Orco Rosso
A dark novel
Alessandro H. Den
Racconto Breve
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Orco Rosso
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Dal registro del Borgomastro di… (il nome del paese risulta illeggibile e cancellato con particolare violenza)
21 settembre 18…
Quest’oggi si è tenuta, la festa di Finestate. Come ogni anno la piazza si è riempita di paesani e contadini, di visi rossi per il molto bere e di giovani procaci con nastri tra i capelli.
Due buoi sono stati portati per essere oggetto di giochi di abilità e caroselli, terminati poi con l’onorato sacrificio della bestia migliore, arrostita poi sopra di un grande braciere che ha animato e sfamato poi tutti i partecipanti.
La guardia cittadina è stata modestamente impegnata, si sono anzi, con una certa licenziosità che non manco di far presente in questa sede e in quelle più opportune, uniti ai tavoli per partecipare alla cena.
Annoto due avvenimenti che hanno destato la mia attenzione.
Bertha K**** è comparsa con i capelli arruffati e la faccia sconvolta nel bel mezzo dei festeggiamenti. La donna lamentava della sparizione del marito, Celsius K****, il fabbro.
Le guardie si sono limitate a rivolgerle frasi maliziose, sostenendo che non fosse un mistero che il corpulento uomo prendesse piacere con giovani donne nei paesi vicini. Hanno quindi invitato la donna a sedere in mezzo a loro, allungando le mani e tirandola per la veste. La signora K****. se ne è stata portata via furiosa dai figli che, a stento, riuscivano a trattenerne l’impeto. Era a conoscenza dei vizi del marito, diceva qualcuno a mezza bocca, eppure nessuno l’aveva mai vista così preoccupata prima di ieri sera.
Non è sicuramente consueto che una tra le donne più morigerate del contado, capace di tollerare, con tacito rammarico, le abitudini del compagno, compaia di punto in bianco con il volto stralunato per poi mettere in pubblica piazza tutta la sua preoccupazione.
L’altro accadimento bizzarro risale a non più di un’ora fa, mentre osservavo le braci spegnersi nella piazza e gli ultimi paesani congedarsi barcollando malfermi sulla strada di casa. Ho quindi lasciato che i miei occhi corressero lungo i tetti muschiosi e aguzzi, sopra gli impervi comignoli che disegnano i contorni del paese contro il cielo. Più avanti le familiari macchie scure di bosco, argentee sfumature sotto la luna generosa e languida, il camposanto dalle croci bianche e dai muri coperti di rigogliosi rampicanti, custodi silenziosi di ossa e ricordi. Sopra, come silenzioso guardiano, l’antico maniero della famiglia F**********, vetusto ricordo di fasti antichi e dolorose memorie, di quando i signori della città dimoravano tra vetrate di cristallo e pietre preziose.
Dall’incendio che ne distrusse larga parte la vigilia di Natale del 18…, portando con sé molte di quelle facoltose persone, resta ancora un debole riflesso nei miei occhi di bambino, quando lo vidi avvampare dalla finestrella al secondo piano della casupola nella quale sono cresciuto. Senza badare troppo allo scorrere del tempo, devo essere rimasto a lungo a riflettere sopra quei ruderi anneriti dal tempo e la mia immaginazione, unita ai raggi complici della luna, deve aver fatto sì che io scorgessi un fievole bagliore tra le rovine. Alla mia età dovrei smettere, in egual misura, di lasciarmi andare al bere e all’immaginazione.
22 settembre
I timori di Bertha K**** si sono dimostrati fondati: quest’oggi il fiume ha lasciato su una sponda il cadavere gonfio del fabbro. La scoperta è stata fatta da alcuni bambini che, incuranti della gravità del fatto, avevano iniziato a punzecchiare il cadavere con ramoscelli appuntiti. Quando hanno rivelato la scoperta, a pomeriggio inoltrato, l’aria attorno al corpo era già pervasa da uno sgradevole olezzo.
Il medico è venuto qualche ora fa a ispezionare il cadavere, portato a spalla da quattro uomini fino alla casa del macellaio, l’unico che possedesse un tavolo abbastanza grande per ripore il morto. La sua diagnosi è stata piuttosto chiara, l’uomo pare sia morto per affogamento anche se, alla luce delle candele, sono emersi segni di contusione sul suo corpo. Il medico ha sostenuto che si trattasse di urti contro le rocce e i detriti del fiume ma a mio avviso risultano essere troppo regolari e tondeggianti per essere dovute al caso. Il medico, non appena ho sollevato il dubbio, mi ha guardato con un frammisto di incredulità e deferenza. Mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha consigliato di dimenticare l’accaduto. La vedova K****, attorniata dai figli, aspettava fuori con lo sguardo perso.
