02 Hold Me. Qui
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«Ah, non fa niente», rispondo, mentre continuiamo a volteggiare insieme. «Non mi aspettavo certo un pubblico elogio, né altro del genere.»
Quando la canzone finisce, sto per chiedere a Philip se ha voglia di bere qualcosa, quando un’altra persona si frappone tra me e lui.
«Tocca a me», dice Jason con un sorriso arrogante stampato in faccia.
Mi mancava giusto questo. Dopo il nostro breve scambio di battute, sono stata attenta a cambiare direzione ogni volta che l’ho visto avvicinarsi. Ha un’aria molto elegante e a modo con il suo completo fatto su misura e le scarpe costose, sembra il bello della scuola in un film per teenager. Ma ciò non toglie che mi stia profondamente antipatico.
«Sei splendida.» Mi prende per mano, senza chiedere il permesso.
«Grazie», dico, troppo sorpresa per ribattere con un commento pungente, visto che per me quello che ha detto non è affatto un complimento.
Chiedo aiuto a Philip con lo sguardo, ma Jason mi ha già afferrata per la vita e ha cominciato a volteggiare a ritmo insieme a me. Ovviamente il pezzo che la band sta suonando adesso è un lento. Che fortuna. Philip alza le spalle impotente e si appoggia a uno dei pali che sorreggono il tendone, con le mani sprofondate nelle tasche e un lampo divertito negli occhi. Vorrei quasi andare lì e strappargli la lingua, ma con mia somma gioia vedo Sebastian piazzarsi accanto a lui e ricominciare a dargli il tormento con chissà quale noiosissimo aneddoto universitario.
«Tuo fratello Elijah ha praticamente vinto alla lotteria», mi sussurra Jason all’orecchio, accostandosi sempre più a me.
«Così pare», mormoro, tentando di mantenere più distanza possibile tra di noi. Ma la presa di Jason è salda, e io prego che Malik sia impegnato da qualche altra parte e non ci veda.
«Non essere così timida», sussurra adesso Jason, e io resisto a malapena alla tentazione di infilzargli le dita dei piedi con i miei tacchi a spillo.
«Non sono timida, è che mi piace avere un po’ di aria a disposizione per respirare.» Dal mio tono si capisce che sono infastidita, ma parlo a bassa voce, non voglio fare una scenata.
Jason ridacchia e io sento il suo fiato sul collo. «Non puoi metterti un vestito del genere e aspettarti che gli uomini come me non perdano la testa.»
«Puoi perdere la testa quanto ti pare, basta che te lo tieni per te», rispondo, sperando che questa canzone finisca presto. Guardo oltre la spalla di Jason e cerco di individuare Malik. Con mio grande sollievo, non lo vedo da nessuna parte.
«Davvero non capisco perché di solito ti conci in quel modo. Non vorrai mica farti suora? Noi staremmo benissimo insieme, potremmo divertirci da pazzi.»
Da come ha biascicato le ultime parole, mi rendo conto che è già parecchio ubriaco.
«Lo decido io con chi voglio divertirmi», ribatto. «E non è con te, Jason.» In questo istante risuonano le ultime note della canzone e io mi libero della sua stretta.
«Devo andare in bagno», farfuglio, e lascio di corsa la pista da ballo.
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Malik
NON riesco a controllarmi, è impossibile. Il modo in cui tutti toccano Zelda, le accarezzano il braccio come ha fatto quel tizio, o la stringono a sé mentre ballano mi sta facendo diventare matto. Non ce la faccio. Avevo tutto più o meno sotto controllo, finché non mi hanno spedito a servire quei tre figli di papà che erano insieme a lei. Sono riuscito in qualche modo a contenere la gelosia, ma starle così vicino, sentire il suo profumo, mi ha scatenato un desiderio irrefrenabile di stringerla tra le braccia e non lasciarla più, perciò adesso sono furioso.
