Jerusalem Delivered
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Greedy of gold,’ the Christian prince replied;
‘Keep, keep whate’er thy Persian lands contain,
And India’s teeming coasts; I seek not for
The lives of others ransom to obtain;
I traffic not in Asia — I make war.’
CXLIII
He ceased, the Pagan to his guards consigned,
And the course followed of the fugitives,
Who to the ramparts fled, nor there could find
The least protection for their fated lives;
The intrenchments taken were soon filled with gore
Which in red rivers ran from tent to tent,
Staining their trophies, and bespattering o’er
Each barbarous trapping and rich ornament.
CXLIV
Thus Godfred triumphed, and as still for him
The setting sun sufficient daylight shed,
Without a pause, to freed Jerusalem,
Christ’s blest abode, the conquerors he led;
Nor yet laid down his blood-stained mantle, he
Sped to the Temple, where, with beaming brow,
He hung his arms up, and on bended knee
The great tomb worshipped, and performed his vow.
The Italian Text
Naples, Italy — during his childhood Tasso lived with his mother and his only sister at Naples, pursuing his education under the Jesuits, who had recently opened a school there.
CONTENTS OF THE ITALIAN TEXT
CONTENTS
Canto primo
Canto secondo
Canto terzo
Canto quarto
Canto quinto
Canto sesto
Canto settimo
Canto ottavo
Canto nono
Canto decimo
Canto undicesimo
Canto dodicesimo
Canto tredicesimo
Canto quattordicesimo
Canto quindicesimo
Canto sedicesimo
Canto diciasettesimo
Canto diciottesimo
Canto diciannovesimo
Canto ventesimo
Canto primo
ARGOMENTO.
Manda a Tortosa Dio l’Angelo; u’ poi
Goffredo aduna i Principi Cristiani.
Quivi concordi que’ famosi Eroi
Lui Duce fan degli altri Capitani.
Quinci egli pria vuol rivedere i suoi
Sotto l’insegne; e poi gl’invia ne’ piani
Ch’a Sion vanno: intanto di Giudea
Il Re si turba alla novella rea.
CANTO PRIMO.
Canto l’arme pietose, e ‘l Capitano
Che ‘l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò col senno e con la mano;
4 Molto soffrì nel glorioso acquisto:
E invan l’Inferno a lui s’oppose; e invano
s’armò d’Asia e di Libia il popol misto:
Chè ‘l Ciel gli diè favore, e sotto ai santi
8 Segni ridusse i suoi compagni erranti.
II.
O Musa, tu, che di caduchi allori
Non circondi la fronte in Elicona,
Ma su nel Cielo infra i beati cori
12 Hai di stelle immortali aurea corona;
Tu spira al petto mio celesti ardori,
Tu rischiara il mio canto, e tu perdona
S’intesso fregj al ver, s’adorno in parte
16 D’altri diletti, che de’ tuoi le carte.
III.
Sai che là corre il mondo, ove più versi
Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso;
E che ‘l vero condito in molli versi,
20 I più schivi allettando ha persuaso.
Così all’egro fanciul porgiamo aspersi
Di soavi licor gli orli del vaso:
Succhi amari, ingannato, intanto ei beve,
24 E dall’inganno suo vita riceve.
IV.
Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli
Al furor di fortuna, e guidi in porto
Me peregrino errante, e fra gli scoglj,
28 E fra l’onde agitato, e quasi assorto;
Queste mie carte in lieta fronte accogli,
Che quasi in voto a te sacrate i’ porto.
Forse un dì fia, che la presaga penna
32 Osi scriver di te quel ch’or n’accenna.
V.
È ben ragion, (s’egli averrà ch’in pace
Il buon popol di Cristo unqua si veda,
E con navi e cavalli al fero Trace
36 Cerchi ritor la grande ingiusta preda,)
Ch’a te lo scettro in terra o, se ti piace
L’alto imperio de’ mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
40 Intanto ascolta, e t’apparecchia a l’armi.
VI.
Già ‘l sesto anno volgea, ch’n Oriente
Passò il campo Cristiano a l’alta impresa;
E Nicea per assalto, e la potente
44 Antiochia con arte avea già presa.
L’avea poscia in battaglia incontra gente
Di Persia innumerabile difesa,
E Tortosa espugnata; indi a la rea
48 Stagion diè loco, e ‘l novo anno attendea.
VII.
