Tutti brindano con me, Matthew James Molyneux III mi squadra ostentatamente dall’alto in basso, mi rivolge un cenno di approvazione e beve alla mia salute. Il suo comportamento mi disgusta. Non sono un oggetto da fissare a piacimento. Quindi mi volto verso mio fratello.
«Come va?» gli chiedo, tanto per dire qualcosa.
«Non posso lamentarmi», dice Elijah. «Tu, invece, sembri diversa.»
«Lo sono, grazie. Del resto era l’obiettivo di mamma.»
«Direi che le è riuscito in pieno.»
Elijah è sempre stato il più taciturno della famiglia, non mi risulta che abbia mai cominciato un discorso. Come faccia a essere un avvocato di successo è davvero un mistero assoluto, per me. Probabilmente è tutto merito della sua presenza scenica… e del suo cognome. Ha un’aria severa e astuta, come se fosse sempre sul chi va là. Sono sicura che non gli sfugga nulla, nemmeno quello che succede alle sue spalle. Dei miei fratelli, Elijah è quello che mi ha sempre inquietata di più, ma forse perché siamo molto distanti per età e non abbiamo mai avuto un vero rapporto. Con Sebastian e Zachary ho litigato di brutto, lui invece si è sempre tirato indietro, come se fosse troppo superiore rispetto a noi.
Rimango per qualche minuto a reggere il moccolo a mio padre e a mio fratello, che parlano delle proprie performance da golfisti. È la discussione più noiosa del mondo, ma almeno da qui posso vedere bene Malik. È concentrato e rapido nel suo lavoro, vedo i suoi muscoli gonfiarsi mentre spreme del lime in un bicchiere, la sua camicia si tende all’altezza degli avambracci. Mi chiedo se lo faccia apposta, a non guardarmi, ma probabilmente sto sovrainterpretando la situazione. Solo che non riesco a mettere un freno ai miei pensieri, che mi riportano alla mente sensazioni meravigliose: il suo tocco, speranze, e baci.
«Posso rapirti per un momento?» chiede una voce maschile alle mie spalle, strappandomi ai miei pensieri. Proprio al momento giusto direi, perché non posso permettermi di lanciare certe occhiate a Malik. Se i miei genitori se ne accorgessero…
32
Malik
MI sembra quasi di sentire lo sguardo di Zelda su di me, ma mi costringo a non alzare la testa. Lei è bellissima, ma la sicurezza viene prima di tutto.
Alla fine, però, lo faccio lo stesso, sono davvero uno stupido. La guardo, e ogni fibra del mio corpo prova un intenso desiderio di lei. È in piedi accanto a quell’idiota, Jason, che quella sera ci ha provato con lei in mia presenza. Adesso sta ridendo per qualcosa che lei ha detto, e io vengo sopraffatto dalla gelosia. Perché lo ha fatto ridere? Vorrei che si allontanasse, che se ne andasse da qui.
Sono molto sollevato quando mi richiamano dentro per aiutare ad allestire il buffet. In realtà, dobbiamo solo portare fuori i carrelli già carichi di cibo, ma è necessario fare tutto il giro della casa, per evitare le scale. Per ogni carrello ci vogliono due persone, una che spinge e l’altra che lo manovra. Piano piano, i tavoli si riempiono di deliziosi stuzzichini: canapè di costosissimo caviale, salmone, formaggi pregiati. Ci sono anche coppette piene di vongole o seppie in una vinaigrette di senape e basilico, cucchiaini con un bocconcino di tartare guarnita di fiori edibili, e poi tempura di gamberi, di verdure, e praticamente di qualsiasi altra cosa. Per finire: assaggi di verdure e paté. Fino a questo momento ero ancora orgoglioso e grato di aver contribuito a questo banchetto, ma adesso che so a cosa sono servite le ore di straordinario che abbiamo fatto sotto la supervisione di Paco, mi sembra tutto uno scherzo di pessimo gusto.
Oltre al finger food, c’è anche una griglia, che io ho l’onore di gestire. I frutti di mare marinati in salsa al tartufo sono freschissimi e verranno grigliati sotto gli occhi degli ospiti.
