Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)

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Paradiso (The Divine Comedy series Book 3) Page 39

by Dante

69

  mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio.

  Ma perché ’n terra per le vostre scole → → →

  si legge che l’angelica natura

  72

  è tal, che ’ntende e si ricorda e vole,

  ancor dirò perché tu veggi pura

  la verità che là giù si confonde,

  75

  equivocando in sì fatta lettura. →

  Queste sustanze, poi che fur gioconde

  de la faccia di Dio, non volser viso

  78

  da essa, da cui nulla si nasconde:

  però non hanno vedere interciso →

  da novo obietto, e però non bisogna

  81

  rememorar per concetto diviso;

  sì che là giù, non dormendo, si sogna, →

  credendo e non credendo dicer vero;

  84

  ma ne l’uno è più colpa e più vergogna.

  Voi non andate giù per un sentiero →

  filosofando: tanto vi trasporta

  87

  l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero!

  E ancor questo qua sù si comporta

  con men disdegno che quando è posposta

  90

  la divina Scrittura o quando è torta.

  Non vi si pensa quanto sangue costa →

  seminarla nel mondo e quanto piace

  93

  chi umilmente con essa s’accosta.

  Per apparer ciascun s’ingegna e face → →

  sue invenzioni; e quelle son trascorse

  96

  da’ predicanti e ’l Vangelio si tace.

  Un dice che la luna si ritorse →

  ne la passion di Cristo e s’interpuose,

  99

  per che ’l lume del sol giù non si porse;

  e mente, ché la luce si nascose →

  da sé: però a li Spani e a l’Indi

  102

  come a’ Giudei tale eclissi rispuose.

  Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi → →

  quante sì fatte favole per anno

  105

  in pergamo si gridan quinci e quindi: →

  sì che le pecorelle, che non sanno, →

  tornan del pasco pasciute di vento,

  108

  e non le scusa non veder lo danno.

  Non disse Cristo al suo primo convento: →

  ‘Andate, e predicate al mondo ciance’;

  111

  ma diede lor verace fondamento; →

  e quel tanto sonò ne le sue guance, →

  sì ch’a pugnar per accender la fede

  114

  de l’Evangelio fero scudo e lance.

  Ora si va con motti e con iscede

  a predicare, e pur che ben si rida,

  117

  gonfia il cappuccio e più non si richiede. →

  Ma tale uccel nel becchetto s’annida, →

  che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe

  120

  la perdonanza di ch’el si confida:

  per cui tanta stoltezza in terra crebbe, →

  che, sanza prova d’alcun testimonio,

  123

  ad ogne promession si correrebbe.

  Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio, →

  e altri assai che sono ancor più porci,

  126

  pagando di moneta sanza conio. →

  Ma perché siam digressi assai, ritorci →

  li occhi oramai verso la dritta strada,

  129

  sì che la via col tempo si raccorci.

  Questa natura sì oltre s’ingrada →

  in numero, che mai non fu loquela

  132

  né concetto mortal che tanto vada;

  e se tu guardi quel che si revela →

  per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia

  135

  determinato numero si cela.

  La prima luce, che tutta la raia, →

  per tanti modi in essa si recepe,

  138

  quanti son li splendori a chi s’appaia.

  Onde, però che a l’atto che concepe

  segue l’affetto, d’amar la dolcezza

  141

  diversamente in essa ferve e tepe.

  Vedi l’eccelso omai e la larghezza →

  de l’etterno valor, poscia che tanti

  speculi fatti s’ha in che si spezza,

  145

  uno manendo in sé come davanti.”

  PARADISO XXX

  Forse semilia miglia di lontano → →

  ci ferve l’ora sesta, e questo mondo →

  3

  china già l’ombra quasi al letto piano, →

  quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo, → →

  comincia a farsi tal, ch’alcuna stella

  6

  perde il parere infino a questo fondo;

  e come vien la chiarissima ancella →

  del sol più oltre, così ’l ciel si chiude

  9

  di vista in vista infino a la più bella. →

  Non altrimenti il trïunfo che lude →

  sempre dintorno al punto che mi vinse, →

  12

  parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude, →

  a poco a poco al mio veder si stinse:

  per che tornar con li occhi a Bëatrice

  15

  nulla vedere e amor mi costrinse.

  Se quanto infino a qui di lei si dice →

  fosse conchiuso tutto in una loda, →

  18

  poca sarebbe a fornir questa vice. →

  La bellezza ch’io vidi si trasmoda →

  non pur di là da noi, ma certo io credo

  21

  che solo il suo fattor tutta la goda.