Quando le è stato concesso di entrare per vedere il corpo ha iniziato a urlare in preda al dolore.
«Me l’hanno ucciso! Me l’hanno ucciso!».
Povera donna.
23 settembre, notte.
È successo di nuovo. Ancora una volta ho visto una luce tra le rovine del maniero. Sembra che questo fenomeno capiti sempre quando cerco conforto nella vetrinetta in disparte e ai suoi turpi contenuti. Ho visto un bagliore camminare tra le stanze, come in cerca di qualcosa. Poi esso si è estinto. Ho atteso che il bagliore tornasse per quasi un’ora ma non si è verificato nessun fenomeno degno di nota.
Il bicchiere è ancora lì, mezzo vuoto e mi chiama con bagliori invitanti.
La vita di un borgomastro a volte riserva più sorprese di quante ne riserverebbero dieci da soldato. Questa mattina, di buon’ora, una carrozza si è fermata nella piazza. Un modello nuovo, ben rifinito, con ammennicoli e fronzoli dei quali ignoro il reale valore ma dai quali ho potuto facilmente intuire l’elevato rango del proprietario. Un servo in livrea ha aperto la portiera e ne è disceso un uomo distinto che si è prima guardato intorno, come se fosse in cerca di qualcosa, poi si è diretto verso la mia dimora, preceduto dal servo che si è prodigato nel battere le nocche contro l’uscio.
Netitia è andata ad aprire e sono convinto che sia ancora affascinata dall’uomo distinto che si è trovata davanti. L’ha fatto accomodare nel salottino e poi è venuta a chiamarmi. Non è mia abitudine far attendere gli ospiti, anche nel caso in cui si tratti di contadini e ne sono disceso pochi istanti dopo, vestito della giacca di velluto migliore.
L’uomo, il distinto visitatore, ha abbandonato il divano non appena mi ha visto scendere le scale e mi è venuto incontro con molta spigliatezza. Un uomo altro, con i capelli leggermente brizzolati sopra un castano vivo e gli occhi grigi magnetici cerchiati dall’oro di una finissima montatura d’occhiali. Mi ha teso la mano e mi sono presentato ufficialmente come il borgomastro mentre lui, senza batter ciglio, si è detto subito onorato di conoscere il più illustre dei suoi nuovi concittadini.
La mia espressione deve averlo divertito non poco e ancora più deve aver trovato divertente rivelarmi quindi il suo nome. Gli ho chiesto di ripeterlo una volta ancora e lui non è sembrato affatto infastidito dalla mia richiesta, anzi, continuava ad apparirmi molto sereno e gioviale.
«La credevamo morta. La credevano tutti defunto, insieme alla sua famiglia. Ero un ragazzino all’epoca dei fatti e ricordo l’incendio come se fosse ieri».
Il Dottor F********** (così ha preferito che mi riferissi a lui) ha chinato la testa, rammaricato.
«So cosa si è detto a quel tempo ma vede, mio buon amico, quando fui salvato da quell’inferno, del quale non porto memoria, venni affidato alle cure di una sorella di mio padre e tutto fu fatto in gran segreto poiché, nell’ammettere questo so di ricordare grossi dispiaceri, pare che sui miei defunti genitori si fossero sparse brutte voci e dicerie. Mia zia, vede, era una donn
a molto superstiziosa e non voleva che l’unico erede maschio della famiglia dovesse crescere circondato da colpe e miseria. Sono stato cresciuto ed educato da lei e giungo qui adesso, dopo molti anni, per riprendere parte di ciò che i miei mi hanno lasciato. I tempi sono molto cambiati, da allora, la gente non teme più la superstizione come quarant’anni fa, dico bene?»
Mio malgrado, sebbene avessi voluto far presente al mio gentile ospite che queste considerazioni valgono solo laddove le città sono grandi e illuminate, mi sono trovato costretto ad annuire con serietà e a dargli il benvenuto nella comunità. Ho trattenuto la domanda che cercavo di reprimere fino a quando non siamo usciti di nuovo all’aria aperta e per trovare la carrozza circondata da curiosi.
«Perdoni la mia indiscrezione, Dottore, ha un istante per una domanda?»
Il mio ospite in quel momento mi ha guardato col timore che certo non mi aspettavo manifestasse. Quasi ha balbettato quando, con una certa riluttanza, ha espresso un cortese “sì”.
«Da quanto è qui? Non è mia intenzione rivolgerle una domanda così personale, è più che altro una semplice curiosità. Sa, nelle ultime notti mi è parso di vedere un bagliore animare la magione della sua famiglia e a lungo mi sono interrogato sulla mia…capacità immaginativa, ecco. Le sarei grato se volesse fugare il mio dubbio da semplice curioso».
