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Renaissance Woman_The Life of Vittoria Colonna

Page 38

by Ramie Targoff


  * A1.1: “Scrivo sol per sfogar l’interna doglia / ch’al cor mandar le luci al mondo sole, / e non per giunger lume al mio bel Sole, / al chiaro spirto e a l’onorata spoglia. / Giusta cagion a lamentar m’invoglia; / ch’io scemi la sua gloria assai mi dole; / per altra tromba e più sagge parole / convien ch’a morte il gran nome si toglia. / La pura fe’, l’ardor, l’intensa pena / mi scusi appo ciascun; ché ’l grave pianto / è tal che tempo né ragion l’affrena. / Amaro lacrimar, non dolce canto, / foschi sospiri e non voce serena, / di stil no ma di duol mi danno vanto.”

  † S1.4: “S’in man prender non soglio unqua la lima … io non adorno / Né tergo la mia rozza incolta rima.”

  * A1.82: “L’alta piaga immortal, che m’assicura / di novo stral con lungo volger d’anni … / Godo tanto in veder che ’l mondo intende / quel ch’io pria vidi.”

  * A1.74: “Spinse il dolor la voce e poi non ebbe / per sì bella cagion lo stile accorto, / ma del palese error nascosta porto / la pena, tanto al cor poscia n’increbbe. / Il tristo canto, che col tempo crebbe, / più noia altrui, ch’a me stessa conforto / temo che porga, e al ver tanto vien corto / che per il suo miglior tacer devrebbe. / Né giova a me, né a quel mio lume santo; / ch’al suo valor ed al tormento è poco / quanto può dir chi più Elicona onora. / Tempo è ch’ardendo dentro ascoso il foco / mai sempre sé di fuor rasciughi ’l pianto, / e sol d’intorno al cor rinasca e mora.”

  * A1.7: “Di così nobil fiamma Amor mi cinse / ch’essendo morta, in me vive l’ardore; / né temo nuovo caldo, ché ’l vigore / del primo foco mio tutt’altri estinse. / Ricco legame al bel giogo m’avinse / sì che disdegna umil catena il core; / non più speranza vuol, non più timore; / un solo incendio l’arse, un nodo il strinse. / Scelto dardo pungente il petto offese, / ond’ei riserba la piaga immortale / per schermo contra ogni amoroso impaccio. / Per me la face spense ove l’accese; / l’arco spezzò ne l’aventar d’un strale; / sciolse i suo’ nodi in l’annodar d’un laccio.”

  * A1.89: “con poca speme / d’altra vita miglior le diede altr’ale; / e nel mio cor dolor vivo e mortale / siede mai sempre, e de l’alma serena / vita immortal questa speranza toglie / forza a l’ardite voglie; / né pur sol il timor d’eterna pena, / ma ’l gir lungi al mio Sol la man raffrena.”

  * A1.47: “Di gravosi pensier la turba infesta / domina sì la mente, il cor e l’alma, / che l’aspra vita e la noiosa salma / l’una m’è grave omai, l’altra molesta … / Tempo ben fòra ch’o del martir vinta / o dal soccorso suo chiamata al Cielo / avesser fin sì lunghi e amari giorni! / La propria man dal duol più volte spinta / fatto l’avria, ma quell’ardente zelo / di trovar lui fa pur ch’a dietro torni.”

  * A1.64: “A che sempre chiamar la sorda morte / e far pietoso il Ciel col pianger mio / se vincer meco istessa il gran desio / sarà in por fine al duol per vie più corte? / A che picchiar l’altrui sì chiuse porte / se in me con aprirne una al proprio oblio / e chiuder l’altra al mio pensier poss’io / spreggiar l’aversa stella e l’empia sorte? / Quante difese, quante vie discopre / l’anima per uscir del carcer cieco / del mio grave dolor, tentato ho invano; / riman sol a provar se vive meco / tanta ragion ch’io volga quest’insano / desir fuor di speranza a miglior opre.”

