by Dante
ond’ io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci →
si veggion di qua sù per tutti i paschi:
57
o difesa di Dio, perché pur giaci?
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi →
s’apparecchian di bere: o buon principio,
60
a che vil fine convien che tu caschi!
Ma l’alta provedenza, che con Scipio →
difese a Roma la gloria del mondo,
63
soccorrà tosto, sì com’ io concipio;
e tu, figliuol, che per lo mortal pondo →
ancor giù tornerai, apri la bocca,
66
e non asconder quel ch’io non ascondo.”
Sì come di vapor gelati fiocca →
in giuso l’aere nostro, quando ’l corno
69
de la capra del ciel col sol si tocca,
in sù vid’ io così l’etera addorno →
farsi e fioccar di vapor trïunfanti →
72
che fatto avien con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, →
e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,
75
li tolse il trapassar del più avanti.
Onde la donna, che mi vide assolto →
de l’attendere in sù, mi disse: “Adima
78
il viso e guarda come tu se’ vòlto.”
Da l’ora ch’ïo avea guardato prima → →
i’ vidi mosso me per tutto l’arco
81
che fa dal mezzo al fine il primo clima;
sì ch’io vedea di là da Gade il varco →
folle d’Ulisse, e di qua presso il lito →
84
nel qual si fece Europa dolce carco.
E più mi fora discoverto il sito →
di questa aiuola; ma ’l sol procedea →
87
sotto i mie’ piedi un segno e più partito.
La mente innamorata, che donnea →
con la mia donna sempre, di ridure
90
ad essa li occhi più che mai ardea;
e se natura o arte fé pasture
da pigliare occhi, per aver la mente,
93
in carne umana o ne le sue pitture,
tutte adunate, parrebber nïente
ver’ lo piacer divin che mi refulse,
96
quando mi volsi al suo viso ridente.
E la virtù che lo sguardo m’indulse,
del bel nido di Leda mi divelse →
99
e nel ciel velocissimo m’impulse.
Le parti sue vivissime ed eccelse → →
si uniforme son, ch’i’ non so dire
102
qual Bëatrice per loco mi scelse.
Ma ella, che vedëa ’l mio disire, →
incominciò, ridendo tanto lieta,
105
che Dio parea nel suo volto gioire:
“La natura del mondo, che quïeta →
il mezzo e tutto l’altro intorno move, →
108
quinci comincia come da sua meta;
e questo cielo non ha altro dove →
che la mente divina, in che s’accende
111
l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.
Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
sì come questo li altri; e quel precinto
114
colui che ’l cinge solamente intende.
Non è suo moto per altro distinto, →
ma li altri son mensurati da questo,
117
sì come diece da mezzo e da quinto;
e come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri le fronde,
120
omai a te può esser manifesto.
Oh cupidigia, che i mortali affonde →
sì sotto te, che nessuno ha podere
123
di trarre li occhi fuor de le tue onde!
Ben fiorisce ne li uomini il volere;
ma la pioggia continüa converte
126
in bozzacchioni le sosine vere. →
Fede e innocenza son reperte →
solo ne’ parvoletti; poi ciascuna
129
pria fugge che le guance sian coperte.
Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, → →
che poi divora, con la lingua sciolta,
132
qualunque cibo per qualunque luna;
e tal, balbuzïendo, ama e ascolta
la madre sua, che, con loquela intera,
135
disïa poi di vederla sepolta.
Così si fa la pelle bianca nera →
nel primo aspetto de la bella figlia
138
di quel ch’apporta mane e lascia sera.
Tu, perché non ti facci maraviglia, →
pensa che ’n terra non è chi governi;
141
onde sì svïa l’umana famiglia.
