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Jerusalem Delivered

Page 154

by Torquato Tasso


  E largamente all’anima fugace

  960 Più d’una via nel suo partir si face.

  CXXI.

  Allor si ferma a rimirar Rinaldo

  Ove drizzi gli assalti, ove gli ajuti;

  E de’ Pagan non vede ordine saldo;

  964 Ma gli stendardi lor tutti caduti.

  Quì pon fine alle morti, e in lui quel caldo

  Disdegno marzial par che s’attuti.

  Placido è fatto; e gli si reca a mente

  968 La Donna che fuggia sola e dolente.

  CXXII.

  Ben rimirò la fuga: or da lui chiede

  Pietà, che n’abbia cura e cortesia.

  E gli sovvien, che si promise in fede

  972 Suo cavalier, quando da lei partia.

  Si drizza ov’ella fugge, ov’egli vede

  Il piè del palafren segnar la via.

  Giunge ella intanto in chiusa opaca chiostra,

  976 Che a solitaria morte atta si mostra.

  CXXIII.

  Piacquele assai che in quelle valli ombrose

  L’orme sue erranti il caso abbia condutte.

  Quì scese dal destriero, e quì depose

  980 E l’arco, e la faretra, e l’armi tutte:

  Armi infelici, disse, e vergognose

  Ch’usciste fuor della battaglia asciutte,

  Quì vi depongo: e quì sepolte state,

  984 Poichè l’ingiurie mie mal vendicate.

  CXXIV.

  Ah, ma non fia che fra tant’armi e tante

  Una di sangue oggi si bagni almeno?

  S’ogni altro petto a voi par di diamante,

  988 Osarete piagar femminil seno;

  In questo mio, che vi sta nudo avante,

  I pregj vostri e le vittorie sieno.

  Tenero ai colpi è questo mio; ben sallo

  992 Amor, che mai non vi saetta in fallo.

  CXXV.

  Dimostratevi in me (ch’io vi perdono

  La passata viltà) forti ed acute:

  Misera Armida, in qual fortuna or sono,

  996 Se sol posso da voi sperar salute!

  Poich’ogni altro rimedio è in me non buono,

  Se non sol di ferute alle ferute;

  Sani piaga di stral piaga d’Amore:

  1000 E sia la morte medicina al core.

  CXXVI.

  Felice me, se nel morir non reco

  Questa mia peste ad infettar l’Inferno.

  Restine Amor; venga sol sdegno or meco,

  1004 E sia dell’ombra mia compagno eterno:

  O ritorni con lui dal regno cieco

  A colui che di me fè l’empio scherno:

  E se gli mostri tal, che, in fere notti,

  1008 Abbia riposi orribili e interrotti.

  CXXVII.

  Quì tacque; e stabilito il suo pensiero,

  Strale sceglieva il più pungente e forte;

  Quando giunse, e mirolla il Cavaliero

  1012 Tanto vicina alla sua estrema sorte,

  Già compostasi in atto atroce e fero,

  Già tinta in viso di pallor di morte.

  Da tergo ei se le avventa, e ‘l braccio prende

  1016 Che già la fera punta al petto stende.

  CXXVIII.

  Si volse Armida, e ‘l rimirò improvviso;

  Chè nol sentì quando da prima ei venne.

  Alzò le strida, e dall’amato viso

  1020 Torse le luci disdegnosa, e svenne.

  Ella cadea, quasi fior mezzo inciso,

  Piegando il lento collo: ei la sostenne.

  Le fè d’un braccio al bel fianco colonna:

  1024 E intanto al sen le rallentò la gonna.

  CXXIX.

  E ‘l bel volto, e ‘l bel seno alla meschina

  Bagnò d’alcuna lagrima pietosa.

  Quale a pioggia d’argento e mattutina

  1028 Si rabbellisce scolorita rosa,

  Tal’ ella, rivenendo, alzò la china

  Faccia, del non suo pianto or lagrimosa.

  Tre volte alzò le luci: e tre chinolle

  1032 Dal caro oggetto, e rimirar nol volle.

  CXXX.

  E con man languidetta il forte braccio

  Ch’era sostegno suo, schiva, respinse.

  Tentò più volte, e non uscì d’impaccio:

  1036 Chè via più stretta ei rilegolla e cinse.

  Alfin raccolta entro quel caro laccio,

  Che le fu caro forse, e se n’infinse,

  Parlando incominciò di spander fiumi,

  1040 Senza mai dirizzargli al volto i lumi.

  CXXXI.

