Rune

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Rune Page 4

by Christopher Fowler


  — Per esempio, il fatto che tu non voglia dormire con me per­ché hai paura dell'aids — sbottò Harry, spingendo da parte il piatto.

  — I profilattici si rompono. È un dato di fatto scientifico. I test hiv non sono affidabili. Io non conosco i tuoi precedenti. Non sono una puritana, ma secondo alcuni medici, perfino i baci potrebbero comportare un rischio. In una goccia di saliva ci sono certi germi... è incredibile! — Sembrava che Hilary stesse par­lando per esperienza. Gli scoccò un breve sorriso: una farmacista prodiga di consigli, tutto formalismo e buon senso.

  — La cosa vale anche per te. Non so nulla della tua vita ses­suale.

  — Non essere sciocco. Sono praticamente vergine. Non do­vremmo parlare così. Tuo padre è appena morto.

  — Hilary, non sarà là a guardarci scopare.

  Discorso chiuso. Ancora una volta, Harry aveva guastato tut­to. Lei rifiutò il solito espresso scuotendo impercettibilmente la testa, e gelò il tavolo con un silenzio glaciale finché non usciro­no. Il conto era pornografia numerica. Harry gettò ai camerieri la carta di credito, e quelli reagirono come foche davanti a un secchio di pesce.

  Sul marciapiede, Hilary si placò un po' e gli diede un bacio breve ma tenero prima di infilarsi in un taxi. Harry sapeva che avrebbe dovuto essere più paziente con lei. Dopo tutto, come gli aveva fatto notare tempestivamente Hilary, si frequentavano da soli tre mesi... pochissimo, rispetto alla longevità dei germi tra­smessi sessualmente.

  Harry cercò il numero della porta lungo il corridoio grigio ster­minato del grattacielo, uno dei tanti casermoni che formavano quel complesso residenziale nella fascia periferica meridionale di Londra. L'edificio era'un monumento agli errori dell'edilizia po­polare. Harry guardò dietro di sé. Nessuno, né da una parte né dall'altra. Fermandosi davanti al numero 47, alzò il pugno verso la porta, poi lo lasciò ricadere lungo il fianco. Non c'era alcun motivo logico che giustificasse la sua esitazione. La faccenda era praticamente chiusa. C'era solo quell'ultimo particolare in so­speso da sistemare e dimenticare. Perché era così restio a occu­parsene? Trasse un respiro e bussò due volte. Nell'appartamento si sentì un rumore frusciante, poi alcuni passi leggeri, svelti. Una catena di sicurezza venne agganciata, e la porta fu aperta da una minuscola donna asiatica sulla cinquantina. La donna lo scrutò apprensiva attraverso la fessura, pronta ad arretrare e a chiudere la porta al primo segno di pericolo.

  — La signora Nahree? — Harry tese la mano, un gesto di ami­cizia incerto, ma non riuscì a infilarla oltre il montante della por­ta. — Le ho telefonato prima a proposito di mio padre.

  — Oh, sì. Il signor Buckingham. Entri, prego. — La signora sganciò la catena e lo precedette nell'atrio basso e buio, girando­si a controllare che la stesse seguendo. Si muoveva a scatti, come un uccello maltrattato.

  — Devo stare attenta. Mio figlio è al lavoro, e sono sola. La mia salute non è buona. Non si vive al sicuro, qui, ma non c'è al­tro posto dove andare. Posso offrirle una tazza di tè... la gradi­sce? — Aprì la porta di un salotto accogliente, pieno di sopram­mobili di ottone lucido, una stanza riservata agli ospiti, era evi­dente.

  — No, grazie. Non posso fermarmi a lungo. — Harry si lasciò guidare verso una sedia e si accomodò. — Devo tornare in uffi­cio. Volevo solo sapere cosa le ha detto mio padre.

