Slan Hunter

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Slan Hunter Page 19

by Kevin J. Anderson


  Jem rimase a lungo impalato, scosso da quello che aveva appena fatto.

  Non si trattava di orrore né di dolore, era solo sorpreso dal modo in cui aveva reagito. Il vecchio meritava di certo quella fine. Avrebbe rovinato tutto. Peggio, se fosse trapelata la notizia che Jem era mezzo umano...

  Giurò in silenzio di mantenere segreto il proprio retaggio. Sicuramente il padre non avrebbe mai rivelato un fatto così imbarazzante ad alcun membro della sua cerchia. Nessuno doveva mai sapere che il sangue di Jem Lorry era contaminato.

  Si sporse sul precipizio spaventoso, raccolse in bocca una quantità sufficiente di saliva e poi anche lui lasciò cadere uno schizzo di sputo nel vuoto. Era proprio giornata di decisioni impulsive, oggi.

  Jem s'incamminò verso la sede dell'Autorità. Sarebbe trascorso molto tempo prima che qualcuno scoprisse cos'era successo al vecchio Altus. Intanto lui avrebbe raggiunto da un pezzo la Terra, dove avrebbe consolidato il proprio dominio.

  Nella sala del consiglio cristallina, tutto solo, salì fino allo scanno occupato di solito dal genitore e oziò sul comodo seggio dietro il banco impo-nente. Poi suonò l'importante segnale di convocazione, sapendo che gli altri membri dell'Autorità si sarebbero precipitati alla riunione d'emergenza.

  Il gruppo di vecchi arrivò, raddrizzandosi frettolosamente la toga, indossando il berretto da cerimonia. Alzarono lo sguardo e videro Jem Lorry seduto lassù tra i loro banchi, e nessun segno di Altus. Dalla sua posizione elevata, quell'uomo più giovane di loro li osservò. «Sono pronto a partire per la Terra. Volevo solo informarvi della mia partenza.»

  Dopo quel giorno, tutti i senzantenne sarebbero stati disposti a seguirlo, se non ansiosi di farlo, nonostante le sue mani lorde di sangue. Si sarebbe imposto governando con risolutezza. «Mi incontrerò col presidente Gray...

  e accetterò la sua resa.»

  30

  Il dolore e il senso di vuoto non scomparvero, ma dopo un momento in-finito di smarrimento Jommy trovò la forza di resistere. Proprio mentre udiva il ronzio dei motori del ricognitore senzantenne che setacciava le macerie cercandolo, Jommy scoprì dentro di sé un'ancora di salvezza: pensò a Kathleen, la bellissima Kathleen, e in qualche modo trovò la risolutezza necessaria per rialzare il capo. Per sopravvivere.

  Un dolore atroce gli trafiggeva come una lancia la parte posteriore della testa. Boccheggiando, si abbandonò ansante sui detriti cercò di rintanarsi in una cavità buia. La nave ricognitrice aveva messo in fuga gli sciacalli assassini, ma lui non osava lasciarsi cadere in mano ai senzantenne.

  Sentì il contatto graffiante della pietra scabra sulla guancia, scoprì la pelle abrasa e un po' di sangue che macchiava i frammenti di calcestruzzo. Ma era ben poca cosa, un sussurro rispetto al muggito di sofferenza nella sua testa.

  La marmaglia gli aveva reciso le antenne! Era come se avessero mozzato le ali a un uccello o strappato le pinne a un pesce.

  Quando il rumore della nave nemica finalmente svanì, indicando che aveva interrotto la ricerca, Jommy si drizzò carponi e tossì, ma ogni sussulto, ogni respiro gli provocava nuove esplosioni nel cervello. Si sforzò per non perdere i sensi, poi ebbe dei conati di vomito: Serrò gli occhi. Il suo corpo era squassato da ondate tremende che affrontò come una barchetta che lottasse contro un uragano.

  Col silenzio mentale che gli urlava dentro, udiva il sangue che gli scorreva nelle orecchie. Cercò però di sentire qualcos'altro, qualsiasi cosa, temendo di poter cogliere i rumori degli sciacalli sghignazzanti che tornavano per finirlo, Deacon, il suo coltello e la sua banda brutale. Non sapeva per quanto tempo il ricognitore senzantenne li avrebbe spaventati tenendoli alla larga. Lo avevano lasciato vivo, ma forse sarebbe stato meglio morto.