Il dottore si è battuto una mano sulla gamba, visibilmente sollevato dal tono e dal tipo di domanda.
«Le chiedo scusa, non volevo certo farle dubitare delle sue facoltà di osservatore. Ufficialmente arrivo solo oggi ma nelle ultime notti ho provato come un senso di nostalgia verso la mia avita dimora e ho obbligato il povero Edmund a condurmi qui a notte fonda. Dimoro nell’alberghetto di S*******, la distanza non è certo grande ma è comunque una gran fatica per il mio fedele servo assecondare i miei capricci».
Al nome della cittadina ho avuto come un sobbalzo e i miei occhi, chissà come, si sono diretti verso le ruote larghe della carrozza. Una, la frontale destra, mi è sembrata vagamente fuori asse, come se avesse subito un urto recente.
«Mi consente un’altra domanda?»
Il Dottore corrugò la fronte ma nel rispondere mantenne il tono cordiale.
«Prego, mio buon amico».
Soppesare le parole non mi è mai stato semplice e quest’oggi ho dovuto trattenere molto la velocità con cui si muovevano i miei pensieri.
«Durante una delle vostre incursioni notturne avete per caso incontrato sulla strada grossi animali?»
«No, che io sappia. Queste domande dovreste rivolgerle al mio servo, mi spiace ammettere che non mi intendo molto di animali o di caccia, sapete?»
Detto questo, mi ha stretto la mano e con una certa fretta, sicuramente dovuta agli imminenti lavori per la ricostruzione della magione, è salito sulla carrozza.
Ho passato il resto della giornata a pensare all’incontro bizzarro e mi sono scosso dal torpore in cui le suggestioni mi avevano sprofondato solo verso sera, quando Netitia mi ha chiamato per la cena e mi ha comunicato che l’indomani si sarebbero svolte le onoranze funebri per il fabbro. Ho annuito, pensieroso ma la brava donna deve aver scambiato la mia assenza per apprensione nei confronti della vedova K****, verso la quale molti si erano detti in pena.
Stasera ho deciso che non guarderò fuori dalla finestra e che mi concederò una lettura. Il richiamo della vetrata è forte ma la realtà, per quanto sinistra, non contempla né spettri né misteri.
24 settembre
Questa mattina, fuori dal cimitero, ho visto per la seconda volta la lussuosa carrozza. Mentre seguivo la processione, rimanendo in coda, ho provato a sbirciare al suo interno ma dai finestrini oscurati mi è stato impossibile vedere se qualcuno fosse a bordo. Quando sono entrato, insieme agli altri paesani accorsi per la tumulazione, non ho potuto fare a meno di scorgere la figura solitaria del Dottore, seguita, a rispettosa distanza, dall’inseparabile servitore.
Durante la funzione ne ho seguito gli spostamenti per un po’ e lentamente ho iniziato a credere che aspettasse, con rispettosa lontananza, che assolvessi la mia funzione pubblica per scambiare due parole con me. Il corpo è stato tumulato in uno spesso strato di terra grassa e umida, la vedova K****, interamente coperta di nero, è stata sorretta dai figli mentre le mani dei volontari si alternavano nel nascondere la bara con il terriccio. Una solida croce di ferro è stata piantata nella terra e i paesani, uno dopo l’altro, si sono allontanati in gruppi sparuti.
È stato allora che il Dottore mi si è avvicinato con circospezione per chiedere, con sincero interesse, cosa fosse successo al defunto.
«Non ne siamo ancora certi, purtroppo. È stato ritrovato sul greto del fiume due giorni fa. con tutta probabilità è morto per annegamento».
«Ho notato che la bara era piuttosto imponente. Doveva trattarsi di un uomo massiccio».
Ho annuito, con una certa vivacità. «La sua intuizione è corretta. Era il fabbro del paese e superava in altezza e in stazza tutti noi. Qualcuno lo chiamava “gigante” e credo non avessero tutti i torti, anche se il defunto pareva non gradire».
Mi è sembrato di cogliere una sfumatura di entusiasmo negli occhi del dottore, anche se, subito dopo, i suoi occhi grigi sono divenuti profondamente tristi e rammaricati.
«Suppongo quindi che quella donna sia la vedova. Mi chiedo se sia possibile fare qualcosa per lei, come risarcimento per la perdita».
«Risarcimento?» la mia lingua è stata più veloce del mio buonsenso. Di nuovo si sono insinuati in me i sospetti che ieri ho cercato di reprimere.
«Mi scuso, devo essermi espresso male. Quello che intendevo dire è che vorrei poter aiutare la donna, economicamente intendo. Sicuramente non sarà facile per lei riprendersi da questa perdita e se potessi fare qualcosa ecco…ne sarei felice».