E ‘l fine omai di quel piovoso inverno,
Che fea l’arme cessar, lunge non era;
Quando da l’alto soglio il Padre eterno,
52 Ch’è ne la parte più del Ciel sincera,
E quanto è da le stelle al basso inferno,
Tanto è più in su de la stellata spera,
Gli occhi in giù volse, e in un sol punto e in una
56 Vista mirò ciò ch’n se il mondo aduna.
VIII.
Mirò tutte le cose, ed in Soría
S’affissò poi ne’ Principi Cristiani;
E con quel guardo suo ch’addentro spia
60 Nel più secreto lor gli affetti umani,
Vede Goffredo che scacciar desia
Dalla santa Città gli empj Pagani:
E pien di fè, di zelo, ogni mortale
64 Gloria, impero, tesor mette in non cale.
IX.
Ma vede in Baldovin cupido ingegno
Ch’all’umane grandezze intento aspira:
Vede Tancredi aver la vita a sdegno,
68 Tanto un suo vano amor l’ange e martira!
E fondar Boemondo al novo regno
Suo d’Antiochia alti principj mira;
E leggi imporre, ed introdur costume,
72 Ed arti, e culto di verace nume.
X.
E cotanto internarsi in tal pensiero,
Ch’altra impresa non par che più rammenti.
Scorge in Rinaldo ed animo guerriero,
76 E spirti di riposo impazienti.
Non cupidigia in lui d’oro o d’impero,
Ma d’onor brame immoderate, ardenti.
Scorge che dalla bocca intento pende
80 Di Guelfo, e i chiari antichi esempj apprende.
XI.
Ma poich’ebbe di questi, e d’altri cori
Scorti gl’intimi sensi il Re del mondo;
Chiama a se da gli angelici splendori
84 Gabriel, che ne’ primi era secondo.
È tra Dio, questi, e l’anime migliori
Interprete fedel, nunzio giocondo:
Giù i decreti del Ciel porta, ed al Cielo
88 Riporta de’ mortali i preghi, e ‘l zelo.
XII.
Disse al suo nunzio Dio: Goffredo trova,
E in mio nome dì lui; perchè si cessa?
Perchè la guerra omai non si rinnova,
92 A liberar Gerusalemme oppressa?
Chiami i Duci a consiglio, e i tardi mova
All’alta impresa: ei capitan fia d’essa.
Io quì l’eleggo, e ‘l faran gli altri in terra,
96 Già suoi compagni, or suoi ministri in guerra.
XIII.
<
br /> Così parlogli; e Gabriel s’accinse
Veloce ad esequir l’imposte cose.
La sua forma invisibil d’aria cinse,
100 Ed al senso mortal la sottopose.
Umane membra, aspetto uman si finse,
Ma di celeste maestà il compose.
Tra giovane e fanciullo età confine
104 Prese, ed ornò di raggi il biondo crine.
XIV.
Ali bianche vestì c’han d’or le cime,
Infaticabilmente agili e preste.
Fende i venti e le nubi, e va sublime
108 Sovra la terra, e sovra il mar con queste.
Così vestito, indirizzossi all’ime
Parti del mondo il messaggier celeste:
Pria sul Libano monte ei si ritenne,
112 E si librò sull’adeguate penne.
XV.
E ver le piagge di Tortosa poi
Drizzò, precipitando, il volo in giuso.
Sorgeva il nuovo sol dai lidi Eoi,
116 Parte già fuor, ma ‘l più nell’onde chiuso:
E porgea mattutini i preghi suoi
Goffredo a Dio, come egli avea per uso;
Quando a paro col sol, ma più lucente,
120 L’Angelo gli apparì dall’Oriente.
XVI.
E gli disse; Goffredo, ecco opportuna
Già la stagion ch’al guerreggiar s’aspetta:
Perchè dunque trapor dimora alcuna
124 A liberar Gerusalem soggetta?
Tu i Principi a consiglio omai raguna:
Tu al fin dell’opra i neghittosi affretta.
Dio per lor duce già t’elegge; ed essi
128 Sopporran volontarj a te se stessi.
XVII.
