Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2)

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Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2) Page 39

by Dante


  Con men di resistenza si dibarba →

  robusto cerro, o vero al nostral vento

  72

  o vero a quel de la terra di Iarba,

  ch’io non levai al suo comando il mento;

  e quando per la barba il viso chiese,

  75

  ben conobbi il velen de l’argomento.

  E come la mia faccia si distese,

  posarsi quelle prime creature →

  78

  da loro aspersïon l’occhio comprese;

  e le mie luci, ancor poco sicure,

  vider Beatrice volta in su la fiera

  81

  ch’è sola una persona in due nature. →

  Sotto ’l suo velo e oltre la rivera →

  vincer pariemi più sé stessa antica,

  84

  vincer che l’altre qui, quand’ ella c’era.

  Di penter sì mi punse ivi l’ortica, →

  che di tutte altre cose qual mi torse

  87

  più nel suo amor, più mi si fé nemica.

  Tanta riconoscenza il cor mi morse,

  ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,

  90

  salsi colei che la cagion mi porse.

  Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi, →

  la donna ch’io avea trovata sola

  93

  sopra me vidi, e dicea: “Tiemmi, tiemmi!”

  Tratto m’avea nel fiume infin la gola,

  e tirandosi me dietro sen giva

  96

  sovresso l’acqua lieve come scola.

  Quando fui presso a la beata riva,

  “Asperges me” sì dolcemente udissi,

  99

  che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.

  La bella donna ne le braccia aprissi;

  abbracciommi la testa e mi sommerse

  102

  ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.

  Indi mi tolse, e bagnato m’offerse →

  dentro a la danza de le quattro belle;

  105

  e ciascuna del braccio mi coperse.

  “Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;

  pria che Beatrice discendesse al mondo,

  108

  fummo ordinate a lei per sue ancelle.

  Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo →

  lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi

  111

  le tre di là, che miran più profondo.”

  Così cantando cominciaro; e poi →

  al petto del grifon seco menarmi,

  114

  ove Beatrice stava volta a noi.

  Disser: “Fa che le viste non risparmi; →

  posto t’avem dinanzi a li smeraldi

  117

  ond’ Amor già ti trasse le sue armi.”

  Mille disiri più che fiamma caldi

  strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,

  120

  che pur sopra ’l grifone stavan saldi.

  Come in lo specchio il sol, non altrimenti

  la doppia fiera dentro vi raggiava,

  123

  or con altri, or con altri reggimenti. →

  Pensa, lettor, s’io mi maravigliava, →

  quando vedea la cosa in sé star queta,

  126

  e ne l’idolo suo si trasmutava.

  Mentre che piena di stupore e lieta →

  l’anima mia gustava di quel cibo →

  129

  che, saziando di sé, di sé asseta,

  sé dimostrando di più alto tribo

  ne li atti, l’altre tre si fero avanti, →

  132

  danzando al loro angelico caribo. →

  “Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi,” →

  era la sua canzone, “al tuo fedele

  135

  che, per vederti, ha mossi passi tanti!

  Per grazia fa noi grazia che disvele

  a lui la bocca tua, sì che discerna

  138

  la seconda bellezza che tu cele.” →

  O isplendor di viva luce etterna, →

  chi palido si fece sotto l’ombra

  141

  sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,

  che non paresse aver la mente ingombra,

  tentando a render te qual tu paresti →

  là dove armonizzando il ciel t’adombra,

  145

  quando ne l’aere aperto ti solvesti?

  PURGATORIO XXXII

  Tant’ eran li occhi miei fissi e attenti →

  a disbramarsi la decenne sete,

  3

  che li altri sensi m’eran tutti spenti.

  Ed essi quinci e quindi avien parete →

  di non caler—così lo santo riso

  6

  a sé traéli con l’antica rete!—;

  quando per forza mi fu vòlto il viso

  ver’ la sinistra mia da quelle dee, →

  9

  perch’ io udi’ da loro un “Troppo fiso!” →

  e la disposizion ch’a veder èe

  ne li occhi pur testé dal sol percossi,

  12

  sanza la vista alquanto esser mi fée.

  Ma poi ch’al poco il viso riformossi →

  (e dico “al poco” per rispetto al molto

  15

  sensibile onde a forza mi rimossi),

  vidi ’n sul braccio destro esser rivolto →

  lo glorïoso essercito, e tornarsi

  18

  col sole e con le sette fiamme al volto.

  Come sotto li scudi per salvarsi →

  volgesi schiera, e sé gira col segno,

  21

  prima che possa tutta in sé mutarsi;

  quella milizia del celeste regno

  che procedeva, tutta trapassonne

  24

  pria che piegasse il carro il primo legno.