Il dolore che mi provoca vederla in compagnia di così tanti uomini è quasi insopportabile, e posso solo sperare che lei non abbia notato la lotta interiore che ho dovuto sostenere per tutto il tempo in cui le sono stato accanto. Il ricordo della sua pelle morbida, della sua personalità irruenta, che contrasta così nettamente con la sua statura fragile e minuta, è più vivido che mai nella mia memoria.
Poi lei si è messa a ballare proprio sotto il mio naso con uno di quei tipi. Non mi ha guardato, ma sono sicuro che sapeva che io non avrei potuto evitare di vederla. È stata cattiveria o sconsideratezza, la sua? Quando ha permesso a quel Jason di stringerla in quel modo, poi, credo sia stato puro sadismo. Che significa tutto questo? È un modo di farmi capire che tra noi è finita? Mi distrugge pensare al suo corpo che aderisce al fisico scolpito di quel tizio, a lui che si strofina contro di lei, e a loro due che diventano una cosa sola a ritmo di musica. Mi viene quasi da vomitare, ma purtroppo ho in mano un vassoio con lo champagne più costoso del Fairmont.
«Ancora un bicchiere, signore?» chiedo a un tipo anziano con la pelata.
«Grazie mille», risponde quello, posando il bicchiere vuoto sul vassoio.
Continuo a spostarmi tra gli ospiti, e mi sforzo di non guardare la pista da ballo. Jasmine, Theo, Ebony, Ellie, Esther.
Quando la canzone finisce, oso lanciare un’occhiata alle coppie che ballano e vedo Zelda che si scosta da Jason e scappa via. Sta attraversando di corsa il prato, in direzione delle scale esterne.
«Ehi», dico a un’altra cameriera del Fairmont, che mi passa accanto proprio in questo momento. «Puoi sostituirmi un momento?»
Le ficco il vassoio in mano senza aspettare una risposta. Quello che sto per fare è una pazzia, lo so bene, eppure non posso evitarlo. È come se i piedi non mi ubbidissero più, come se sapessero meglio della mia testa che cosa voglio.
Attraverso tutto il giardino a grandi passi, e arrivato alle scale comincio a salirle due gradini per volta. So bene che non dovrei essere qui, il mio posto è tra la servitù, queste scale sono per i padroni. Sto facendo una sciocchezza, una vera idiozia, ma non ho altra scelta. Voglio farlo.
Oltrepasso le imponenti porte a doppio battente che conducono all’interno della casa. Come nell’atrio, anche nella parte posteriore dell’edificio, che ospita le camere da letto dei Redstone-Laurie, tutto ha un’aria opulenta, decadente e di ostentata ricchezza. Ma non ho tempo per ammirare dipinti e arazzi, ho un unico obiettivo: Zelda. Voglio parlarle, toccarla. Le chiederò conto dei suoi giochetti e le dimostrerò che apparteniamo l’uno all’altra.
Ma che mi prende? Non lo so nemmeno io. Entro nella prima stanza che mi capita a tiro, sento dei passi in lontananza e mi lancio all’inseguimento. Per un attimo mi viene in mente di chiamarla, ma è un’idea ancora peggiore che essere sgattaiolato qui dentro. Devo evitare che qualcuno si accorga di me.
Il corridoio è completamente rivestito di legno e alle pareti sono appesi degli austeri ritratti di antenati o altra gente del genere, non ho certo tempo per fermarmi a leggere le targhette di metallo sotto le cornici. In fondo intravedo una curva ed eccola là. Sta per aprire un’altra porta quando mi vede e ferma la mano a mezz’aria.
«Malik», sussurra, lasciando ricadere il braccio. «Che ci fai qui?»
«Che ci faccio qui? Semmai che ci fai tu qui», dico. Mi rendo conto di aver parlato duramente, ma tutto a un tratto sono furioso. Ce l’ho con lei perché mi ha reso geloso e con i suoi genitori che l’hanno costretta a lanciarsi tra le braccia di quei tizi sconosciuti. Ce l’ho con il suo mondo e con il mio. E ce l’ho con me stesso, per aver perso tutto questo tempo.
«Che vuoi dire?» chiede Zelda esitante.