  * A1.86: “Come il calor del gran pianeta ardente / dissolve il ghiaccio, o ver borea turbato / fuga le nubi, così il Sole amato / nïun basso pensier nel cor consente. / Vien donno nel suo albergo e la mia mente / di suo’ nimici sgombra, ond’è illustrato / mio spirto alor dal suo lume beato; / l’altre cure men degne ha in tutto spente. / Or, se ciò è in terra, che fia dunque poi / che sarà tolto il grave mortal velo, / sì che tanto splendor non mi contende? / Temo sol che sì lieta i raggi suoi / vedrò ch’altro maggior lume nel Cielo / non mi fia noto, n’altro ardor m’accende.”

  * Canzoniere 366, “prego che sia mia scorta, / et la mia tòrta|via drizzi a buon fine.”

  * A2.29: “Sperai che ’l tempo i caldi alti desiri / temprasse alquanto, o dal mortale affanno / fosse il cor vinto sì che ’l settimo anno / non s’udisser sì lungi i miei sospiri.”

  † “Ma voi nel settim’anno / Qual nel primo piangete, / E con gravoso affanno / Il gran Davalo vostro / Chiamate or con la voce, or con l’inchiostro.”

  * A1.71: “Ahi quanto fu al mio Sol contrario il fato, / che con l’alta virtù dei raggi suoi / pria non v’accese, che mill’anni e poi / voi sareste più chiaro, ei più lodato. / Il nome suo col vostro stile ornato, / che dà scorno agli antichi, invidia a noi, / a mal grado del tempo avreste voi / dal secondo morir sempre guardato.”

  † “Cingi le costei tempie de l’amato / da te già in volto umano arboscel, poi / ch’ella sorvola i più leggiadri tuoi / poeti col suo verso alto e purgato.”

  * A2.13: “Quando io dal caro scoglio guardo intorno / la terra e ’l mar, ne la vermiglia aurora, / quante nebbie nel ciel son nate alora / scaccia la vaga vista, il chiaro giorno. / S’erge il pensier col sol, ond’io ritorno / al mio, che ’l Ciel di maggior luce onora; / e da questo alto par che ad or ad ora / richiami l’alma al suo dolce soggiorno.”

  * S1.1: “Poi che ’l mio casto amor gran tempo tenne / L’alma di fama accesa, ed ella un angue / In sen nudriò per cui dolente or langue / Volta al Signor, onde ’l rimedio venne, / I santi chiodi omai sian le mie penne, / E puro inchiostro il prezioso sangue, / Vergata carta il sacro corpo exangue, / Sì ch’io scriva ad altrui quel ch’ei sostenne. / Chiamar qui non convien Parnaso o Delo, / Ch’ad altra aqua s’aspira, ad altro monte / Si poggia, u’ piede uman per sé non sale. / Quel sol, che alluma gli elementi e ’l cielo, / Prego ch’aprendo il suo lucido fonte / Mi porga umor a la gran sete eguale.”

  * S1.58: “Se con l’armi celesti avessi’io vinto / Me stessa, i sensi, e la ragione umana / … / Ben ho già fermo l’occhio al miglior fine / Del nostro corso, ma non volo ancora / Per lo destro sentier salda e leggiera; / Veggio i segni del sol, scorgo l’aurora, / Ma per li sacri giri a le divine / Stanze non entro in quella luce vera.”

  † S1.8: “Tempo è pur ch’io, con la precinta vesta, / Con l’orecchie e con gli occhi avidi intenti / E con le faci in man vive e ardenti, / Aspetti il caro sposo ardita e presta / Per onorarlo riverente, onesta, / Avendo al cor gli altri desiri spenti, / E brami l’amor suo, l’ira paventi, / Sì ch’ei mi trovi a la vigilia desta. / Non per li ricchi suoi doni infiniti / Ne men per le soavi alte parole, / Onde vita immortal lieto m’offerse, / Ma perché la man santa non m’additi, / ‘Ecco la cieca, a cui non si scoverse / Con tanti chiari raggi il suo bel sole.’”