Dio messaggier mi manda: io ti rivelo
La sua mente in suo nome. Oh quanta spene
Aver d’alta vittoria, oh quanto zelo
132 Dell’oste a te commessa or ti conviene!
Tacque; e sparito, rivolò del Cielo
Alle parti più eccelse e più serene.
Resta Goffredo ai detti, allo splendore,
136 D’occhj abbagliato, attonito di core.
XVIII.
Ma poi che si riscuote, e che discorre
Chi venne, chi mandò, chè gli fu detto,
Se già bramava, or tutto arde d’imporre
140 Fine alla guerra, ond’egli è duce eletto.
Non che ‘l vedersi agli altri in Ciel preporre
D’aura d’ambizion gli gonfi il petto;
Ma il suo voler più nel voler s’infiamma
144 Del suo signor, come favilla in fiamma.
XIX.
Dunque gli Eroi compagni, i quai non lunge
Erano sparsi, a ragunarsi invita.
Lettere a lettre, e messi a messi aggiunge:
148 Sempre al consiglio è la preghiera unita.
Ciò ch’alma generosa alletta e punge,
Ciò che può risvegliar virtù sopita,
Tutto par che ritrovi; e in efficace
152 Modo l’adorna sì, che sforza e piace.
XX.
Vennero i Duci, e gli altri anco seguiro;
E Boemondo sol quì non convenne.
Parte fuor s’attendò, parte nel giro,
156 E tra gli alberghi suoi Tortosa tenne.
I grandi dell’esercito s’uniro
(Glorioso senato!) in dì solenne.
Quì il pio Goffredo incominciò tra loro,
160 Augusto in volto, ed in sermon sonoro:
XXI.
Guerrier di Dio, ch’a ristorare i danni
Della sua fede il Re del Cielo elesse:
E securi fra l’arme, e fra gl’inganni
164 Della terra e del mar, vi scorse e resse;
Sicch’abbiam tante e tante in sì pochi anni
Ribellanti provincie a lui sommesse:
E fra le genti debellate e dome,
168 Stese l’insegne sue vittrici, e ‘l nome;
XXII.
Già non lasciammo i dolci pegni, e ‘l nido
Nativo noi (se ‘l creder mio non erra)
Nè la vita esponemmo al mare infido,
172 Ed a’ periglj di lontana guerra,
Per acquistar di breve suono un grido
Volgare, e posseder barbara terra;
Chè proposto ci avremmo angusto e scarso
176 Premio, e in danno dell’alme il sangue sparso.
XXIII.
Ma fu de’ pensier nostri ultimo segno
Espugnar di Sion le nobil mura;
E sottrarre i Cristiani al giogo indegno
180 Di servitù così spiacente e dura:
Fondando in Palestina un novo regno,
Ov’abbia la pietà sede sicura:
Nè sia chi neghi al peregrin devoto
184 D’adorar la gran tomba, e sciorre il voto.
XXIV.
Dunque il fatto sin ora al rischio è molto,
Più che molto al travaglio, all’onor poco,
Nulla al disegno; ove o si fermi, o volto
188 Sia l’impeto dell’arme in altro loco.
Che gioverà l’aver d’Europa accolto
Sì grande sforzo, e posto in Asia il foco,
Quando sia poi di sì gran moti il fine,
192 Non fabbriche di regni, ma ruine?
XXV.
Non edifica quei che vuol gl’imperi
Su fondamenti fabricar mondani:
Ove ha pochi di patria e fè stranieri,
196 Fra gl’infiniti popoli Pagani:
Ove ne’ Greci non convien che speri,
E i favor d’Occidente ha sì lontani;
Ma ben move ruine, ond’egli oppresso,
200 Sol construtto un sepolcro abbia a se stesso.
XXVI.
Turchi, Persi, Antiochia (illustre suono,
E di nome magnifico e di cose!)
Opre nostre non già; ma del Ciel dono
204 Furo, e vittorie in ver maravigliose.
Or, se da noi rivolte, e torte sono
Contra quel fin che ‘l donator dispose;
Temo cen privi; e favola alle genti
208 Quel sì chiaro rimbombo alfin diventi.
XXVII.
Ah non sia alcun, per Dio, che sì graditi
Doni in uso sì reo perda, e diffonda.
