by Dante
le fredde membra che la notte aggrava,
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così lo sguardo mio le facea scorta
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d’ora, e lo smarrito volto,
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com’ amor vuol, così le colorava.
Poi ch’ell’ avea ’l parlar così disciolto, →
cominciava a cantar sì, che con pena
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da lei avrei mio intento rivolto.
“Io son,” cantava, “io son dolce serena,
che ’ marinari in mezzo mar dismago; →
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tanto son di piacere a sentir piena!
Io volsi Ulisse del suo cammin vago →
al canto mio; e qual meco s’ausa,
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rado sen parte; sì tutto l’appago!”
Ancor non era sua bocca richiusa,
quand’ una donna apparve santa e presta →
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lunghesso me per far colei confusa.
“O Virgilio, Virgilio, chi è questa?” →
fieramente dicea; ed el venìa
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con li occhi fitti pur in quella onesta.
L’altra prendea, e dinanzi l’apria →
fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre;
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quel mi svegliò col puzzo che n’uscia.
Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: “Almen tre →
voci t’ho messe!” dicea, “Surgi e vieni;
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troviam l’aperta per la qual tu entre.”
Sù mi levai, e tutti eran già pieni →
de l’alto dì i giron del sacro monte,
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e andavam col sol novo a le reni.
Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che l’ha di pensier carca,
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che fa di sé un mezzo arco di ponte;
quand’ io udi’ “Venite; qui si varca” →
parlare in modo soave e benigno,
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qual non si sente in questa mortal marca.
Con l’ali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
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tra due pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne, →
“Qui lugent” affermando esser beati,
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ch’avran di consolar l’anime donne.
“Che hai che pur inver’ la terra guati?” →
la guida mia incominciò a dirmi,
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poco amendue da l’angel sormontati.
E io: “Con tanta sospeccion fa irmi
novella visïon ch’a sé mi piega,
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sì ch’io non posso dal pensar partirmi.”
“Vedesti,” disse, “quell’antica strega
che sola sovr’ a noi omai si piagne;
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vedesti come l’uom da lei si slega.
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
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lo rege etterno con le rote magne.” →
Quale ’l falcon, che prima a’ piè si mira,
indi si volge al grido e si protende
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per lo disio del pasto che là il tira,
tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
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n’andai infin dove ’l cerchiar si prende.
Com’ io nel quinto giro fui dischiuso, →
vidi gente per esso che piangea,
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giacendo a terra tutta volta in giuso.
“Adhaesit pavimento anima mea” →
sentia dir lor con sì alti sospiri,
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che la parola a pena s’intendea.
“O eletti di Dio, li cui soffriri →
e giustizia e speranza fa men duri,
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drizzate noi verso li alti saliri.”
“Se voi venite dal giacer sicuri, →
e volete trovar la via più tosto,
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le vostre destre sien sempre di fori.”
Così pregò ’l poeta, e sì risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io
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nel parlare avvisai l’altro nascosto, →
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond’ elli m’assentì con lieto cenno
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ciò che chiedea la vista del disio.
Poi ch’io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
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le cui parole pria notar mi fenno,
dicendo: “Spirto in cui pianger matura
quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi, →
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sosta un poco per me tua maggior cura.
Chi fosti e perché vòlti avete i dossi →
al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
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cosa di là ond’ io vivendo mossi.”
Ed elli a me: “Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
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scias quod ego fui successor Petri. →
Intra Sïestri e Chiaveri s’adima →
una fiumana bella, e del suo nome
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lo titol del mio sangue fa sua cima.
Un mese e poco più prova’ io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, →
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che piuma sembran tutte l’altre some.
La mia conversïone, omè!, fu tarda; → →
ma, come fatto fui roman pastore,
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così scopersi la vita bugiarda.
Vidi che lì non s’acquetava il core,
né più salir potiesi in quella vita;
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per che di questa in me s’accese amore.
Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara;
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or, come vedi, qui ne son punita.
Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara →
in purgazion de l’anime converse;
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e nulla pena il monte ha più amara.
Sì come l’occhio nostro non s’aderse
in alto, fisso a le cose terrene,
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così giustizia qui a terra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdési,
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così giustizia qui stretti ne tene,
ne’ piedi e ne le man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
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tanto staremo immobili e distesi.”
Io m’era inginocchiato e volea dire; →
ma com’ io cominciai ed el s’accorse,
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solo ascoltando, del mio reverire,
“Qual cagion,” disse, “in giù così ti torse?”
E io a lui: “Per vostra dignitate →
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mia coscïenza dritto mi rimorse.”
“Drizza le gambe, lèvati sù, frate!” →
rispuose; “non errar: conservo sono →
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teco e con li altri ad una podestate.
Se mai quel santo evangelico suono →
che dice ‘Neque nubent’ intendesti,
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ben puoi veder perch’ io così ragiono.
Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
ché la tua stanza mio pianger disagia,
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col qual maturo ciò che tu dicesti. →
Nepote ho io di là c’ha nome Alagia, →
buona da sé, pur che la nostra casa
non faccia lei per essempro malvagia;
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e questa sola di là m’è rimasa.”
PURGA
TORIO XX
Contra miglior voler voler mal pugna; →
onde contra ’l piacer mio, per piacerli,
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trassi de l’acqua non sazia la spugna.
Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li →
luoghi spediti pur lungo la roccia,
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come si va per muro stretto a’ merli;
ché la gente che fonde a goccia a goccia
per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa,
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da l’altra parte in fuor troppo s’approccia.
Maladetta sie tu, antica lupa, →
che più che tutte l’altre bestie hai preda
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per la tua fame sanza fine cupa!
O ciel, nel cui girar par che si creda →
le condizion di qua giù trasmutarsi,
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quando verrà per cui questa disceda? →
Noi andavam con passi lenti e scarsi,
e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
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pietosamente piangere e lagnarsi;
e per ventura udi’ “Dolce Maria!” →
dinanzi a noi chiamar così nel pianto
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come fa donna che in parturir sia;
e seguitar: “Povera fosti tanto,
quanto veder si può per quello ospizio
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dove sponesti il tuo portato santo.”
Seguentemente intesi: “O buon Fabrizio, →
con povertà volesti anzi virtute
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che gran ricchezza posseder con vizio.”
Queste parole m’eran sì piaciute,
ch’io mi trassi oltre per aver contezza
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di quello spirto onde parean venute.
Esso parlava ancor de la larghezza →
che fece Niccolò a le pulcelle,
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per condurre ad onor lor giovinezza.
“O anima che tanto ben favelle, →
dimmi chi fosti,” dissi, “e perché sola
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tu queste degne lode rinovelle.
Non fia sanza mercé la tua parola,
s’io ritorno a compiér lo cammin corto
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di quella vita ch’al termine vola.”
Ed elli: “Io ti dirò, non per conforto →
ch’io attenda di là, ma perché tanta
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grazia in te luce prima che sie morto.
Io fui radice de la mala pianta →
che la terra cristiana tutta aduggia,
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sì che buon frutto rado se ne schianta.
Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia →
potesser, tosto ne saria vendetta;
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e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
Chiamato fui di là Ugo Ciappetta; →
di me son nati i Filippi e i Luigi →
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per cui novellamente è Francia retta.
Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi: →
quando li regi antichi venner meno →
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tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi,
trova’mi stretto ne le mani il freno →
del governo del regno, e tanta possa
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di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,
ch’a la corona vedova promossa
la testa di mio figlio fu, dal quale
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cominciar di costor le sacrate ossa.
Mentre che la gran dota provenzale →
al sangue mio non tolse la vergogna,
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poco valea, ma pur non facea male.
Lì cominciò con forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia, per ammenda,
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Pontì e Normandia prese e Guascogna.
