Nessun Dove

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Nessun Dove Page 20

by Neil Gaiman


  Gli storni rumoreggiarono educatamente. I corvi annuirono e chinarono la testa da un lato. Poi il corvo più anziano gracchiò di nuovo qualcosa a Old Bailey.

  «Un'altra? Non sono mica fatto di ilarità, io. Lasciatemi pensare...»

  Dalla tenda si udì un rumore. Un suono profondo e pulsante, come il battito di un cuore lontano. Old Bailey si precipitò dentro. Il rumore proveniva da una cassapanca di legno in cui teneva le cose di maggior valore. Apri la cassapanca.

  Il battito divenne molto, molto più forte.

  La scatolina d'argento era posta in cima ai tesori di Old Bailey. Allungò una mano nodosa e la prese. Dentro, una luce rossa pulsa­va e brillava ritmicamente, come un cuore che batte, e risplendeva all'esterno attraverso la filigrana, le incrinature e le cerniere.

  «È nei guai» disse Old Bailey.

  Il corvo più vecchio gracchiò una domanda.

  «Il Marchese» rispose Old Bailey. «È in grossi guai.»

  Quando Serpentine allontanò la sedia dal tavolo, Richard era a metà del secondo piatto di cibo.

  «Penso di avere adempiuto ai miei doveri di ospite» disse. «Bam­bina, giovanotto, buon giorno. Hunter...» fece una pausa. Quindi passò un dito simile a un artiglio lungo la linea della mascella di Hunter. «Hunter, sei sempre la benvenuta.»

  Rivolse loro un imperioso cenno del capo e si alzò, per andar­sene seguita dal suo maggiordomo dal vitino di vespa.

  «E meglio incamminarci, adesso» disse Hunter. Si alzò da ta­vola, quindi Porta e, con maggiore riluttanza, Richard, la seguirono.

  Percorsero un lungo corridoio, cosi stretto che potevano passa­re soltanto uno alla volta. Salirono dei gradini di pietra. Nel buio, attraversarono un ponte di ferro, mentre i treni del metrò echeggiavano sotto di loro. Poi entrarono in quella che pareva una rete infinita di volte sotterranee, che avevano l'odore dell'umido e del marcio, dei mattoni, della pietra e del tempo.

  «Allora quella era il tuo vecchio capo, eh? Sembrava abbastan­za simpatica» disse Richard a Hunter.

  Hunter non commentò.

  Porta, che si era sentita come soggiogata, disse: «Nel Mondo di Sotto, quando si vuole che un bambino si comporti come si deve gli si dice: 'Fai il bravo, altrimenti Serpentine ti porta via'.»

  «Oh» fece Richard. «E tu hai lavorato per lei, Hunter?»

  «Ho lavorato per tutte le Sette Sorelle.»

  «Pensavo che non si parlassero da, be', da almeno trent'anni» disse Porta.

  «Più che possibile. Ma allora si parlavano ancora.»

  «Ma quanti anni hai?» domandò Porta. Richard era contento che l'avesse chiesto, perché lui non avrebbe mai osato.

  «Sono vecchia quanto la mia lingua,» rispose Hunter «ma un pochino più vecchia dei miei denti.»

  «Comunque,» disse Richard, con il tono di voce di uno che si è ripreso dai postumi di una sbronza e sa che, da qualche parte sopra di lui, qualcun altro sta passando una splendida giornata, «è anda­to tutto bene. Ottimo cibo. E nessuno ha cercato di ucciderci.»

  «Sono certa che a questo rimedieremo presto» ribatté Hunter, sempre precisa. «Da quale parte per i Black Friars, mia signora?»

  Porta si fermò per concentrarsi.

  «Seguiremo la via del fiume» disse. «Per di qua.»

  «Non è ancora rinvenuto?» chiese mister Croup.

  Mister Vandemar pungolò il corpo prostrato del Marchese con un dito lunghissimo. Il respiro era debole. «Non ancora, mister Croup. Credo di averlo rotto.»

  «Dovrebbe stare più attento con i suoi giocattoli, mister Van­demar» disse mister Croup.