In pochi passi le sono accanto. Lei non indietreggia, ma mi accorgo che è molto sorpresa. Avevo quasi dimenticato di essere così tanto più alto di lei, la supero di almeno trenta centimetri e rendermene conto mi spaventa un po’. In realtà, non credo di sembrare un tipo minaccioso, o di poter intimidire qualcuno, ma ora la mia rabbia è incontrollabile.
«Ma guardati!» sbotto. «I capelli, il vestito… sei come una bambolina che si può pettinare e vestire a piacimento. Chi sei veramente, Zelda? Di certo non la persona che ho davanti.» Pronuncio le ultime parole quasi urlando.
«Lo so», risponde lei sottovoce, guardandomi senza paura.
«E allora a che serviva tutto quel flirtare e ballare davanti a me? Cosa volevi ottenere? Era il tuo modo di dirmi che hai deciso di rinunciare a noi?»
«Che c
osa?» dice lei, e adesso fa un passo indietro. «Non stavo flirtando, non mi interessa nessuno di quei ragazzi.» Deglutisce. «Mi interessi solo tu.»
«Hai scelto davvero uno strano modo di dimostrarlo.» Batto il pugno contro il rivestimento di legno. «Non funziona, Zelda, non sono abbastanza forte.»
«Che vuoi dire?» chiede lei, e io ho la sensazione che il mondo intorno a me cominci a vibrare. Ma forse sono io. Sento il cuore rimbombare nelle orecchie e il mio respiro si fa affannoso.
«Io…» comincio a dire, facendo un passo verso di lei. «Tu…» La spingo contro la parete. Che idea stupida. La più stupida tra tutte quelle che ho avuto oggi. È troppo rischioso, potrebbe mandare all’aria tutti i miei piani. Eppure sembra l’unica cosa giusta da fare. È come se soltanto Zelda potesse farmi sentire di nuovo completo, come se potessi essere me stesso solo con lei accanto. Come se la mia casa fosse ovunque è lei.
I nostri corpi si sfiorano, Zelda è come paralizzata tra me e la parete, mi guarda. Sembra quasi avere paura che io possa ritrarmi, se osa muoversi. Come se fossi consapevole di cosa sto facendo. Sono ben lontano dall’esserlo, ma so cosa significa tutto questo. E non mi tirerò indietro. Voglio lei. E la voglio qui. Non ho modo di difendermi, questa attrazione non è normale. Nessun essere umano potrebbe opporre resistenza.
Sento il suo calore sul mio petto, sulle gambe. E sento il mio, che si concentra sull’inguine. Anche se ha un aspetto completamente diverso dalla ragazza meravigliosa di cui mi sono innamorato, so che è sempre Zelda. Il suo profumo è sempre lo stesso, sebbene un po’ artefatto, e anche il suo viso è sempre uguale, anche se è nascosto da uno spesso strato di trucco. Con il pollice le accarezzo una guancia e il collo, e lei chiude gli occhi. Affondo l’altra mano tra i suoi capelli tinti di biondo, che sono parte di lei, e allo stesso tempo non le appartengono. Non veramente. Non come me.
Aumento leggermente la pressione del mio pollice sul suo viso. Vorrei toglierle il trucco e vedere quello che c’è sotto, i lineamenti che conosco e amo così tanto. Lei si fa sfuggire un lieve sospiro, che mi rende felice come nessun’altra cosa al mondo potrebbe mai fare. Ho aperto un varco. E anche se i miei gesti sono un po’ rudi, il mio tocco le piace.
Le prendo il viso tra le mani e lo osservo. È sbagliato e giusto insieme. Continuo a tenerla stretta e a strofinare via il trucco con i pollici, ma è un make-up tenace e rimane al suo posto. Non riesco a liberarla. Le afferro i capelli con decisione, forse troppa, come se dovessi assicurarmi che è davvero lei, e la faccio sussultare.
«Scusami», sussurro, accarezzandole dolcemente la testa, le guance, la clavicola. Non riesco a fermarmi, le mie dita scivolano sul suo corpo e sulla superficie ruvida e argentata del suo vestito. Quasi mi aspettavo di trovarlo freddo, in effetti è questa l’impressione che dà, ma il calore del corpo di Zelda è tale da trapelare dalla stoffa.