  * S1.30: “Vedea l’alto Signor, ch’ardendo langue / Del nostro amor, tutti i rimedi scarsi / Per noi s’ei non scendea qui in terra a farsi / Uomo e donarci in croce il proprio sangue.”

  † S1.101: “Veggio il figliuol di Dio nudrirsi al seno / D’una vergine e madre, ed ora insieme / Risplender con la veste umana in cielo.”

  * S2.32: “Anime elette, in cui da l’ampie e chiare / Cristalline del cielo onde secrete / Ristagna ogni or per farvi sempre liete / De la bontà di Dio più largo mare, / … / Pregate lui che con le voci stesse / Con le quai chiamar l’uom al ciel li piacque, / Lo svegli omai dal grave interno sonno.”

  * S1.18: “Cibo, del cui meraviglioso effetto / L’alma con l’occhio interno dentro vede / L’alta cagion divina e acquista fede / Che sei Dio vero e sua verace obietto: / Nudrita del tuo ardor, con umil petto / Quasi del ciel sicura indegna erede, / Vorrei là su far gloriose prede / Per forza d’un sol puro acceso affetto. / … / Tutto sol per far noi divenir tuoi / Facesti, e pur da noi s’usa ogni ingegno / Ed ogni poder nostro incontro a noi.”

  † S1.92: “Ma legar i contrari miei pensieri, / Aprir per forza l’indurato petto, / Far ch’in me sian l’ardenti voglie spente / Onde vadano al ciel i desir veri, / Sol de la tua bontà fie vero effetto.”

  * S1.52: “Debile e ’nferma a la salute vera / Ricorro … / … / E quanto in sé disfida, tanto spera / L’alma in quel d’ogni ben vivo tesoro, / Che la può far con largo ampio ristoro / Sana, ricca, al suo caldo arder sincer
a. / … / Non saranno alor mie l’opre e ’l desire, / Ma lieve andrò con le celesti piume / Ove mi spinge e tira il santo ardore.”

  * “O de la nostra etade unica gloria, / … / Il sesso nostro un sacro e nobil tempio / Dovría, come già a Palla e a Febo, alzarvi / Di ricchi marmi e di finissim’oro.”

  * S2.36: “Ai santi pie’ colei che simil nome / onora vidi, ardendo d’amor, lieta / risplender, cinta da l’aurate chiome. / La mosse a pianger qui ben degna pieta, / onde il Ciel vuol che con equal misura / per seme di dolor or gloria mieta.”

  * 162: “Ora in sul destro, ora in sul manco piede / variando, cerco della mie salute. / Fra ’l vizio e la virtute / il cor confuso mi travaglia e stanca, / come chi ’l ciel non vede, / che per ogni sentier si perde e manca. / Porgo la carta bianca / a’ vostri sacri inchiostri, / c’amor mi sganni e pietà ’l ver ne scriva: / che l’alma, da sé franca, / non pieghi agli error nostri / mie breve resto, e che men cieco viva. / Chieggio a voi, alta e diva / donna, saper se ’n ciel men grado tiene / l’umil peccato che ’l superchio bene.”

  * 159: “Per esser manco, alta signora, indegno / del don di vostra immensa cortesia, / prima, all’incontro a quella, usar la mia / con tutto il cor volse ’l mie basso ingegno. / Ma visto poi, c’ascendere a quel segno / propio valor non è c’apra la via, / perdon domanda la mie audacia ria, / e del fallir più saggio ognor divegno. / E veggio ben com’erra s’alcun crede / la grazia, che da voi divina piove, / pareggi l’opra mia caduca e frale. / L’ingegno, l’arte e la memoria cede: / c’un don celeste non con mille pruove / pagar del suo può già chi è mortale.”

  * 111: “S’egli è, donna, che puoi / come cosa mortal, benché sia diva / di beltà, c’ancor viva / e mangi e dorma e parli qui fra noi, / a non seguirti poi, / cessato il dubbio, tuo grazia e mercede, / qual pena a tal peccato degna fora? / Ché alcun ne’ pensier suoi / co’ l’occhio che non vede, / per virtù propria tardi s’ innamora. / Disegna in me di fuora, / com’io fo in pietra o in candido foglio, / che nulla ha dentro, e èvvi ciò ch’io voglio.”

