Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2)

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Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2) Page 33

by Dante


  le fredde membra che la notte aggrava,

  12

  così lo sguardo mio le facea scorta

  la lingua, e poscia tutta la drizzava

  in poco d’ora, e lo smarrito volto,

  15

  com’ amor vuol, così le colorava.

  Poi ch’ell’ avea ’l parlar così disciolto, →

  cominciava a cantar sì, che con pena

  18

  da lei avrei mio intento rivolto.

  “Io son,” cantava, “io son dolce serena,

  che ’ marinari in mezzo mar dismago; →

  21

  tanto son di piacere a sentir piena!

  Io volsi Ulisse del suo cammin vago →

  al canto mio; e qual meco s’ausa,

  24

  rado sen parte; sì tutto l’appago!”

  Ancor non era sua bocca richiusa,

  quand’ una donna apparve santa e presta →

  27

  lunghesso me per far colei confusa.

  “O Virgilio, Virgilio, chi è questa?” →

  fieramente dicea; ed el venìa

  30

  con li occhi fitti pur in quella onesta.

  L’altra prendea, e dinanzi l’apria →

  fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre;

  33

  quel mi svegliò col puzzo che n’uscia.

  Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: “Almen tre →

  voci t’ho messe!” dicea, “Surgi e vieni;

  36

  troviam l’aperta per la qual tu entre.”

  Sù mi levai, e tutti eran già pieni →

  de l’alto dì i giron del sacro monte,

  39

  e andavam col sol novo a le reni.

  Seguendo lui, portava la mia fronte

  come colui che l’ha di pensier carca,

  42

  che fa di sé un mezzo arco di ponte;

  quand’ io udi’ “Venite; qui si varca” →

  parlare in modo soave e benigno,

  45

  qual non si sente in questa mortal marca.

  Con l’ali aperte, che parean di cigno,

  volseci in sù colui che sì parlonne

  48

  tra due pareti del duro macigno.

  Mosse le penne poi e ventilonne, →

  “Qui lugent” affermando esser beati,

  51

  ch’avran di consolar l’anime donne.

  “Che hai che pur inver’ la terra guati?” →

  la guida mia incominciò a dirmi,

  54

  poco amendue da l’angel sormontati.

  E io: “Con tanta sospeccion fa irmi

  novella visïon ch’a sé mi piega,

  57

  sì ch’io non posso dal pensar partirmi.”

  “Vedesti,” disse, “quell’antica strega

  che sola sovr’ a noi omai si piagne;

  60

  vedesti come l’uom da lei si slega.

  Bastiti, e batti a terra le calcagne;

  li occhi rivolgi al logoro che gira

  63

  lo rege etterno con le rote magne.” →

  Quale ’l falcon, che prima a’ piè si mira,

  indi si volge al grido e si protende

  66

  per lo disio del pasto che là il tira,

  tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende

  la roccia per dar via a chi va suso,

  69

  n’andai infin dove ’l cerchiar si prende.

  Com’ io nel quinto giro fui dischiuso, →

  vidi gente per esso che piangea,

  72

  giacendo a terra tutta volta in giuso.

  “Adhaesit pavimento anima mea” →

  sentia dir lor con sì alti sospiri,

  75

  che la parola a pena s’intendea.

  “O eletti di Dio, li cui soffriri →

  e giustizia e speranza fa men duri,

  78

  drizzate noi verso li alti saliri.”

  “Se voi venite dal giacer sicuri, →

  e volete trovar la via più tosto,

  81

  le vostre destre sien sempre di fori.”

  Così pregò ’l poeta, e sì risposto

  poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io

  84

  nel parlare avvisai l’altro nascosto, →

  e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:

  ond’ elli m’assentì con lieto cenno

  87

  ciò che chiedea la vista del disio.

  Poi ch’io potei di me fare a mio senno,

  trassimi sovra quella creatura

  90

  le cui parole pria notar mi fenno,

  dicendo: “Spirto in cui pianger matura

  quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi, →

  93

  sosta un poco per me tua maggior cura.

  Chi fosti e perché vòlti avete i dossi →

  al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri

  96

  cosa di là ond’ io vivendo mossi.”

  Ed elli a me: “Perché i nostri diretri

  rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima

  99

  scias quod ego fui successor Petri. →

  Intra Sïestri e Chiaveri s’adima →

  una fiumana bella, e del suo nome

  102

  lo titol del mio sangue fa sua cima.

  Un mese e poco più prova’ io come

  pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, →

  105

  che piuma sembran tutte l’altre some.

  La mia conversïone, omè!, fu tarda; → →

  ma, come fatto fui roman pastore,

  108

  così scopersi la vita bugiarda.