Lei si protende in avanti, si stringe a me, senza fiato per l’eccitazione. Le mie dita le afferrano la vita, là dove poco fa c’erano le mani di Jason. A quel pensiero la stringo ancora più forte e premo i fianchi contro i suoi.
Ha ancora gli occhi chiusi, il suo petto si alza e si abbassa rapidamente, soffocato dalla stoffa stretta del vestito. Impazzisco solo a guardarla e le mie mani si muovono indipendentemente dalla mia volontà. La sinistra le accarezza un seno, che sembra in qualche modo diverso, più grande, mentre il pollice della destra si insinua sotto l’orlo superiore del vestito, correndo lungo la striscia di pelle calda che la scollatura lascia semiscoperta. Lei ansima e apre gli occhi.
«Malik», dice con voce roca.
«Zelda», rispondo io in un sussurro.
Tutto intorno a noi si dissolve, scompare, mentre ci abbandoniamo al reciproco tocco. Perché adesso anche Zelda, incoraggiata dal mio impeto, ha cominciato a sfiorare il mio petto con le mani. La camicia stretta non può nascondere la tensione dei miei muscoli e lei fa scorrere le dita lungo le linee che si intravedono sotto la stoffa.
Poi mi getta le braccia al collo e alza la testa verso di me. Lentamente, molto lentamente, avvicino le labbra alle sue. Ed è come se mi fosse esploso dentro un fuoco d’artificio, come se mille campanelli di allarme squillassero tutti insieme, eppure non riesco a fermarmi. Ho bisogno di lei. Ho bisogno di sentirla. Non posso lasciarla andare. Le sue labbra sono morbide e calde e ricolme di desiderio. Le nostre bocche si incontrano e poco dopo la mia lingua si fa strada in quella di Zelda. Sono famelico, bramoso. Mi sembra quasi di divorarla con questo bacio, che è diverso da tutti quelli che ci siamo scambiati finora. I nostri denti sbattono e io sussulto per il dolore, ma non mi importa. Zelda mi morde un labbro, e io accolgo anche questo dolore con infinito desiderio. La mia lingua affonda nella sua bocca come mai prima d’ora. Lei geme, e io la sollevo. È così leggera. Ho bisogno di averla più vicina a me, ancora di più, molto di più, ma non so come fare. I nostri corpi si fondono l’uno con l’altro, mentre le nostre lingue si intrecciano selvagge. La spingo contro la parete e lei si stringe a me. Le tiro su il vestito, in modo che possa cingermi la vita con le gambe. Il vertiginoso spacco laterale le lascia una gamba completamente scoperta e io le accarezzo la pelle nuda, poi infilo la mano sotto la stoffa e stringo il suo meraviglioso sedere. Lei geme di nuovo, e io sento un’erezione pulsare violentemente nei pantaloni. Lei se ne accorge e spinge il bacino in avanti per stuzzicarmi. Sono così eccitato che non riesco a trattenermi.
«Dietro questa porta c’è un bagno», ansima nella mia bocca. «Ti voglio, Malik. Ora.»
E tutti i freni saltano in un istante. Ora ci siamo soltanto io e lei.
35
Zelda
NON riesco a credere di averlo detto veramente. Ma essere qui, tra le braccia di Malik, mentre ci baciamo con irragionevole passione, rischiando in qualsiasi momento di essere scoperti, mi ha scatenato un desiderio inaspettatamente violento di sentirlo dentro di me.
Malik mi stringe ancora di più la gamba, una sensazione pazzesca, ruvida, selvaggia, sfrenata. Le nostre labbra e le nostre lingue si toccano, lottano con un’energia mai sperimentata prima, le sue braccia forti mi avvolgono, e il mondo sparisce sullo sfondo. È un bacio colmo di nostalgia disperata, come se volessimo cancellare in un istante le settimane in cui siamo stati separati. Non sento altro, se non il rumore delle nostre labbra e dei nostri ansiti. Il calore di Malik e la fiamma che divampa dentro di me si tramutano in un violento incendio che rade al suolo ogni cosa gli si pari davanti. Mi concedo a lui con tutta me stessa.