  UNDICI

  «Allora, a cosa stai dietro?» Richard chiese a Hunter.

  I tre stavano camminando lungo l'argine di un fiume sotterra­neo. Richard fissava con rispetto l'acqua grigia che scorreva e pre­cipitava poco distante. Non era il tipo di fiume da cui, se cadi, puoi risalire. Era dell'altro genere.

  «Dietro?»

  «Be',» continuò «io sto cercando di ritornare nella Londra vera e alla mia vecchia vita. Porta vuole scoprire chi ha ucciso la sua famiglia. Tu, cosa vuoi ottenere?»

  Si arrampicarono a fatica lungo l'argine, un passo per volta, Hunter in testa.

  Non diceva nulla.

  Il fiume rallentava per alimentare un laghetto sotterraneo. Cam­minavano a lato dello stagno, con le lampade che si riflettevano sull'acqua nera, l'effetto smorzato dalla nebbiolina sul fiume.

  «Allora, di che si tratta?» domandò Richard, che in realtà non si aspettava di ricevere risposta.

  La voce di Hunter era pacata e intensa. Non cambiò passo. «Nelle fogne sotto New York ho lottato con il grande re alligatore bianco e cieco. Era lungo dieci metri, grasso per i residui di fogna e feroce in battaglia. Ho avuto la meglio su di lui e l'ho ucciso. Nel buio, i suoi occhi parevano enormi perle.»

  La voce dallo strano accento echeggiava nel sottosuolo, avvol­ta nella bruma.

  «Ho combattuto l'orso che stava appostato nella città sotto Berlino. Aveva ucciso migliaia di uomini e i suoi artigli erano mac­chiati di nero e marrone per il sangue secco di centinaia di anni, ma io l'ho abbattuto. Mentre moriva ha bisbigliato delle parole in una lingua umana.»

  La nebbiolina continuava a fluttuare bassa sul fiume. Richard immaginò di poter vedere le creature di cui Hunter parlava, bian­che figure che si contorcevano nel vapore.

  «C'era una tigre nera, nella sottocittà di Calcutta. Una mangiatrice di uomini, intelligente e implacabile, grande quanto un picco­lo elefante. Una tigre è un degno avversario. L'ho catturata a mani nude.»

  Richard diede un'occhiata a Porta. Stava ascoltando Hunter con grande attenzione: allora erano informazioni nuove anche per lei.

  «E annienterò la Bestia di Londra. Dicono che la sua pelle sia irta di spade, lance e pugnali conficcati da quanti hanno tentato e fallito. Le sue zanne sono rasoi, i suoi zoccoli sono fulmini.

  «L'ucciderò, o morirò nel tentativo.»

  Le brillavano gli occhi, come stesse contemplando la preda. La bruma sul fiume cominciava a trasformarsi in densa nebbia gialla.

  Una campana, poco distante, batté tre rintocchi e il suono si propagò sull'acqua.

  Cominciava a rischiarare. Richard credette di poter vedere in­torno a loro la sagoma di alcuni edifici. La nebbia giallo-verde di­ventò più fitta: sapeva di cenere e del sudiciume di un migliaio di anni urbani. Aderiva alle lampade, smorzando la luce.

  «Che cos'è?» chiese Richard.

  «Nebbia di Londra» rispose Hunter.

  «Ma non doveva essere scomparsa anni fa? La legge per l'aria pulita e roba simile?» Richard provò a ricordare i libri di Sherlock Holmes della sua infanzia. «Com'è che la chiamavano anche?»

  «Zuppa di piselli» disse Porta. «Caratteristica distintiva di Lon­dra. Nel Mondo di Sopra non ce n'è più una cosi da, oh, quarant'anni. Quaggiù ce ne arrivano i fantasmi. Hmm. No, non sono fantasmi. Echi, piuttosto.»

  Richard respirò in un filamento di nebbia giallo-verde e comin­ciò a tossire.

  «Questo non è un buon segno» disse Porta.

  «Ho solo della nebbia in gola» spiegò Richard.

