02 Hold Me. Qui

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02 Hold Me. Qui Page 18

by Kathinka Engel


  «Ehi!» esclama Zelda, provando a voltarsi.

  «Chi è?» dice il tizio. Non mi piace che la tocchi in quel modo, anche perché è evidente che l’ha messa a disagio.

  «Jason», risponde Zelda un po’ innervosita. «Chi altri potrebbe invadere in questo modo il mio spazio personale?»

  Lui ride e saluta tutti, poi si prende una sedia e si mette tra Zelda e me.

  «Allora, splendore?» chiede. «Come va?»

  Aggrotto la fronte, ma forse è solo lo stupido modo di fare di questo tizio. Quelli come lui spesso pensano che il mondo appartenga a loro. Conosco bene questo atteggiamento, e non ho intenzione di lasciarmi intimidire.

  «Alla grande, gli artisti qui sono proprio bravi», dice Zelda. «Però credo che dobbiate trovarvi un altro tavolo. Purtroppo qui non abbiamo spazio anche per i tuoi amici.»

  «Non preoccuparti. Volevo solo sapere come sta la mia compagna di tavolo.»

  Lancio a Zelda un’occhiata interrogativa, ma lei non mi sta guardando.

  «Molto bene», risponde. «E starò ancora meglio quando potrò tornare a dedicarmi ai miei amici.»

  Non appena finisce di parlare, Jason si volta verso di me e mi porge la mano: «Ciao, amico di Zelda. Mi chiamo Jason. Ti dispiace se mi siedo qui?»

  Mi coglie un po’ di sorpresa, perciò rispondo: «No, per me è okay». C’è qualcosa nel suo comportamento che mi infastidisce profondamente, da una parte la pretesa di avere Zelda tutta per sé, come se fosse naturale, dall’altra la scortesia che mostra nei nostri confronti.

  «Ma dispiace a me, Jason», dice adesso Zelda. «Non sopporto questo atteggiamento invadente.»

  «Pensavo che avessi a cuore la sorte dei poveri diavoli trascurati dalla società.»

  Jason ha appoggiato un braccio sullo schienale della sedia di lei.

  «Tu non sei né povero né trascurato.» Adesso il tono di Zelda si è fatto decisamente poco amichevole.

  Dietro di noi sentiamo la voce di uno degli amici di Jason. «Ehi, andiamocene da qualche altra parte, qui è una noia.»

  Jason lo ignora e comincia a giocherellare con i capelli di Zelda. «Sono povero in spirito, perché tu mi trascuri.»

  Non mi piace affatto che ci provi in questo modo con lei, perciò intervengo: «Senti, è meglio se te ne vai con i tuoi amici». Non voglio fare il fidanzato geloso, ma quello che Jason sta facendo è intollerabile.

  «E perché dovrebbe interessarmi la tua opinione?» mi chiede lui.

  «E perché tu sei così maleducato?» si inserisce Sam a questo punto. «Perché non te ne vai da qualche altra parte con i tuoi amici?»

  «Ehi, tranquilli», dice Jason. «Volevo solo fare un saluto, adesso ce ne andiamo.» Si alza ed esce dal locale insieme al suo gruppo.

  «Ma chi era?» chiede Tamsin.

  «L’idiota del seminario di Scienze politiche. Quello con cui litigo sempre.»

  «Aaaah», esclama Tamsin quando capisce di chi sto parlando. «Wow. È davvero antipatico.»

  «In realtà a volte sa comportarsi bene», dice Zelda, e io non capisco perché lo stia difendendo. «Ma di solito fa lo stronzo, e stasera era anche ubriaco. Aveva un alito tremendo.»

  Non so se chiederglielo, perché non vorrei sembrare geloso, ma alla fine la curiosità ha il sopravvento. «Perché ha detto che eri la sua compagna di tavolo?»

  Zelda mi guarda negli occhi. «Ti ricordi l’evento di beneficenza a cui sono andata? Per caso lui era seduto accanto a me al tavolo», risponde. Il suo sguardo è limpido e sincero, e io un po’ mi vergogno di averle fatto questa domanda.

