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Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)

Page 34

by Dante

sì fatta, che le genti lì malvage

  18

  commendan lei, ma non seguon la storia.” →

  Così un sol calor di molte brage →

  si fa sentir, come di molti amori

  21

  usciva solo un suon di quella image.

  Ond’ io appresso: “O perpetüi fiori →

  de l’etterna letizia, che pur uno

  24

  parer mi fate tutti vostri odori,

  solvetemi, spirando, il gran digiuno → →

  che lungamente m’ha tenuto in fame,

  27

  non trovandoli in terra cibo alcuno.

  Ben so io che, se ’n cielo altro reame →

  la divina giustizia fa suo specchio,

  30

  che ’l vostro non l’apprende con velame.

  Sapete come attento io m’apparecchio

  ad ascoltar; sapete qual è quello

  33

  dubbio che m’è digiun cotanto vecchio.”

  Quasi falcone ch’esce del cappello, →

  move la testa e con l’ali si plaude, →

  36

  voglia mostrando e faccendosi bello,

  vid’ io farsi quel segno, che di laude

  de la divina grazia era contesto,

  39

  con canti quai si sa chi là sù gaude.

  Poi cominciò: “Colui che volse il sesto → →

  a lo stremo del mondo, e dentro ad esso

  42

  distinse tanto occulto e manifesto,

  non poté suo valor sì fare impresso

  in tutto l’universo, che ’l suo verbo

  45

  non rimanesse in infinito eccesso.

  E ciò fa certo che ’l primo superbo, →

  che fu la somma d’ogne creatura,

  48

  per non aspettar lume, cadde acerbo;

  e quinci appar ch’ogne minor natura

  è corto recettacolo a quel bene

  51

  che non ha fine e sé con sé misura.

  Dunque vostra veduta, che convene

  essere alcun de’ raggi de la mente

  54

  di che tutte le cose son ripiene,

  non pò da sua natura esser possente

  tanto, che suo principio non discerna

  57

  molto di là da quel che l’è parvente.

  Però ne la giustizia sempiterna →

  la vista che riceve il vostro mondo,

  60

  com’ occhio per lo mare, entro s’interna;

  che, ben che da la proda veggia il fondo,

  in pelago nol vede; e nondimeno

  63

  èli, ma cela lui l’esser profondo.

  Lume non è, se non vien dal sereno →

  che non si turba mai; anzi è tenèbra

  66

  od ombra de la carne o suo veleno.

  Assai t’è mo aperta la latebra →

  che t’ascondeva la giustizia viva,

  69

  di che facei question cotanto crebra; →

  ché tu dicevi: ‘Un uom nasce a la riva → →

  de l’Indo, e quivi non è chi ragioni

  72

  di Cristo né chi legga né chi scriva;

  e tutti suoi voleri e atti buoni

  sono, quanto ragione umana vede,

  75

  sanza peccato in vita o in sermoni.

  Muore non battezzato e sanza fede:

  ov’ è questa giustizia che ’l condanna? →

  78

  ov’ è la colpa sua, se ei non crede?’

  Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, → →

  per giudicar di lungi mille miglia

  81

  con la veduta corta d’una spanna? →

  Certo a colui che meco s’assottiglia,

  se la Scrittura sovra voi non fosse, →

  84

  da dubitar sarebbe a maraviglia.

  Oh terreni animali! oh menti grosse! →

  La prima volontà, ch’è da sé buona,

  87

  da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. →

  Cotanto è giusto quanto a lei consuona: →

  nullo creato bene a sé la tira,

  90

  ma essa, radïando, lui cagiona.”

  Quale sovresso il nido si rigira →

  poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,

  93

  e come quel ch’è pasto la rimira;

  cotal si fece, e sì leväi i cigli,

  la benedetta imagine, che l’ali

  96

  movea sospinte da tanti consigli. →

  Roteando cantava, e dicea: “Quali →

  son le mie note a te, che non le ’ntendi,

  99

  tal è il giudicio etterno a voi mortali.”

  Poi si quetaro quei lucenti incendi

  de lo Spirito Santo ancor nel segno →

  102

  che fé i Romani al mondo reverendi,

  esso ricominciò: “A questo regno →

  non salì mai chi non credette ’n Cristo, →

  105

  né pria né poi ch’el si chiavasse al legno.

  Ma vedi: molti gridan ‘Cristo, Cristo!’ →

  che saranno in giudicio assai men prope

  108

  a lui, che tal che non conosce Cristo;

  e tai Cristian dannerà l’Etïòpe, →

  quando si partiranno i due collegi, →

  111

  l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe.

  Che poran dir li Perse a’ vostri regi, →

  come vedranno quel volume aperto →

  114

  nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? →

  Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto, → →

  quella che tosto moverà la penna,

  117

  per che ’l regno di Praga fia diserto.