  Il terreno diventava più appiccicoso, più fangoso: mentre Ri­chard camminava, gli si era avvinghiato ai piedi.

  «Comunque,» disse per farsi coraggio «un po' di nebbia non ha mai fatto male a nessuno.»

  Porta lo guardò con i grandi occhi da folletto. «Ce n'è stata una nel 1952 che si calcola abbia ucciso quattromila persone.»

  «Gente di qui?» chiese. «Di Londra Sotto?»

  «La tua gente» disse Hunter.

  Richard era propenso a crederci. Pensò di trattenere il respiro, ma la nebbia diventava sempre più fitta. Il terreno sempre più mol­le. «Non capisco. Perché qui avete le nebbie se da noi non ci sono più?»

  Porta si grattò il naso. «A Londra esistono delle piccole bolle dei tempi passati, dove i luoghi e le cose rimangono come una vol­ta, simili alle bolle nell'ambra» spiegò. «A Londra c'è molto tem­po, e deve andare da qualche parte - non viene usato tutto in una volta.
»

  «Sarebbe più semplice se soffrissi ancora dei postumi del vino» sospirò Richard. «Almeno quello aveva senso.»

  L'Abate sapeva che quel giorno avrebbe portato dei pellegrini. La conoscenza era parte dei suoi sogni; lo circondava, come l'oscu­rità. Quindi il giorno divenne giorno d'attesa, cosa che era, lo sapeva bene, un peccato: i momenti devono essere sperimentati; aspet­tare è un peccato contro il tempo che deve ancora venire e contro gli istanti presenti che vengono trascurati.

  Tuttavia, aspettava.

  Durante ognuno dei servizi quotidiani, durante i magri pasti, l'Abate era in vigile ascolto, in attesa che la campana suonasse, in attesa di sapere chi e quanti.

  Si trovò a sperare in una morte rapida e pulita. L'ultimo pelle­grino aveva resistito per quasi un anno, un essere urlante e farfugliante. L'Abate non considerava la propria cecità come una benedizione né come una maledizione: semplicemente esisteva; ma an­che stando cosi le cose, era grato di non aver potuto vedere il volto di quella povera creatura. Fratello Ebano, che se ne era occupato, si svegliava ancora la notte, urlando, con quel viso contorto da­vanti agli occhi.

  La campana suonò nel tardo pomeriggio, tre volte. L'Abate era nel santuario, in ginocchio, a contemplare quanto loro affidato. Si alzò in piedi e si diresse verso il corridoio, dove rimase ad aspettare.

  «Padre?» La voce era quella di fratello Caliginoso.

  «Chi è a guardia del ponte?» gli domandò l'Abate. Aveva un timbro sorprendentemente profondo e melodioso per un uomo di quell'età.

  «Fratello Fosco» fu la risposta che gli arrivò dal buio.

  L'Abate allungò una mano, afferrò il gomito del giovane e gli camminò accanto, lentamente, lungo i corridoi dell'abbazia.

  Non c'era un terreno solido; non c'era un lago. Stavano sguaz­zando in una sorta di palude, immersi nella nebbia gialla.

  «Questo» disse Richard «è disgustoso.» Gli filtrava attraverso le scarpe, invadendo le calze e facendo una conoscenza delle dita dei piedi più ravvicinata di quanto Richard avrebbe desiderato.

  Di fronte a loro c'era un ponte che si elevava sulla palude, e una figura, vestita di nero, che aspettava all'inizio del ponte. In­dossava l'abito nero dei frati Domenicani. La sua pelle aveva il colore del mogano antico. Era un uomo alto, che reggeva un ba­stone altrettanto alto.

  «Restate dove siete!» gridò. «Ditemi il vostro nome e la vostra qualifica.»

  «Sono Lady Porta» disse Porta. «Sono la figlia di Portico, della casata degli Arch.»

  «Sono Hunter, la sua guardia del corpo.»

  «Richard Mayhew» disse Richard. «Bagnato.»

  «E vorreste passare?»

