Slan Hunter

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Slan Hunter Page 4

by Kevin J. Anderson


  Al termine del corridoio Jommy e Kathleen trovarono una porta che conduceva a una ripida scala di cemento. Prima che potessero aprirla delle sonore sirene d'allarme squillarono all'interno del palazzo, segnalando un'emergenza di livello uno.

  «Com'è possibile che abbiano già scoperto che siamo fuggiti?» disse Kathleen, aspettandosi che un altro stuolo di guardie sopraggiungesse per cat-turarli. «Sono trascorsi appena pochi minuti...»

  Jommy s'irrigidì. «L'emergenza non è per la nostra fuga. Assolutamente.» Un istante dopo, le sirene furono accompagnate dal suono lacerante di un allarme aereo. «I senzantenne! Il loro attacco è iniziato!»

  5

  Jem Lorry aveva vissuto tra gli umani per la maggior parte della vita, fingendo di essere uno di loro. I suoi schermi mentali erano perfetti. Inserito strategicamente nel governo terrestre e facendo carriera grazie alla propria intelligenza (e a qualche assassinio necessario), era diventato il più stretto e il più influente consigliere di Kier Gray. Nello svolgimento sicuro dei piani dei senzantenne, presto sarebbe dovuto diventare lui stesso il presidente.

  Ora, da Marte, Jem stava organizzando la caduta della Terra.

  Sul pianeta rosso i senzantenne avevano creato qualcosa di più di una semplice base strategica e di un nascondiglio. La terza razza dell'umanità aveva forgiato un'intera civiltà con avamposti, insediamenti e complessi industriali attorno a Cimmerium, la città centrale che sorgeva su un canyon. Dal punto in cui Jem si trovava all'interno della grande sala a volta, il sole lontano penetrava nel soffitto di vetro che copriva interamente il vasto canyon. Una grande città blindata affollava le piane abitabili sull'orlo della gola profonda, ma i senzantenne di rango superiore e i più ricchi avevano costruito un dedalo di fabbricati nell'aspra parete del dirupo sotto la volta trasparente.

  La gente di Jem aveva una capacità mentale superiore rispetto agli umani, pur avendo doti telepatiche notevolmente limitate rispetto ai veri slan.

  Nessuno, né Jem Lorry, né l'Autorità senzantenne, probabilmente neppure gli stessi slan, sapeva dove o come avessero avuto origine i senzantenne. I veri slan si erano sollevati contro di loro, avviando quello che equivaleva a un genocidio per eliminare i loro fratellastri genetici. Jem non sapeva perché i veri slan li odiassero tanto, ma il sentimento era sicuramente reciproco e lui non aveva bisogno di spiegazioni.

  Soddisfatto che l'attacco in grande stile alla Terra stesse finalmente per cominciare, Jem era di fronte ai sette membri dell'Autorità senzantenne aspettandosi di ricevere plausi meritati. L'intero attacco era stato un parto della sua mente. Jem Lorry si era sacrificato parecchio per arrivare a quel punto, e intendeva ottenere ciò che gli spettava. I membri del consiglio lo guardarono dall'alto con volti inespressivi.

  La sala dell'Autorità era come un'antica arena romana. Quando tutti i senzantenne si radunavano per assemblee di primaria importanza, migliaia di cittadini occupavano gli spalti concentrici fissando il podio centrale sotto di loro, ascoltando petizioni e progetti, osservando l'Autorità che emet-teva il proprio giudizio.

  Oggi, però, Jem era tutto solo nella vasta sala, e fissava dal basso i sette uomini. Avrebbe preferito un pubblico acclamante. Dopo la vittoria certa grazie a lui, i senzantenne avrebbero sicuramente applaudito i suoi sogni e le sue ambizioni. Avevano aspettato, tramato e organizzato piani per troppo tempo ormai. Solo alcuni, come i tediosi membri dell'Autorità, raffred-davano l'entusiasmo parlando di cautela e pazienza, parole dietro cui si ce-lava a stento la loro codardia.

  «L'attacco iniziale è cominciato» annunciò Jem. «Le navi della nostra avanguardia armate di tutto punto hanno raggiunto la Terra nell'ultima ora.

