by Dean Koontz
"Da un anno? Due anni?"
"No, no. Da molto più tempo."
"Cinque anni? Dieci?"
"Almeno trenta. Forse di più."
"Ha lo stesso incubo ogni notte da almeno treni'anni?"
"Esatto."
"Ma sicuramente non tutte le notti."
"Sì, senza tregua."
"Che cosa sogna?"
"Non lo so."
"Non si tiri indietro."
"Non mi tiro indietro."
"Lei vuole dirmelo."
"Sì."
"È per questo che è venuto qui. Quindi me lo dica."
"Vorrei farlo, ma non so davvero che cosa sogno."
"Come fa a sognare la stessa cosa per trent'anni di fila senza sapere di che cosa si tratta?"
"Mi sveglio urlando. So che è per via di un sogno. Ma non riesco mai a ricordarlo."
"E allora come fa a sapere che è sempre lo stesso sogno?"
"Lo so e basta."
"Non è sufficiente."
"Sufficiente per che cosa?"
"Sufficiente per convincermi che si tratta sempre dello stesso sogno. Se è così sicuro che l'incubo è ricorrente, deve avere qualche altra motivazione."
"Se glielo dicessi..."
"Sì?"
"Penserebbe che sono pazzo."
"Non uso mai la parola 'pazzo'."
"Ah no?"
"No."
"Be'... ogni volta che mi sveglio dopo un incubo, ho l'impressione che ci sia qualcosa che mi striscia addosso."
"Che cos'è?"
"Non lo so. Non riesco mai a ricordarlo. Ma è come se qualcosa cercasse di infilarsi nel naso e nella bocca. Qualcosa di disgustoso. Cerca di infilarsi dentro di me. Spinge agli angoli degli occhi, cercando di farmeli aprire. Sento che si muove sotto i vestiti. Anche nei capelli. È dappertutto. E striscia, si insinua..."
Nello studio di Nicholas Rudge, tutti avevano gli occhi fissi sul registratore.
La voce di Frye era sempre gracchiante, ma piena di autentico terrore.
A Hilary parve di scorgere il viso dell'uomo distorto dalla paura, con gli occhi spalancati, la pelle cadaverica e la fronte imperlata di sudore.
Il nastro proseguì:
"È una cosa sola che le striscia addosso?"
"Non lo so."
"O sono più cose?"
"Non lo so."
"Che aspetto ha?"
"E... orribile... disgustosa."
"Perché questa cosa vuole entrare dentro di lei?"
"Non lo so."
"E prova sempre questa sensazione dopo un sogno?"
"Sì. Per un minuto o due."
"Oltre alla sensazione di qualcosa che striscia, avverte qualcos'altro?"
"Sì. Ma non è una sensazione, è un rumore."
"Che tipo di rumore?"
"Sussurri."
"Vuol dire che si sveglia e immagina di sentire persone che bisbigliano?"
"Esatto. Sussurrano, sussurrano, sussurrano. Tutt'attorno."
"Chi sono queste persone?"
"Non lo so."
"Che cosa sussurrano?"
"Non lo so."
"Ha l'impressione che cerchino di dirle qualcosa?"
"Sì. Ma non riesco a capire."
"Non ha una teoria, una supposizione? Non può cercare di indovinare?"
"Non distinguo le parole, ma so che dicono cose cattive."
"Cose cattive? In che senso?"
"Mi minacciano, mi odiano."
"Sussurri di minaccia."
"Sì."
"Quanto tempo durano?"
"Più o meno come quelle cose... striscianti."
"Circa un minuto?"
"Sì. Le sembro pazzo?"
"Per niente."
"Coraggio, sembro un po' matto."
"Mi creda, Mr Frye, ho udito storie molto più strane della sua."
"Continuo a ripetermi che, se sapessi quello che dicono quei sussurri e se capissi che cosa mi striscia addosso, riuscirei a ricordare anche il sogno e forse non lo farei più."
"E proprio questo il modo per affrontare il problema."
"È in grado di aiutarmi?"
"Be', dipende soprattutto da quanto lei vuole aiutare se stesso."
"Oh, io voglio sconfiggere questa cosa, davvero."
"Allora probabilmente ce la farà."
"Ormai mi perseguita da anni, ma non mi sono ancora abituato. Ho paura ad andare a letto. Ogni sera, ho tanta paura."
"Si è mai sottoposto a una terapia prima d'ora?"
"No."
"Perché no?"
"Avevo paura."
"Di che cosa?"
"Di quello... che lei avrebbe potuto scoprire."
"E perché dovrebbe avere paura?"
"Potrebbe esserci qualcosa... di imbarazzante."
"Non c'è niente che mi imbarazza."