Ma prima che gennaio tutto si sverni → →
per la centesma ch’è là giù negletta,
144
raggeran sì questi cerchi superni, →
che la fortuna che tanto s’aspetta, →
le poppe volgerà u’ son le prore, →
sì che la classe correrà diretta;
148
e vero frutto verrà dopo ’l fiore.” →
PARADISO XXVIII
Poscia che ’ncontro a la vita presente →
d’i miseri mortali aperse ’l vero →
3
quella che ’mparadisa la mia mente, →
come in lo specchio fiamma di doppiero → →
vede colui che se n’alluma retro,
6
prima che l’abbia in vista o in pensiero,
e sé rivolge per veder se ’l vetro
li dice il vero, e vede ch’el s’accorda →
9
con esso come nota con suo metro;
così la mia memoria si ricorda →
ch’io feci riguardando ne’ belli occhi
12
onde a pigliarmi fece Amor la corda. →
E com’ io mi rivolsi e furon tocchi →
li miei da ciò che pare in quel volume, →
15
quandunque nel suo giro ben s’adocchi, →
un punto vidi che raggiava lume →
acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca
18
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
21
come stella con stella si collòca.
Forse cotanto quanto pare appresso → →
alo cigner la luce che ’l dipigne
24
quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,
distante intorno al punto un cerchio d’igne →
si girava sì ratto, ch’avria vinto
27
quel moto che più tosto il mondo cigne; →
e questo era d’un altro circumcinto, →
e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
30
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo sì sparto →
già di larghezza, che ’l messo di Iuno
33
intero a contenerlo sarebbe arto.
Così l’ottavo e ’l nono; e ciascheduno →
più tardo si movea, secondo ch’era
36
in numero distante più da l’uno;
e quello avea la fiamma più sincera →
cui men distava la favilla pura,
39
credo, però che più di lei s’invera.
La donna mia, che mi vedëa in cura
forte sospeso, disse: “Da quel pu
nto → →
42
depende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che più li è congiunto; →
e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
45
per l’affocato amore ond’ elli è punto.”
E io a lei: “Se ’l mondo fosse posto →
con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,
48
sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;
ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto più divine,
51
quant’ elle son dal centro più remote.
Onde, se ’l mio disir dee aver fine →
in questo miro e angelico templo
54
che solo amore e luce ha per confine,
udir convienmi ancor come l’essemplo →
e l’essemplare non vanno d’un modo,
57
ché io per me indarno a ciò contemplo.”
“Se li tuoi diti non sono a tal nodo →
sufficïenti, non è maraviglia:
60
tanto, per non tentare, è fatto sodo!”
Così la donna mia; poi disse: “Piglia
quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;
63
e intorno da esso t’assottiglia.
Li cerchi corporai sono ampi e arti →
secondo il più e ’l men de la virtute
66
che si distende per tutte lor parti.
Maggior bontà vuol far maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
69
s’elli ha le parti igualmente compiute.
Dunque costui che tutto quanto rape
l’altro universo seco, corrisponde
72
al cerchio che più ama e che più sape: →
per che, se tu a la virtù circonde
la tua misura, non a la parvenza
75
de le sustanze che t’appaion tonde,
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a più e di minore a meno,
78
in ciascun cielo, a süa intelligenza.”
Come rimane splendido e sereno →
l’emisperio de l’aere, quando soffia
81
Borea da quella guancia ond’ è più leno,
per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride
84
con le bellezze d’ogne sua paroffia;
così fec’ïo, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
87
e come stella in cielo il ver si vide. →
E poi che le parole sue restaro, →
non altrimenti ferro disfavilla
90
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
L’incendio suo seguiva ogne scintilla; →
ed eran tante, che ’l numero loro
93
più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
Io sentiva osannar di coro in coro →
al punto fisso che li tiene a li ubi, →
96
e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.
E quella che vedëa i pensier dubi →
ne la mia mente, disse: “I cerchi primi →
99
t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.
Così veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno;
102
e posson quanto a veder son soblimi.
Quelli altri amori che ’ntorno li vonno, → →
si chiaman Troni del divino aspetto, →
105
per che ’l primo ternaro terminonno; →
e dei saper che tutti hanno diletto →
quanto la sua veduta si profonda
108
nel vero in che si queta ogne intelletto.