  La signora Nahree rimase in piedi di fronte a lui, con le dita in­trecciate, ansiosa di accontentarlo. — Le dirò come ho incontra­to suo padre — esordì. — Ecco, sto tornando dopo una visita a mio figlio, lavora in una gioielleria di Regent Street, lui, quando vedo un signore anziano che corre verso di me. Non corre sul marciapiede, ma giù, nel canaletto di scolo. Piove forte, e i suoi vestiti — indicò il davanti del proprio sari — sono bagnatissimi. All'inizio non penso nulla perché, sa, dappertutto a Londra c'è gente che corre. Ma l'espressione della sua faccia è... oh, come se il diavolo in persona lo stesse inseguendo! Poi, mentre sto per attraversare la strada, lui gira l'angolo e viene dritto nella mia direzione! — La donna sgranò gli occhi, raccontando. — Ma non guarda dove va, guarda sempre dietro, e all'improvviso, barn, mi ritrovo a terra sotto la pioggia.

  La signora Nahree prese una sedia e si sedette, come se la rie­vocazione dello scontro l'avesse stancata, e tirò la parte anterio­re del sari per indicare in modo teatrale i battiti accelerati del cuore. — Non mi faccio male, ho solo il cuore in gola. Lui mi aiuta ad alzarmi, ma in fretta, e continua a non guardarmi. Sem­bra che si aspetti che delle bestie feroci saltino fuori dal nulla e ci attacchino. — S'interruppe, lo sguardo fisso su qualche immagi­ne dell'episodio rimastale impressa. — Poi mi fissa come un paz­zo, mi prende una mano, mi afferra il cappotto. All'inizio dice qualcosa che non riesco a capire. In fin dei conti, mi sto chiedendo chi è quell'uomo, e se vuole rubarmi la borsetta... è normale. Poi però sento quello che dice.

  — E cosa stava dicendo? — Harry si sporse in avanti.

  — Le Preghiere del Diavolo dice. Presto le Preghiere del Dia­volo saranno tutt'intorno a noi. Penso che sia pazzo, e ho tanta paura, ma lui mi lascia andare e riprende a correre, attraversa la strada in mezzo al traffico. Il mio spavento è grande, e mi al­lontano in fretta. Due strade, tre strade, e comincio a sentirmi meglio. Ma mentre giro l'angolo più avanti, c'è una confusione tremenda, e suo padre è a terra, morto, come se fosse stato dila­niato da bestie feroci.

  — Questo è quello che ha detto alla polizia?

  — Sì, le stesse cose che le ho detto adesso. — Terminato il racconto, la signora Nahree giunse di nuovo le mani. Harry si drizzò, perplesso.

  — Secondo lei, a cosa si sarà riferito mio padre?

  — Non so, non so. — La donna scosse decisa la testolina. — A nulla, forse. Era molto spaventato, parlava molto in fretta. L'ho detto al sergente.

  — Be', grazie per avermi ricevuto. — Harry si alzò per andar­sene. Non aveva scoperto niente di nuovo. — Se le viene in men­te qualcos'altro, potrebbe telefonarmi, se vuole. — Le porse il biglietto da visita dell'agenzia. — Il mio numero di casa è dietro.

  Tornando in ufficio, cercò di trovare un nesso tra il pazzo fra­dicio e farneticante descritto dalla Nahree e l'ometto azzimato presentatosi al tavolo del ristorante due settimane addietro. L'i­dea di incontrarsi a pranzo era stata di suo padre; voleva discute­re di una questione d'affari che a quanto pareva lo preoccupava. Prima che arrivasse la prima portata, Willie aveva spostato le po­sate, aveva piegato gli angoli dello spesso tovagliolo di lino, si era accigliato perché non approvava la quantità di vino bevuta dal figlio, aveva sbuffato, si era agitato, lamentandosi che si sen­tiva a disagio senza Beth Cleveland al proprio fianco. Esasperato come non mai, Harry non si era accorto che suo padre era assilla­to da qualcosa. Ora si rendeva conto che avrebbe dovuto presta­re un'attenzione molto maggiore alla loro ultima conversazione.

  7

  Diavoli alle calcagna

  — Primo colloquio? — chiese la segretaria.

  La ragazza di fronte alla scrivania annuì e sorrise timidamen­te.