  Lì si vedrà il duol che sovra Senna →

  induce, falseggiando la moneta, →

  120

  quel che morrà di colpo di cotenna. →

  Lì si vedrà la superbia ch’asseta, →

  che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,

  123

  sì che non può soffrir dentro a sua meta.

  Vedrassi la lussuria e ’l viver molle →

  di quel di Spagna e di quel di Boemme,

  126

  che mai valor non conobbe né volle.

  Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme →

  segnata con un i la sua bontate,

  129

  quando ’l contrario segnerà un emme.

  Vedrassi l’avarizia e la viltate →

  di quei che guarda l’isola del foco,

  132

  ove Anchise finì la lunga etate;

  e a dare ad intender quanto è poco, → →

  la sua scrittura fian lettere mozze,

  135

  che noteranno molto in parvo loco.

  E parranno a ciascun l’opere sozze

  del barba e del fratel, che tanto egregia → →

  138

  nazione e due corone han fatte bozze.

  E quel di Portogallo e di Norvegia →

  lì si conosceranno, e quel di Rascia

  141

  che male ha visto il conio di Vinegia.

  O beata Ungheria, se non si lascia → →

  più malmenare! e beata Navarra,

  144

  se s’armasse del monte che la fascia!

  E creder de’ ciascun che già, per arra →

  di questo, Niccosïa e Famagosta

  per la lor bestia si lamenti e garra,

  148

  che dal fianco de l’altre non si scosta.” →

  PARADISO XX

  Quando colui che tutto ’l mondo alluma →

  de l’emisperio nostro sì discende,

  3

  che ’l giorno d’ogne parte si consuma,

  lo ciel, che sol di lui pr
ima s’accende,

  subitamente si rifà parvente

  6

  per molte luci, in che una risplende; →

  e questo atto del ciel mi venne a mente,

  come ’l segno del mondo e de’ suoi duci →

  9

  nel benedetto rostro fu tacente;

  però che tutte quelle vive luci,

  vie più lucendo, cominciaron canti

  12

  da mia memoria labili e caduci.

  O dolce amor che di riso t’ammanti, →

  quanto parevi ardente in que’ flailli,

  15

  ch’avieno spirto sol di pensier santi!

  Poscia che i cari e lucidi lapilli →

  ond’ io vidi ingemmato il sesto lume

  18

  puoser silenzio a li angelici squilli, →

  udir mi parve un mormorar di fiume →

  che scende chiaro giù di pietra in pietra,

  21

  mostrando l’ubertà del suo cacume.

  E come suono al collo de la cetra →

  prende sua forma, e sì com’ al pertugio

  24

  de la sampogna vento che penètra,

  così, rimosso d’aspettare indugio,

  quel mormorar de l’aguglia salissi

  27

  su per lo collo, come fosse bugio.

  Fecesi voce quivi, e quindi uscissi

  per lo suo becco in forma di parole,

  30

  quali aspettava il core ov’ io le scrissi. →

  “La parte in me che vede e pate il sole → →

  ne l’aguglie mortali,” incominciommi,

  33

  “or fisamente riguardar si vole,

  perché d’i fuochi ond’ io figura fommi, →

  quelli onde l’occhio in testa mi scintilla,

  36

  e’ di tutti lor gradi son li sommi.

  Colui che luce in mezzo per pupilla, → →

  fu il cantor de lo Spirito Santo,

  39

  che l’arca traslatò di villa in villa:

  ora conosce il merto del suo canto, →

  in quanto effetto fu del suo consiglio,

  42

  per lo remunerar ch’è altrettanto.

  Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, →

  colui che più al becco mi s’accosta,

  45

  la vedovella consolò del figlio:

  ora conosce quanto caro costa

  non seguir Cristo, per l’esperïenza

  48

  di questa dolce vita e de l’opposta. →

  E quel che segue in la circunferenza →

  di che ragiono, per l’arco superno,

  51

  morte indugiò per vera penitenza:

  ora conosce che ’l giudicio etterno →

  non si trasmuta, quando degno preco

  54

  fa crastino là giù de l’odïerno.

  L’altro che segue, con le leggi e meco, →

  sotto buona intenzion che fé mal frutto,

  57

  per cedere al pastor si fece greco:

  ora conosce come il mal dedutto

  dal suo bene operar non li è nocivo,

  60

  avvegna che sia ’l mondo indi distrutto.

  E quel che vedi ne l’arco declivo, →

  Guiglielmo fu, cui quella terra plora

  63

  che piagne Carlo e Federigo vivo:

  ora conosce come s’innamora

  lo ciel del giusto rege, e al sembiante

  66

  del suo fulgore il fa vedere ancora.