  23

  Zelda

  «POSSO cambiarmi in macchina, Miloš?» chiedo, tornando dalla casa dei miei genitori. La strada che stiamo percorrendo è immersa nel buio, è come se fossimo le uniche due persone rimaste al mondo ed è una sensazione che, curiosamente, mi tranquillizza. I fari dell’auto illuminano l’asfalto davanti a noi, ma oltre a questo non si vede niente.

  Non avevo voglia di dormire nella mia vecchia cameretta, perciò Miloš si è offerto di accompagnarmi. Ha detto che tanto a casa sua sarebbe stato comunque esiliato sul divano, perché russa e sua moglie, che è agli ultimi mesi di gravidanza, ha il sonno leggero. Gli sono infinitamente grata per questa proposta, perché dopo la serata di oggi restare dai miei sarebbe stato davvero insopportabile.

  «Non c’è problema, signorina Zelda, io tengo gli occhi fissi sulla strada.»

  Comincio a sfilarmi l’abito da cocktail rosso scuro, un’operazione abbastanza complicata, perché qui sul sedile posteriore ho uno spazio di manovra limitato. Riesco comunque a liberarmi di questo involucro estraneo e, due minuti più tardi, mi sento di nuovo me stessa, con la mia minigonna lilla e la maglietta con su scritto PUNK’S NOT DEAD. Infilo il mio outfit serale e la parrucca in una busta di plastica.

  «Quanto vorrei che ai miei genitori non importasse come mi vesto!» sbotto frustrata. È un po’ strano parlare di questo con Miloš, ma ho bevuto parecchio vino e la serata è stata così brutta che non riesco a trattenermi. E non riesco nemmeno a ignorare il senso di rifiuto che provo sempre in presenza della mia famiglia.

  «Io vorrei che i suoi genitori vedessero la persona che c’è sotto ai vestiti», risponde lui.

  Deglutisco a fatica. Questa sera è stato particolarmente difficile non badare agli sguardi di disapprovazione di mia madre. Mio padre, invece, ha cercato di fare un po’ di conversazione, per non risultare scortese. Le apparenze sono salve, insomma, e meno male, perché a questo giro il mio cavaliere, Ruben, era così noioso che in pratica gli rimanevano solo quelle.

  A tavola con noi c’era anche mio fratello maggiore, Elijah, che è arrogante e presuntuoso come gli altri due. L’unica ragione per cui con lui mi sento leggermente più a mio agio è che non parla molto. È il re dei monosillabi, secco e magro, ma a parte questo, non è diverso da Sebastian e Zachary: concentrato sulla carriera, l’orgoglio dei miei genitori, un noioso borghesuccio arricchito, per la precisione uno studente di Legge che indossa abiti fatti su misura e cravatte classiche.

  A coronamento di questa serata, quando ci siamo salutate mia madre mi ha detto che vuole organizzare una festa di compleanno per me.

  «È una splendida occasione per ravvivare vecchie amicizie e stringerne di nuove», ha aggiunto con un sorriso finto.

  L’unico momento sopportabile di tutta la serata me l’ha involontariamente offerto Elijah, che ha subito cercato di trovare delle scuse per non venire. Ma mia madre non gli ha lasciato scelta. «È un’occasione di famiglia, Elijah», e non ha aggiunto altro. Dall’espressione accigliata di mio fratello, chiunque avrebbe potuto capire che siamo parenti.

  «Posso chiederle di fare una cosa per me, Miloš? Ma deve restare tra noi.» Voglio cacciare via lo spettro di questa serata.

  «Come sempre, signorina Zelda.»

  «Potrebbe non riportarmi a casa?»

  «Dove vuole andare?»

  «Dal mio ragazzo», rispondo, e sento il cuore accelerare. Mi fido di Miloš, ma è comunque un rischio renderlo così partecipe della mia vita. Lui però mi sorride dallo specchietto retrovisore: «Certo, signorina Zelda, ho le labbra cucite».