  In questo momento i nostri combattenti staranno bombardando le loro città. È ora che lanciamo la nostra flotta di occupazione, molto più grande.

  Tutte quelle navi e quelle truppe avranno bisogno di una settimana per arrivare sulla Terra. La vittoria è quasi sicura.»

  «Nulla è mai sicuro, figliolo, finché non è successo» replicò Altus Lorry, il padre di Jem. Il vecchio capo dell'Autorità aveva una testa che sembrava troppo grande per stare in equilibrio sul peduncolo bargigliuto del collo.

  Con la chioma irsuta che gli conferiva un aspetto leonino Altus Lorry era un grande leader che aveva trascorso la vita cimentandosi con la politica tra i più influenti senzantenne di Cimmerium. Ma non aveva una conoscenza reale del nemico umano.

  Jem si sforzò di mantenere un'espressione neutra. «Ti esorto ad ascoltare le mie raccomandazioni, padre. Non lo merito, forse? Ho vissuto per anni in mezzo agli umani. Conosco tutti i sistemi che abbiamo approntato.»

  Non riuscì a nascondere del tutto la propria impazienza. «Non mi sorprende che dopo anni di vita comoda su Marte tu e gli altri membri dell'Autorità vi sentiate soddisfatti e appagati. Avete paura di cose che non dovete temere, e diffidate di quello che non rappresenta alcuna minaccia. Soprav-valutate esageratamente gli umani.»

  Altus rise, ma non era una risata divertita. «Meglio stare al sicuro che pentirsi poi della propria imprudenza, figliolo, come ben sai.»

  «No, a dire il vero, non lo so! Voi siete sempre stati al sicuro qui, ma io non mi sono mai pentito di quello che ho fatto o realizzato.» Jem avvertì dell'inquietudine tra i membri dell'Autorità, e la cosa lo fece arrabbiare. Se non avessero agito in fretta il loro subitaneo vantaggio a poco a poco sarebbe scemato. «Mentre la prima fase dell'attacco sgretola il governo e la loro capacità di resistere, dobbiamo lanciare la flotta d'occupazione principale. È necessaria la presenza delle grandi navi e delle nostre forze di terra schiaccianti per consolidare il nostro controllo.»

  Non molto tempo addietro, Jem aveva assistito al lancio da Marte di centinaia e centinaia di lucenti navi da guerra dell'avanguardia che avevano sollevato cortine di polvere rossa ed eruttato nubi di vapore e gas di scarico. Si erano alzate nel cielo, entrate in orbita e solcato lo spazio come squali che avessero fiutato sangue nell'acqua. Il sangue degli esseri umani normali.

  E quella era solo la prima ondata dell'attacco.

  Adesso la grandinata iniziale di bombe devastanti stava cadendo sulle principali città terrestri. Finalmente Jem avrebbe vendicato la sua gente che secoli prima era stata costretta a fuggire lì e a nascondersi. I senzantenne alla fine avrebbero ottenuto quanto era loro dovuto. Allora perché rinviare la partenza della flotta di occupazione?

  «Pazienza, figliolo.» Il vecchio senza volerlo aveva un atteggiamento sussiegoso. «Intendiamo farlo. La flotta di occupazione inizierà il viaggio entro domani. O domani l'altro.»

  Jem trasse un profondo respiro. L'Autorità senzantenne era sempre stata un ostacolo alle sue ambizioni. Inevitabilmente, prima di riuscire a realizzare qualcosa di valido, Jem avrebbe dovuto sostituire i vecchi membri con un gruppo più intraprendente. Oppure avrebbe dovuto abolire una volta per tutte l'Autorità. A che serviva un consiglio di sette membri quando un unico leader visionario un re, in mancanza di un termine migliore avrebbe potuto svolgere il compito in modo assai più efficiente?

