«Non voglio che tu ci rimanga male, quando capirete che i vostri mondi sono inconciliabili. Non voglio che ti succeda quello che è successo a Lucas James.»
Trovo assurdo che mia madre paragoni la mia storia con Zelda a quella vecchia faccenda. Lucas era il figlio dei nostri vicini e per un paio di mesi uscì con una ragazza che veniva da una famiglia ricca. Quando i genitori di lei lo scoprirono, lo accusarono di aver approfittato di lei, in pratica di averla quasi stuprata.
«Ma è completamente diverso!» dico. «I genitori di Zelda non farebbero mai…»
«Malik, non essere ingenuo, non puoi saperlo.» Mia madre parla in tono duro, preoccupato. «Nessuno può sapere cosa succederebbe, ma se le cose andassero storte, c’è un’alta possibilità che sia soprattutto tu a pagarne le conseguenze. Ecco di cosa abbiamo paura.»
«Sei pazza», dico. «È una cosa assurda, di che diavolo stai parlando?»
Finalmente i nostri sguardi si incrociano e nei suoi occhi leggo sofferenza, dolore e paura.
«L’ultima cosa che vogliamo è ferirti. Ti vogliamo bene, Malik, più di qualsiasi altra cosa. Vogliamo solo il meglio per te, devi credermi, ti prego», mia madre quasi mi supplica.
«Allora non impicciatevi degli affari miei.»
Dal salotto arrivano delle risate, poi la voce di Jasmine: «Quando si mangia?»
Mia madre sospira. «Mi dispiace, Malik, lo so che non volevi sentire queste cose. Ma io sono una madre ed è mio dovere proteggere i miei figli. È il mio lavoro.» Detto questo, va in salotto ad annunciare che è pronto.
Quando siamo tutti seduti, papà versa un goccio di vino agli adulti. Si stanno tutti impegnando per rendere piacevole quest’occasione, peccato che mia madre abbia rovinato tutto. Jasmine mette il broncio perché papà come al solito ha ignorato il suo bicchiere. Io cerco sotto il tavolo la mano di Zelda e gliela stringo. Lei non ha idea di cosa sia appena successo tra me e mia madre, ma tutto a un tratto provo l’irrefrenabile desiderio di toccarla, come per assicurarmi che sia tutto a posto.
«Allora», dice papà con voce allegra. «Un brindisi a noi. Siamo felici di averti finalmente conosciuta, Zelda.»
Mi innervosisce tantissimo che si comporti come se fosse tutto a posto, di sicuro sa che mia madre mi ha parlato. Ipocriti, tutti e due.
«Grazie mille per l’invito, anche io sono molto contenta!» dice Zelda sorridendo. È bellissima, nonostante i capelli un po’ scompigliati. Ellie ed Esther si sono date parecchio da fare.
Ma mi fa male il cuore al pensiero che i miei genitori abbiano dei dubbi su di noi.
25
Zelda
IL polpettone è delizioso. Un piatto casalingo, semplice ma preparato con amore. Non ricordo nemmeno una volta in cui mia madre abbia cucinato.
«È davvero buonissimo», dico.
«Sono contenta», risponde Jade, la madre di Malik, con un sorriso amichevole.
Durante tutto il pranzo Malik si comporta in maniera stranissima, continua a prendermi la mano e a stringerla. A un certo punto stringe troppo forte, e io mi tiro indietro.
«Scusa», mormora, «non volevo farti male.»
Lo guardo e lui si sforza di sorridere.
«Zelda ha detto che mi insegnerà a mettere lo smalto», racconta Jasmine. «È bravissima a farlo.»
Arrossisco un po’. «Be’, gli smalti sono un po’ una mia passione», spiego.
«Fa’ vedere le tue unghie», dice Jasmine.
Poso la mano sul tavolo, in modo che tutti possano vederla. Quando vado dai miei non mi azzardo mai a mettere smalti troppo appariscenti.
«Che belle», commenta Ebony, che si è alzata in piedi sulla sedia per vedere meglio.
«Davvero belle», si complimenta anche Jade.