  Lascio abito e parrucca in macchina, non posso rischiare che Malik li veda. Stamattina presto mi ha lasciato le chiavi di Rhys nella casetta della posta, per darmi modo di entrare a qualsiasi ora senza svegliarlo. Dopo una giornata intensa in cucina, ha bisogno di dormire.

  Infilo le chiavi nella serratura e non vedo l’ora di rannicchiarmi accanto a lui. Qui dentro mi sento al sicuro e sono felice e sollevata di essere venuta, dopo le ore passate a mentire a me stessa. Qui posso essere davvero come sono, e ciò che altrove viene considerato un difetto è apprezzato.

  La porta della stanza di Malik è accostata e io l’apro quanto basta per sbirciare dentro. Lui è sdraiato a pancia sotto, con il viso rivolto verso la porta. Ha una gamba piegata, l’altra invece pende fuori dal letto, come anche un braccio. Il suo respiro è regolare e nella penombra intravedo la sua schiena ampia e bellissima.

  Richiudo piano la porta e vado a sedermi un momento
in cucina, per bere un bicchiere d’acqua. Ho la sensazione di dovermi purificare anche dentro, per non disturbare la tranquillità di Malik, non voglio portare nella sua vita più assurdità Redstone-Laurie del necessario. È già abbastanza brutto che la mia famiglia sia così, e la sensazione di ingannare Malik, di fargli male in qualche modo, mi fa sentire in colpa. Ma so che, se gli raccontassi tutto, le cose tra noi non sarebbero più come prima. Non sarebbero più così leggere e spensierate. E io non voglio che lui debba rinunciare alla sua allegria a causa mia, non voglio deluderlo, non lo sopporterei. Ma prima o poi dovrò fare qualcosa.

  Mi lavo il viso e poi entro in camera in punta di piedi. Il respiro di Malik è ancora profondo e regolare, la sua aria serena mi provoca una leggera fitta dentro. Anche io sembro così rilassata? In realtà non lo sono affatto, anzi, mi sento tutta contratta. Ma adesso sono con lui, che è capace di rilassare il mio corpo e la mia anima. Mi svesto e mi adagio nuda sul materasso, perché voglio sentire la sua pelle contro la mia. Il letto cigola e lui si sveglia per un istante.

  «Sei qui!» mormora assonnato, abbracciandomi. È caldo, e la pressione delle sue braccia sul mio corpo mi calma, mi riporta con i piedi per terra. Con Malik ho sempre la sensazione che vada tutto bene, mi ha trasmesso questa leggerezza fin dal primo momento, e adesso credo proprio di non poter più vivere senza. Lui affonda il viso nei miei capelli e mi bacia sulla nuca. Il suo letto è piccolo e dobbiamo stare stretti l’uno all’altra, ma è esattamente ciò di cui ho bisogno.

  «Sì, sono qui», dico, rannicchiandomi ancora di più contro il suo corpo. Sono qui. Con tutta me stessa. Qui insieme a lui.

  24

  Malik

  LA mia vita è un sogno. La settimana al lavoro è andata bene, e mi sono svegliato con la donna più fantastica del mondo tra le braccia. Con lei mi sento protetto e al sicuro come mai in vita mia, quando è al mio fianco non ho paura di niente e il mio futuro mi sembra una promessa di felicità. Zelda fa sparire ogni preoccupazione.

  Oggi finalmente la porto a conoscere la mia famiglia, siamo stati invitati a pranzo. Davvero, non so da dove mi sia arrivata tutta questa fortuna.

  «Vorrei portare un mazzo di fiori a tua madre, per ringraziarla dell’invito», dice Zelda mentre andiamo.

  Ho l’impressione che sia un po’ nervosa, anche se le ho assicurato più di una volta che i miei genitori l’adoreranno. Perché le persone a cui non piace Zelda sono all’incirca le stesse a cui non piacciono i cuccioli, le notti d’estate e i dolci.