  «Un altro fattore rende la nostra scelta di tempo impeccabile.» Jem aveva smesso di pensare a se stesso come a un postulante che chiede il permesso. Immaginava di essere un grande generale, con l'esercito dei senzantenne sotto il suo comando. Stava semplicemente informando della situazione l'Autorità. «La Terra stessa è in tumulto. Il presidente Kier Gray è appena stato arrestato e smascherato come un vero slan. Nemmeno io l'ho mai sospettato! Il vuoto di potere li indebolisce ancora di più. Riusciranno a malapena a organizzare una difesa, ve lo garantisco. Ma solo se noi ci muoviamo adesso. »

  Il risentimento di Jem nei confronti di Kier Gray era personale più che politico. Jem era innamorato di Kathleen (o forse più che "amore" il termine giusto era "concupiscenza", anche se lui usava le parole in modo inter-cambiabile). Aveva presentato argomenti persuasivi al presidente, sostenendo (falsamente, come ben sapeva) che l'incrocio con gli slan avrebbe attenuato i loro tratti mutanti e trasformato di nuovo i loro discendenti in

  "persone vere". Invece Jem sapeva che i caratteri genetici slan eran
o dominanti, e intendeva introdurre le facoltà superiori di Kathleen direttamente nella razza senzantenne.

  «E quell'uomo di nome John Petty, il capo della polizia segreta?» chiese Altus. «Lo hai descritto come un funzionario potente. Forse lui radunerà i superstiti.»

  «È uno sgherro con una inclinazione per la brutalità e l'intemperanza. La gente non lo accetterà mai come leader. Dopo avere visto quello che fa Petty, gli umani ci accoglieranno a braccia aperte. Ah! Scommetto che pre-ferirebbero essere nostri schiavi piuttosto che vivere sotto il tallone di Petty! Lancia la flotta di occupazione, padre, e io mi occuperò del resto.»

  Senza aspettare di essere congedato dai presunti capi dei senzantenne, Jem volse le spalle e uscì a passo di marcia dalla grande sala echeggiante.

  Il sole marziano che penetrava nel soffitto di vetro sembrava molto splendente, davvero molto splendente.

  6

  Rannicchiata nella parte posteriore dell'ambulanza, Anthea tenne stretto il bambino e tirò sopra di sé una coperta d'emergenza riflettente. Povero, coraggioso Davis! Il piccino si agitò inquieto, come se sapesse che non doveva piangere nonostante sentisse le intense emozioni della madre con le antenne delicate.

  Anthea lo sollevò e per la prima volta osservò attentamente la faccia del neonato. Gli occhi luminosi color nocciola erano spalancati, come se il bambino potesse vederla in modo chiaro e riconoscere in lei la propria madre. I neonati non avrebbero dovuto essere in grado di farlo... ma un marito e una moglie normali non avrebbero nemmeno dovuto mettere al mondo un figlio dotato di antenne slan.

  Provando una singolare meraviglia, Anthea allungò la mano per toccare i minuscoli trefoli simili a lunghi fili di fibre nervose, antenne che si estendevano dal cervello superiore della creatura. Quando Anthea le accarezzò, le antenne si contrassero e si arricciarono, facendole formicolare sia le dita sia la mente. Com'era possibile che lei e Davis avessero dentro di sé una simile potenzialità senza saperlo? I genitori di Anthea sapevano di essere geneticamente diversi? E quelli di Davis?

  Per Anthea fu inevitabile sentire subito un legame affettivo con il neonato. Il piccolo era una tabula rasa, con grandi possibilità ma senza alcuna esperienza, conoscenza o personalità. Con la guida e l'ispirazione giuste, suo figlio sarebbe potuto diventare un grand'uomo. Anthea promise a se stessa, e al ricordo di Davis, che avrebbe fatto il possibile, anche sacrifica-re la vita se necessario, per proteggere quel bambino e consentirgli di crescere e andare incontro al proprio destino.

  Lei e il marito non avevano mai deciso neppure un nome per il loro figlio. Anthea ricordò una cena a lume di candela solo una settimana prima, quando avevano proposto entrambi dei nomi per la creatura che stava per nascere, alternative per un maschio o una femmina. Se avessero avuto un figlio, Davis lo avrebbe chiamato Raymond o forse William.

  «Perché non Geoffrey?» aveva suggerito Anthea. «O Elliot? Oppure Sam?»