Ho dovuto fare appello a tutte le mie facoltà per non apparire stupito quando mi rivelò la cifra che intendeva donarle in un orecchio.
«Caro amico, ciò che la donna ha perduto non avrà mai lo stesso valore dei soldi. Sono sicuro che quell’uomo fosse un inestimabile sostegno e che fosse essenziale a lei tanto quanto lo sarebbe per me».
«Cosa intende dire?»
Ho visto roteare di nuovo i suoi occhi ma la gentilezza nei miei confronti non è venuta meno, nonostante stavolta fosse piuttosto infastidito dal mio continuo puntualizzare.
«Avrei avuto sicuramente bisogno di lui da vivo. Purtroppo, da morto, credo che per lui non restino molte alternative. Rallegriamoci invece, pensando che il suo corpo servirà da nutrimento per le creature che strisciano sottoterra. Meglio pensare alla vita e alla sua conservazione, amico mio. Non c’è niente di buono nella morte».
Detto questo il Dottore si è allontanato e con eleganza si è diretto verso la vedova K**** e i figli che ne sorreggevano le braccia magre. Con un gesto, al quale la donna non era sicuramente avvezza, le ha fatto un breve inchino e le ha poi rivolto parole sicuramente confortanti dal momento che mi è parso che il suo pianto si interrompesse. Lui l’ha presa quindi sottobraccio e insieme hanno fatto alcuni passi. Incuriosito, mi sono spostato per seguirne la direzione ma poco dopo mi sono dovuto fermare perché la donna era crollata in ginocchio e aveva preso ad abbracciare le gambe dell’uomo con fervore. I figli erano dovuti accorrere per tirarla su ma il gentiluomo aveva loro sorriso, si era chinato e aveva sollevato la donnetta con facilità. Poi aveva chiamato il fido Edmund e il servo, tenuta per il braccio la donna, era uscito dal camposanto seguito dai due orfani.
«Senz’altro un nobile gesto quello che avete compiuto quest’oggi».
«Non sono mai abbastanza, sapete? Tanta è la gioia che mi da il fare del bene che vorrei che cose come queste accadessero ogni giorno. Ridare un sorriso alle persone non è forse il più grande potere che Dio ha dato agli uomini?»
A quell’affermazione ho preferito non rispondere, il mio ospite sembrava piuttosto disponibile a parlare, a differenza mia che mi sentivo sempre più confuso, proprio come adesso. Continuammo a camminare e a discorrere allo stesso tempo: il dottore mi ha chiesto di me e dei miei interessi e ho rivelato, non senza una pun
ta di orgoglio, che parecchi anni prima avevo appreso da autodidatta e grazie al lascito di un vecchio zio, le basi della medicina. Ho citato alcuni dei volumi presenti nella mia libreria, piuttosto povera a dire il vero, che comprende appena qualche testo di Avicenna e un compendio di Paracelso, tutte cose per le quali il medico della contea aveva spesso espresso una certa diffidenza.
Lui non ne ha affatto riso e anzi, si è detto ben disponibile, nel caso in cui avessi voluto, a mettere a mia disposizione parte della propria fornitissima libreria che, a suo dire, comprende anche testi tradotti dall’arabo ed edizioni rarissime di Agrippa e Tritemio. Ci siamo interrotti solo quando davanti a noi si è parato uno dei mausolei più antichi del cimitero, posto in una zona nascosta da alberi secolari: granito nero, dalle superfici bizzarramente squadrate e coperto, per una buona parte, da rampicanti le cui foglie viravano dal verde al giallo pallido con venature sanguigne. Il cancello arrugginito pendeva sbilenco e la porta d’ingresso, sebbene avviluppata di catenacci, pareva solo socchiusa. Un rumore ha destato poi la nostra attenzione e ammetto di aver avuto un sobbalzo quando da dietro la parete è comparso un vecchio scarno e canuto, dal colorito incerto e malsano. L’anziano, che di venerabile aveva ben poco, ha mostrato un’espressione trionfale e, come poco prima aveva fatto la vedova K****, è corso incontro al dottor F********** e gli si è buttato ai piedi, in lacrime.
«Padroncino V*****, è tornato! Solo il cielo sa quanto a lungo ho atteso il ritorno dell’erede dei F**********».
Il dottore ha sorriso bonario e ha poi abbracciato il vecchio ossuto.
«Sì, mi ricordo di te. Jervis, il fidato Jervis.».
A sentire quel nome ho provato un nuovo moto di sorpresa, l’ennesimo di oggi a dire il vero. Il vecchio Jervis era tra i pochi scampati all’incendio che aveva distrutto la magione e da anni era scomparso. Molti sostenevano fosse morto, altri che fosse sparito tra le montagne.
La risposta a quei dubbi mi è arrivata dalla stessa bocca del servo pochi istanti dopo.
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