  O sempre, e quando parti e quando torni

  Egualmente crudele, or chi ti guida?

  Gran maraviglia che ‘l morir distorni,

  1044 E di vita cagion sia l’omicida.

  Tu di salvarmi cerchi? a quali scorni,

  A quali pene è riservata Armida?

  Conosco l’arti del fellone ignote;

  1048 Ma ben può nulla, chi morir non puote.

  CXXXII.

  Certo è scemo il tuo onor, se non s’addita

  Incatenata al tuo trionfo innanti

  Femmina or presa a forza, e pria tradita.

  1052 Quest’è ‘l maggior de’ titoli, e de’ vanti.

  Tempo fu ch’io ti chiesi e pace, e vita:

  Dolce or saria con morte uscir di pianti;

  Ma non la chiedo a te; chè non è cosa

  1056 Ch’essendo dono tuo, non mi sia odiosa.

  CXXXIII.

  Per me stessa, crudel, spero sottrarmi

  Alla tua feritade in alcun modo.

  E se all’incatenata il tosco e l’armi

  1060 Pur mancheranno, e i precipizj, e ‘l nodo:

  Veggio sicure vie, che tu vietarmi

  Il morir non potresti: e ‘l Ciel ne lodo.

  Cessa omai da’ tuoi vezzi. Ah par ch’ei finga:

  1064 Deh come le speranze egre lusinga!

  CXXXIV.

  Così doleasi; e con le flebil’onde

  Ch’amor e sdegno da’ begli occhj stilla,

  L’affettuoso pianto egli confonde,

  1068 In cui pudíca la pietà sfavilla,

  E con modi dolcissimi risponde:

  Armida, il cor turbato omai tranquilla:

  Non agli scherni, al regno io ti riservo,

  1072 Nemico no; ma tuo campione e servo.

  CXXXV.

  Mira negli occhj miei, s’al dir non vuoi

  Fede prestar, della mia fede il zelo.

  Nel soglio, ove regnar gli avoli tuoi,

  1076 Riporti giuro; ed oh piacesse al Cielo,

  Ch’alla tua mente alcun de’ raggj suoi

  Del paganesmo dissolvesse il velo:

  Com’io farei che in Oriente alcuna

  1080 Non t’agguagliasse di regal fortuna.

  CXXXVI.

  Sì parla, e prega; e i preghi bagna e scalda

  Or di lagrime rare or di sospiri.

  Onde siccome suol nevosa falda

  1084 Dov’arda il Sole o tepid’aura spiri;

  Così l’ira, che in lei parea sì salda,

  Solvesi, e restan sol gli altri desiri.

  Ecco l’ancilla tua: d’essa a tuo senno

  1088 Dispon (gli disse) e le fia legge il cenno.

  CXXXVII.

  In questo mezzo il Capitan d’Egitto

  A terra vede il suo regal stendardo:

  E vede a un colpo di Goffredo invitto

  1092 Cadere insieme Rimedon gagliardo:

  E l’altro popol suo morto e sconfitto;

  Nè vuol nel duro fin parer codardo.

  Ma va cercando (e non la cerca invano)

  1096 Illustre morte da famosa mano.

  CXXXVIII.

  Contra il maggior Buglione il destrier punge:

  Chè nemico veder non sa più degno.

  E mostra, ov’egli passa ov’egli giunge,

  1100 Di valor disperato ultimo segno.

  Ma pria ch’arrivi a lui, grida da lunge;
>
  Ecco per le tue mani a morir vegno;

  Ma tenterò, nella caduta estrema,

  1104 Che la ruina mia ti colga e prema.

  CXXXIX.

  Così gli disse; e in un medesmo punto

  L’un verso l’altro per ferir si lancia.

  Rotto lo scudo, e disarmato, e punto

  1108 È il manco braccio al Capitan di Francia.

  L’altro da lui con sì gran colpo è giunto

  Sovra i confin della sinistra guancia,

  Che ne stordisce in sulla sella: e mentre

  1112 Risorger vuol, cade trafitto il ventre.

  CXL.

  Morto il duce Emireno, omai sol resta

  Picciol avanzo di gran campo estinto.