  «Ti andrebbe bene Stefan?» aveva chiesto Davis. «E che te ne pare di Leroy? Significa "il re".»

  «No, Leroy proprio no.»

  Più nomi proponevano, più sembrava impossibile trovarne uno su cui potessero essere d'accordo tutti e due. Alla fine, al termine della cena, Anthea e Davis avevano messo da parte la discussione, decidendo di aspettare che lei avesse il bambino. Quando avrebbero potuto tenerlo in braccio, guardarlo e vederne il viso, allora sarebbero stati certi di riuscire a scegliere il nome perfetto.

  Adesso non avrebbero mai avuto la possibilità di farlo. Anthea non sapeva dove avrebbe trovato la forza di scegliere un nome da sola.

  All'improvviso fu distolta di soprassalto da quelle riflessioni da grida e rumore di passi di corsa nel garage dell'ospedale. «Avete controllato dappertutto? Non possiamo lasciare scappare gli slan.»

  «Quello che abbiamo ucciso non aveva neppure le antenne.»

  «Senza antenne, la sua testa non sarà granché come trofeo da appendere alla parete di John Petty. Ma se non era uno slan, allora era un traditore che li aiutava.»

  Anthea sentì il bruciore delle lacrime, ma le ricacciò indietro, sollevan-dosi a sedere quel tanto che bastava per riuscire a vedere Io specchietto laterale rotondo sulla portiera dell'ambulanza. Nell'immagine riflessa poté osservare una parte del garage sotterraneo.

  Parecchi uomini della sicurezza in uniforme si muovevano in ordine sparso perlustrando, le rivoltelle in mano. Il tipo sinistro con la fascia della polizia segreta era fermo sulla soglia, scrutava l'oscurità, cercando qualche segno di lei o del bambino. «Sarò molto deluso se permetterete che fugga-no.»

  I metodici uomini della sicurezza cominciarono a guardare nelle macchine. Anthea si abbassò e si rannicchiò, tirando sopra di sé la coperta, e trasmettendo un pensiero disperato. "Noi non siamo qui. Noi non siamo qui." Il bambino sembrò captare e amplificare il messaggio.

  Anthea udì rumori di passi che si spostavano, rapporti gridati da un uo-mo all'altro. Stavano dirigendosi verso altre vetture più vicino alla rampa di uscita, allontanandosi da lei, senza nemmeno controllare l'ambulanza.

  Anthea si chiese se suo figlio avesse davvero influenzato le guardie, o se fosse solo una coincidenza fortunata. Trattenne il respiro.

  Poi i fischi terrificanti delle sirene dell'allarme aereo risuonarono nelle strade, amplificate da sistemi di trasmissione interna nell'ospedale e coprendo perfino i normali allarmi di sicurezza. I rumori del caos all'esterno aumentarono ancora. Anthea udì automobili che andavano a tutta velocità, pneumatici che stridevano, poi una serie di esplosioni lontane.

  I perlustratori nel parcheggio dell'ospedale comunicarono tra loro sbraitando, quindi si precipitarono di nuovo nell'edificio. Le sirene dell'allarme aereo continuarono a ululare, ma adesso erano sovrastate dal ronzio di potenti motori a reazione. Velivoli sconosciuti sorvolavano la città avvicinandosi al cuore di Centropolis. L'attacco degli slan! Poi ci furono le raffi-che percussive del fuoco anti-aereo, grandi cannoni difensivi che il presidente Gray aveva fatto installare sui tetti dei grattacieli.

  Mentre gli spari continuavano, Anthea sentì un lieve sibilo che crebbe di intensità e culminò in una esplosione assordante. Altre bombe piovvero dall'alto, scoppiando nelle strade, incendiando gli edifici. Secoli addietro, le maggiori città della Terra erano state rase al suolo nelle Guerre Slan.

  Anthea si augurò che i grattacieli ricostruiti fossero stati rinforzati per resistere a un attacco. O l'umanità era diventata troppo tronfia?

  L'ennesima esplosione echeggiò lungo l'isolato dell'ospedale. Anthea sentì dei passi veloci e altre grida, mentre due uomini correvano verso l'ambulanza. Anthea tornò a rannicchiarsi. Due tecnici della squadra di soccorso saltarono a bordo, sbattendo le portiere. L'autista avviò il motore con un rombo e l'ambulanza cominciò a muoversi non appena il suo compagno si lasciò cadere sul sedile.