Quando ogni cosa è al suo posto e gli invitati cominciano a fissare avidamente il buffet, il padre di Zelda fa tintinnare il suo grosso anello con sigillo, che riesco a vedere persino da qui, contro il bicchiere di vino. Le chiacchiere si affievoliscono e progressivamente cala il silenzio. Il signor Redstone-Laurie solleva una mano per indicare sua figlia, in piedi accanto a lui con un’aria un po’ sorpresa.
«Cari ospiti», esordisce in tono allo stesso tempo autoritario e annoiato, «sono felice, come anche mia figlia e mia moglie, che ha organizzato questa festa fin nei minimi dettagli, che siate tutti qui, per celebrare insieme questo giorno speciale. E oggi abbiamo vari motivi per festeggiare. Non è solo il compleanno di mia figlia…» annuncia rivolgendo un cenno del capo a Zelda, il cui sorriso sembra congelato. «Elijah, vieni qui anche tu.» Dalla folla si stacca un giovanotto alto e magro, con i capelli scuri e ricci e il viso affilato. «Nostro figlio maggiore – posso dirlo senza alcuna remora – ci ha sempre resi orgogliosi di lui, e ora sta per cominciare una nuova avventura professionale. Elijah ha infatti ottenuto il grande onore di diventare il socio più giovane della storia del rinomato studio legale Price & Beauchamp. O meglio, d’ora in avanti: Price, Beauchamp & Redstone.» Il signor Redstone-Laurie batte le mani. «Tanti auguri Elijah. E tanti auguri anche ad Allen Price e a Robert Beauchamp, sono molto contento che siate qui a festeggiare insieme a noi.»
Gli ospiti cominciano ad applaudire, mentre il signor Redstone-Laurie stringe la mano di suo figlio e accarezza piuttosto goffamente la schiena di Zelda. Io mi guardo intorno e cerco di interpretare le espressioni dei presenti, per capire se qualcuno ha realizzato che quell’uomo, a quello che dovrebbe essere il compleanno della figlia, ha appena tenuto un elogio pubblico di suo fratello. Ma la festeggiata, in realtà, suscita scarso interesse. La fila di persone che vogliono congratularsi con Elijah e con suo padre si fa sempre più lunga, mentre Zelda se ne sta lì, come se non sapesse cosa fare. A quanto pare, diventare socio di uno studio legale è una cosa molto più importante.
Anche se mi ero ripromesso di non farlo, la guardo di nuovo, e proprio in quel momento lei alza la testa, tende le spalle e…
I nostri occhi si incontrano e io mi sento attraversare di nuovo da un dolore penetrante. Ma distogliere lo sguardo mi farebbe soffrire ancora di più, perché il suo viso, all’inizio dominato da un’immensa stanchezza e da un’ostinata rassegnazione, si rilassa non appena capisce che la sto guardando. Zelda si porta una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio e curva le labbra in un impercettibile sorriso. Ma è un istante che passa subito, così effimero che mi viene quasi da pensare di averlo immaginato. Un attimo dopo, infatti, intorno a lei si raduna un grappolo di giovani in smoking, che adesso hanno deciso di farle gli auguri di compleanno.
«Il buffet è ufficialmente aperto», annuncia il signor Redstone-Laurie alla folla, e alcuni ospiti ridono.
Metto il primo spiedino sulla griglia, sono sicuro che ben presto qualcuno verrà a reclamarlo. E, in effetti, non passa molto tempo che già arrivano i primi ospiti affamati. Tra di loro c’è anche Jason, che mi scruta con una certa ostentazione. Io mi sforzo di non guardarlo negli occhi.
«Hai un’aria familiare», dice, ma non rispondo. Spero davvero che non si ricordi. Sento il cuore accelerare, anche se non ho ben chiaro di cosa ho paura. Che faccia l’arrogante con me? Che vada a dirlo a Zelda?
«Ah, non importa», dice lui, voltandosi e ridacchiando.
Devo fare un paio di respiri profondi prima di poter servire il prossimo ospite. Il rischio di essere scoperto mi ha reso incredibilmente nervoso.