Quinci si può veder come si fonda →
l’esser beato ne l’atto che vede,
111
non in quel ch’ama, che poscia seconda;
e del vedere è misura mercede, →
che grazia partorisce e buona voglia:
114
così di grado in grado si procede.
L’altro ternaro, che così germoglia → →
in questa primavera sempiterna →
117
che notturno Arïete non dispoglia,
perpetüalemente ‘Osanna’ sberna → →
con tre melode, che suonano in tree
120
ordini di letizia onde s’interna.
In essa gerarcia son l’altre dee: →
prima Dominazioni, e poi Virtudi;
123
l’ordine terzo di Podestadi èe.
Poscia ne’ due penultimi tripudi →
Principati e Arcangeli si girano;
126
l’ultimo è d’Angelici ludi.
Questi ordini di sù tutti s’ammirano, →
e di giù vincon sì, che verso Dio →
129
tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dïonisio con tanto disio →
a contemplar questi ordini si mise, →
132
che li nomò e distinse com’ io.
Ma Gregorio da lui poi si divise; →
onde, sì tosto come li occhi aperse
135
in questo ciel, di sé medesmo rise. →
E se tanto secreto ver proferse →
mortale in terra, non voglio ch’ammiri:
ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse
139
con altro assai del ver di questi giri.”
PARADISO XXIX
Quando ambedue li figli di Latona, → → →
coperti del Montone e de la Libra,
3
fanno de l’orizzonte insieme zona,
quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra →
infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
6
cambiando l’emisperio, si dilibra,
tanto, col volto di riso dipinto, →
si tacque Bëatrice, riguardando
9
fiso nel punto che m’avëa vinto. →
Poi cominciò: “Io dico, e non dimando, →
quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto
12
là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.
Non per aver a sé di bene acquisto, →
ch’esser non può, ma perché suo splendore
15
potesse, risplendendo, dir ‘Subsisto,’ →
in sua etternità di tempo fore,
fuor d’ogne altro comprender, come i piacque, →
18
s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.
Né prima quasi torpente si giacque; →
ché né prima né poscia procedette
21
lo discorrer di Dio sovra quest’ acque.
Forma e materia, congiunte e purette, → →
usciro ad esser che non avia fallo,
24
come d’arco tricordo tre saette.
E come in vetro, in ambra o in cristallo →
raggio resplende sì, che dal venire →
27
a l’esser tutto non è intervallo,
così ’l triforme effetto del suo sire
ne l’esser suo raggiò insieme tutto
30
sanza distinzïone in essordire.
Concreato fu ordine e costrutto → →
a le sustanze; e quelle furon cima
33
nel mondo in che puro atto fu produtto;
pura potenza tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
36
tal vime, che già mai non si divima.
Ieronimo vi scrisse lungo tratto →
di secoli de li angeli
creati
39
anzi che l’altro mondo fosse fatto;
ma questo vero è scritto in molti lati
da li scrittor de lo Spirito Santo,
42
e tu te n’avvedrai se bene agguati;
e anche la ragione il vede alquanto, →
che non concederebbe che ’ motori
45
sanza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amori → →
furon creati e come: sì che spenti
48
nel tuo disïo già son tre ardori.
Né giugneriesi, numerando, al venti →
sì tosto, come de li angeli parte →
51
turbò il suggetto d’i vostri alimenti. →
L’altra rimase, e cominciò quest’ arte →
che tu discerni, con tanto diletto,
54
che mai da circüir non si diparte.
Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
57
da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli che vedi qui furon modesti →
a riconoscer sé da la bontate
60
che li avea fatti a tanto intender presti:
per che le viste lor furo essaltate →
con grazia illuminante e con lor merto,
63
sì c’hanno ferma e piena volontate;
e non voglio che dubbi, ma sia certo, →
che ricever la grazia è meritorio →
66
secondo che l’affetto l’è aperto.
Omai dintorno a questo consistorio
puoi contemplare assai, se le parole