  Chi crederebbe giù nel mondo errante →

  che Rifëo Troiano in questo tondo

  69

  fosse la quinta de le luci sante? →

  Ora conosce assai di quel che ’l mondo

  veder non può de la divina grazia,

  72

  ben che sua vista non discerna il fondo.”

  Quale allodetta che ’n aere si spazia → →

  prima cantando, e poi tace contenta

  75

  de l’ultima dolcezza che la sazia,

  tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta

  de l’etterno piacere, al cui disio

  78

  ciascuna cosa qual ell’ è diventa.

  E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio → →

  lì quasi vetro a lo color ch’el veste,

  81

  tempo aspettar tacendo non patio,

  ma de la bocca, “Che cose son queste?”

  mi pinse con la forza del suo peso:

  84

  per ch’io di coruscar vidi gran feste.

  Poi appresso, con l’occhio più acceso, →

  lo benedetto segno mi rispuose

  87

  per non tenermi in ammirar sospeso:

  “Io veggio che tu credi queste cose

  perch’ io le dico, ma non vedi come;

  90

  sì che, se son credute, sono ascose.

  Fai come quei che la cosa per nome →

  apprende ben, ma la sua quiditate →

  93

  veder non può se altri non la prome. →

  Regnum celorum vïolenza pate →

  da caldo amore e da viva speranza,

  96

  che vince la divina volontate:

  non a guisa che l’omo a l’om sobranza, →

  ma vince lei perché vuole esser vinta, →

  99

  e, vinta, vince con sua beninanza.

  La prima vita del ciglio e la quinta

  ti fa maravigliar, perché ne vedi

  102

  la regïon de li angeli dipinta.

  D’i corpi suoi non uscir, come credi, →

  Gentili, ma Cristiani, in ferma fede

  105

  quel d’i passuri e quel d’i passi piedi.

  Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede →

  già mai a buon voler, tornò a l’ossa;

  108

  e ciò di viva spene fu mercede: →

  di viva spene, che mise la possa

  ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla,

  111

  sì che potesse sua voglia esser mossa.

  L’anima glorïosa onde si parla,

  tornata ne la carne, in che fu poco,

  114

  credette in lui che potëa aiutarla;

  e credendo s’accese in tanto foco

  di vero amor, ch’a la morte seconda

  117

  fu degna di venire a questo gioco.

  L’altra, per grazia che da sì profonda →

  fontana stilla, che mai creatura

  120

  non pinse l’occhio infino a la prima onda,

  tutto suo amor là giù pose a drittura: →

  per che, di grazia in grazia, Dio li aperse

  123

  l’occhio a la nostra redenzion futura;

  ond’ ei credette in quella, e non sofferse

  da indi il puzzo più del paganesmo;

  126

  e riprendiene le genti perverse. →

  Quelle tre donne li fur per battesmo →

  che tu vedesti da la destra rota,

  129

  dinanzi al battezzar più d’un millesmo.

  O predestinazion, quanto remota →

  è la radice tua da quelli aspetti

  132

  che la prima cagion non veggion tota!

  E voi, mortali, tenetevi stretti

  a giudicar: ché noi, che Dio vedemo, →

  135

  non conosciamo ancor tutti li eletti;

  ed ènne dolce così fatto scemo,

  perché il ben nostro in questo ben s’affina,

  138

  che quel che vole Iddio, e noi volemo.”

  Così da quella imagine divina, →

  per farmi chiara la mia corta vista,

  141

  data mi fu soave medicina. → />
  E come a buon cantor buon citarista →

  fa seguitar lo guizzo de la corda,

  144

  in che più di piacer lo canto acquista,

  sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda

  ch’io vidi le due luci benedette,

  pur come batter d’occhi si concorda,

  148

  con le parole mover le fiammette.

  PARADISO XXI

  Già eran li occhi miei rifissi al volto →

  de la mia donna, e l’animo con essi,

  3

  e da ogne altro intento s’era tolto.

  E quella non ridea; ma “S’io ridessi,”

  mi cominciò, “tu ti faresti quale →

  6

  fu Semelè quando di cener fessi:

  ché la bellezza mia, che per le scale

  de l’etterno palazzo più s’accende, →

  9

  com’ hai veduto, quanto più si sale,

  se non si temperasse, tanto splende,

  che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore,

  12

  sarebbe fronda che trono scoscende.

  Noi sem levati al settimo splendore, →

  che sotto ’l petto del Leone ardente

  15

  raggia mo misto giù del suo valore.

  Ficca di retro a li occhi tuoi la mente, →

  e fa di quelli specchi a la figura

  18

  che ’n questo specchio ti sarà parvente.”

  Qual savesse qual era la pastura → →

  del viso mio ne l’aspetto beato

  21

  quand’ io mi trasmutai ad altra cura,

  conoscerebbe quanto m’era a grato

  ubidire a la mia celeste scorta,

 

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