  Richard fece un passo avanti. «Si, è proprio quello che voglia­mo. Siamo qui per una chiave.»

  Il monaco non disse nulla. Sollevò il bastone e con esso diede una spintarella al petto di Richard. I suoi piedi scivolarono incon­trollabili, e atterrò nell'acqua fangosa (o, per essere un tantino più accurati, nel fango acquoso).

  Il monaco attese qualche istante per vedere se Richard si sareb­be alzato pronto a combattere. Non lo fece.

  Hunter invece si.

  Richard si sollevò a fatica dal fango e rimase a osservare a bocca aperta il suo primo combattimento con aste di legno dalla punta ferrata.

  Il monaco era bravo. Era più grosso di Hunter e, Richard so­spettava, più forte. D'altra parte, Hunter era più veloce.

  I randelli schioccavano e battevano nella bruma.

  Il bastone del monaco entrò subito in contatto con il diaframma di Hunter, che barcollò nel fango. Lui le andò vicino - troppo vi­cino, tanto da accorgersi che era stata una finta quando il bastone di lei si abbatté, forte e preciso, dietro le sue ginocchia, e le gambe non lo ressero più.

  «Basta!» gridò una voce dal ponte.

  Hunter fece un passo indietro. Si mise accanto a Richard e Porta.

  Il grosso monaco si alzò dal fango. Gli sanguinava il labbro. Fece un inchino profondo a Hunter, poi tornò a guardia del ponte.

  «Chi sono, fratello Fosco?» gridò la voce.

  «Lady Porta, figlia di Lord Portico, della casata degli Arch; Hunter, sua guardia del corpo, e Richard Mayhew Bagnato, loro compagno» rispose fratello Fosco nonostante le labbra ammacca­te. «Mi ha battuto in un combattimento leale, fratello Caliginoso.»

  «Lascia che vengano» disse la voce.

  Hunter guidava il gruppetto sul ponte. Alla sommità li aspetta­va un altro monaco: fratello Caliginoso. Era più giovane e più mi­nuto del primo monaco che avevano incontrato, ma vestiva nello stesso modo. La sua pelle era di un bruno ricco e intenso.

  C'erano altre figure vestite di nero, al limite dell'invisibile, maggiormente immerse nella nebbia gialla. Altri Frati Neri, sup­pose Richard.

  Il secondo monaco fissò i tre per un attimo, quindi disse:

  «Giro la testa e potete andare dove volete.

  La giro di nuovo e fino a marcire qui resterete.

  Non ho faccia, ma se il mio comportamento è cattivo o buono

  dipende dai miei denti irregolari - chi sono?»

  Porta fece un passo avanti. Si inumidì le labbra e socchiuse gli occhi. «Giro la testa...» disse, dubbiosa, tra sé. «Denti irregolari... andare dove...» Poi sul suo volto si stampò un sorriso. Alzò gli oc­chi verso fratello Caliginoso e disse, «Una chiave. La risposta è, una chiave.»

  «Risposta saggia» commentò fratello Caliginoso. «Il secondo passo è fatto. Ne resta ancora uno.»

  Un uomo molto vecchio usci dalla nebbia gialla e si diresse verso di loro con circospezione, tenendosi stretto al parapetto di pietra del ponte con la mano nodosa. Giunto accanto a fratello Caliginoso, si fermò. Aveva gli occhi color bianco latte, spessi di cataratta. A Richard piacque a prima vista.

  «Quanti sono?» chiese all'uomo più giovane con voce profon­da e rassicurante.

  «Tre, padre Abate.»

  «E uno di loro ha sconfitto il primo custode?»

  «Si, padre Abate.»

  «E un altro ha risposto correttamente al secondo custode?»

  «Si, padre Abate.»

  «Allora ne resta uno per affrontare la Prova della Chiave. Fa' che lui o lei avanzi.»

  «Oh, no!» disse Porta.

  «Lasciate che io prenda il suo posto. L'affronterò io la prova» intervenne Hunter.

  Fratello Caliginoso scosse il capo. «Non possiamo permetterlo.»