  Indi a le rote si tornar le donne,

  e ’l grifon mosse il benedetto carco

  27

  sì, che però nulla penna crollonne. →

  La bella donna che mi trasse al varco →

  e Stazio e io seguitavam la rota

  30

  che fé l’orbita sua con minore arco.

  Sì passeggiando l’alta selva vòta, →

  colpa di quella ch’al serpente crese,

  33

  temprava i passi un’angelica nota.

  Forse in tre voli tanto spazio prese

  disfrenata saetta, quanto eramo

  36

  rimossi, quando Bëatrice scese.

  Io senti’ mormorare a tutti “Adamo”;

  poi cerchiaro una pianta dispogliata →

  39

  di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.

  La coma sua, che tanto si dilata

  più quanto più è sù, fora da l’Indi

  42

  ne’ boschi lor per altezza ammirata.

  “Beato se’, grifon, che non discindi →

  col becco d’esto legno dolce al gusto,

  45

  poscia che mal si torce il ventre quindi.”

  Così dintorno a l’albero robusto

  gridaron li altri; e l’animal binato:

  48

  “Sì si conserva il seme d’ogne giusto.”

  E vòlto al temo ch’elli avea tirato,

  trasselo al piè de la vedova frasca,

  51

  e quel di lei a lei lasciò legato. →

  Come le nostre piante, quando casca →

  giù la gran luce mischiata con quella

  54

  che raggia dietro a la celeste lasca,

  turgide fansi, e poi si rinovella

  di suo color ciascuna, pria che ’l sole

  57

  giunga li suoi corsier sotto altra stella;

  men che di rose e più che di vïole

  colore aprendo, s’innovò la pianta,

  60

  che prima avea le ramora sì sole.
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br />   Io non lo ’ntesi, né qui non si canta →

  l’inno che quella gente allor cantaro,

  63

  né la nota soffersi tutta quanta. →

  S’io potessi ritrar come assonnaro →

  li occhi spietati udendo di Siringa,

  66

  li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro;

  come pintor che con essempro pinga,

  disegnerei com’ io m’addormentai;

  69

  ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga.

  Però trascorro a quando mi svegliai, →

  e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo

  72

  del sonno, e un chiamar: “Surgi: che fai?” →

  Quali a veder de’ fioretti del melo →

  che del suo pome li angeli fa ghiotti

  75

  e perpetüe nozze fa nel cielo,

  Pietro e Giovanni e Iacopo condotti

  e vinti, ritornaro a la parola

  78

  da la qual furon maggior sonni rotti, →

  e videro scemata loro scuola

  così di Moïsè come d’Elia,

  81

  e al maestro suo cangiata stola;

  tal torna’ io, e vidi quella pia

  sovra me starsi che conducitrice

  84

  fu de’ miei passi lungo ’l fiume pria.

  E tutto in dubbio dissi: “Ov’ è Beatrice?” →

  Ond’ ella: “Vedi lei sotto la fronda →

  87

  nova sedere in su la sua radice.

  Vedi la compagnia che la circonda: →

  li altri dopo ’l grifon sen vanno suso →

  90

  con più dolce canzone e più profonda.”

  E se più fu lo suo parlar diffuso,

  non so, però che già ne li occhi m’era

  93

  quella ch’ad altro intender m’avea chiuso.

  Sola sedeasi in su la terra vera, →

  come guardia lasciata lì del plaustro →

  96

  che legar vidi a la biforme fera.

  In cerchio le facevan di sé claustro

  le sette ninfe, con quei lumi in mano →

  99

  che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.

  “Qui sarai tu poco tempo silvano; →

  e sarai meco sanza fine cive

  102

  di quella Roma onde Cristo è romano.

  Però, in pro del mondo che mal vive, →

  al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,

  105

  ritornato di là, fa che tu scrive.”

  Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi

  d’i suoi comandamenti era divoto,

  108

  la mente e li occhi ov’ ella volle diedi.

  Non scese mai con sì veloce moto → →

  foco di spessa nube, quando piove

  111

  da quel confine che più va remoto,

  com’ io vidi calar l’uccel di Giove

  per l’alber giù, rompendo de la scorza,

  114

  non che d’i fiori e de le foglie nove;

  e ferì ’l carro di tutta sua forza;

  ond’ el piegò come nave in fortuna, →

  117

  vinta da l’onda, or da poggia, or da orza.

  Poscia vidi avventarsi ne la cuna →

  del trïunfal veiculo una volpe

  120

  che d’ogne pasto buon parea digiuna;

  ma, riprendendo lei di laide colpe,

  la donna mia la volse in tanta futa

  123

  quanto sofferser l’ossa sanza polpe.

  Poscia per indi ond’ era pria venuta, →

  l’aguglia vidi scender giù ne l’arca

  126

  del carro e lasciar lei di sé pennuta;

  e qual esce di cuor che si rammarca,

  tal voce uscì del cielo e cotal disse:

  129

  “O navicella mia, com’ mal se’ carca!”