  Da questo passo vinto mi concedo →

  più che già mai da punto di suo tema

  24

  soprato fosse comico o tragedo:

  ché, come sole in viso che più trema, →

  così lo rimembrar del dolce riso

  27

  la mente mia da me medesmo scema. →

  Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso → →

  in questa vita, infino a questa vista,

  30

  non m’è il seguire al mio cantar preciso; →

  ma or convien che mio seguir desista →

  più dietro a sua bellezza, poetando,

  33

  come a l’ultimo suo ciascuno artista. →

  Cotal qual io la lascio a maggior bando →

  che quel de la mia tuba, che deduce

  36

  l’ardüa sua matera terminando,

  con atto e voce di spedito duce

  ricominciò: “Noi siamo usciti fore →

  39

  del maggior corpo al ciel ch’è pura luce: →

  luce intellettüal, piena d’amore;

  amor di vero ben, pien di letizia;

  42

  letizia che trascende ogne dolzore.

  Qui vederai l’una e l’altra milizia →

  di paradiso, e l’una in quelli aspetti →

  45

  che tu vedrai a l’ultima giustizia.”

  Come sùbito lampo che discetti →

  li spiriti visivi, sì che priva

  48

  da l’atto l’occhio di più forti obietti,

  così mi circunfulse luce viva, →

  e lasciommi fasciato di tal velo

  51

  del suo fulgor, che nulla m’appariva.

  “Sempre l’amor che queta questo cielo →

  accoglie in sé con sì fatta salute, →

  54

  per far disposto a sua fiamma il candelo.”

  Non fur più tosto dentro a me venute →

  queste parole brievi, ch’io compresi

  57

  me sormontar di sopr’ a mia virtute;

  e di novella vista mi raccesi

  tale, che nulla luce è tanto mera,


  60

  che li occhi miei non si fosser difesi;

  e vidi lume in forma di rivera → →

  fulvido di fulgore, intra due rive → →

  63

  dipinte di mirabil primavera.

  Di tal fiumana uscian faville vive, →

  e d’ogne parte si mettien ne’ fiori,

  66

  quasi rubin che oro circunscrive; →

  poi, come inebrïate da li odori, →

  riprofondavan sé nel miro gurge, →

  69

  e s’una intrava, un’altra n’uscia fori.

  “L’alto disio che mo t’infiamma e urge, →

  d’aver notizia di ciò che tu vei,

  72

  tanto mi piace più quanto più turge;

  ma di quest’ acqua convien che tu bei

  prima che tanta sete in te si sazi”:

  75

  così mi disse il sol de li occhi miei.

  Anche soggiunse: “Il fiume e li topazi →

  ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe →

  78

  son di lor vero umbriferi prefazi. →

  Non che da sé sian queste cose acerbe;

  ma è difetto da la parte tua,

  81

  che non hai viste ancor tanto superbe.”

  Non è fantin che sì sùbito rua →

  col volto verso il latte, se si svegli

  84

  molto tardato da l’usanza sua

  come fec’ io, per far migliori spegli →

  ancor de li occhi, chinandomi a l’onda

  87

  che si deriva perché vi s’immegli;

  e sì come di lei bevve la gronda

  de le palpebre mie, così mi parve

  90

  di sua lunghezza divenuta tonda. →

  Poi, come gente stata sotto larve, →

  che pare altro che prima, se si sveste

  93

  la sembianza non süa in che disparve,

  così mi si cambiaro in maggior feste

  li fiori e le faville, sì ch’io vidi → →

  96

  ambo le corti del ciel manifeste.

  O isplendor di Dio, per cu’ io vidi →

  l’alto trïunfo del regno verace,

  99

  dammi virtù a dir com’ïo il vidi!

  Lume è là sù che visibile face → →

  lo creatore a quella creatura

  102

  che solo in lui vedere ha la sua pace.

  E’ si distende in circular figura, →

  in tanto che la sua circunferenza

  105

  sarebbe al sol troppo larga cintura.

  Fassi di raggio tutta sua parvenza

  reflesso al sommo del mobile primo,

  108

  che prende quindi vivere e potenza.

  E come clivo in acqua di suo imo →

  si specchia, quasi per vedersi addorno,

  111

  quando è nel verde e ne’ fioretti opimo,

  sì, soprastando al lume intorno intorno,

  vidi specchiarsi in più di mille soglie

  114

  quanto di noi là sù fatto ha ritorno.

  E se l’infimo grado in sé raccoglie →

  sì grande lume, quanta è la larghezza

  117

  di questa rosa ne l’estreme foglie! →

  La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza →

  non si smarriva, ma tutto prendeva

  120

  il quanto e ’l quale di quella allegrezza.

  Presso e lontano, lì, né pon né leva:

  ché dove Dio sanza mezzo governa,

  123

  la legge natural nulla rileva.