Carlo venne in Italia e, per ammenda, →
vittima fé di Curradino; e poi
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ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
Tempo vegg’ io, non molto dopo ancoi,
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
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per far conoscer meglio e sé e ’ suoi.
Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
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sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato e onta
guadagnerà, per sé tanto più grave,
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quanto più lieve simil danno conta.
L’altro, che già uscì preso di nave,
veggio vender sua figlia e patteggiarne
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come fanno i corsar de l’altre schiave.
O avarizia, che puoi tu più farne, →
poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto,
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che non si cura de la propria carne?
Perché men paia il mal futuro e ’l fatto, →
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
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e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un’altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele,
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e tra vivi ladroni esser anciso.
Veggio il novo Pilato sì crudele, →
che ciò nol sazia, ma sanza decreto
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portar nel Tempio le cupide vele.
O Segnor mio, quando sarò io lieto →
a veder la vendetta che, nascosa,
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fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?
Ciò ch’io dicea di quell’ unica sposa →
de lo Spirito Santo e che ti fece
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verso me volger per alcuna chiosa,
tanto è risposto a tutte nostre prece
quanto ’l dì dura; ma com’ el s’annotta,
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contrario suon prendemo in quella vece.
Noi repetiam Pigmalïon allotta, → →
cui traditore e ladro e paricida
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fece la voglia sua de l’oro ghiotta;
e la miseria de l’avaro Mida, →
che seguì a la sua dimanda gorda,
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per la qual sempre convien che si rida.
Del folle Acàn ciascun poi si ricorda, →
come furò le spoglie, sì che l’ira
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di Iosüè qui par ch’ancor lo morda.
Indi accusiam col marito Saffira; →
lodiamo i calci ch’ebbe Elïodoro; →
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e in infamia tutto ’l monte gira →
Polinestòr ch’ancise Polidoro;
ultimamente ci si grida: ‘Crasso, →
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dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?’
Talor parla l’uno alto e l’altro basso, →
secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona
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ora a maggiore e ora a minor passo:
però al ben che ’l dì ci si ragiona,
dianzi non era io sol; ma qui da presso
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non alzava la voce altra persona.”
Noi eravam partiti già da esso, →
e brigavam di soverchiar la strada
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tanto quanto al poder n’era permesso,
quand’ io senti’, come cosa che cada, →
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
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qual prender suol colui ch’a morte vada.
Certo non si scoteo sì forte Delo, →
pria che Latona in lei facesse ’l nido
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a parturir li due occhi del cielo.
Poi cominciò da tutte parti un grido →
tal, che ’l maestro inverso me si feo,
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dicendo: “Non dubbiar, mentr’ io ti guido.”
“Glorïa in excelsis” tutti “Deo”
→
dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,
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onde intender lo grido si poteo.
No’ istavamo immobili e sospesi
come i pastor che prima udir quel canto,
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fin che ’l tremar cessò ed el compiési.
Poi ripigliammo nostro cammin santo, →
guardando l’ombre che giacean per terra,
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tornate già in su l’usato pianto.
Nulla ignoranza mai con tanta guerra →
mi fé desideroso di sapere,
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se la memoria mia in ciò non erra,
quanta pareami allor, pensando, avere;
né per la fretta dimandare er’ oso,
né per me lì potea cosa vedere:
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così m’andava timido e pensoso.
PURGATORIO XXI
La sete natural che mai non sazia →
se non con l’acqua onde la femminetta →
3
samaritana domandò la grazia,
mi travagliava, e pungeami la fretta →
per la ’mpacciata via dietro al mio duca,
6
e condoleami a la giusta vendetta.
Ed ecco, sì come ne scrive Luca →
che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,
9
già surto fuor de la sepulcral buca,
ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa, →
dal piè guardando la turba che giace;
12
né ci addemmo di lei, sì parlò pria,
dicendo: “O frati miei, Dio vi dea pace.”
Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio →
15