by Dante
de la mala coltura, quando il loglio
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si lagnerà che l’arca li sia tolta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
nostro volume, ancor troveria carta →
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u’ leggerebbe ‘I’ mi son quel ch’i’ soglio’;
ma non fia da Casal né d’Acquasparta, →
là onde vegnon tali a la scrittura, →
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ch’uno la fugge e altro la coarta.
Io son la vita di Bonaventura → →
da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
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sempre pospuosi la sinistra cura. →
Illuminato e Augustin son quici, →
che fuor de’ primi scalzi poverelli
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che nel capestro a Dio si fero amici. →
Ugo da San Vittore è qui con elli, →
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, → →
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lo qual giù luce in dodici libelli;
Natàn profeta e ’l metropolitano → →
Crisostomo e Anselmo e quel Donato → →
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ch’a la prim’ arte degnò porre mano.
Rabano è qui, e lucemi dallato →
il calavrese abate Giovacchino →
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di spirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino →
mi mosse l’infiammata cortesia → →
di fra Tommaso e ’l discreto latino; →
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e mosse meco questa compagnia.”
PARADISO XIII
Imagini, chi bene intender cupe → →
quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image, →
3
mentre ch’io dico, come ferma rupe—,
quindici stelle che ’n diverse plage
lo cielo avvivan di tanto sereno
6
che soperchia de l’aere ogne compage;
imagini quel carro a cu’ il seno →
basta del nostro cielo e notte e giorno,
9
si ch’al volger del temo non vien meno;
imagini la bocca di quel corno →
che si comincia in punta de lo stelo
12
a cui la prima rota va dintorno,
aver fatto di sé due segni in cielo, →
qual fece la figliuola di Minoi
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allora che sentì di morte il gelo;
e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, →
e amendue girarsi per maniera
18
che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;
e avrà quasi l’ombra de la vera →
costellazione e de la doppia danza
21
che circulava il punto dov’ io era:
poi ch’è tanto di là da nostra usanza, →
quanto di là dal mover de la Chiana
24
si move il ciel che tutti li altri avanza.
Lì si cantò non Bacco, non Peana, →
ma tre persone in divina natura,
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e in una persona essa e l’umana.
Compié ’l cantare e ’l volger sua misura; →
e attesersi a noi quei santi lumi,
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felicitando sé di cura in cura.
Ruppe il silenzio ne’ concordi numi → →
poscia la luce in che mirabil vita
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del poverel di Dio narrata fumi,
e disse: “Quando l’una paglia è trita, →
quando la sua semenza è già riposta,
36
a batter l’altra dolce amor m’invita.
Tu credi che nel petto onde la costa → →
si trasse per formar la bella guancia
39
il cui palato a tutto ’l mondo costa,
e in quel che, forato da la lancia, →
e prima e poscia tanto sodisfece,
42
che d’ogne colpa vince la bilancia,
quantunque a la natura umana lece →
aver di lume, tutto fosse infuso
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da quel valor che l’uno e l’altro fece;
e però miri a ciò ch’io dissi suso,
quando narrai che non ebbe ’l secondo
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lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, →
e vedräi il tuo credere e ’l mio dire →
51
nel vero farsi come centro in tondo.
Ciò che non more e ciò che può morire → →
non è se non splendor di quella idea →
54
che partorisce, amando, il nostro Sire;
ché quella viva luce che sì mea →
dal suo lucente, che non si disuna
57
da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, →
per sua bontate il suo raggiare aduna,
quasi specchiato, in nove sussistenze, →
60
etternalmente rimanendosi una. →
Quindi discende a l’ultime potenze →
giù d’atto in atto, tanto divenendo,
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che più non fa che brevi contingenze;
e queste contingenze essere intendo
le cose generate, che produce
66
con seme e sanza seme il ciel movendo.
La cera di costoro e chi la duce →
non sta d’un modo; e però sotto ’l segno
69
idëale poi più e men traluce.
Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno,
secondo specie, meglio e peggio frutta;
72
e voi nascete con diverso ingegno.
