Rune

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Rune Page 25

by Christopher Fowler


  A quell'ora notturna, le fabbriche e i magazzini bui tra la stra­da e il fiume assumevano l'aspetto di caseggiati abbandonati. Davanti a lui, enormi tabelloni pubblicitari dominavano il pae­saggio urbano in rovina coi loro messaggi sproporzionati, pre­sentando immagini promozionali di un modo di vivere negato ai derelitti che si arrangiavano a dormire là sotto.

  Mentre l'asfalto luccicante scorreva sotto le ruote della bici­cletta, Frank si accorse che dietro di lui stava arrivando un vei­colo. Un autoarticolato lo superò diretto a New Covent Garden, stringendolo in curva e obbligandolo a sterzare contro il marcia­piede. Frank frenò bruscamente, arrestandosi, e il suo grido rab­bioso si perse nel frastuono del tubo di scappamento del camion. Piegandosi, controllò la luce del manubrio. Funzionava. Il ca­mionista non lo aveva visto. Tipico, pensò. Targa tedesca. Era quello l'aspetto peggiore del rientro a casa lungo quel percor­so... i camionisti in viaggio per il continente si comportavano co­me se la strada fosse solo loro. Avrebbe potuto lasciarci le pen­ne. Portandosi sulla carreggiata, Frank montò in sella e ripartì. Velate dalla pioggia, le luci di Nine Elms gli indicavano la via di casa.

  John May aveva studiato il fascicolo di Harry Buckingham. Ora chiuse la cartella di cartone e lo restituì a Janice. — Prima suo padre, poi la sua segretaria, poi il socio del padre e adesso la sua fidanzata — disse. — Non m'importa se ha un alibi più solido delle palle di una statua, voglio che sia fermato e tenuto agli ar­resti. Qualsiasi pretesto va bene, purché rimanga sotto chiave finché non avremo risolto questa faccenda.

  — Vuoi che mandi subito qualcuno? — Janice aveva appena ricevuto una chiamata di May che le aveva chiesto di raggiunger­lo nel suo ufficio. L'indagine aveva raddoppiato il carico di lavo­ro del sergente. Occuparsi di Harry Buckingham era l'ultima co­sa che desiderava, quella notte.

  — Possiamo aspettare fino a domattina. — May controllò l'o­rologio digitale. Ancora dieci minuti e sarebbe stato giovedì. La sala operativa grazie al cielo era tranquilla. Ai piani di sotto, era rimasto un gruppetto di uomini del turno di notte.

  — Non credi davvero che ci sia lui dietro questa storia, eh? — chiese Janice. Nelle ultime cinque ore, aveva coordinato i collo­qui con gli amministratori delle compagnie di distribuzione di videotape, e sembrava ancora vispa e riposata. Il lavoro notturno le si addiceva. May aveva dimenticato cosa fosse l'energia giova­nile. Di colpo, si sentì stanchissimo e, nonostante il fresco della stanza, bisognoso di una doccia.

  — Buckingham è implicato, eccome: in rotta col padre, scari­cato a quanto pare dalla fidanzata. Ma più che un colpevole è un bersaglio. Almeno finché è là fuori, hanno qualcuno da prende­re di mira.

  — Non c'era nulla tra lui e la segretaria — disse Janice. — Com'è andato l'esame dell'appartamento di Hilary Mason?

  — Nessuna impronta digitale, tranne le sue. Il tappeto del sa­lotto era spostato, come se qualcuno l'avesse spinto. O è caduta contro il vetro, il che sembra improbabile...

  — Perché?

  — I piombi dell'intelaiatura erano stati rinforzati con lamine d'acciaio. Non si sarebbero rotti facilmente. La ragazza deve es­sere corsa verso la finestra, spingendo indietro il tappeto in que­sto modo.

  — Non capisco — fece Janice. — Se vuoi gettarti da un edifi­cio, prima apri la finestra.

  — Non importa. Abbiamo trovato qualcosa di ben più impor­tante. — May prese un mazzo di chiavi e aprì il cassetto in basso della scrivania. Posò attentamente tra loro la busta di plastica chiusa da una lampo. All'interno, Janice vide il rettangolo nero di un videotape senza etichetta.