  Nel giallo de la rosa sempiterna, → →

  che si digrada e dilata e redole →

  126

  odor di lode al sol che sempre verna, →

  qual è colui che tace e dicer vole,

  mi trasse Bëatrice, e disse: “Mira

  129

  quanto è ’l convento de le bianche stole! →

  Vedi nostra città quant’ ella gira; → →

  vedi li nostri scanni sì ripieni,

  132

  che poca gente più ci si disira.

  E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni →

  per la corona che già v’è sù posta, →

  135

  prima che tu a queste nozze ceni, →

  sederà l’alma, che fia giù agosta, →

  de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia →

  138

  verrà in prima ch’ella sia disposta. →

  La cieca cupidigia che v’ammalia → →

  simili fatti v’ha al fantolino

  141

  che muor per fame e caccia via la balia.

  E fia prefetto nel foro divino → →

  allora tal, che palese e coverto

  144

  non anderà con lui per un cammino.

  Ma poco poi sarà da Dio sofferto →

  nel santo officio: ch’el sarà detruso

  là dove Simon mago è per suo merto, →

  148

  e farà quel d’Alagna intrar più giuso.” →

  PARADISO XXXI

  In forma dunque di candida rosa → →

  mi si mostrava la milizia santa →

  3

  che nel suo sangue Cristo fece sposa;

  ma l’altra, che volando vede e canta →

  la gloria di colui che la ’nnamora →

  6

  e la bontà che la fece cotanta,

  sì come schiera d’ape che s’infiora → →

  una fïata e una si ritorna

  9

  là dove suo laboro s’insapora, →

  nel gran fior discendeva che s’addorna

  di tante foglie, e quindi risaliva

  12

  là dove ’l süo amor sempre soggiorna. →

  Le facce tutte avean di fiamma viva →

  e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco,

  15

  che nulla neve a quel termine arriva.

  Quando scendean nel fior, di banco in banco

  porgevan de la pace e de l’ardore →

  18

  ch’elli acquistavan ventilando il fianco.

  Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore →

  di tanta moltitudine volante

  21

  impediva la vista e lo splendore:

  ché la luce divina è penetrante →

  per l’universo secondo ch’è degno,

  24

  sì che nulla le puote essere ostante.

  Questo sicuro e gaudïoso regno, →

  frequente in gente antica e in novella,

  27

  viso e amore avea tutto ad un segno.

  Oh trina luce che ’n unica stella →

  scintillando a lor vista, sì li appaga!

  30

  guarda qua giuso a la nostra procella! →

  Se i barbari, venendo da tal plaga →

  che ciascun giorno d’Elice si cuopra, →

  33

  rotante col suo figlio ond’ ella è vaga,

  veggendo Roma e l’ardüa sua opra,

  stupefaciensi, quando Laterano

  36

  a le cose mortali andò di sopra;

  ïo, che al divino da l’umano, →

  a l’etterno dal tempo era venuto,

  39

  e di Fiorenza in popol giusto e sano, →

  di che stupor dovea esser compiuto!

  Certo tra esso e ’l gaudio mi facea

  42

  libito non udire e starmi muto.

  E quasi peregrin che si ricrea →

  nel tempio del suo voto riguardando,

  45

  e spera già ridir com’ ello stea,

  su per la viva luce passeggiando,

  menava ïo li occhi per li gradi,

  48

&nb
sp; mo sù, mo giù e mo recirculando. →

  Vedëa visi a carità süadi, →

  d’altrui lume fregiati e di suo riso,

  51

  e atti ornati di tutte onestadi. →

  La forma general di paradiso →

  già tutta mïo sguardo avea compresa,

  54

  in nulla parte ancor fermato fiso;

  e volgeami con voglia rïaccesa →

  per domandar la mia donna di cose →

  57

  di che la mente mia era sospesa.

  Uno intendëa, e altro mi rispuose: →

  credea veder Beatrice e vidi un sene →

  60

  vestito con le genti glorïose.

  Diffuso era per li occhi e per le gene

  di benigna letizia, in atto pio

  63

  quale a tenero padre si convene. →

  E “Ov’ è ella?” sùbito diss’ io. →

  Ond’ elli: “A terminar lo tuo disiro →

  66

  mosse Beatrice me del loco mio;

  e se riguardi sù nel terzo giro

  dal sommo grado, tu la rivedrai

  69

  nel trono che suoi merti le sortiro.”

  Sanza risponder, li occhi sù levai, →

  e vidi lei che si facea corona →

  72

  reflettendo da sé li etterni rai.

  Da quella regïon che più sù tona →

  occhio mortale alcun tanto non dista,

  75

  qualunque in mare più giù s’abbandona,

  quanto lì da Beatrice la mia vista;

  ma nulla mi facea, ché süa effige →

  78

  non discendëa a me per mezzo mista.

 

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