La festa procede alla grande, la gente mangia e beve. Le donne in abiti eleganti si radunano in gruppetti a chiacchierare, gli uomini in completi di sartoria si scambiano biglietti da visita. Zelda è assediata dai ragazzi e ho l’impressione che cerchi con sempre meno convinzione di liberarsene. Si è come rassegnata al suo ruolo.
La band attacca un altro standard jazz. Mi piace osservare i musicisti che suonano, mi distraggono da altre cose che potrebbero attirare il mio sguardo. Il batterista accarezza i piatti con una bacchetta a spazzola, in perfetta armonia con il contrabbassista. Ma quello che mi piace guardare più di tutti è il pianista, concentrato su ciò che sta suonando, e allo stesso tempo in costante dialogo con i compagni. Il jazz è un po’ come la cucina, mi viene da pensare. I singoli sapori devono funzionare da soli, ma sprigionano il loro
vero gusto solo in combinazione con altri aromi. Le prime coppie cominciano a popolare la pista da ballo. Sono più che altro i genitori – le donne con abiti fiorati svolazzanti e i capelli legati in uno chignon alto, gli uomini tutti con lo stesso completo –, perché per il folto gruppo di ragazzi non ci sono abbastanza partner.
Distolgo lo sguardo dai ballerini e dalla band e sistemo gli ultimi spiedini sulla griglia. Il mio lavoro è quasi finito, presto dovrò spostarmi ad aiutare un altro team.
Mentre gli ultimi gamberi si grigliano, alzo di nuovo la testa. L’assalto al buffet è finito, due tipi paffuti e soli si stanno allontanando in questo momento. Questi ricchi affamati hanno lasciato un disastro, il tavolo sembra un campo di battaglia. Le tovaglie bianche sono ricoperte di macchie, sui piatti di porcellana fine sono rimaste solo poche foglie di insalata avvizzite e solitarie.
A un certo punto, vedo una persona staccarsi da un gruppo di ragazzi e venire verso di me. Una figura minuta. E scintillante. Rimango impietrito, sopraffatto da una gioia irrefrenabile. Sta venendo da me! Ma non devo dare nell’occhio, perciò continuo a fare quello che sto facendo. Zelda si avvicina sempre di più, e il battito del mio cuore accelera. Non dovrebbe farlo, non dovrebbe rischiare in questo modo. Qui non possiamo parlare, non davanti a tutta questa gente. La fitta che provo nel petto aumenta a ogni passo che lei fa verso di me. Il pianista attacca un altro standard, che mi pare fin troppo allegro per questa situazione. Le note sono leggere, giocose, spensierate. L’esatto contrario di come mi sento. Per guadagnare tempo, mi volto e fingo di mettere in ordine.
«Ciao», dice lei alle mie spalle, prima di quanto mi aspettassi. Poi si schiarisce la voce: «È rimasto qualche spiedino?» chiede.
Quasi non credo alle mie orecchie. È venuta da me per chiedermi da mangiare? Non può essere seria. Mi volto e cerco di tenere gli occhi bassi, ma ci riesco solo per un istante, perché i suoi fianchi scintillanti mi costringono ad alzare lo sguardo prima sulla scollatura, poi sul collo snello e, infine, sulle labbra e sul viso. Quando i nostri occhi si incontrano, ho il petto ormai in fiamme. Maledizione, maledizione, maledizione.
Lei mi sorride, ma io sono come paralizzato. Metto due spiedini su un piatto e glielo porgo. «Prego», dico con voce roca, sperando che il mio tono risulti indifferente e superiore.
«Volevo parlarti fin dall’inizio», prosegue lei, senza prendere il piatto. «Ma se i miei genitori scoprissero che ci conosciamo…» Si interrompe.
Io annuisco. «È tutto okay. Sto lavorando.» In realtà, voglio assolutamente sapere che cosa vuole dirmi.
«È bello vederti», sussurra, e io sento l’ennesima fitta al petto. Ma è un bene. Significa qualcosa.