  Jommy represse un gemito e si impose di non seguire pensieri del genere. Era ancora vivo. Era ancora se stesso, con o senza antenne.

  Aprì gli occhi nella luce fioca del crepuscolo. Il cielo era azzurro scuro con nuvole spinte dal vento e chiazze di fumo dagli edifici in fiamme. Tutti i suoi sensi, anche quelli normali, erano diversi adesso, attutiti. Si sentiva escluso, spento. Quando si alzò in piedi, perse l'equilibrio. Barcollò come un ubriaco e poi inciampò di nuovo. Cadde sulle mani scorticate. Si rialzò con un grugnito, vacillò, però riuscì a reggersi in piedi.

  Muovendosi a zigzag, avanzò tra le macerie, vedendo a malapena e augurandosi che il ricognitore senzantenne non tornasse. Trovò per caso un riparo, l'angolo di una stanza crollata, e si rannicchiò dietro un blocco di pietra. Poi calò la notte.

  Era nato slan. Per tutta la vita si era affidato inconsciamente alle proprie antenne, come un gatto usava la coda per bilanciarsi. In ogni istante di veglia le sottili appendici dietro la testa avevano captato i segnali dei pensieri, l'incessante cicaleccio monotono degli altri, di altre menti. Era come il rumore di fondo dell'oceano in un villaggio costiero, sempre presente, di-stensivo e confortante. Lui non se n'era nemmeno accorto... e adesso era completamente scomparso.

  I suoi sogni e i suoi pensieri erano come visioni febbrili, reminiscenze e allucinazioni. Jommy ricordò quando si addormentava da bambino. Sua madre gli cantava ninne nanne, ma non si limitava a offrirgli la melodia ri-lassante della propria voce: i pensieri confortanti della mamma intreccia-vano un nido attorno a lui, facendogli sapere che era protetto, che la mamma gli sarebbe sempre stata accanto. Tutto era cambiato quando Jommy aveva nove anni... e adesso si trovava di fronte a un mutamento ancora più grande, una menomazione.

  Dopo averlo temuto così a lungo, si toccò cauto dietro la testa e sentì i moncherini aperti. Le terminazioni nervose sollecitate produssero in lui una fiammata di dolore. Jommy staccò subito la punta delle dita, vide solo minuscole macchie rosse. Sebbene Deacon lo avesse mutilato, le capacità di guarigione slan di Jommy avevano arrestato l'emorragia. Le ferite non rappresentavano un pericolo per lui.

  Ma adesso cosa doveva fare?

  La mattina seguente, dopo una notte insonne di stordimento e sofferenza, Jommy riprese a muoversi con grande cautela incespicando ancora. Le rovine del palazzo oscillarono con un fragore minaccioso di pietre che cadevano e calcinacci che scivolavano. Jommy capì che poteva rovinare al suolo da un istante all'altro.

  «Non sono impotente» disse a voce alta. Poi lo ripeté per ribadire il con-cetto.

  Batté le palpebre e si guardò intorno, cercando di scorgere qualcosa nella luce crescente dell'alba. Tutti i suoi sensi e le percezioni sembravano at-tenuati, smorzati... inutili. Ma rammentò a se stesso che quello era il modo in cui i comuni esseri umani vivevano ogni giorno, e riuscivano a sopravvivere senza sensi potenziati o facoltà telepatiche. Sì, Jommy sentiva odore di polvere di roccia e di fumo nero. E con le orecchie udiva i rumori lontani degli apparecchi che incrociavano in cielo.

  Ma non possedeva più la capacità di sentire Kathleen nella testa. Aveva perso quel collegamento con lei. Per sempre.

  Si spostò barcollando tra le macerie. La camera blindata che conteneva il suo disintegratore era di nuovo chiusa, e lui non aveva nessun mezzo per difendersi. Un altro fallimento! Era arrivato così vicino, ma adesso non riusciva a trovare un modo per recuperare il disintegratore. Era troppo debole. Non sapeva cosa potesse fare.