"Potrebbe imbarazzare me stesso."
"Non si preoccupi. Sono il suo medico. Sono qui per ascoltarla e aiutarla. Se lei..."
Il dottor Rudge tolse la cassetta dal registratore e spiegò: "Incubo ricorrente. Non è niente di insolito. Ma un incubo seguito da allucinazioni tattili e uditive, be', non è molto frequente."
"Ma nonostante tutto," sbottò Joshua, "non ha ritenuto che fosse pericoloso."
"Oh, cielo, no," esclamò Rudge. "Era semplicemente spaventato per un incubo ed era più che logico. E il fatto che alcune sensazioni legate al sogno perdurassero anche da sveglio, significava che quell'incubo rappresentava probabilmente una terribile esperienza rimossa e sepolta nel suo subconscio. Ma gli incubi sono normalmente un modo salutare di scaricare la tensione a livello psicologico. Non presentava segni di psicosi. Non sembrava confondere il sogno con la realtà. Quando ne parlava, tracciava una linea ben distinta. Nella sua mente era presente una netta distinzione fra l'incubo e il mondo reale."
Tony si sporse in avanti. "Non avrebbe potuto essere meno sicuro di quanto volesse dare a vedere?"
"Vuole dire... se può avermi ingannato?"
"Che ne pensa lei?"
Rudge annuì. "La psicologia non è una scienza esatta e la psichiatria lo è ancor meno. Sì, avrebbe potuto ingannarmi, soprattutto perché lo vedevo solo una volta al mese e non ero in grado di notare i cambi di umore e di personalità che sarebbero balzati all'occhio se l'avessi visto con frequenza settimanale."
"Alla luce di quanto Joshua le ha detto poco fa," continuò Hilary, "ha l'impressione di essere stato ingannato?"
Rudge sorrise con aria sorniona. "Sembrerebbe proprio di sì, non è vero?"
Prese una seconda cassetta relativa a un'altra conversazione fra lui e Frye e la fece scivolare nel registratore.
"Non mi ha mai parlato di sua madre."
"Che cosa vuole sapere?"
"Quello che ha da dire."
"Fa un sacco di domande, vero?"
"Con alcuni pazienti, non è necessario chiedere nulla. Si siedono e iniziano a parlare."
"Ah sì? E di che cosa parlano?"
"Molto spesso parlano della madre."
"Dev'essere noioso per lei."
"Solo raramente. Mi racconti di sua madre."
"Si chiamava Katherine."
"E?"
"Non ho nulla da dire su di lei."
"Tutti hanno qualcosa da dire sulla propria madre... e sul proprio padre."
Per quasi un minuto, regnò il silenzio più totale. Il nastro continuava a girare, producendo solo un sibilo.
"Stavo aspettando," spiegò Rudge, interpretando il silenzio. "Fra un attimo riprenderà a parlare."
"Dottor Rudge?"
"Sì?"
"Crede...?"
"Che cosa?"
"Crede che i morti rimangano morti?"
"Mi sta chiedendo se sono religioso?"
"No. Voglio dire... crede che una persona possa morire... e poi ritornare dalla tomba?"
"Come un fantasma?"
"Sì. Lei crede nei fantasmi?"
"E lei?"
"L'ho chiesto prima io."
"No. Non credo nei fantasmi, B
runo. E lei?"
"Non ho ancora deciso."
"Ha mai visto un fantasma?"
"Non ne sono sicuro."
"Che cosa c'entra con sua madre?"
"Mi ha detto che sarebbe... ritornata dalla tomba."
"Quando gliel'ha detto?"
"Oh, migliaia di volte. Lo ripeteva sempre. Diceva di sapere come si faceva. Diceva che avrebbe vegliato su di me anche da morta. Diceva che se non mi fossi comportato bene e se non fossi vissuto come voleva lei, sarebbe tornata e me l'avrebbe fatta pagare."
"E lei le credeva?"
"…"
"E lei le credeva?"
"…"
"Bruno?"
"Cambiamo discorso."
"Cristo!" esclamò Tony. "Ecco da dove è nata l'idea che Katherine potesse tornare. Quella donna gli ha inculcato quella paura prima di morire!"
Joshua si rivolse a Rudge: "In nome del cielo, che cosa stava cercando di fare? Che tipo di relazione avevano quei due?"
"Era il nocciolo del problema," rispose Rudge, "ma non siamo mai riusciti a chiarirlo. Ogni volta speravo che decidesse di parlarne, ma si rifiutava sempre e alla fine è morto."
"Avete ripreso a discutere di fantasmi anche in altre sedute?" chiese Hilary.