  — Be', non sia nervosa, non c'è motivo. Il signor Meadows le piacerà. — La segretaria scandì le parole in modo esagerato, ca­so mai qualcun altro stesse ascoltando. — Tutti lo trovano simpa­tico. È proprio un tesoro. Un signore affascinante di vecchio stampo, potremmo dire, con quei suoi graziosi occhialini a mez­zaluna. E non l'ho mai visto senza camicia e cravatta. Ha sempre una buona parola per il personale. — Controllò l'orologio alle sue spalle. — Ormai non dovrebbe tardare a liberarsi. Sta facen­do un'interurbana.

  La ragazza attraversò l'anticamera e si sedette, aspettando con la borsetta stretta in grembo. La segretaria, una donna cordiale di mezz'età, tornò alle sue scartoffie. Cinque minuti dopo, guar­dò di nuovo l'orologio.

  — Pare proprio una telefonata lunga. La spia luminosa è an­cora accesa. — Battè sulla consolle telefonica con un'unghia smaltata. — Acquirenti stranieri. Non smettono mai di parlare. Il signor Meadows è il socio più anziano, però gli piace ancora ri­cevere le telefonate di persona. Attaccamento al lavoro. — Ar­ricci
ò le labbra. — Sapesse quante ore dedica alla sua attività! Scommetto che il papa ha più tempo libero di lui.

  Di nuovo silenzio. La ragazza cambiò posizione sul divano e rimase in contemplazione della parete opposta. Si schiarì la vo­ce. Dall'ufficio del signor Meadows giunse un tonfo sordo.

  — Ecco, ecco. — La segretaria controllò il centralino. — Ha riattaccato, finalmente. Sa che lei è qui. Non la farà attendere.

  — Fissarono entrambe la porta. Dall'interno giunse un rumore di porcellana rotta.

  — Ogni anno a Natale fa Babbo Natale per gli orfani — disse la segretaria, mentre nella stanza accanto si udiva un urlo soffo­cato di rabbia.

  — Un sant'uomo — aggiunse, in tono poco convincente.

  Di colpo la porta si spalancò e apparve il socio anziano del­l'azienda, un'anzianità di trentacinque anni. Aveva gli occhi spi­ritati, l'abito strappato, ed era coperto di sangue. L'ufficio alle sue spalle era praticamente a pezzi. Spessi archi sanguinolenti macchiavano le pareti bianche. Il signor Meadows gettò indietro il capo e dalle sue labbra scarlatte e lacerate scaturì un grido. Anche la ragazza e la segretaria gridarono. Poi Meadows si sca­gliò oltre le due donne e imboccò il corridoio. Ci fu un fuggifuggi di segretarie. Un giovane impiegato che reggeva un fascio di car­te venne sbattuto contro un muro.

  — Il signor Meadows è impazzito! — strillò la sua segretaria. — Qualcuno lo fermi!

  Il socio anziano lasciò dietro di sé una scia di distruzione men­tre correva. Brandiva un tagliacarte, e sembrava che si fosse col­pito parecchie volte con quell'oggetto. Ringhiò e minacciò tutti quelli che gli si avvicinavano. Mentre alcuni membri del persona­le avanzavano verso di lui con le braccia protese, socchiuse gli occhi con un'espressione di astuzia folle, sgattaiolò tra di loro e scese le scale.

  — Chiamate la sicurezza — urlò qualcuno. — Impeditegli di lasciare il palazzo prima che uccida qualcuno!

  Nel parcheggio sotto l'edificio, sentendo il rombo del motore V-8 su di giri, Walter alzò lo sguardo dal cruciverba. L'anziano custode avrebbe riconosciuto ovunque il rumore di quell'auto. Si alzò e sbirciò dalla guardiola, ma non vide nulla nell'oscurità creata dal neon di fronte a lui. Stava tornando a sedersi quando uno stridio lacerante di pneumatici echeggiò nell'enorme bunker di cemento. Impossibile che ci sia il signor Meadows al volante pensò Walter. Non svolterebbe mai in questo modo.