Il sassofonista, che è tornato sul palco dopo una breve pausa, si lancia in un assolo e attira su di sé l’attenzione degli ospiti. Zelda getta una rapida occhiata ai musicisti e poi torna a voltarsi.
«Non ho molto tempo, se la festeggiata sparisce se ne accorgono tutti. Volevo dirti che detesto averti rivisto proprio qui. In questo modo, intendo. Avevo immaginato un incontro un po’ diverso, credimi.» Prende il piatto che le sto porgendo. «E mi dispiace infinitamente che tu debba vedere tutto questo.»
Per un attimo ho l’impressione che voglia chinarsi verso di me e toccarmi, ma all’ultimo momento ci ripensa e si trattiene.
«Posso telefonarti stasera, quando sarà tutto finito?» I suoi occhi azzurri mi guardano, sembrano così vulnerabili. «Per favore?» aggiunge.
«Sì», sussurro. «Sì, certo.» Mi asciugo le mani con uno strofinaccio che trovo sul tavolo accanto alla griglia. «E buon compleanno.»
«Okay», dice lei a bassa voce. «Ora devo andare. Grazie per i gamberi.» Distende le labbra in un sorriso dolce, completamente diverso dagli altri che le ho visto fare finora. Almeno la sua fossetta è ricomparsa. Ma cosa significa tutto questo? Zelda si volta e torna dai suoi ospiti.
33
Zelda
QUESTO è un vero incubo, e peggiora a ogni passo che mi allontana da Malik. Ho le gambe pesanti, e il cuore straziato dal desiderio. Ma devo comunque mantenere le apparenze, perciò addento un gambero dallo spiedino e lo mastico svogliata. Ho mangiato troppo poco, ma le mie emozioni sono così in subbuglio che difficilmente riuscirei a mandare giù qualcos’altro. Non so nemmeno cosa fare. A un paio di metri di distanza da me vedo Elijah da solo, appoggiato a uno dei tavolini alti. È più o meno l’ultima persona con cui vorrei parlare in questo momento, ma in mancanza di alternative mi avvicino a lui.
«Tutto bene?» mi chiede non appena poso il piatto sul tavolo.
«Sì, perché?»
«Non mi sembri esattamente rilassata.»
«Oh, wow, il tuo spirito di osservazione dell’animo umano è davvero impressionante. Che fortuna per i tuoi nuovi soci. Complimenti, comunque.» Non ho idea del perché me la stia prendendo in questo modo con mio fratello, forse è solo che non c’è nessun altro a disposizione. E comunque, dopo lo splendido discorso di mio padre, un po’ se lo merita.
«Guarda che non gliel’ho chiesto io a papà di fare un discorso in mio onore al tuo compleanno», dice lui con aria stanca. «Comunque, tanti auguri.» Non so se stia veramente cercando di essere gentile, in realtà non mi importa. Addento un altro gambero e spero che questa conversazione muoia sul nascere. Poi lascio il piatto sul tavolo e mi allontano di un paio di passi, ma ovviamente alcuni ragazzi si accorgono subito che sono da sola, e piombano su di me da ogni parte, come avvoltoi.
«C’è un tavolo libero laggiù, ti va di sederti un momento?» chiede uno di loro, di cui non conosco nemmeno il nome.
«Okay», rispondo, e mi lascio scortare da tre tizi fino a una sedia.
Mentre regalo un po’ di meritato riposo ai miei piedi, scruto i volti dei miei accompagnatori, per me assolutamente interscambiabili. Sono sicura che almeno uno di loro sia un bravo ragazzo, ma non ho nessuna intenzione di scoprirlo, perché nessuno di loro è il ragazzo che voglio. E non lo sarà mai.
«Qual è la tua città europea preferita?» mi chiede uno, apparentemente con estremo interesse. E senza lasciarmi il tempo di rispondere, aggiunge: «A me piace Parigi, ma sono letteralmente innamorato di Roma. La bella Italia. Il cibo, la gente, la cultura…» Davvero originale.