  In tutte le situazioni disperate che aveva incontrato, Jommy non si era mai sentito così impotente. Prima era spavaldo, sicuro di sé, non aveva mai dubitato di riuscire a superare in qualche modo le difficoltà in cui sarebbe potuto incappare. Adesso riusciva solo a pensare di tornare alla serenità della fattoria della Nonna, dove avrebbe potuto stare con Kathleen, dove sarebbe potuto guarire... anche se non sarebbe mai tornato quello di prima.

  Disorientato e ancora molto sofferente, ricordava a malapena dove aveva nascosto la macchina. Si fermò in una strada distrutta da un bombardamento, aggrappandosi a una putrella storta. Serrò gli occhi, sforzandosi di concentrarsi, trascinando il ricordo nella parte anteriore della mente, finché non seppe in che direzione andare. Si accasciò contro un muro graffiato con le ginocchia che gli tremavano.

  Si sentiva ottuso e fiacco, ignaro... ma quando l'ombra netta di un ricognitore senz
antenne che si abbassava scese su di lui, Jommy balzò in piedi.

  Non lo aveva neppure udito avvicinarsi! Il nemico lo aveva trovato!

  Jommy era completamente esposto, allo scoperto. Si guardò intorno, ma non individuò nessun nascondiglio.

  I getti d'atterraggio roventi dell'aeromobile senzantenne sollevarono turbini di ghiaia nella via piena di detriti. Jommy cominciò a correre, ma lo fece con troppa foga. Non vide un blocco di calcestruzzo rotto ai suoi piedi e inciampò cadendo sui frammenti aguzzi. Si drizzò sulle ginocchia, avanzò strisciando, poi si alzò in piedi malfermo per riprendere a correre. Il ricognitore senzantenne atterrò proprio davanti a lui, bloccando la strada.

  Jommy indietreggiò, si girò e cercò di precipitarsi nella direzione opposta. Il ricognitore aveva delle armi installate sul muso. Si stupì che il pilota non aprisse semplicemente il fuoco contro di lui. Una scossa di panico lo percorse quando udì il portello aprirsi. Qualcuno smontò.

  «Jommy» chiamò una voce di donna. «Jommy Cross! Lo so che sei tu.»

  Jommy riconobbe qualcosa nel timbro, nel tono, anche se non sentiva nulla, non captava nessuna vibrazione, nessun pensiero. Si voltò e vide una donna che scendeva rapida la scaletta dell'aeromobile e correva verso di lui. Joanna Hillory.

  Quando lei lo raggiunse, aveva sul volto un'espressione rabbiosa, sollevata, ansiosa. «Ti stavo cercando! Ho messo in fuga quella gentaglia nel palazzo... poi però ti ho perso. Ero così eccitata sapendo che eri vivo. Ho cominciato a setacciare la zona...»

  Jommy la fronteggiò, cercando di mostrarsi forte e coraggioso. Pensava di averla già convinta che i veri slan non dovevano essere per forza i nemici mortali dei senzantenne, ma lei non era stata capace di fermare l'attacco devastante. «Cosa vuoi, Joanna? I tuoi senzantenne hanno attuato le loro minacce. Guarda cos'è successo alla Terra. Sei fiera?»

  «Non volevo che accadesse una cosa del genere, e lo sai.» Joanna gli prese il braccio, aiutandolo a camminare. «Non ho potuto bloccare l'attacco iniziale, però possiamo ancora fare qualcosa. Possiamo ancora lavorare insieme.»

  «Bene» disse lui aspro, chinando il capo per mostrarle i piccoli moncherini sporchi di sangue. «Perché sono uno di voi, adesso. Sono un senzantenne.»

  Joanna lo condusse a bordo della nave, dove gli pulì e gli bendò le ferite, gli diede dei potenziatori metabolici e lo medicò con delle pomate perché potesse guarire. Dall'espressione e dai gesti di Joanna, Jommy capì che era disgustata da quello che gli aveva fatto la banda di sciacalli. Anche se i senzantenne erano ben felici di uccidere gli slan, quel genere di tortura a-bominevole andava al di là della sua comprensione. «Jommy, mi dispiace moltissimo.»