  — Come fai a sapere che è uno dei nastri infetti?

  — Non lo sappiamo, però sembra molto probabile. Era nel suo videoregistratore, ed era scorso fino in fondo. Domani i tec­nici lo smonteranno e lo analizzeranno. Speriamo di avere una risposta entro mezzogiorno.

  — Qualche indizio circa l'origine? A me sembra un normale nastro da tre quarti di pollice. — Janice alzò la busta e lo osservò attraverso la plastica. Lo soppesò. — È molto leggero.

  May indicò alcuni numeri stampati sul margine sinistro del dorso del videotape. — Dura solo venti minuti. È un formato che in genere non è in vendita al pubblico. Lo usano le reti tele­visive e gli studi pubblicitari, per gli spot e i servizi filmati.

  — Almeno, questo restringe il campo delle indagini.

  — Purtroppo, no. Ci sono milioni di questi maledetti nastri, in circolazione. — May guardò Janice in tralice. — Dio, mi piace­rebbe guardarlo subito... a te, no?

  — Sì, ma non lo faremo. — Il sergente si alzò. — Sembri stanco morto. Vuoi un po' di caffè?

  — Grazie. — Janice s'incamminò verso il distributore automa­tico sul pianerottolo con la grazia di un samurai che partisse per un'impresa eroica. A May piaceva guardarla. L'ispettore Hargreave era un uomo molto fortunato...

  Un movimento all'estremità della sala attirò la sua attenzione. Qualcuno aveva buttato qualcosa nell'angolo? Vide il luccichio della finestra che oscillava al vento. Qualche minuto prima, era chiusa. La pioggia picchiettava di scuro il pavimento ocra.

  Mentre May si sporgeva in avanti per vedere, qualcuno lo af­ferrò per il collo. Il detective tentò di divincolarsi, ma le braccia possenti lo bloccarono, e una mano gli schiacciò la gola, mozzan­dogli il respiro prima che potesse gridare. May rannicchiò le gambe contro la scrivania e spinse indietro la sedia, addosso al­l'aggressore. Un pugno calò dall'alto, centrandogli con forza la gola. Cercò di far uscire un suono dalle labbra, si accorse che delle dita gli chiudevano la bocca, le morsicò.

  La sedia cadde all'indietro, le braccia lo mollarono. Rovinò sul pavimento e vide una figura in jeans neri e felpa con cappuc­cio che sfrecciava attorno alla scrivania e afferrava il sacchetto contenente il videotape. Una lieve sensazione di bruciore gli sbocciò nel petto mentre cercava di alzarsi... delle fitte si irradia­rono dallo sterno alla spalla sinistra.

  Fuori dall'ufficio, Janice aveva sentito il baccano. Lasciando cadere il caffè, si produsse in uno scatto che le avrebbe consenti­to di raggiungere rapidamente la figura in fuga, se il ladro non si fosse girato spingendole davanti una scrivania. I cassetti si aprirono, sbattendole contro le ginocchia. Mentre osservava Janice che incespicava e barcollava, May capì che il nastro era perduto. Il ladro era troppo vicino alla scala di sicurezza, e non c'era nes­suno a sbarrargli il passo. Poi si rese conto che si poteva raggiun­gere il pianterreno in un altro modo. Ignorando il dolore al pet­to, andò in corridoio ed entrò nel montacarichi aperto, chiuden­do il cancelletto dietro di sé.

  Arrivò al pianterreno proprio mentre il fuggitivo raggiungeva la base della scala. Aprendo il cancelletto del montacarichi, sen­tì che Janice stava avvicinandosi scendendo anch'essa le scale. L'intruso avrebbe dovuto battere il codice di sicurezza della por­ta per uscire in strada. Se conosceva quei quattro numeri, sareb­be potuto sgattaiolare in un vicolo dileguandosi in un attimo. Dato che era riuscito a penetrare nell'edificio, probabilmente sa­rebbe stato in grado di svignarsela con pari efficienza.

  May uscì dal montacarichi e si avvicinò alla figura incappuc­ciata, che gli volgeva le spalle, impegnata ad armeggiare con il pannello elettronico della serratura.

