rudge e Rita Yancy e avrebbero scoperto che cosa si nascondeva dietro il mistero del sosia di Frye. Avrebbero raccolto informazioni e prove sufficienti ad aiutare la polizia e il sosia sarebbe stato tro­vato e arrestato. Il pericolo sarebbe cessato. Lei sarebbe ri­masta per sempre con Tony e non le sarebbe mai più acca­duto nulla di brutto. Niente avrebbe potuto ferirla. Né Bruno Frye né nessun altro avrebbe potuto farle del male. Finalmente era felice e al sicuro.

  Più tardi, mentre stava per addormentarsi, un lampo squarciò il cielo, s'infilò fra le montagne e poi scivolò nella vallata, verso la casa.

  Uno strano pensiero le attraversò la mente: Il lampo è un avvertimento. E un presagio. Vuole dirmi di stare attenta e di non essere così maledettamente sicura di me stessa.

 

‹ Prev