  Andiamo a piedi perché è una bellissima giornata di primavera, anche se il quartiere che dobbiamo attraversare non è esattamente il posto più adatto per una passeggiata romantica. Dopo una rapida deviazione per trovare un fioraio, attraversiamo un ampio stradone e varchiamo il confine della zona sud di Pearley. Dove siamo si capisce immediatamente dai buchi e dalle crepe nell’asfalto, dai graffiti sui muri, dai giardini trascurati e dai cancelli arrugginiti. Appostati dietro un angolo ci sono dei ragazzi che fumano sigarette ed erba, vicino a uno stereo che suona musica. Sono contento che Zelda non commenti questo spettacolo, sembra essere con la testa altrove.

  «Tutto okay?» le chiedo. «Forse immaginavi uno scenario un po’ più accogliente?»

  «Cosa? Ah, no, scusami.» Mi prende per mano.

  «È che sei un po’ strana», le dico sorridendo. «Già da stamattina.»

  «Non è niente, non ti preoccupare. Sto solo pensando.»

  «E cosa posso fare per dirigere i tuoi pensieri verso qualcosa di più allegro?» chiedo, spostandomi davanti a lei. Poi spalanco le braccia e l’attiro a me. «Una volta hai detto che ero capace di far tacere le voci nella tua testa», dico posando le labbra sulle sue.

  All’inizio lei rimane un po’ rigida, ma più il nostro bacio si fa intenso, più cede, appoggia il suo corpo snello al mio e si rilassa.

  «Meglio?» chiedo quando ci stacchiamo.

  «Molto meglio», risponde lei sorridendo.

  Nell’istante stesso in cui apro la porta di casa, tre piccoli mostri mi saltano addosso. Ellie ed Esther si avvinghiano alle mie gambe ed Ebony, che con mio grande sollievo sta di nuovo bene, mi abbraccia con impeto. Theo è rimasto un po’ incerto ai piedi delle scale, aspetta che questa confusione si plachi e viene a battermi il cinque.

  «Entrate, entrate», ci accoglie mia madre in tono affaccendato, dandomi un bacio sulla guancia. «Che bello vederti, figlio mio», dice mentre mi fa una carezza, il che davanti a Zelda mi mette un po’ a disagio.

  «Salve», si rivolge a lei, un po’ più timida di quanto mi aspettassi. Ma posso capire che sia lievemente sopraffatta dalla folla di persone che si è riversata su di noi. «È un piacere conoscerla, questi sono per lei, per ringraziarla dell’invito», dice porgendo i fiori a mia madre.

  «Grazie mille, è un pensiero molto gentile», risponde lei. «Devo andare a controllare il polpettone!» Torna di corsa in cucina gridando: «Jasmine! Terrance! È arrivato Malik con la sua ragazza!»

  Al piano di sopra si sente subito del movimento, e un attimo dopo Jasmine scende le scale due gradini alla volta.

  «Ciao!» esclama entusiasta, saltando al collo prima a me e poi a Zelda. «Che bello che siete qui!»

  Anche mio padre scende, mi dà una pacca sulla spalla e porge la mano a Zelda.

  «Sediamoci un po’ in salotto», propone. «Volete bere qualcosa?»

  Faccio sedere Zelda sul divano accanto a me e l’abbraccio. Jasmine ci guarda raggiante e le gemelle litigano per sedersi sulle mie gambe.

  «Siamo parecchi, eh?» commenta Jasmine con Zelda.

  «Sì, ma è una cosa bella», risponde lei divertita.

  «Allora posso sedermi in braccio a te?» chiede Ellie, che nel frattempo ha perso il duello e sta guardando affascinata i capelli di Zelda.

  «Certo», dice lei, battendo una mano sulla coscia.

  «E posso toccarti i capelli?» continua Ellie.

  «Ovvio.» Zelda mi sorride, l’avevo avvisata.

  Papà ritorna con i bicchieri e si accomoda su una poltrona.

  «Tutto bene qui a casa?» chiedo.

  «Come sempre, figliolo.»

  Per un attimo restiamo in silenzio, a guardare Ellie che tenta con scarso successo di fare le trecce a Zelda. Non sono sicuro che sappia davvero come si fanno, ma è molto concentrata ed è davvero carina.