  — John! — gridò all'improvviso Janice. — Non farlo, potreb­be essere armato!

  May vide le proprie mani tremanti che si allungavano e affer­ravano le spalle del ladro, sentì gli spasmi atroci che gli si espan­devano nel petto ma, prima che riuscisse a urlare, il corridoio on­deggiò e si oscurò, una miriade di puntini luminosi di dolore gli esplose davanti agli occhi, e i sensi fortunatamente lo abbando­narono.

  Al primo piano, Janice Longbright raggiunse zoppicando un telefono e chiamò l'agente di guardia del turno di notte, talmen­te furiosa da non sentire nemmeno il dolore alle gambe. Dal bas­so, le giunse il ronzio della porta che si apriva dopo che era stato formato il codice numerico esatto. L'agente di guardia rispose al quinto squillo.

  — Parla Longbright — urlò Janice, sapendo che le sue istru­zioni non sarebbero servi
te a nulla se prima npn si fosse qualifi­cata. — Un uomo è appena uscito dall'ingresso laterale... felpa nera con cappuccio e jeans... ha un po' di vantaggio. Qualcuno lo fermi. Potrebbe essere armato.

  Poi corse in fondo alla scala e raggiunse il punto dove May era caduto. Le labbra del detective stavano diventando grigie. Sem­brava che riuscisse appena a respirare. Janice si inginocchiò e gli slacciò il colletto, si tolse la giacca e lo coprì. Stava per tornare al telefono, quando due agenti apparvero sulla scala.

  — Non state lì impalati, chiamate un'ambulanza! — tuonò ai subalterni sorpresi. — Ha un attacco cardiaco. — Poi prese delicatamente la testa del detective tra le mani e pregò in silenzio, mentre la smorfia sul viso di May scompariva e i suoi occhi si chiudevano lentamente.

  Frank Drake era arrivato a casa bagnato fradicio.

  Toltisi i vestiti, li aveva gettati nel sacco della biancheria spor­ca e si era infilato a letto, esausto. E adesso non riusciva a dormi­re. Nonostante la finestra fosse semiaperta e il pavimento si stes­se bagnando di pioggia, gli sembrava che facesse ancora troppo caldo. Si girò su un fianco, trascinando con sé il lenzuolo. Aveva le braccia e le gambe bagnate di sudore. In lontananza, una sire­na della polizia lanciò un gemito elettronico ripetitivo. La testa gli pulsava, come se si fosse appena svegliato con i postumi di una sbornia. Decise di sforzarsi di rimanere immobile, di sentire il cuscino premuto leggermente sulla faccia. Da un punto del fiu­me, una chiatta emise un suono lugubre. Chiuse gli occhi, la­sciando che l'oscurità entrasse in lui.

  Il fruscio del tessuto sul suo corpo lo destò di colpo. Qualcuno aveva tolto il lenzuolo dal letto!

  Si drizzò a sedere e cercò a tastoni la luce. Mentre stringeva l'interruttore, il cavo gli fu strappato dalle dita e la lampada gli schizzò davanti al viso infrangendosi contro la parete.

  Col cuore che martellava, Frank balzò in piedi. C'era qualcu­no nella stanza. L'alone fioco di luce al sodio del lampione in strada che lambiva il letto rivelò i contorni dell'intruso. Era tra la parete e il guardaroba, le gambe leggermente divaricate, le brac­cia all'altezza della cintola. Anche se i suoi lineamenti erano ce­lati dall'oscurità, Frank lo riconobbe subito. Quasi in punta di piedi, andò verso la porta e afferrò la maniglia.

  Lo scatto della serratura attirò l'attenzione della sua nemesi. La testa si girò lentamente rivelando la faccia inesistente, il palli­do corpo muscoloso si flette per affrontarlo, e la creatura si lan­ciò verso di lui. Urlando di paura, Frank spalancò la porta e cor­se sul pianerottolo, ma non prima di avere visto l'avversario da vicino.