  Vidi che lì non s’acquetava il core,

  né più salir potiesi in quella vita;

  111

  per che di questa in me s’accese amore.

  Fino a quel punto misera e partita

  da Dio anima fui, del tutto avara;

  114

  or, come vedi, qui ne son punita.

  Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara →

  in purgazion de l’anime converse;

  117

  e nulla pena il monte ha più amara.

  Sì come l’occhio nostro non s’aderse

  in alto, fisso a le cose terrene,

  120

  così giustizia qui a terra il merse.

  Come avarizia spense a ciascun bene

  lo nostro amore, onde operar perdési,

  123

  così giustizia qui stretti ne tene,

  ne’ piedi e ne le man legati e presi;

  e quanto fia piacer del giusto Sire,

  126

  tanto staremo immobili e distesi.”

  Io m’era inginocchiato e volea dire; →

  ma com’ io cominciai ed el s’accorse,

  129

  solo ascoltando, del mio reverire,

  “Qual cagion,” disse, “in giù così ti torse?”

  E io a lui: “Per vostra dignitate →

  132

  mia coscïenza dritto mi rimorse.”

  “Drizza le gambe, lèvati sù, frate!” →

  rispuose; “non errar: conservo sono →

  135

  teco e con li altri ad una podestate.

  Se mai quel santo evangelico suono →

  che dice ‘Neque nubent’ intendesti,

  138

  ben puoi veder perch’ io così ragiono.

  Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;

  ché la tua stanza mio pianger disagia,

  141

  col qual maturo ciò che tu dicesti. →

  Nepote ho io di là c’ha nome Alagia, →

  buona da sé, pur che la nostra casa

  non faccia lei per essempro malvagia;

  145

  e questa sola di là m’è rimasa.”

  PURGA
TORIO XX

  Contra miglior voler voler mal pugna; →

  onde contra ’l piacer mio, per piacerli,

  3

  trassi de l’acqua non sazia la spugna.

  Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li →

  luoghi spediti pur lungo la roccia,

  6

  come si va per muro stretto a’ merli;

  ché la gente che fonde a goccia a goccia

  per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa,

  9

  da l’altra parte in fuor troppo s’approccia.

  Maladetta sie tu, antica lupa, →

  che più che tutte l’altre bestie hai preda

  12

  per la tua fame sanza fine cupa!

  O ciel, nel cui girar par che si creda →

  le condizion di qua giù trasmutarsi,

  15

  quando verrà per cui questa disceda? →

  Noi andavam con passi lenti e scarsi,

  e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia

  18

  pietosamente piangere e lagnarsi;

  e per ventura udi’ “Dolce Maria!” →

  dinanzi a noi chiamar così nel pianto

  21

  come fa donna che in parturir sia;

  e seguitar: “Povera fosti tanto,

  quanto veder si può per quello ospizio

  24

  dove sponesti il tuo portato santo.”

  Seguentemente intesi: “O buon Fabrizio, →

  con povertà volesti anzi virtute

  27

  che gran ricchezza posseder con vizio.”

  Queste parole m’eran sì piaciute,

  ch’io mi trassi oltre per aver contezza

  30

  di quello spirto onde parean venute.

  Esso parlava ancor de la larghezza →

  che fece Niccolò a le pulcelle,

  33

  per condurre ad onor lor giovinezza.

  “O anima che tanto ben favelle, →

  dimmi chi fosti,” dissi, “e perché sola

  36

  tu queste degne lode rinovelle.

  Non fia sanza mercé la tua parola,

  s’io ritorno a compiér lo cammin corto

  39

  di quella vita ch’al termine vola.”

  Ed elli: “Io ti dirò, non per conforto →

  ch’io attenda di là, ma perché tanta

  42

  grazia in te luce prima che sie morto.

  Io fui radice de la mala pianta →

  che la terra cristiana tutta aduggia,

  45

  sì che buon frutto rado se ne schianta.

  Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia →

  potesser, tosto ne saria vendetta;

  48

  e io la cheggio a lui che tutto giuggia.

  Chiamato fui di là Ugo Ciappetta; →

  di me son nati i Filippi e i Luigi →

  51

  per cui novellamente è Francia retta.

  Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi: →

  quando li regi antichi venner meno →

  54

  tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi,

  trova’mi stretto ne le mani il freno →

  del governo del regno, e tanta possa

  57

  di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,

  ch’a la corona vedova promossa

  la testa di mio figlio fu, dal quale

  60

  cominciar di costor le sacrate ossa.

  Mentre che la gran dota provenzale →

  al sangue mio non tolse la vergogna,

  63

  poco valea, ma pur non facea male.