A quei che sono alti principj orditi,
212 Di tutta l’opra il filo, e ‘l fin risponda.
Ora che i passi liberi e spediti,
Ora che la stagione abbiam seconda,
Chè non corriamo alla città ch’è meta
216 D’ogni nostra vittoria? e chè più ‘l vieta?
XXVIII.
Principi, io vi protesto (i miei protesti
Udrà il mondo presente, udrà il futuro:
L’odono or su nel Ciel anco i celesti)
220 Il tempo dell’impresa è già maturo.
Men divien opportun, più che si resti:
Incertissimo fia quel che è sicuro.
Presago son, s’è lento il nostro corso,
224 Ch’avrà d’Egitto il Palestin soccorso.
XXIX.
Disse: e ai detti seguì breve bisbiglio;
Ma sorse poscia il solitario Piero,
Che, privato, fra’ Principi a consiglio
228 Sedea, del gran passaggio autor primiero.
Ciò ch’esorta Goffredo, ed io consiglio:
Nè loco a dubbio v’ha, sì certo è il vero,
E per se noto; ei dimostrollo a lungo,
232 Voi l’approvate: io questo sol v’aggiungo:
XXX.
Se ben raccolgo le discordie e l’onte
Quasi a prova da voi fatte e patite,
I ritrosi pareri, e le non pronte,
236 E in mezzo all’esequire opre impedite;
Reco ad un’alta originaria fonte
La cagion d’ogni indugio e d’ogni lite:
A quella autorità, che in molti e varj
240 D’opinion, q
uasi librata, è pari.
XXXI.
Ove un sol non impera, onde i giudícj
Pendano poi de’ premj, e delle pene,
Onde sian compartite opre, ed uficj;
244 Ivi errante il governo esser conviene.
Deh fate un corpo sol di membri amici:
Fate un capo che gli altri indrizzi e frene:
Date ad un sol lo scettro, e la possanza,
248 E sostenga di Re vece, e sembianza.
XXXII.
Qui tacque il veglio. Or quai pensier, quai petti
Son chiusi a te, sant’aura, e divo ardore?
Inspiri tu dell’Eremita i detti,
252 E tu gl’imprimi ai cavalier nel core:
Sgombri gl’inserti, anzi gl’innati affetti
Di sovrastar, di libertà, d’onore:
Sicchè Guglielmo e Guelfo, i più sublimi,
256 Chiamar Goffredo per lor Duce i primi.
XXXIII.
L’approvar gli altri. Esser sue parti denno
Deliberare, e comandare altrui.
Imponga ai vinti legge egli a suo senno:
260 Porti la guerra, e quando vuole, e a cui.
Gli altri, già pari, ubbidienti al cenno
Siano or ministri de gl’imperj sui.
Concluso ciò, fama ne vola, e grande
264 Per le lingue degli uomini si spande.
XXXIV.
Ei si mostra ai soldati: e ben lor pare
Degno dell’alto grado ove l’han posto;
E riceve i saluti, e ‘l militare
268 Applauso, in volto placido e composto.
Poich’alle dimostranze umili e care
D’amor, d’ubbidienza ebbe risposto,
Impon che ‘l dì seguente, in un gran campo,
272 Tutto si mostri a lui schierato il Campo.
XXXV.
Facea nell’Oriente il Sol ritorno,
Sereno e luminoso oltre l’usato;
Quando co’ raggj uscì del novo giorno
276 Sotto l’insegne ogni guerriero armato:
E si mostrò quanto potè più adorno
Al pio Buglion, girando il largo prato.
S’era egli fermo, e si vedea davanti
280 Passar distinti i cavalieri e i fanti.
XXXVI.
Mente, degli anni, e dell’obblio nemica,
Delle cose custode, e dispensiera,
Vagliami tua ragion, sicch’io ridica
284 Di quel campo ogni Duce, ed ogni schiera:
Suoni e risplenda la lor fama antica,
Fatta dagli anni omai tacita e nera;
Tolto da’ tuoi tesori, orni mia lingua
288 Ciò ch’ascolti ogni età, nulla l’estingua.
XXXVII.
Prima i Franchi mostrarsi: il Duce loro
Ugone esser solea, del Re fratello.
Nell’Isola di Francia eletti foro
292 Fra quattro fiumi, ampio paese e bello.