Dopo mangiato, Malik propone di andare. Non capisco perché non voglia rimanere, suo fratello e le sorelle sono molto tristi.
«Ma perché dovete già andare via?» chiede Theo.
«Perché sì», risponde Malik un po’ innervosito.
Guardo Jasmine e lei alza le spalle, a quanto pare è stupita quanto me.
«È stato un piacere conoscervi», mi rivolgo ai genitori di Malik. «Grazie per l’ottimo pranzo.»
«Torna quando vuoi», risponde il padre di Malik, abbracciandomi.
«Chiamaci», dice Jade al figlio, ma lui si volta ed esce senza parlare.
«Arrivederci», li saluto, sperando che lo strano comportamento di Malik non abbia a che fare con me.
I bambini ci fanno segno con la mano e io sorrido un’ultima volta a tutti. Poi seguo Malik, che ha già sceso le scale e sta attraversando il giardino. Si ferma in mezzo alla strada, si passa le mani tra i capelli e fa un respiro profondo.
«Che succede?» chiedo preoccupata. «Sei arrabbiato con me?»
«Con te?» ride.
«È successo qualcosa?»
«Puoi dirlo forte. Mia madre è fuori di testa.»
«A me non sembrava così fuori di testa», dico sorpresa.
«Non sai di che parli.»
«Vuoi dirmi cosa succede?» Mi avvicino e gli prendo la mano.
«Ha detto delle cose… Su di noi.» Sembra che faccia fatica a parlare. «Ha detto che tu mi farai del male, che i nostri mondi sono troppo diversi, che i tuoi genitori si metteranno contro di noi. E altre sciocchezze del genere.»
Altre sciocchezze del genere. Quelle parole mi risuonano nella testa.
«Ma non devi preoccuparti», continua poi. «Non me ne sono stato zitto di fronte a queste cavolate, puoi credermi.»
«Va tutto bene, Malik.» Lo abbraccio, e anche lui mi stringe e mi accarezza piano la schiena, con il mento posato sulla mia testa.
«Sai», riprende, «in realtà non va bene affatto che dica queste cose. Non so cosa le sia preso, davvero, non ne ho idea. È che loro non sanno che cosa abbiamo. Io scelgo te, Zelda, voglio che tu lo sappia. Sceglierò sempre te.»
Rimango in silenzio e rifletto. Guardo in faccia Malik e sento un groppo in gola. Sembra davvero deluso. Ma anche determinato.
«Va tutto bene, davvero. È tua madre, non credo avesse cattive intenzioni. Non dovete litigare, siete una famiglia così bella. E non ne hai una di scorta.» Mi sembra assurdo anche solo paragonare la loro splendida famiglia con quella catastrofe che sono i miei genitori e i miei fratelli.
Lui mi guarda quasi indignato. «Non devi giustificare il suo comportamento, non voglio che tu la difenda.» Deglutisce a fatica. «Non sono affari suoi. Niente di quello che ha detto sono affari suoi.»
«Non ti arrabbiare, Malik. Lei si preoccupa, è normale.» Tutto a un tratto sento le gambe pesanti, anzi, ogni parte del corpo. Come se di colpo mi fosse piombato addosso un peso.
«Si preoccupa? Non hai sentito cosa ha detto… Preoccuparsi è una cosa, ma invitarti a pranzo, fingere di essere la famigliola felice e uscirsene così con me!» È davvero furioso, e ferito, me ne accorgo solo ora.
Ci incamminiamo lentamente, Malik rimane un paio di passi davanti a me.
«Non capisco, come osano pensarlo? Tu sei la cosa migliore che potesse accadermi, la migliore di tutte. Quello che c’è tra noi… niente mi ha mai reso così felice. E loro devono mettermi i bastoni tra le ruote.»
«In realtà non l’hanno fatto», replico a bassa voce, ma lui non mi sente, sta di nuovo imprecando. Vorrei poterlo capire, ed essere con lui al cento per cento, ma una minuscola parte di me sa che sua madre non ha del tutto torto. Se immagino cosa potrebbe accadere nel caso in cui i miei genitori scoprissero della mia relazione con lui…
Neanche a farlo apposta lui dice: «Mi dispiace che abbia detto quelle sciocchezze sui tuoi genitori. Non sa di che parla».