  Stava ancora riflettendo su quell'enigma, quando la lucente Jaguar verde piombò sulla fragile guardiola, sfondandone le pa­reti in un'esplosione di schegge. Walter fece appena in tempo a scorgere la faccia stravolta di Meadows dietro il volante, prima di essere scagliato da parte in una pioggia di frammenti di vetro e metallo.

  La Jaguar balzò nella via con un clangore d'acciaio, spaven­tando gli automobilisti che tornavano a casa dal centro. Poi, col clacson strombazzante, attraversò due corsie e proseguì lungo Cannon Street, allontanandosi contromano da Ludgate Circus.

  La prima segnalazione arrivò a West End Central dopo che un autobus a due piani che si trovava sul cammino della Jaguar fu costretto a salire sul marciapiede sfondando la vetrata di un pub affollato. Quando le auto della polizia cominciarono a converge­re nella zona, la vettura di Meadows stava sfrecciando sull'asfal­to bagnato all'incrocio principale di fronte alla Torre di Londra. Veicoli e pedoni si dispersero in ogni direzione mentre la Jaguar superava due semafori rossi. Strisciando col fondo contro l'orlo del marciapiede, tra una pioggia di scintille, la macchina attra­versò rombando una marea di traffico che frenava, dirigendosi verso il Tower Bridge. Un'auto della polizia si bloccò di traverso in mezzo alla strada nel tentativo di sbarrare l'accesso al ponte.

  Con un urlo selvaggio, Meadows pigiò l'acceleratore lancian­do la Jaguar a oltre centodieci chilometri all'ora. Il limite di velo­cità sul ponte era di venticinque chilometri orari. Uno degli agenti osservò esterrefatto l'auto che continuava la sua corsa. Ri­mase a bocca aperta quando si rese conto che non si stava affatto dirigendo verso il ponte. Mentre afferrava il microfono della ra­dio, la cacofonia che seguì coprì la sua voce.

  La Jaguar superò la sommità della traversa a lato del ponte, mettendo in rotta alcuni turisti del Tower Hotel, e schizzò oltre la bassa ringhiera in fondo alla strada, piombando nelle acque turbinose del fiume.

  Alcuni secondi dopo, non rimaneva più alcuna traccia di Mea­dows e dell'auto: solo un vortice di bolle che luccicavano sulla superficie screziata del Tamigi.

  8

  Causa della morte

  Daily Mail

  Giovedì 17 aprile

  uomo d'affari impazzito

  "era affetto da grave depressione"

  L'amministratore di un'avviata ditta di vendite per corrisponden­za, che ieri pomeriggio ha seminato il terrore in città, era descrit­to dai colleghi come un uomo allegro e spensierato. Ma sotto la sua facciata serena si celavano impulsi distruttivi letali in attesa di affiorare. Arthur Meadows, 57 anni, era preoccupato perché te­meva che non ci sarebbe più stato posto per lui nella società quando fosse iniziato il processo di ristrutturazione previsto per l'estate. Recentemente, la sua azienda era stata assorbita dalla multinazionale odel, in rapida espansione in Gran Bretagna. Stando a quanto ci è stato rivelato da persone in possesso di in­formazioni riservate, forse sarebbe stato avviato un programma di snellimento che avrebbe interessato i reparti di Meadows e di altri dirigenti anziani. Un medico della compagnia ha dichiarato di avere curato recentemente per un attacco di depressione grave l'uomo che i membri del personale definivano il loro "zio buo­no". La furia omicida di Meadows ha provocato tre morti e di­ciassette feriti, prima che la sua auto superasse la ringhiera della banchina e piombasse nel Tamigi, uccidendo il conducente al­l'istante. I sommozzatori della polizia dovrebbero recuperare il corpo di Meadows entro oggi.

  * Deputato chiede guardrail sul lungofiume. Segue a pagina 7

  Ad Arthur Bryant piaceva sedere nella sala rapporti all'inizio della giornata lavorativa e osservare, mentre si registravano le attività della notte precedente e si adottavano le misure del caso. Come al solito, si piazzò dietro una delle scrivanie libere con in mano una tazza di tè amaro color mogano e seguì le chiamate, piegando il capo, massaggiandosi distrattamente la testa calva mentre ascoltava. Era uno dei rituali che gli sarebbero mancati maggiormente quando avesse lasciato il corpo di polizia.