  Segue i vinti Goffredo, e poi s’arresta;

  1116 Ch’Altamor vede a piè di sangue tinto,

  Con mezza spada e con mezzo elmo in testa,

  Da cento lance ripercosso e cinto.

  Grida egli a’ suoi: cessate; e tu barone,

  1120 Renditi (io son Goffredo) a me prigione.

  CXLI.

  Colui, che sino allor l’animo grande

  Ad alcun atto d’umiltà non torse,

  Ora ch’ode quel nome, onde si spande

  1124 Sì chiaro suon dagli Etiópi all’Orse;

  Gli risponde: farò quanto dimande,

  Chè ne sei degno (e l’arme in man gli porse)

  Ma la vittoria tua sovra Altamoro

  1128 Nè di gloria fia povera, nè d’oro.

  CXLII.

  Me l’oro del mio regno, e me le gemme

  Ricompreran della pietosa moglie.

  Replica a lui Goffredo: il Ciel non diemme

  1132 Animo tal che di tesor s’invoglie.

  Ciò che ti vien dall’Indiche maremme,

  Abbiti pure, e ciò che Persia accoglie:

  Chè della vita altrui prezzo non cerco;

  1136 Guerreggio in Asia, e non vi cambio o merco.

  CXLIII.

  Tace; ed a’ suoi custodi in cura dallo,

  E segue il corso poi de’ fuggitivi.

  Fuggon quegli ai ripari, ed intervallo

  1140 Dalla morte trovar non ponno quivi.

  Preso è repente, e pien di strage il vallo:

  Corre di tenda in tenda il sangue in rivi,

  E vi macchia le prede, e vi corrompe

  1144 Gli ornamenti barbarici e le pompe.

  CXLIV.

  Così vince Goffredo; ed a lui tanto

  Avanza ancor della diurna luce,

  Ch’alla Città già liberata, al santo

  1148 Ostel di Cristo i vincitor conduce.

  Nè pur deposto il sanguinoso manto,

  Viene al tempio con gli altri il sommo Duce:

  E quì l’arme sospende: e quì devoto

  1152 Il gran sepolcro adora, e scioglie il voto.

  E qui l’arme sospende: e qui devoto

  Il gran Sepolcro adora, e scioglie il voto.

  FINE.

  The Dual Text

  Castello Estense, a moated medieval castle in the centre of Ferrara, northern Italy — Tasso’s home for many years, while serving the Duke of Ferrara.

  THE DUAL ITALIAN AND ENGLISH TEXTS

  Translated by Edward Fairfax and John Kingston James

  In this section, readers can view a stanza by stanza text of Tasso’s epic poem, alternating between the original Italian and both Fairfax and James’ English translations.

  CONTENTS

  Canto primo

  Canto secondo

  Canto terzo

  Canto quarto

  Canto quinto

  Canto sesto

  Canto settimo

  Canto ottavo

  Canto nono

  Canto decimo

  Canto undicesimo

  Canto dodicesimo

  Canto tredicesimo

  Canto quattordicesimo

  Canto quindicesimo

  Canto sedicesimo

  Canto diciasettesimo

  Canto diciottesimo

  Canto diciannovesimo

  Canto ventesimo

  Detailed table of contents

  Canto primo

  FIRST BOOK

  ARGOMENTO.

  Manda a Tortosa Dio l’Angelo; u’ poi

  Goffredo aduna i Principi Cristiani.

  Quivi concordi que’ famosi Eroi

  Lui Duce fan degli altri Capitani.

  Quinci egli pria vuol rivedere i suoi

  Sotto l’insegne; e poi gl’invia ne’ piani

  Ch’a Sion vanno: intanto di Giudea

  Il Re si turba alla novella rea.

  THE ARGUMENT.

  Godfrey unites the Christian Peers and Knights;

  And all the Lords and Princes of renown

  Choose him their Duke, to rule the wares and fights.

  He mustereth all his host, whose number known,

  He sends them to the fort that Sion hights;

  The aged tyrant Juda’s land that guides,

  In fear and trouble, to resist provides.

  I.

  Canto l’arme pietose, e ‘l Capitano

  Che ‘l gran sepolcro liberò di Cristo.