Ci sono due bambini che giocano con delle macchinine sulle scale davanti al portone d’ingresso di un palazzo. Quando passiamo ci guardano incuriositi.
Cazzo. Non so davvero cosa fare. Vorrei riavere indietro il Malik allegro di prima. Vorrei andare da lui e dirgli che andrà tutto bene. Ma non posso. Non posso continuare a mentirgli. La reazione di sua madre ha risvegliato qualcosa in me, qualcosa che speravo fosse svanito. Ovviamente, sapevo ch
e un giorno o l’altro la nostra bolla di felicità sarebbe scoppiata, ma finora mi ero sempre rifiutata di prendere seriamente in considerazione questa possibilità. Non ho ascoltato me stessa e mi sono gettata a capofitto in un sogno. Un sogno bellissimo.
«Malik», lo chiamo esitante. Lui si ferma e si volta. «E se avessero ragione?» Non riesco a credere di averlo detto, suona allo stesso tempo liberatorio e straziante. Come un tradimento. Lo capisco da come mi guarda Malik. Un tradimento che colpisce tutti e due. Non deve, non può essere vero. Ma è giunto il momento di essere sinceri. Devo dirgli tutta la verità, prima che lui decida di mettere in atto i propositi che ha pronunciato a cuor leggero e si allontani dalla sua famiglia.
«Che vuoi dire?» mi chiede con la fronte aggrottata, facendo un passo quasi minaccioso verso di me.
«Voglio dire che potrebbero aver ragione. Magari è vero che siamo troppo diversi. Forse non può funzionare tra noi.»
«Sei impazzita?» Malik si lascia sfuggire un verso che assomiglia a una risata, e allo stesso tempo a tutt’altro. «Funziona benissimo. Lo sai che funziona. Lo sai che quello che c’è tra noi è una cosa bella. E che non si trova certo a ogni angolo della strada.» Prova a sorridere e fa per prendermi la mano. «Non ti far influenzare da quello che hanno detto.»
Io non gli porgo la mia, e lui mi guarda perplesso.
«Malik», comincio a dire con voce roca. Deglutisco, il groppo che ho in gola sembra quasi soffocarmi. «Niente e nessuno è in grado di rendermi felice come fai tu.»
«Lo so, e niente e nessuno è in grado di rendermi felice come fai tu.» Cerca di nuovo la mia mano, ma io resto ancora immobile.
«Ci sono delle cose che non ti ho ancora detto. Delle cose che non riuscivo a dirti.»
«Di che parli?» chiede con una punta di panico nella voce.
«La mia vita è molto complicata.»
«Tutte le vite sono complicate.»
«Sì, io però ne ho due. Due vite separate che non possono incontrarsi. Ho la mia vita perfetta con te, in cui posso essere quella che sono, e poi ho un’altra vita nei fine settimana. Non ti sei mai chiesto perché passo così tanto tempo con la mia famiglia, visto che non la sopporto?» Mi fermo per fare un bel respiro, Malik indietreggia di un passo. «Ora te lo spiego: perché i miei genitori stanno cercando di appiopparmi un ricco erede di qualche famiglia. Se sapessero che sto con te mi vieterebbero di continuare a frequentare l’università e mi riporterebbero a casa. Per questo quando me lo ordinano vado da loro per incontrare potenziali mariti.» Abbasso gli occhi. Mi vergogno profondamente di quello che ho detto, e soprattutto di averglielo tenuto nascosto finora.
«Come, scusa? Sei impazzita davvero?»
Riesco a malapena a sopportare il dolore che leggo sul suo viso. Vedere Malik così mi fa più male di qualsiasi altra cosa io stia provando in questo momento.