«Adesso, Malik», lo supplico sentendo la sua erezione.
Sempre tenendomi sollevata, lui si avvicina alla porta del bagno e fa per aprirla. I nostri ansiti di desiderio riecheggiano nel corridoio. Malik si ferma, mi spinge contro la cornice della porta e mi bacia di nuovo. Nessuno di noi due può resistere ancora per molto. Le sue labbra sono dappertutto, le sue meravigliose labbra!
«CHE COSA PENSATE DI FARE?» strilla, tutto a un tratto, una voce femminile che pare sull’orlo di una crisi isterica.
Malik si stacca da me, ha gli occhi spalancati e anche il mio viso è stravolto dal panico. Non può essere. Non può essere vero.
«ZELDA!» ansima mia madre. «TU!»
Si avvicina di corsa, mentre Malik mi posa a terra, ma non osa voltarsi e guardarla in faccia. Non lo biasimo, è come paralizzato.
«Ma come ha osato?» dice mia madre rivolta a lui. «E tu, Zelda, come hai potuto fare una cosa del genere? Non sei ancora caduta abbastanza in basso? Non hai ancora finito di mettere in imbarazzo questa famiglia? Devi farci vergognare davanti a tutte queste persone? Ci odi così tanto da volerti vendicare in questo modo? Con un… con uno così?»
Malik ha le mani appoggiate alla cornice della porta e lo sguardo fisso a terra. Gli lancio una rapida occhiata, ma il suo viso è vuoto e inespressivo. Mi sposto davanti a lui, come per proteggerlo.
«Non hai alcun diritto di parlare in questo modo, mamma», dico. «Malik è il mio ragazzo e io sono innamorata di lui. E tu non puoi farci niente.»
«Che cosa?» sibila lei. «Lei è… lei pretende di essere il fidanzato di mia figlia? Pensa di esser
e all’altezza di una come lei? Non mi faccia ridere! Una Redstone-Laurie non si concederà mai – mai, mi ha sentito? – a uno come lei.»
Mi accorgo che, in fondo al corridoio, c’è qualcuno nascosto dietro l’angolo. Abbiamo degli spettatori. Do un’altra occhiata e mi pare di riconoscere i capelli di Jason.
«Cosa sono queste urla?» chiede Elijah, appena comparso anche lui nel corridoio. «Vi si sente persino da fuori.»
«Tua sorella…» risponde mia madre, come se questo spiegasse tutto. «Se non fosse stato per questo bravo giovanotto», evidentemente intende Jason, «non so cosa sarebbe accaduto.»
Elijah si avvicina, gli basta un’occhiata a me e a Malik per capire cosa è successo.
«Oh, Zelda», dice in tono condiscendente.
Se gli sguardi potessero uccidere, il mio arrogantissimo fratello non sarebbe più tra noi, poco ma sicuro.
«Elijah, fammi il favore di accompagnare questa persona fuori dalla nostra proprietà. Non ha più nulla da fare, qui. E assicurati anche che venga posta immediatamente fine al misero impiego di cui evidentemente ha beneficiato nel nostro hotel.»
Solo in questo istante riesco a mettere a fuoco la situazione. Il mio cervello annebbiato non era stato in grado di trarre le ovvie conclusioni. Il tirocinio di Malik, tutto il suo futuro, dipendevano dai miei genitori, ovvero i proprietari dell’hotel in cui lui lavora. Lo sento irrigidirsi alle mie spalle
«Non puoi farlo, mamma. Non puoi dire sul serio», esclamo terrorizzata.
«Più tardi discuteremo di quello che posso o non posso fare. Tu adesso tornerai dai tuoi ospiti. Di tutta questa faccenda parlerò con tuo padre. Ma puoi stare certa che ci saranno conseguenze, Zelda. La mia pazienza nei tuoi confronti ha raggiunto il limite.»