  Era l'essere dei suoi incubi infantili, quello che gli appariva nelle ore più gelide della notte per dar forma alle sue paure più atroci. Quante volte si era svegliato singhiozzando terrorizzato, supplicando i genitori di lasciarlo entrare in camera loro!

  Nudo sul pianerottolo, ansante, Frank ebbe l'impressione che gli anni intercorsi fossero svaniti tutt'a un tratto, gli sembrò di es­sere di nuovo un bambino gracile e spaventato. La porta della camera da letto si aprì cigolando, e la figura dell'uomo si stagliò contro il chiarore della strada. Era avvolto dalla testa ai piedi nel lenzuolo, come una mummia; nessuna parte del corpo era visibi­le. Frank sapeva che stava aspettando che il suo coraggio venisse meno, che lui si voltasse e fuggisse. Gli avrebbe lasciato raggiun­gere la sommità delle scale e poi gli si sarebbe attoreigliato ai piedi, facendolo precipitare.

  Frank si asciugò la fronte col dorso della mano e fece un passo avanti. La creatura fasciata si bilanciò sulla soglia, poi alzò la te­sta senza volto e lasciò ricadere le mani ai fianchi. Lo stava sfi­dando ad attaccare per primo.

  Frank si scagliò sul corpo della creatura. La paura infantile trovò conferma quando le sue mani strapparono via il lenzuolo scoprendo un guscio vuoto di tessuto, un essere fatto soltanto del lenzuolo stesso, un uomo vuoto che adesso agitava gli arti di tela bianca contro i suoi nell'intimità della morte.

  E con la stessa rapidità con cui era stata evocata, l'apparizione si dissolse: rimase un lenzuolo e nient'altro. Frank si accasciò contro la ringhiera, boccheggiando. Solo un'allucinazione. Pro­vocata dal nastro, ne era certo. Ma le immagini che aveva visto erano rovesciate, così l'incubo era stato imperfetto, incompleto. Per il momento era salvo. Ma doveva stare in guardia. Decise di accendere tutte le luci della casa e di rimanere sveglio fino al sor­gere del sole.

  37

  Territorio nemico

  Grace si svegliò di soprassalto e gli diede un colpetto nelle costole. — C'è qualcuno alla porta. Cosa devo fare?

  La figura accanto a lei si mosse appena. Grace gli strinse una spalla e scosse forte. Harry aprì un occhio arrossato. La notte prima aveva affogato nella vodka la sua rabbia per la morte di Hilary. Grace aveva accettato di rimanere a casa sua, e aveva passato gran parte della nottata guardandolo dormire. Il campa­nello suonò ancora, e la ragazza si alzò e cercò qualcosa da in­dossare.

  — No, aspetta. Meglio che vada io. — Harry si districò dalle lenzuola, andò alla finestra e aprì gli scuri. Un attimo dopo, ri­chiuse.

  — È la polizia. — Cominciò a cercare i vestiti, gettati perlopiù alla rinfusa ai piedi del letto. — Vorranno ancora portarmi al commissariato. Dovrai occupartene tu. Non lasciarli salire, assolutamente.

  Grace si affrettò a infilare la vestaglia di Harry. — Cosa devo dire? Non è casa mia. E se insistono e vogliono entrare?

  — Digli qualsiasi cosa, ma sbarazzati di loro. Devo essere li­bero di andare da Carmody stasera.

  Grace sapeva che aveva ragione. La segretaria di Daniel Car­mody aveva telefonato il giorno prima per definire i particolari della sua visita nel weekend. Harry doveva affrontare il magnate se voleva fugare i sospetti che gravavano su di lui, era l'unica possibilità che aveva.

  — Ci penso io. — Il campanello suonò una terza volta. — In­venterò qualcosa. Tu non fare rumore.

  Alcuni minuti dopo, tornò e bussò alla porta del bagno. — Tutto a posto — annunciò. — Puoi uscire, adesso.

  — Un minuto. Cosa gli hai detto?

  — Che per quel che ne sapevo io, dovevi andare a trovare de­gli amici in campagna per il fine settimana.

  — Stupida, è proprio quello che farò.

  — In campagna... nel Galles del nord.

  — Ritiro tutto. Come hai giustificato la tua presenza qui?