  Raggomitolata dietro, Anthea sperò che non si voltassero a guardare, vedendo la coperta di emergenza che lei aveva usato per nascondersi.

  Sirena in funzione, il veicolo medico uscì sfrecciando dal parcheggio dell'ospedale e s'immise nel caos delle strade devastate dalla guerra. Il conducente svoltò a destra e accelerò lungo il viale che portava in centro.

  Le esplosioni bersagliavano gli edifici attorno a loro. Mattoni e frammenti di vetro piovevano sulla via. Il traffico si bloccò con grande frastuono. Automobili sbandavano e si scontravano. L'ambulanza procedeva a zigzag, superando le vetture incidentate senza rallentare.

  Una bomba centrò una macchina che avanzava traballando con una gomma a terra. Il serbatoio esplose così vicino all'ambulanza in transito che i pannelli della carrozzeria nella parte posteriore vibrarono forte. Pe-doni urlanti correvano qua e là, sbracciandosi per fare segno al veicolo di soccorso di fermarsi. L'autista proseguì imperterrito, passando accanto ai rottami in fiamme. Anthea si chiese quali persone ferite la squadra di soccorso intendesse salvare.

  Il conducente frenò bruscamente proprio mentre la metà di un edificio franava nella via, sbarrando loro la strada. Il violento scossone fece sbattere rumorosamente del materiale di soccorso nei vani portaoggetti nella
parte posteriore dell'ambulanza. Anthea per poco non rotolò sul pavimento del veicolo. Il neonato cominciò a piangere mentre la coperta le scivolava di dosso. Prima che lei potesse zittirlo e che potesse afferrare la coperta per nascondere di nuovo entrambi, l'autista e il collega tecnico della squadra di soccorso si voltarono, fissando con gli occhi spalancati.

  «È la donna che la polizia segreta stava cercando! Ha ucciso il dottor El-ton!»

  Con l'ambulanza bloccata nella via, i due uomini si staccarono dai sedili e balzarono nel retro dell'ambulanza.

  Anthea strinse a sé il bambino assumendo un atteggiamento difensivo.

  Avrebbe dovuto essere debole, stremata, in grado di muoversi a malapena dopo avere partorito appena un'ora prima, ma il suo corpo si era ripreso in modo prodigioso. L'energia le vibrava nei muscoli. La forza inattesa era sempre stata presente, ma era rimasta inutilizzata. Adesso che Anthea sapeva cos'era, adesso che aveva un bambino da proteggere, sentiva quella forza che si risvegliava.

  «Non preoccuparti, è intrappolata qua dentro» disse l'autista. «Noi siamo in due. Possiamo prenderla facilmente.»

  «Attento! Gli slan sono capaci di farti il lavaggio del cervello.»

  L'autista si fermò e aprì una cassetta di pronto soccorso, estrasse una grossa siringa. «Questo dovrebbe metterla fuori combattimento.»

  Il compagno batté le palpebre. «È il triplo della dose normale! Potrebbe ucciderla.»

  L'altro uomo si strinse nelle spalle. «La taglia è la stessa, viva o morta, e lei ci creerà molti meno problemi così.»

  Anthea capì come le femmine degli animali selvatici nel loro ambiente naturale lottassero per proteggere i piccoli. Mentre l'autista si avvicinava, attendendo il momento propizio per conficcarle nella carne l'ago della siringa, Anthea reagì. Non pensò, non capì nemmeno cosa fosse capace di fare il suo corpo. Gli sferrò un calcio violento nel torace... e fu come se il malcapitato avesse provato a bloccare una palla di cannone. L'uomo fu proiettato all'indietro. Colpì il parabrezza con tanta forza che lo sfondò e finì sul cofano dell'ambulanza. Rimase steso in una massa scomposta là sopra, sanguinante e immobile, molto probabilmente morto. Ad Anthea non importava. Quell'individuo intendeva uccidere lei e il suo bambino.

 

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