"Sì," proseguì il dottore. "La volta successiva è stato lui stesso a introdurre l'argomento. Diceva che i morti rimangono morti e che solo i bambini e i pazzi la pensano diversamente. Sosteneva che non esistono fantasmi o zombie. Voleva che sapessi che non aveva mai creduto alle parole di Katherine riguardo a un suo eventuale ritorno."
"Ma mentiva," intervenne Hilary, "in realtà le credeva."
"Apparentemente sì," convenne Rudge. Inserì la terza cassetta nel registratore.
"Dottore, di che religione è?"
"Sono stato cresciuto come cattolico."
"Ed è ancora credente?"
"Sì."
"Va in chiesa?"
"Sì. E lei?"
"No. Va a messa tutte le settimane?"
"Quasi tutte le settimane."
"Crede nel paradiso?"
"Sì. E lei?"
"Sì. E all'inferno?"
"Lei che cosa ne pensa, Bruno?"
"Be', se esiste il paradiso, deve esistere anche l'inferno."
"C'è gente che sostiene che l'inferno è sulla terra."
"No. C'è un altro posto con il fuoco e tutto il resto. E se esistono gli angeli..."
"Sì?"
"Devono esistere anche i demoni. Lo dice la Bibbia."
"Si può essere un buon cristiano senza prendere la Bibbia alla lettera."
"Sa riconoscere i marchi del demonio?"
"Marchi?"
"Sì. Quando qualcuno fa un patto con il diavolo, questo gli lascia un marchio. Oppure se s'impadronisce di loro per qualsiasi motivo, li marchia come si fa con il bestiame."
"Crede davvero che si possa stringere un patto con il diavolo?"
"Eh? Oh no. No, sono sciocchezze. Stupidaggini. Ma c'è gente che ci crede. E sono in tanti. Li trovo interessanti. La loro psicologia mi affascina. Ho letto molti libri sull'occulto per cercare di capire che tipo di persona può credere a queste cose. Vede, vorrei capire come ragionano."
"Stava parlando dei marchi che il demonio lascia sulle persone."
"Sì. Ho letto qualcosa proprio recentemente. Niente di importante."
"Mi racconti."
"Be', vede, pare che nell'inferno ci siano centinaia e centinaia di demoni. Forse addirittura migliaia. E ognuno di loro possiede un proprio marchio che contraddistingue le anime delle persone che gli appartengono. Per esempio, nel Medio Evo erano convinti che una voglia di fragola fosse un segno del demonio. Oppure gli occhi strabici. O un terzo seno. C'è gente che nasce con tre seni e non è neppure tanto raro. Secondo alcuni, anche quello è un segno del demonio. O il numero 666, che apparterrebbe al capo di tutti i demoni: Satana. I suoi seguaci hanno il numero 666 stampato sulla pelle, sotto i capelli, dove non può essere visto. Cioè, questo è quanto sostengono i Veri Credenti. E poi i gemelli... anche in questo caso c'è lo zampino del diavolo."
"I gemelli sono opera del diavolo?"
"Vorrei si rendesse conto che non credo a nulla del genere. Davvero. Sono stronzate. Le sto solo riferendo quello che affermano alcuni pazzoidi."
"Capisco."
"Se la sto annoiando..."
"No. Anch'io lo trovo molto interessante."
Rudge spense il registratore. "Una cosa prima di continuare. Lo incoraggiavo a parlare dell'occulto perché pensavo fosse solo un esercizio mentale utile per fargli affrontare più serenamente il suo problema. Mi spiace dover ammettere che gli credevo quando affermava che, secondo lui, erano tutte sciocchezze. "
"Invece quella questione gli stava molto a cuore," disse Hilary.
"Così pare. Ma allora pensavo che si stesse solo preparando per affrontare il suo vero problema. Se fosse riuscito a spiegare l'apparentemente illogico processo mentale di determinate persone, come gli occultisti più sfegatati, forse sarebbe stato anche in grado di accettare il lato irrazionale presente in lui. Se avesse giustificato l'occulto, a maggior ragione avrebbe accettato quel sogno che non riusciva a ricordare. E quello che io pensavo stesse facendo. Ma mi sbagliavo. Maledizione! Se solo fosse venuto qui un po' più spesso."
Rudge fece ripartire il registratore.
"Ha detto che i gemelli sono opera del diavolo."
"Sì, ma ovviamente non tutti i gemelli. Solo alcuni."
"Per esempio?"
"I gemelli siamesi. C'è gente che pensa sia un marchio del demonio."
"Sì. Ho sentito parlare di questa superstizione."
"E a volte due gemelli identici nascono entrambi con la testa coperta dalla membrana amniotica. E raro, può capitare a uno dei due, ma è molto difficile che entrambi nascano così. Quando accade, si può quasi essere sicuri che quei gemelli sono frutto del demonio. Almeno, così dice la gente."