  — Ho detto che badavo alla casa fino al tuo ritorno. Gli ho da­to un indirizzo battuto a macchina come tuo recapito.

  — E dove l'hai preso?

  — L'ho staccato da una stampa pubblicitaria che era sul tavoli­no dell'ingresso. Li ho mandati alla sede centrale del Reparto Offerte Speciali dell'American Express. Immagino che poi si rivolgeranno al tuo ufficio.

  — Non scopriranno nulla. Ho organizzato tutto di persona. Permesso straordinario fino a lunedì. Sharpe sa che vado da Carmody, ma non parlerà.

  — Come fai a esserne così sicuro?

  — Sharpe sarebbe disposto a morire pur di impedire che la po­lizia si presenti alla porta del suo nuovo cliente con un mandato di perquisizione.

  Grace tornò in camera da letto e osservò l'auto della polizia che si allontanava. — Prima lasci Londra, meglio è. Non puoi anticipare la partenza?

  — Penso di sì. — Harry uscì dal bagno avvolto in un asciuga­mano. — Mi ha invitato a fermarmi fino a domenica.

  Grace gli asciugò la schiena. — L'importante è che tu non per­da le staffe con lui, o rovinerai tutto. Hai solo questo tentativo a disposizione.

  — Non ho nemmeno un piano, per ora — confessò Harry. — Suppongo che dovrei perquisire la sua casa e cercare qualche prova documentale.

  — Se vuoi, verrò con te fino a Norwich e mi fermerò in un al­bergo. Potresti sempre uscire di nascosto e passarmi quello che trovi.

  — Troppo rischioso. Sarai più al sicuro qui. Ma mi raccoman­do, non aprire la porta se proprio non devi, e non accettare nulla da sconosciuti. Se andasse storto qualcosa, ci serve un segnale. — Harry gettò la borsa da viaggio sul letto e aprì la cerniera. — Tre squilli di telef
ono se sarò in guai seri, sarà quello il segnale. Dovrai chiamare la polizia e mandarla da Carmody.

  — Altre persone sapevano cosa stava combinando, eppure è riuscito a colpirle ugualmente — disse Grace. — Cosa ti fa pen­sare che la polizia potrà aiutarti?

  Frank Drake si drizzò sulla sedia della cucina e si massaggiò la schiena. Era tutto indolenzito. Immagini di demoni avevano in­festato il suo sonno intermittente, ma adesso la notte era finita, e lui era sicuro che la giornata che lo attendeva non gli avrebbe ri­servato altre terrificanti sorprese. La luce diurna, grigia ma con­fortante, riempiva gli angoli della stanza. Con uno scricchiolio di articolazioni, Frank si alzò e fece bollire l'acqua per il tè, riflet­tendo sul da farsi.

  Prima chiamò Grace per parlarle del contenuto del nastro e metterla in guardia, ma non rispose nessuno. Poi telefonò a Dorothy, ma a quanto pareva era già uscita per recarsi in biblioteca. Mentre andava in bagno, fu costretto a passare accanto al len­zuolo aggrovigliato, e si chiese che ruolo avesse avuto la sua im­maginazione nell'episodio notturno. Ma, si fosse o no animato brevemente quell'uomo vuoto, Frank non riuscì a toccare il tes­suto sagomato ancora steso sulle scale in posizione fetale, come la pelle di una lucertola passata attraverso la muta.

  Daniel Carmody abitava in una grande villa elisabettiana di mattoni chiari coperta di rampicanti, circondata da acri di umida campagna del Norfolk. Svoltando verso la casa, Harry alzò lo sguardo attraverso il parabrezza provando una certa soggezione, mentre le betulle germogliate che fiancheggiavano il viale si apri­vano come un sipario mostrando una scena immutata da secoli. Solo il cortile ghiaiato da poco, sotto le finestre a colonnine e i frontoni a gradini, definiva l'epoca, perché lì era parcheggiato uno schieramento spettacoloso di Bentley, Rolls-Royce e Daimler. Quei giocattoli da ricchi, con le loro finiture cromate scintil­lanti, stonavano con i tenui colori terrosi dello sfondo murario.

 

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