  «Allora, Zelda», dice infine mio padre, «è la prima volta che vieni in questo quartiere?»

  «Ehm, sì», risponde lei, «ma abito a Pearley solo da questo settembre, non sono di qui.»

  Papà annuisce e chiede ancora: «E cosa ti ha portata nella nostra città?»

  «Gli studi.» Zelda si schiarisce la voce. «Sono venuta qui per frequentare l’università.»

  «I tuoi genitori saranno orgogliosi di te. Sono contento.»

  «Sì, be’, a dir la verità i miei non sembrano particolarmente fieri.» Zelda arrossisce e io spero che mio padre non insista sull’argomento.

  «Sciocchezze, tutti i genitori sono sempre orgogliosi dei figli.»

  «Sì, come no!» esclama Jasmine, e papà le tira un cuscino.

  «Malik?» grida mia mamma dalla cucina. «Mi aiuti ad apparecchiare?»

  «Ehm», balbetto lanciando un’occhiata interrogativa a Zelda.

  «Non preoccuparti, va tutto benissimo», dice lei annuendo, come per incoraggiarmi. «Resto volentieri qui a chiacchierare e a farmi sistemare i capelli.»

  Mi chiedo come mai non possa occuparsi Jasmine della tavola, ma ovviamente vado ad aiutare mia madre.

  «Allora? Che ne pensi?» le chiedo mentre sistemo le posate.

  «Zelda sembra molto carina.» Mi pare che oggi non le vada molto di parlare, forse ha litigato con papà?

  «Sì, lo è», rispondo sorridendo, perché ho appena lanciato un’occhiata al salotto. Adesso entrambe le gemelle stanno giocando con i capelli di Zelda.

  Mi schiarisco la voce e alzo la testa. L’atmosfera che regna in cucina è davvero strana. Molto strana.

  «Malik, sai che noi ti sosterremo qualsiasi cosa tu faccia…» prosegue mia madre, e fa per
aggiungere qualcos’altro, ma poi si ferma.

  «Sì, lo so.» Aggrotto la fronte. Qui gatta ci cova.

  «Papà e io… Non è facile per noi, sai?»

  «Che cosa non è facile, mamma?» le chiedo.

  «Sappiamo quanto sei felice, e basta vedervi insieme per capire che siete innamorati.» Mia madre mi porge una pila di piatti, evitando di guardarmi negli occhi.

  «Se hai qualcosa da dire, dillo.» La mia voce suona allarmata.

  «Siamo un po’ preoccupati», dice lei a bassa voce.

  Il mio cuore accelera, ma perché non sputa il rospo e basta? Dispongo lentamente i piatti in tavola.

  «Questa vostra relazione…» comincia a dire lei.

  «Che problema c’è?» Sto cominciando a perdere la pazienza, il mio sguardo si sposta dalla tavola a mia madre, che ha un’aria colpevole.

  «È che non avete idea di quanto sia complicato», dice infine. Si è voltata di spalle, e stringe con entrambe le mani il bancone della cucina. «Vogliamo solo il meglio per te, Malik. Per voi. E abbiamo paura che non abbiate capito quanto sono differenti i mondi da cui venite.»

  «Potresti dirmi chiaro e tondo qual è il problema, invece di girarci intorno?» chiedo, a voce più alta di quanto vorrei.

  «Ascoltami, Malik», dice lei. «Siete ancora all’inizio, vedete ancora tutto rose e fiori, ma presto o tardi la realtà si farà viva. Zelda studia all’università, tu vieni da Poorley.»

  «Vuoi dire che non sono abbastanza per lei?» Non riesco a credere a quello che sta dicendo mia madre.

  «No, Malik, questo non lo penserei mai. Sei una persona straordinaria, certo che sei abbastanza. Sto solo cercando di proteggerti.»

  «Proteggermi? E da cosa?» Mi sto sforzando di non urlare, non voglio che Zelda senta la nostra conversazione.

 

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