  Molto egli oprò col senno e con la mano;

  4 Molto soffrì nel glorioso acquisto:

  E invan l’Inferno a lui s’oppose; e invano

  s’armò d’Asia e di Libia il popol misto:

  Chè ‘l Ciel gli diè favore, e sotto ai santi

  8 Segni ridusse i suoi compagni erranti.

  I

  The sacred armies, and the godly knight,

  That the great sepulchre of Christ did free,

  I sing; much wrought his valor and foresight,

  And in that glorious war much suffered he;

  In vain ‘gainst him did Hell oppose her might,

  In vain the Turks and Morians armed be:

  His soldiers wild, to brawls and mutinies prest,

  Reduced he to peace, so Heaven him blest.

  I

  THE pious arms and pious Chief I sing,

  Who the great sepulchre of Jesu freed;

  Much help did he in field and council bring,

  And much he suffered in the glorious deed;

  And Hell in vain opposed him, and in vain

  Afric, allied with Asia, drew the sword:

  Since Heaven its favour gave him, and again

  His errant comrades to the Cross restored.

  II.

  O Musa, tu, che di caduchi allori

  Non circondi la fronte in Elicona,

  Ma su nel Cielo infra i beati cori

  12 Hai di stelle immortali aurea corona;

  Tu spira al petto mio celesti ardori,

  Tu rischiara il mio canto, e tu perdona

  S’intesso fregj al ver, s’adorno in parte

  16 D’altri diletti, che de’ tuoi le carte.

  II

  O heavenly Muse, that not with fading bays

  Deckest thy brow by the Heliconian spring,

  But sittest crowned with stars’ immortal rays

  In Heaven, where legions of bright angels sing;

  Inspire life in my wit, my thoughts upraise,

  My verse ennoble, and forgive the thing,

  If fictions light I mix with truth divine,

  And fill these lines with other praise than thine.

  II

  O Muse! not thou that dost enwreathe thy brow

  With fading laurels upon Helicon;

  But high in heaven, ‘mid choirs celestial, Thou

  That hast of deathless stars a golden crown,

  Do thou my breast with heavenly warmth inspire,

  My song illumine, nor thy grace decline,

  If I the Truth embellish, or attire

  These leaves in other ornaments than thine.

  III.

  Sai che là corre il mondo, ove più versi

  Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso;

  E che ‘l vero condito in molli versi,

 
20 I più schivi allettando ha persuaso.

  Così all’egro fanciul porgiamo aspersi

  Di soavi licor gli orli del vaso:

  Succhi amari, ingannato, intanto ei beve,

  24 E dall’inganno suo vita riceve.

  III

  Thither thou know’st the world is best inclined

  Where luring Parnass most his sweet imparts,

  And truth conveyed in verse of gentle kind

  To read perhaps will move the dullest hearts:

  So we, if children young diseased we find,

  Anoint with sweets the vessel’s foremost parts

  To make them taste the potions sharp we give;

  They drink deceived, and so deceived, they live.

  III

  Childlike, the world runs ever there, where most

  The attractive Muse pours forth her sweetest strains

  And Truth, enriched by flowing song, thou knowst,

  Through its disguise the most reluctant gains;

  Thus the fond mother o’er the vase’s lips

  Spreads the sweet snare, which her sick child she gives

  Deluded, he the bitter potion sips,

  And from his own delusion life receives.

  IV.

  Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli

  Al furor di fortuna, e guidi in porto

  Me peregrino errante, e fra gli scoglj,

  28 E fra l’onde agitato, e quasi assorto;

  Queste mie carte in lieta fronte accogli,

  Che quasi in voto a te sacrate i’ porto.

  Forse un dì fia, che la presaga penna

  32 Osi scriver di te quel ch’or n’accenna.

  IV

  Ye noble Princes, that protect and save

  The Pilgrim Muses, and their ship defend

  From rock of Ignorance and Error’s wave,

  Your gracious eyes upon this labor bend:

  To you these tales of love and conquest brave

  I dedicate, to you this work I send:

  My Muse hereafter shall perhaps unfold

  Your fights, your battles, and your combats bold.

  IV

  August Alphonso, who from Fortune’s shocks

  Didst rescue, and bring safely into port

  Me — wandering pilgrim — who, ‘mid waves and rocks,

  Was tossed about, and made their cruel sport:

  Receive these leaves of mine with kindly ken,

  Which unto thee I dedicate, I vow.

  The day may come that my prophetic pen

  Dare write of thee what it foreshadows now.

  V.

  È ben ragion, (s’egli averrà ch’in pace

 

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