Rudge tolse la cassetta. "Non sono sicuro che questo abbia a che vedere con quello che è capitato a voi. Ma dal momento che pare esistere un sosia di Frye, ho pensato che la faccenda dei gemelli potesse essere interessante."
Joshua lanciò un'occhiata a Tony e poi a Hilary. "Ma se Mary Gunther ha avuto due gemelli, perché Katherine ne ha portato a casa solo uno? Perché avrebbe dovuto mentire negando che i bambini erano due? Non ha senso."
"Non lo so," obiettò Tony, "vi ho già detto che secondo me questa teoria è troppo semplice."
Hilary chiese: "È stato trovato il certificato di nascita di Bruno?"
"Non ancora," rispose Joshua. "Nelle cassette di sicurezza non ce n'erano."
Rudge afferrò l'ultima delle quattro cassette tenute da parte. "Questa si riferisce all'ultima seduta con Frye, tre settimane fa. Alla fine accettò di farsi ipnotizzare per cercare di ricordare quel sogno. Ma era strano. Mi fece promettere di limitare al minimo le domande. Avrei potuto rivolgergli solo domande relative al sogno. Nel pezzo che state per ascoltare, Bruno era già in trance. L'ho fatto ritornare indietro nel tempo, fermandomi alla notte precedente la seduta. Volevo che rivivesse nuovamente quel sogno."
"Che cosa vede, Bruno?"
"Mia madre. E ci sono anch'io."
"Continui."
"Mi sta trascinando."
"Dove siete?"
"Non lo so. Ma sono piccolo."
"Piccolo?"
"Un ragazzino."
"E sua madre la sta costringendo ad andare da qualche parte?"
"Sì. Mi tira per un braccio."
"Dove la trascina?"
"Verso... la... la porta. La porta. Non fargliela aprire. No. No!"
"Si calmi. Adesso si calmi. Mi racconti di questa porta. Dove conduce?"
"All'inferno."
"Come fa a saperlo?"
"È per terra."
"La porta è per terra?"
"Per l'amor del cielo, non fargliela aprire! Non lasciare che mi mandi di nuovo laggiù! No! No! Non voglio finire di nuovo laggiù!"
"Si rilassi. Si calmi. Non deve
avere paura. Si rilassi, Bruno, si rilassi. Si è calmato?"
"Sì."
"Va bene. Lentamente, con calma e senza paura, mi racconti che cosa succede poi. Lei e sua madre siete davanti a una porta per terra. Che cosa succede poi?"
"Lei... lei... apre la porta."
"Vada avanti."
"Mi spinge."
"Continui."
"Mi spinge... oltre la porta. "
"Vada avanti, Bruno."
"La chiude... a chiave."
"La chiude dentro?"
"Sì."
"E com'è lì dentro?"
"Buio."
"E poi?"
"Solo buio. Nero."
"Ma riesce a vedere qualcosa?"
"No. Niente."
"E poi che cosa succede?"
"Cerco di uscire."
"E?"
"La porta è troppo pesante, troppo robusta."
"Bruno, è davvero solo un sogno?"
"…"
"È davvero solo un sogno, Bruno?"
"E quello che sogno."
"Ma è anche un ricordo?"
"…"
"Sua madre la chiudeva davvero in una stanza buia quando era piccolo?"
"S-sì."
"In cantina?"
"Nella terra. In quella stanza nella terra."
"E ogni quanto lo faceva?"
"Sempre."
"Una volta la settimana?"
"Di più."
"Era una punizione?"
"Sì."
"Per che cosa?"
"Perché... non mi comportavo... e non pensavo... come uno solo."
"Che cosa vuol dire?"
"Era il castigo per non essere uno solo."
"In che senso uno solo?"
"Uno. Uno. Solo uno. Tutto qui. Solo uno."
"Va bene. Ne riparleremo dopo. Ora andiamo avanti e vediamo che cosa succede. E chiuso in quella stanza. Non può uscire. E poi che cosa accade, Bruno?"
"Ho p-paura."
"No. Non ha paura. E molto calmo, rilassato, non ha per niente paura. Non è vero? Non si sente calmo?"
"Io... credo di sì."
"Okay. Che cosa succede quando cerca di aprire la porta?"
"Non ci riesco. Allora rimango sul primo gradino e guardo in giù, verso il buio."
"Ci sono dei gradini?"
"Sì."
"E dove conducono?"
"All'inferno."
"E lei va giù?"
"No! Io... resto lì. E... ascolto."
"Che cosa sente?"
"Voci."
"Che cosa dicono?"