  Era steso sulla cuccetta della minuscola infermeria del ricognitore. «Non c'è nulla che tu possa fare.» I medicamenti di Joanna non potevano fargli ricrescere le antenne. «Perché sei venuta qui a cercarmi? Avresti dovuto rimanere su Marte, bloccare i loro piani.»

  «L'Autorità senzantenne mi ha mandato a cercarti. Hanno paura di te, Jommy. Dicono che sei l'uomo più pericoloso che esista.»

  «Non ho nessun potere, non più.»

  «Ho accettato volentieri la missione, Jommy. Sapevo di poterti rintracciare. Ho captato un minuscolo segnale slan proveniente da quest'area.

  Non mi ha sorpreso che fossi tornato alle rovine del palazzo... altrimenti non ti avrei mai trovato.»

  «Avrei dovuto restare coi miei amici, aiutare il presidente.»

  «Lo sai cosa stanno progettando? Kier Gray ha chiesto un incontro al vertice, cercando di porre fine alle ostilità.» Joanna gli spiegò il messaggio che aveva ricevuto mentre era in viaggio. «L'Autorità invierà un rappresentante, e si tratta di Jem Lorry. Non mi fido di lui. Preparerà una trappola, in un modo o nell'altro.»

  «Lorry? Nemmeno io mi fido di lui» disse Jommy.

  Si drizzò a sedere, decidendo che aveva riposato abbastanza. Scacciando i residui di tristezza e dello shock, pervenne a una conclusione coraggiosa.

  Guardò Joanna, chiedendosi se potesse contare su di lei, se lei lo avrebbe appoggiato. Anche senza le antenne, aveva sempre una mente, e la sua forza fisica, e i suoi sensi normali.

  «Sono ancora un vero slan... e ho del lavoro da fare.»

  31

  Quando il suo collegamento con Jommy si interruppe in maniera brutale, Kathleen ebbe l'impressione di essere caduta in un buco nero. La sofferenza era densa come catrame tutt'intorno a lei. Adesso capiva fin troppo bene quanto dolore dovesse aver provato Jommy dopo che le avevano sparato, negli anni trascorsi credendola morta.

  Sentiva tutto il corpo intorpidito. Non aveva freddo... era solo vuota, i-nerte, come se qualcuno le avesse scavato nel cuore un buco enorme.

  Sedette al tavolo della cucina, nella fattoria della Nonna. Suo padre occupò una seggiola di fronte a lei, in collera per quanto era successo e par-tecipe del dolore della figlia. Con un acciottolio di piatti, la vecchia rovistò nella credenza e prese un piattino di porcellana decorato con un motivo floreale. Tagliò una fetta di torta di mele ancora calda, aggiunse una cuc-chiaiata di gelato preso dal frigorifero e porse il dolce a Kathleen.

  Nonostante il profumo delizioso, Kathleen guardò la Nonna. «Non ho fame.»

  «Naturale che tu non abbia fame. Ma questa torta è così buooona che la Nonna sa che vorrai assaggiarla. Assaggiala tu per prima, così ci dirai se è abbastanza buona da offrire ai dignitari importanti che stanno arrivando.»

  «Jommy è morto. Un pezzo di torta non risolverà i miei problemi.»

  La vecchia ridacchiò. «Il buon cibo spesso fa sembrare le cose molto migliori. Proprio come il denaro.» Sogghignò. Aveva i denti storti.

  Petty oziava appoggiato al muro della cucina, del tutto indifferente.

  «Dovremo fare un altro bucato se questa ragazza continua a usare fazzolet-ti.» Si staccò dalla parete, prese un piatto dalla credenza e si avvicinò alla torta appena tagliata.

  La Nonna gliela tolse da davanti. «Non osare toccarla.» Mise la torta su un ripiano in alto.

  Dato che anche suo padre era uno slan, per quanto privo di antenne, Kathleen percepiva i suoi pensieri e la sua presenza, ma non era lo stesso tipo di legame che l'aveva unita a Jommy.