  * 235: “Un uomo in una donna, anzi uno dio / per la sua bocca parla, / ond’io per ascoltarla / son fatto tal, che ma’ più sarò mio. / I’ credo ben, po’ ch’io / a me da·llei fu’ tolto, / fuor di me stesso aver di me pietate; / sì sopra ’l van desio / mi sprona il suo bel volto, / ch’i’ veggio morte in ogni altra beltate. / O donna che passate / per acqua e foco l’alme a’ lieti giorni, / deh, fate c’a me stesso più non torni.”

  † 239: “Com’esser, donna, può quel c’alcun vede / per lunga sperïenza, che più dura / l’immagin viva in pietra alpestra e dura, / che ’l suo fattor, che gli anni in cener riede? / La causa a l’effetto inclina e cede, / onde dall’arte è vinta la natura. / I’ ’l so, che ’l pruovo in la bella scultura, / c’all’opra il tempo e morte non tien fede. / Dunche, posso ambo noi dar lunga vita, / in qual sie modo, o di colore o sasso, / di noi sembrando l’uno e l’altro volto; / sì che mill’anni dopo la partita, / quante voi bella fusti e quant’io lasso / si veggia, e com’amarvi i’ non fu’ stolto.”

  * S1.97: “Non potrò dire, o mio dolce conforto, / Che non sia destro il luogo, e i tempi, e l’ore, / Per far chiaro con l’opre un tale ardore, / Quale è il desio che dentro acceso porto. / Ma se ben questo o quel picciol diporto / Sottrae dal sempre procurarvi onore / I sensi, ho pur per grazia fermo il core / Non mai drizzar la vela ad altro porto. / M’accorgo or che nel mondo e sterpi e spine / Torcer non ponno al saggio il destro piede / Dal sentier dritto s’antivede il fine; / Ma il molto amore a noi, la poca fede / De l’invisibil cose alte e divine, / Ne ritardano il corso a la mercede.”

  * E22: “Veggio rilucer sol di armate squadre / i miei sì larghi campi, ed odo il canto / rivolto in grido, e ’l dolce riso in pianto / là ’ve io prima toccai l’antica madre. / … / sotto un sol cielo, entro un sol grembo nati / sono, e nudriti insieme a la dolce ombra / d’una sola città gli avoli nostri.”

  † E23: “Prego il Padre divin che tanta fiamma / mandi del foco Suo nel vostro core / … / Vedransi alor venir gli armenti lieti / al santo grembo caldo de la face / che ’l gran Lume del Ciel gli accese in terra. / Così le sacre glorïose reti / saran già colme; con la verga in pace / si rese il mondo, e non con l’armi in guerra.”

  * S1.141: “Figlio e signor, se la tua prima e vera / Madre vive prigion, non l’è già tolto / L’anima saggia o ’l chiaro spirto sciolto / … / A me, che sembro andar scarca e leggera / E ’n poca terra ho il cor chiuso e sepolto, / Convien ch’abbi talor l’occhio rivolto / Che la seconda tua madre non pera.”

  * S1.179: “Temo che ’l laccio, ov’io molt’anni presi / Tenni li spirti, ordisca or la mia rima / Sol per usanza, e non per quella prima / Cagion d’averli in Dio volti e accesi. / Temo che sian lacciuoli intorno tesi / Di colui ch’opra mal con sorda lima, / E mi faccia parer da falsa stima / Utili i giorni forse indarno spesi. / Di giovar poca, ma di nocer molta / Ragion vi scorgo, ond’io prego ’l mio foco / Ch’entro in silenzio il petto abbracci ed arda. / Interrotto dal duol, dal pianger roco / Esser dee il canto vèr colui ch’ascolta / Dal cielo, e al cor non a lo stil riguarda.”

 

 

 


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