Se fosse a punto la cera dedutta
e fosse il cielo in sua virtù supprema,
75
la luce del suggel parrebbe tutta;
ma la natura la dà sempre scema,
similemente operando a l’artista →
78
ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.
Però se ’l caldo amor la chiara vista →
de la prima virtù dispone e segna,
81
tutta la perfezion quivi s’acquista.
Così fu fatta già la terra degna
di tutta l’animal perfezïone;
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così fu fatta la Vergine pregna;
sì ch’io commendo tua oppinïone,
che l’umana natura mai non fue
87
né fia qual fu in quelle due persone.
Or s’i’ non procedesse avanti piùe, →
‘Dunque, come costui fu sanza pare?’
90
comincerebber le parole tue.
Ma perché paia ben ciò che non pare,
pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
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quando fu detto ‘Chiedi,’ a dimandare.
Non ho parlato sì, che tu non posse
ben veder ch’el fu re, che chiese senno
96
acciò che re sufficïente fosse;
non per sapere il numero in che enno → →
li motor di qua sù, o se necesse →
99
con contingente mai necesse fenno;
non si est dare primum motum esse, →
o se del mezzo cerchio far si puote →
102
trïangol sì ch’un retto non avesse.
Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, →
regal prudenza è quel vedere impari
105
in che lo stral di mia intenzion percuote;
e se al ‘surse’ drizzi li occhi chiari, →
vedrai aver solamente respetto
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ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.
Con questa distinzion prendi ’l mio detto; →
e così puote star con quel che credi
111
del primo padre e del nostro Diletto.
E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, → →
per farti mover lento com’ uom lasso
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e al sì e al no che tu non vedi:
ché quelli è tra li stolti bene a basso, →
che sanza distinzione afferma e nega
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ne l’un così come ne l’altro passo;
perch’ elli ’ncontra che più volte piega
l’oppinïon corrente in falsa parte,
120
e poi l’affetto l’intelletto lega.
Vie più che ’ndarno da riva si parte, → →
perché non torna tal qual e’ si move,
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chi pesca per lo vero e non ha l’arte.
E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso e molti, →
126
li quali andaro e non sapëan dove;
sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti →
che furon come spade a le Scritture →
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in render torti li diritti volti.
Non sien le genti, ancor, troppo sicure →
a giudicar, sì come quei che stima
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le biade in campo pria che sien mature;
ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima →
lo prun mostrarsi rigido e feroce,
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poscia portar la rosa in su la cima; →
e legno vidi già dritto e veloce →
correr lo mar per tutto suo cammino,
138
perire al fine a l’intrar de la foce.
Non creda donna Berta e ser Martino, →
per vedere un furare, altro offerere, →
vederli dentro al consiglio divino;
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ché quel può surgere, e quel può cadere.” →
PARADISO XIV
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro →
movesi l’acqua in un ritondo vaso,
3
secondo ch’è percosso fuori o dentro:
ne la mia mente fé sùbito caso →
questo ch’io dico, sì come si tacque
6
la glorïosa vita di Tommaso, →
per la similitudine che nacque →
del suo parlare e di quel di Beatrice,
9
a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:
“A costui fa mestieri, e nol vi dice →
né con la voce né pensando ancora,
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d’un altro vero andare a la radice.
Diteli se la luce onde s’infiora
vostra sustanza, rimarrà con voi
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etternalmente sì com’ ell’ è ora;
e se rimane, dite come, poi
che sarete visibili rifatti,
18
esser porà ch’al veder non vi nòi.”
Come, da più letizia pinti e tratti, →
a la fiata quei che vanno a rota
21
levan la voce e rallegrano li atti,
così, a l’orazion pronta e divota,
li santi cerchi mostrar nova gioia
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nel torneare e ne la mira nota.
Qual si lamenta perché qui si moia →
per viver colà sù, non vide quive
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lo refrigerio de l’etterna ploia.