  Poi parve a me che la terra s’aprisse →

  tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago

  132

  che per lo carro sù la coda fisse;

  e come vespa che ritragge l’ago,

  a sé traendo la coda maligna,

  135

  trasse del fondo, e gissen vago vago.

  Quel che rimase, come da gramigna →

  vivace terra, da la piuma, offerta

  138

  forse con intenzion sana e benigna,

  si ricoperse, e funne ricoperta

  e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto

  141

  che più tiene un sospir la bocca aperta.

  Trasformato così ’l dificio santo →

  mise fuor teste per le parti sue,

  144

  tre sovra ’l temo e una in ciascun canto.

  Le prime eran cornute come bue,

  ma le quattro un sol corno avean per fronte:

  147

  simile mostro visto ancor non fue.

  Sicura, quasi rocca in alto monte, →

  seder sovresso una puttana sciolta

  150

  m’apparve con le ciglia intorno pronte;

  e come perché non li fosse tolta,

  vidi di costa a lei dritto un gigante;

  153

  e basciavansi insieme alcuna volta.

  Ma perché l’occhio cupido e vagante

  a me rivolse, quel feroce drudo

  156

  la flagellò dal capo infin le piante;

  poi, di sospetto pieno e d’ira crudo,

  disciolse il mostro, e trassel per la selva,

  tanto che sol di lei mi fece scudo

  160

  a la puttana e a la nova belva.

  PURGATORIO XXXIII

  “Deus, venerunt gentes,” alternando →

  or tre or quattro dolce salmodia,

  3

  le donne incominciaro, e lagrimando;

  e Bëatrice, sospirosa e pia,

  quelle ascoltava sì fatta, che poco

  6

  più a la croce si cambiò Maria.

  Ma poi che l’altre vergini dier loco →

  a lei di dir, levata dritta in pè,

  9

  rispuose, colorata come foco:

  “Modicum, et non videbitis me;

  et iterum, sorelle mie dilette,

  12

  modicum, et vos videbitis me.”

  Poi le si mise innanzi tutte e sette, →

  e dopo sé, solo accennando, mosse

  15

  me e la donna e ’l savio che ristette.

  Così sen giva; e non credo che fosse →

  lo decimo suo passo in terra posto,

  18

  quando con li occhi li occhi mi percosse;

  e con tranquillo aspetto “Vien più tosto,”

  mi disse, “tanto che, s’io parlo teco,

  21

  ad ascoltarmi tu sie ben disposto.”

  Sì com’ io fui, com’ io dovëa, seco,

  dissemi: “Frate, perché non t’attenti →

  24

  a domandarmi omai venendo meco?”

  Come a color che troppo reverenti →

  dinanzi a suo maggior parlando sono,

  27

  che non traggon la voce viva ai denti,

  avvenne a me, che sanza intero suono

  incominciai: “Madonna, mia bisogna

  30

  voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono.”

  Ed ella a me: “Da tema e da vergogna →

  voglio che tu omai ti disviluppe,

  33

  sì che non parli più com’ om che sogna.

  Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe, →

  fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda

  36

  che vendetta di Dio non teme suppe.

  Non sarà tutto tempo sanza reda →
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  l’aguglia che lasciò le penne al carro,

  39

  per che divenne mostro e poscia preda;

  ch’io veggio certamente, e però il narro,

  a darne tempo già stelle propinque,

  42

  secure d’ogn’ intoppo e d’ogne sbarro,

  nel quale un cinquecento diece e cinque, →

  messo di Dio, anciderà la fuia

  45

  con quel gigante che con lei delinque.

  E forse che la mia narrazion buia, →

  qual Temi e Sfinge, men ti persuade,

  48

  perch’ a lor modo lo ’ntelletto attuia;

  ma tosto fier li fatti le Naiade,

  che solveranno questo enigma forte

  51

  sanza danno di pecore o di biade.

  Tu nota; e sì come da me son porte, →

  così queste parole segna a’ vivi

  54

  del viver ch’è un correre a la morte. →

  E aggi a mente, quando tu le scrivi, →

  di non celar qual hai vista la pianta

  57

  ch’è or due volte dirubata quivi.

  Qualunque ruba quella o quella schianta, →

  con bestemmia di fatto offende a Dio,

  60

  che solo a l’uso suo la creò santa.

  Per morder quella, in pena e in disio

  cinquemilia anni e più l’anima prima

  63

  bramò colui che ’l morso in sé punio.

  Dorme lo ’ngegno tuo, se non estima

  per singular cagione essere eccelsa

  66

  lei tanto e sì travolta ne la cima. →

  E se stati non fossero acqua d’Elsa → →

 

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