  Quella mattina tutti parlavano del suicidio di Meadows. Era su tutti i giornali. Il Times mostrava una mappa del percorso deva­stante di Meadows, e il Sun offriva ai suoi lettori un paginone centrale con la foto della cognata dell'estinto, una mannequin ri­tratta in biancheria intima.

  Bryant fu affascinato dall'ingegnosità dei vari resoconti. Alla ba­se di ogni articolo c'era un'unica, semplice domanda. Perché una persona ritenuta normale avrebbe dovuto fare una cosa simile?

  John May si sbottonò la giacca e la buttò su una sedia vuota. Guardò il suo partner, che scompariva quasi tra le spire di una enorme sciarpa di lana e le pieghe voluminose del cappotto mar­rone malconcio. Bryant alzò il capo, contrariato dall'interruzio­ne. Le rughe attorno agli occhi e il naso piccolo e piatto gli confe­rivano l'aspetto di una tartaruga svegliata in pieno letargo. Fissò brevemente May, osservandone l'elegante abito grigio di taglio moderno, e notò la zazzera bianca che scendeva sul colletto del collega.

  — Sai, Arthur, credo che tu ti stia restringendo — disse disin­volto May. — Sei decisamente più piccolo rispetto all'estate scorsa. O hai cominciato a comprare vestiti di taglia superiore al­la tua?

  — Sto cercando di invecchiare con garbo. Questo è un vestito classico — replicò Bryant, frugando tra le pieghe dell'abito e mo­strando un risvolto di tweed. — Finito a mano, non come quello straccio confezionato di Oxford Street che hai addosso. Ti è morto il barbiere? Cosa vuoi?

  — Mi spiace disturbarti. — May si sedette accanto al collega. — So che questa è la tua mezz'ora di tranquillità...

  — Oh, figurati. — Bryant spinse via i giornali. — Stavo leg­gendo di quel Meadows. Una faccenda molto interessante. C'è sotto
più di quel che sembra. Peccato che non abbia fracassato la sua auto da queste parti. — Sfortunatamente, il caso era fuori dalla loro giurisdizione.

  — Non preoccuparti, sarai già abbastanza occupato. È arriva­ta la conferma riguardo il tipo del canale... Henry Dell. La sua ex moglie ha appena identificato il cadavere.

  — Quando l'ha visto per l'ultima volta?

  — Tre settimane fa. Ha la custodia dei figli, e lui era andato a trovarli. I precedenti sono tutti piuttosto prevedibili. Viveva so­lo, dirigeva una piccola azienda...

  — Avviata?

  — Non aveva presentato nessuna istanza di fallimento. Se­condo la moglie, non era il tipo da ammazzarsi. Si occupava di materiale video, con un paio di negozi in ottima posizione. Mi piacerebbe che venissi con me nel suo appartamento, se hai tempo.

  — Perché, ti aspetti qualcosa di insolito?

  — Direi proprio di sì. Abbiamo il rapporto del laboratorio sui suoi indumenti.

  — Hai già dato una sbirciatina, immagino. — Bryant guardò il collega e scorse uno scintillio d'interese inconsueto nei suoi oc­chi.

  — Ricordi i pezzi di paglia che abbiamo trovato attaccati alla giacca? Non corrispondevano a nessuno dei campioni presi lungo il canale, però con un controllo computerizzato la scientifica è riuscita a identificare parecchi microbi presenti nella paglia. — May si sporse in avanti con un sorriso furbesco. — Questa è la parte che ti piacerà, Arthur. Dimmi, cosa sai dell'impala?

  — È un modello d'auto della Chevrolet.

  — L'animale, stupido.

  — Nulla. Perché?

  — Stando a questo — May battè sul rapporto — l'impala ap­partiene alla famiglia dei bovidi, è una veloce antilope che vive nelle savane dell'Africa centrale e meridionale.

 

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