  Da bambino Richard era stato portato in gita scolastica a visita­re un castello vicino a casa. Con tutta la classe aveva salito i nu­merosi scalini che portavano al punto più alto, una torre parzial­mente in rovina. Si erano ammassati tutti insieme sulla cima, men­tre l'insegnante mostrava loro la bellezza del paesaggio che si estendeva all'intorno.

  Anche a quell'età Richard non era molto portato per l'altezza. Aveva afferrato il corrimano di sicurezza e strizzato gli occhi, cer­cando di non guardare.

  L'insegnante aveva detto che il salto dalla cima della torre ai piedi della collina che dominava era di oltre novanta metri. E ave­va aggiunto che una monetina lasciata cadere dalla cima della tor­re avrebbe avuto la forza di penetrare il cranio di una persona ai piedi della collina.

  Quella notte Richard, sdraiato nel suo letto, aveva immaginato la monetina che cadeva con la potenza di una pallottola o di un fulmine. Sempre con l'aspetto di monetina, ma di una monetina cosi pericolosamente omicida, quando veniva lasciata cadere...

  Una prova.

  La monetina cadde per Richard. Era proprio una monetina di quel genere.

  «Aspettate un secondo» disse. «Ricapitoliamo. Hmmm: prova. Qualcuno ha una prova che l'aspetta. Qualcuno che non ha avuto un piccolo scontro nel fango e non si è messo a giocare a 'Indovi­nala grillo!'...»

  Stava farfugliando. Poteva sentire la sua voce farfugliare, ma proprio non gli importava.

  «Questa vostra prova,» domandò all'Abate «quanto è provan­te? Cioè, si tratta di un tipo di prova come la prova di andare a trovare una vecchia parente con un gran brutto carattere o di una prova più simile alla prova di infilar
e la mano nell'acqua bollente per vedere in quanto tempo si stacca la pelle?»

  «Da questa parte, adesso» disse l'Abate.

  «Lui non vi serve» disse Porta. «Prendete una di noi.»

  «In tre siete venuti e tre sono gli esami da superare. Ognuno di voi affronta un esame: è giusto cosi» rispose l'Abate. «Se passerà la prova, tornerà da voi.»

  Una brezza leggera attenuò la nebbia. Come Richard aveva in­tuito, le figure scure erano altri Frati Neri. Ogni frate reggeva una balestra. E ogni balestra era puntata contro Richard, Hunter o Porta. Serrarono i ranghi e Richard si ritrovò separato da Hunter e da Porta.

  «Cerchiamo una chiave...» cominciò Richard.

  «Si» disse l'Abate.

  «È per un angelo» spiegò Richard.

  «Si» disse l'Abate. Tese una mano e trovò fratello Caliginoso pronto a dargli il braccio.

  Richard abbassò la voce. «Vede, non si può dire di no a un an­gelo, soprattutto un religioso come lei... Perché non saltiamo la parte della prova? Se lei potesse consegnarmela, io poi agli altri direi che la prova l'abbiamo fatta.»

  L'Abate si incamminò lungo la parte in discesa del ponte. C'era una porta, aperta in fondo. Richard lo segui. A volte non hai alter­native.

  «Quando fu fondato il nostro ordine ci venne affidata la chia­ve. Si tratta di una delle più sante e più potenti sacre reliquie. Il nostro compito è di tramandarla, ma solo a chi supera la prova e si dimostra degno.»

  Percorsero lunghi corridoi stretti e tortuosi, con Richard che lasciava dietro di sé tracce di fanghiglia.

  «Se fallisco la prova, non possiamo avere la chiave, vero?»

  «Vero, figliolo.»

  Richard ci pensò un momento. «E potrei tornare un'altra volta per fare un secondo tentativo?»

  Fratello Caliginoso tossi.

  «No davvero, figliolo» rispose l'Abate. «Se ciò dovesse acca­dere, con ogni probabilità non saresti più molto...» esitò, poi disse «... interessato. Ma non ti crucciare, magari sei tu quello che con­quista la chiave, eh?»

 

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