«Che noia!» esclama un altro sbadigliando. «Io di recente ho scoperto Berlino. Di sicuro non c’è paragone quanto a bellezze artistiche, ma se ti piace divertirti è la città migliore del mondo. Musica e droghe tutta la notte.»
«E la tua, Zelda?» domanda il terzo, e io sono quasi sorpresa che qualcuno si sia ricordato che esisto.
«Belgrado», rispondo, godendomi le loro facce perplesse.
«Gradite qualcos’altro da bere?» chiede una voce alle mie spalle, e tutto a un tratto vengo investita una vampata di calore. È Malik, lo so senza neanche bisogno di voltarmi.
«Io non dico mai di no», risponde l’entusiasta di Berlino. Malik si sposta accanto a me e posa sul tavolo i calici da champagne che ha portato su un vassoio. È così vicino, così incredibilmente vicino, il suo braccio quasi sfiora il mio, al punto da farmi venire la pelle d’oca. Sento il suo profumo nelle narici, il calore della sua pelle sulla mia.
Alzo la testa, lo guardo dritto in quei suoi bellissimi occhi scuri e mi sento quasi soffocare, perché non sopporto la sensazione che mi suscita saperlo così vicino.
«Anche lei?» mi chiede con un viso così inespressivo da costringermi a deglutire prima di rispondere.
«Sì, volentieri», sussurro.
Forse me lo sto solo immaginando, ma ho l’impressione che ci stia mettendo un’eternità a raccogliere i bicchieri vuoti sul vassoio. I suoi movimenti sono così lenti che mi sembrano una tortura.
«Hai freddo?» mi chiede uno dei tre tizi, sfiorandomi l’avambraccio dove la pelle d’oca è evidente.
«No, va tutto bene», rispondo, lanciando un’altra occhiata a Malik. Vedo le sue narici dilatarsi e potrei giurare che, in quest’ultimo istante, i suoi occhi si siano fatti più scuri. Batte le palpebre e si volta proprio mentre il tizio mi mette sulle spalle la sua giacca, che sa di profumo maschi
le e cancella il meraviglioso odore di Malik, di cui ho così tanta nostalgia.
Quando lui se ne va, riesco a muovermi di nuovo, anche se il mio corpo è come intorpidito. Restituisco la giacca e mi scuso.
Sono immensamente sollevata nello scorgere il viso amichevole di Philip, che mi sorride.
«Ti va di ballare?» mi chiede. «L’ho già chiesto a tuo fratello, ma non sembrava molto convinto», aggiunge curvando le labbra in un sorriso triste.
«Come, scusa?» chiede Elijah, spuntando alle nostre spalle. «Chi diavolo sei tu per andartene in giro a dire queste sciocchezze?»
«Oh, scusami», dice Philip sorpreso. «Sono Philip Englander. Il fratello di Zelda mi ha preso in simpatia dopo aver scoperto che studiamo entrambi Giurisprudenza a Berkeley. La faccenda del ballo era una battuta.»
Elijah gli porge la mano. «Piacere, sono Elijah Redstone-Laurie.»
«Aaah», dice Philip stringendogliela «Sei l’altro fratello.» La band attacca una nuova canzone e Philip torna a voltarsi verso di me. «Il mio invito a ballare invece era serio.» Mi tende una mano e, prima ancora di realizzare cosa sto facendo, mi lascio trascinare da lui sulla pista.
Philip è un bravo ballerino, mi fa ondeggiare di qua e di là, mi guida con gesti gentili avanti e indietro e mi fa piroettare. Con lui è tutto semplice e amichevole, ma sto comunque attenta a mantenere le distanze. Non voglio che Malik pensi che mi stia divertendo.
«Non ce la facevo più a vedere il tuo muso lungo», dice Philip sorridendo. «Non è esattamente il tuo genere di festa, vero?»
«No», rispondo sottovoce, «decisamente no.»
«Sapevo già che i tuoi genitori non ti tenevano molto in considerazione, ma il discorso di tuo padre… wow.» Mi fa roteare di nuovo e, quando ritorno tra le sue braccia, mi stringe la mano con un po’ più di forza. «È stato davvero terribile», conclude.
02 Hold Me. Qui Page 23