«Mi stai prendendo in giro, vero?» Si allontana ancora di un passo. «Dimmi che è uno scherzo. Tutto questo non…»
«Mi dispiace», mormoro a bassa voce. Mi salgono le lacrime agli occhi, ma le ricaccio indietro. Non è il mio turno di crollare, non dopo quello che ho appena detto. Devo cercare di essere forte… per entrambi.
«No… no. Non ha senso, non può essere. Tutti i weekend vedi altri uomini, e poi durante la settimana fai come se…» Si interrompe. Poi esclama: «E non hai nemmeno raccontato di noi ai tuoi genitori!»
«Non ho scelta.»
«Tutti hanno una maledetta scelta», esplode lui. «Ce l’hai anche tu. Puoi scegliere di essere sincera, oppure no. Con me e con i tuoi genitori. Invece hai deciso di no, hai deciso di mentire a tutti.» Alla sua indignazione si mescola anche un po’ di incredulità, e io mi sento morire dentro. Ai suoi occhi deve sembrare come se avessi deciso di stare dalla parte dei miei, contro di lui. Esattamente il contrario di quello che lui mi ha appena promesso di fare per me. Sceglierò sempre te, ha detto. Ma la mia non è stata una decisione presa contro di lui, o di noi. Anzi, gli ho dato tutto quello che potevo dargli, e anche di più. Ma mi rendo conto che non sembra così. Sono la persona peggiore del mondo.
«Malik…» sussurro, «lasciami spiegare.»
«E cosa c’è da spiegare?» chiede lui. Fa per allontanarsi, ma io lo seguo.
Lui si passa le mani sul viso e lentamente si accascia sul marciapiede. Poi rimane in silenzio per quella che a me sembra un’eternità, si limita a tenere lo sguardo fisso davanti a sé. Inspira ed espira. Poi alza la testa.
«Okay», dice infine. Mi accorgo che sta facendo uno sforzo enorme per restare calmo. «Spiegami.»
Mi sento invadere da un infinito sollievo e mi siedo accanto a lui.
«I miei genitori non sono come i tuoi», comincio. «Il mondo da cui vengo io è radicalmente diverso da tutto quello a cui sei abituato.»
«Lo so.»
«La cosa più importante per i miei genitori è che io sposi qualcuno al loro livello.» Guardo Malik, che deglutisce. «Mi sono diplomata con un voto bassissimo perché non volevo dare nessun tipo di soddisfazione ai miei, e quando non sono stata accettata in nessuna università della Ivy League loro si sono infuriati. Alla fine abbiamo raggiunto un accordo: se volevo continuare a studiare dovevo restare nei paraggi e acconsentire al loro desiderio di presentarmi potenziali mariti.»
Malik sbuffa. «Ma è una cosa malata.»
«Lo so», rispondo. «Speravo che all’università avrei scoperto di essere veramente brava in qualcosa, come è successo ai miei fratelli. Pensavo di poter dimostrare ai miei che potevano essere fieri anche di me, e a quel punto loro avrebbero lasciato perdere i loro assurdi piani e mi avrebbero permesso di vivere la mia vita. In un certo senso, non ho mai perso questa speranza, anche se sembra un pensiero un po’ ingenuo.»
«E non puoi parlarne con loro?» chiede Malik.
«Con i miei genitori è impossibile parlare, è più probabile che il buco nell’ozono si richiuda. A loro interessano solo i risultati.»
«Mi dispiace, Zelda.» La sua voce è di nuovo dolce, la freddezza di prima è quasi svanita del tutto.
«Insomma, in qualche modo ho dovuto arrangiarmi.»
Per un attimo restiamo entrambi in silenzio, poi Malik riprende la parola: «Ma non può bastare, Zelda, arrangiarsi e basta. Non può bastare per una come te».
Non capisco cosa intenda e gli lancio un’occhiata perplessa.
«Tu non sei una che si accontenta, sei una persona che vuole essere se stessa al cento per cento. Tutto o niente. Devi essere più sicura di te.» Poi aggiunge: «E anche di me».
Come? Per un istante sono convinta di aver sentito male. «Ma lo sono, Malik. Sono sicura di te.»