  Lì cominciò con forza e con menzogna

  la sua rapina; e poscia, per ammenda,

  66

  Pontì e Normandia prese e Guascogna.

  Carlo venne in Italia e, per ammenda, →

  vittima fé di Curradino; e poi

  69

  ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.

  Tempo vegg’ io, non molto dopo ancoi,

  che tragge un altro Carlo fuor di Francia,

  72

  per far conoscer meglio e sé e ’ suoi.

  Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia

  con la qual giostrò Giuda, e quella ponta

  75

  sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia.

  Quindi non terra, ma peccato e onta

  guadagnerà, per sé tanto più grave,

  78

  quanto più lieve simil danno conta.

  L’altro, che già uscì preso di nave,

  veggio vender sua figlia e patteggiarne

  81

  come fanno i corsar de l’altre schiave.

  O avarizia, che puoi tu più farne, →

  poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto,

  84

  che non si cura de la propria carne?

  Perché men paia il mal futuro e ’l fatto, →

  veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,

  87

  e nel vicario suo Cristo esser catto.

  Veggiolo un’altra volta esser deriso;

  veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele,

  90

  e tra vivi ladroni esser anciso.

  Veggio il novo Pilato sì crudele, →

  che ciò nol sazia, ma sanza decreto

  93

  portar nel Tempio le cupide vele.

  O Segnor mio, quando sarò io lieto →

  a veder la vendetta che, nascosa,

  96

  fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?

  Ciò ch’io dicea di quell’ unica sposa →

  de lo Spirito Santo e che ti fece

  99

  verso me volger per alcuna chiosa,

  tanto è risposto a tutte nostre prece

  quanto ’l dì dura; ma com’ el s’annotta,

  102

  contrario suon prendemo in quella vece.

  Noi repetiam Pigmalïon allotta, → →

  cui traditore e ladro e paricida

  105

  fece la voglia sua de l’oro ghiotta;

  e la miseria de l’avaro Mida, →

  che seguì a la sua dimanda gorda,

  108

  per la qual sempre convien che si rida.

  Del folle Acàn ciascun poi si ricorda, →

  come furò le spoglie, sì che l’ira

  111

  di Iosüè qui par ch’ancor lo morda.

  Indi accusiam col marito Saffira; →

  lodiamo i calci ch’ebbe Elïodoro; →

  114

  e in infamia tutto ’l monte gira →

  Polinestòr ch’ancise Polidoro;

  ultimamente ci si grida: ‘Crasso, →

  117

  dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?’

  Talor parla l’uno alto e l’altro basso, →

  secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona

  120

  ora a maggiore e ora a minor passo:

  però al ben che ’l dì ci si ragiona,

  dianzi non era io sol; ma qui da presso

  123

  non alzava la voce altra persona.”

  Noi eravam partiti già da esso, →

  e brigavam di soverchiar la strada

  126

  tanto quanto al poder n’era permesso,

  quand’ io senti’, come cosa che cada, →

  tremar lo monte; onde mi prese un gelo

  129

  qual prender suol colui ch’a morte vada.

  Certo non si scoteo sì forte Delo, →

  pria che Latona in lei facesse ’l nido

  132

  a parturir li due occhi del cielo.

  Poi cominciò da tutte parti un grido →

  tal, che ’l maestro inverso me si feo,

  135

  dicendo: “Non dubbiar, mentr’ io ti guido.”

  “Glorïa in excelsis” tutti “Deo”


  dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,

  138

  onde intender lo grido si poteo.

  No’ istavamo immobili e sospesi

  come i pastor che prima udir quel canto,

  141

  fin che ’l tremar cessò ed el compiési.

  Poi ripigliammo nostro cammin santo, →

  guardando l’ombre che giacean per terra,

  144

  tornate già in su l’usato pianto.

  Nulla ignoranza mai con tanta guerra →

  mi fé desideroso di sapere,

  147

  se la memoria mia in ciò non erra,

  quanta pareami allor, pensando, avere;

  né per la fretta dimandare er’ oso,

  né per me lì potea cosa vedere:

  151

  così m’andava timido e pensoso.

  PURGATORIO XXI

  La sete natural che mai non sazia →

  se non con l’acqua onde la femminetta →

  3

  samaritana domandò la grazia,

  mi travagliava, e pungeami la fretta →

  per la ’mpacciata via dietro al mio duca,

  6

  e condoleami a la giusta vendetta.

  Ed ecco, sì come ne scrive Luca →

  che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,

  9

  già surto fuor de la sepulcral buca,

  ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa, →

  dal piè guardando la turba che giace;

  12

  né ci addemmo di lei, sì parlò pria,

  dicendo: “O frati miei, Dio vi dea pace.”

  Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio →

  15

 

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