Quell’ uno e due e tre che sempre vive →
e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,
30
non circunscritto, e tutto circunscrive, →
tre volte era cantato da ciascuno →
di quelli spiriti con tal melodia,
33
ch’ad ogne merto saria giusto muno. →
E io udi’ ne la luce più dia → →
del minor cerchio una voce modesta, →
36
forse qual fu da l’angelo a Maria, →
risponder: “Quanto fia lunga la festa → →
di paradiso, tanto il nostro amore
39
si raggerà dintorno cotal vesta.
La sua chiarezza séguita l’ardore; → →
l’ardor la visïone, e quella è tanta,
42
quant’ ha di grazia sovra suo valore.
Come la carne glorïosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
45
più grata fia per esser tutta quanta;
per che s’accrescerà ciò che ne dona
di gratüito lume il sommo bene,
48
lume ch’a lui veder ne condiziona;
onde la visïon crescer convene, →
crescer l’ardor che di quella s’accende,
51
crescer lo raggio che da esso vene.
Ma sì come carbon che fiamma rende, →
e per vivo candor quella soverchia,
54
sì che la sua parvenza si difende;
così questo folgór che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
57
che tutto dì la terra ricoperchia;
né potrà tanta luce affaticarne: →
ché li organi del corpo saran forti
60
a tutto ciò che potrà dilettarne.”
Tanto mi parver sùbiti e accorti →
e l’uno e l’altro coro a dicer “Amme!” →
63
che ben mostrar disio d’i corpi morti:
forse non pur per lor, ma per le mamme, →
per li padri e per li altri che fuor cari
66
anzi che fosser sempiterne fiamme.
Ed ecco intorno, di chiarezza pari, → →
nascere un lustro sopra quel che v’era, →
69
per guisa d’orizzonte che rischiari.
E sì come al salir di prima sera →
comincian per lo ciel nove parvenze,
72
sì che la vista pare e non par vera,
parvemi lì novelle sussistenze →
cominciare a vedere, e fare un giro
75
di fuor da l’altre due circunferenze.
Oh vero sfavillar del Santo Spiro! →
come si fece sùbito e candente
78
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
Ma Bëatrice sì bella e ridente
mi si mostrò, che tra quelle vedute
81
si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreser li occhi miei virtute →
a rilevarsi; e vidimi translato →
84
sol con mia donna in più alta salute.
Ben m’accors’ io ch’io era più levato,
per l’affocato riso de la stella, →
87
che mi parea più roggio che l’usato.
Con tutto ’l core e con quella favella → →
ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto, →
90
qual conveniesi a la grazia novella.
E non er’ anco del mio petto essausto
l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi
93
esso litare stato accetto e fausto;
ché con tanto lucore e tanto robbi →
m’apparvero splendor dentro a due raggi, →
96
ch’io dissi: “O Elïòs che sì li addobbi!” →
Come distinta da minori e maggi →
lumi biancheggia tra ’ poli del mondo
99
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
sì costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno →
102
che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; → →
ché quella croce lampeggiava Cristo,
105
sì ch’io non so trovare essempro degno;
ma chi prende sua croce e segue Cristo, →
ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
108
vedendo in quell’ albor balenar Cristo. →
Di corno in corno e tra la cima e ’l basso → →
si movien lumi, scintillando forte →
111
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
così si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
114
le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, →
moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l’ombra che, per sua difesa,
117
la gente con ingegno e arte acquista. →
E come giga e arpa, in tempra tesa → →
di molte corde, fa dolce tintinno
120
a tal da cui la nota non è intesa,
così da’ lumi che lì m’apparinno
s’accogliea per la croce una melode
123
che mi rapiva, sanza intender l’inno.
Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,
però ch’a me venìa “Resurgi” e “Vinci”
126
come a colui che non intende e ode.
Ïo m’innamorava tanto quinci, →
che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
129
che mi legasse con sì dolci vinci.
Forse la mia parola par troppo osa, →
posponendo il piacer de li occhi belli,
132
ne’ quai mirando mio disio ha posa;