«E allora perché tutte queste bugie? Non hai detto niente ai tuoi genitori, puoi immaginare come mi fa sentire questo. E mi hai tenuto nascosta una parte importante della tua vita.»
«Lo so, sono stata una stupida. Mi dispiace. È che volevo che fosse tutto bello e basta. Volevo sfruttare e gustare ogni secondo. In un certo senso, ho sempre avuto la sensazione di non avere molto tempo.»
Malik mi prende la mano. «E allora è questo che ti darò, Zelda. Del tempo. Del tempo per pensare a tutto questo. Alla tua vita, e alla mia vita insieme a te. Senza pressioni, senza aspettative. Prenditi un paio di settimane, o anche un mese. Io ti aspetterò. E quando sarai pronta per vivere la nostra vita, insieme troveremo una soluzione.»
«Non voglio un mese», affermo con decisione. «Voglio tutto, qui e ora.»
«Anche io», dice Malik con un sorriso stanco. «Ma non così. Non è giusto. Non dobbiamo essere per forza costretti a lottare contro i miei e i tuoi genitori. O dimostrare continuamente a tutti che stiamo bene insieme. Basta che ne siamo sicuri io e te. Io lo sono. Ma non sono sicuro che lo sia anche tu.»
«Invece devi!» Mi sto facendo prendere dal panico.
«Per favore, Zelda.» Malik si porta la mia mano alle labbra e la bacia.
Non posso credere a cosa mi ha appena proposto. A cosa pretende da me. Una pausa. Guardo i suoi occhi che sembrano supplicarmi, e allora capisco. Ha bisogno di sicurezza. La mia confessione ha destabilizzato t
utto.
Inspiro profondamente e chiudo gli occhi. «Allora te lo dimostrerò. In fondo cos’è un mese? Niente.»
Malik sorride di gratitudine. «E dopo la faremo vedere a tutti», dice con un ottimismo nella voce che non corrisponde a quello che gli leggo in faccia. Lascia andare la mia mano.
Io annuisco. Odio anche solo l’idea di non vederlo per un mese, ma so che ha ragione. Deve poter essere sicuro di me, e sapere della mia doppia vita l’ha fatto dubitare. Ma gli dimostrerò che può fidarsi. A lui e a tutti gli altri.
Mi alzo in piedi lentamente e gli rivolgo un sorriso incoraggiante. «Non sai cosa ti aspetta. Avrò così tanta nostalgia di te che alla fine di questo mese ti salterò addosso.»
«In questo caso non vedo l’ora.»
«Un mese, e poi avremo il nostro tutto, qui e ora. Te lo prometto.» Detto questo, mi volto e me ne vado. Come vuole lui. Dopo tutto quello che gli ho tenuto nascosto è il minimo che io possa fare. Anche se mi sembra profondamente sbagliato.
26
Malik
I SUOI passi si allontanano, prima esitanti, poi più rapidi. Mi fa male pensare che non la rivedrò per così tanto tempo. Un male d’inferno. Sento lo stomaco annodarsi e il dolore penetrante mi fa chiudere gli occhi. Che cosa mi è venuto in mente?
Ma so che è giusto così, Zelda ha bisogno di chiarirsi le idee. E anche io, per quanto mi piacerebbe credere che sia davvero sicura. Il fatto che mi abbia tenuto fuori dal suo mondo, e abbia tenuto il suo mondo fuori dalla mia vita, significa qualcosa. Forse lei non se ne è neanche resa conto, in ogni caso sono contento che si sia convinta. Tra un mese saprò come stanno le cose, e allora potrò tornare dai miei stupidi genitori e far sparire con uno schiocco delle dita tutte le loro preoccupazioni e riserve.
Non so da quanto tempo sono seduto qui da solo, ma a un certo punto il mio cellulare comincia a vibrare. Sullo schermo leggo il nome di Jasmine. Lì per lì non so se mi va di parlare con qualcuno, ma poi rispondo. In fondo si tratta pur sempre di mia sorella.
«Ciao Malik. Volevo sapere se era tutto a posto, sei stato un po’ strano prima. Hai parlato con mamma?»
02 Hold Me. Qui Page 19