  «So cosa provi, Kathleen. Ho perso mia moglie... tua madre» disse Gray.

  «Anche se la nostra relazione era segreta. Ci sono tante cose che non sai di me.»

  Lei lo fissò, battendo le palpebre. «Ma mi hai allevata tu. So tutto di te.

  Ho letto la tua biografia.»

  «Quella era solo una biografia inventata. Il presidente Kier Gray doveva avere un ruolino immacolato, una reputazione impeccabile. La verità sul mio conto era il segreto più riservato del mio governo. Dovevo assicurarmi che persone come lui» Gray indicò col gomito Petty «non scoprissero mai chi eri davvero. Se avessero usato quell'informazione contro di me, tutto quello per cui stavo segretamente lavorando sarebbe sfumato.»

  «Se eri tanto bravo a occultare i particolari imbarazzanti, signor presidente slan, come mai non hai semplicemente nascosto la tua marmoc-chia?» chiese Petty.

  Gray lo ignorò, concentrandosi solo su Kathleen. Allungò la mano per asciugarle le lacrime dal volto. «Sono nato senza antenne, anche se i miei genitori mi hanno spiegato le mie origini. Sapevo dei senzantenne, sapevo cos'erano, i miei genitori mi hanno preparato per il futuro. Mi hanno insegnato ad avere uno scudo mentale assolutamente impenetrabile. Neppure un altro senzantenne era in grado di riconoscermi, a meno che io non volessi. Ma quando avevo tredici anni mia madre e mio padre sono scomparsi... ho immaginato che li avessero presi, così sono fuggito. Ho cambiato identità e mi sono rifatto una vita... proprio come mi avevano insegnato lo-ro. Anni dopo, quando ero un giovanotto, ho conosciuto tua madre. E stato un caso, ma per gli slan non esistono eventi davvero fortuiti. Avevo trascorso la vita nascondendo la mia identità, e tua madre pure. Lei era una vera slan che usava parrucche, cappelli e foulard. I tempi delle teste rasate e della Lega per la purezza umana erano passati da un pezzo, e gli slan potevano farla franca adesso.»

  «Evidentemente siamo di
ventati troppo permissivi» commentò Petty.

  «L'ho conosciuta in un negozio di fiori. Tua madre amava i fiori. Si chiamava Rose.» Gray sorrise malinconico. «Lavorava là, curava i fiori, toglieva quelli appassiti, innaffiava le piante sugli scaffali, innaffiava con un nebulizzatore le felci. Io ero entrato per comprare dei fiori... tulipani, penso, o forse giunchiglie. Era primavera, e volevo rallegrare la vecchia vedova che abitava nell'appartamento accanto al mio.»

  «Che tesoro» disse la Nonna.

  «Fortunatamente non c'erano altri clienti. Quando ho varcato la soglia e il campanello ha suonato, tua madre ha alzato gli occhi e mi ha guardato. È

  stato come se una corrente elettrica fosse passata tra noi. Lei non aveva attivato lo scudo mentale, non aspettandosi nulla. Anch'io devo essere stato sbadato. Abbiamo... simpatizzato subito.»

  «Colpo di fulmine?» Senza rendersi conto di quel che faceva, Kathleen assaggiò la torta di mele, lasciando che il sapore dolce speziato le riempis-se la bocca.

  «Qualcosa di più. Ricordati cos'hai provato la prima volta che hai incontrato Jommy. Anche se ero normale stando alle apparenze, uno slan è in grado di riconoscere immediatamente e istintivamente un altro slan che abbia lo scudo disattivato... perfino uno slan senzantenne. Tua madre ed io ci siamo riconosciuti a vicenda per quel che eravamo. Credo che abbiamo trattenuto il respiro un minuto intero. Lei è uscita da dietro il banco, ha posato i fiori che stava sistemando in un vaso, è andata alla porta del negozio e ha chiuso a chiave, abbassando la tendina.» Kier Gray sospirò. «Ci siamo sposati due giorni dopo.»

  Di rado gli slan avevano bisogno di attraversare una lunga fase di cor-teggiamento. L'intesa era istantanea. «Jommy e io dovevamo sposarci»

 

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