by Dante
venire appresso, vestite di bianco;
66
e tal candor di qua già mai non fuci.
L’acqua imprendëa dal sinistro fianco, →
e rendea me la mia sinistra costa,
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s’io riguardava in lei, come specchio anco.
Quand’ io da la mia riva ebbi tal posta,
che solo il fiume mi facea distante,
72
per veder meglio ai passi diedi sosta,
e vidi le fiammelle andar davante, →
lasciando dietro a sé l’aere dipinto,
75
e di tratti pennelli avean sembiante;
sì che lì sopra rimanea distinto
di sette liste, tutte in quei colori
78
onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto.
Questi ostendali in dietro eran maggiori →
che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
81
diece passi distavan quei di fori.
Sotto così bel ciel com’ io diviso,
ventiquattro seniori, a due a due, →
84
coronati venien di fiordaliso.
Tutti cantavan: “Benedicta tue →
ne le figlie d’Adamo, e benedette
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sieno in etterno le bellezze tue!”
Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette
a rimpetto di me da l’altra sponda
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libere fuor da quelle genti elette,
sì come luce luce in ciel seconda,
vennero appresso lor quattro animali, →
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coronati ciascun di verde fronda.
Ognuno era pennuto di sei ali; →
le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo,
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se fosser vivi, sarebber cotali.
A descriver lor forme più non spargo →
rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne,
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tanto ch’a questa non posso esser largo;
ma leggi Ezechïel, che li dipigne →
come li vide da la fredda parte
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venir con vento e con nube e con igne;
e quali i troverai ne le sue carte,
tali eran quivi, salvo ch’a le penne
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Giovanni è meco e da lui si diparte. →
Lo spazio dentro a lor quattro contenne →
un carro, in su due rote, trïunfale,
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ch’al collo d’un grifon tirato venne. →
Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale →
tra la mezzana e le tre e tre liste,
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sì ch’a nulla, fendendo, facea male.
Tanto salivan che non eran viste;
le membra d’oro avea quant’ era uccello, →
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e bianche l’altre, di vermiglio miste.
Non che Roma di carro così bello →
rallegrasse Affricano, o vero Augusto,
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ma quel del Sol saria pover con ello;
quel del Sol che, svïando, fu combusto
per l’orazion de la Terra devota,
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quando fu Giove arcanamente giusto.
Tre donne in giro da la destra rota →
venian danzando; l’una tanto rossa
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ch’a pena fora dentro al foco nota;
l’altr’ era come se le carni e l’ossa
fossero state di smeraldo fatte;
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la terza parea neve testé mossa;
e or parëan da la bianca tratte,
or da la rossa; e dal canto di questa
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l’altre toglien l’andare e tarde e ratte.
Da la sinistra quattro facean festa, →
in porpore vestite, dietro al modo
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d’una di lor ch’avea tre occhi in testa.
Appresso tutto il pertrattato nodo →
vidi due vecchi in abito dispari,
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ma pari in atto e onesto e sodo.
L’un si mostrava alcun de’ famigliari
di quel sommo Ipocràte che natura
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a li animali fé ch’ell’ ha più cari;
mostrava l’altro la contraria cura
con una spada lucida e aguta,
141
tal che di qua dal rio mi fé paura.
Poi vidi quattro in umile paruta; →
e di retro da tutti un vecchio solo
144
venir, dormendo, con la faccia arguta.
E questi sette col primaio stuolo →
erano abitüati, ma di gigli
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dintorno al capo non facëan brolo,
anzi di rose e d’altri fior vermigli;
giurato avria poco lontano aspetto
150
che tutti ardesser di sopra da’ cigli.
E quando il carro a me fu a rimpetto, →
un tuon s’udì, e quelle genti degne
parvero aver l’andar più interdetto,
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fermandosi ivi con le prime insegne.
PURGATORIO XXX
Quando il settentrïon del primo cielo, →
che né occaso mai seppe né orto
3
né d’altra nebbia che di colpa velo,
e che faceva lì ciascuno accorto
di suo dover, come ’l più basso face
6
qual temon gira per venire a porto,
fermo s’affisse: la gente verace,
venuta prima tra ’l grifone ed esso, →
9
al carro volse sé come a sua pace;
e un di loro, quasi da ciel messo, →
“Veni, sponsa, de Libano” cantando
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gridò tre volte, e tutti li altri appresso.
Quali i beati al novissimo bando →
surgeran presti ognun di sua caverna,
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la revestita voce alleluiando,
cotali in su la divina basterna → →
si levar cento, ad vocem tanti senis, →
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ministri e messagger di vita etterna.
Tutti dicean: “Benedictus qui venis!” →
e fior gittando e di sopra e dintorno, →
21
“Manibus, oh, date lilïa plenis!” →
Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
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e l’altro ciel di bel sereno addorno;
e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
27
l’occhio la sostenea lunga fïata:
così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
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e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d’uliva →
donna m’apparve, sotto verde manto
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vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto →
tempo era stato ch’a la sua presenza
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non era di stupor, tremando, affranto,
sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
39
d’antico amor sentì la gran potenza. →
Tosto che ne la vista mi percosse →
l’alta virtù che già m’avea trafitto
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prima ch’io fuor di püerizia fosse,
volsimi a la sinistra col respitto →
col quale il fantolin corre a la mamma
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quando ha paura o quando elli è afflitto,
per dicere a Virgilio: “Men che dramma
di sangue m’è rimaso che non tremi:
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conosco i segni de
l’antica fiamma.” →
Ma Virgilio n’avea lasciati scemi →
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
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Virgilio a cui per mia salute die’mi;
né quantunque perdeo l’antica matre, →
valse a le guance nette di rugiada
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che, lagrimando, non tornasser atre. →
“Dante, perché Virgilio se ne vada, →
non pianger anco, non piangere ancora; →
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ché pianger ti conven per altra spada.”
Quasi ammiraglio che in poppa e in prora →
viene a veder la gente che ministra
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per li altri legni, e a ben far l’incora;
in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
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che di necessità qui si registra, →
vidi la donna che pria m’appario
velata sotto l’angelica festa, →
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drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.
Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva, →
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non la lasciasse parer manifesta,
regalmente ne l’atto ancor proterva
continüò come colui che dice
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e ’l più caldo parlar dietro reserva:
“Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. →
Come degnasti d’accedere al monte?
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non sapei tu che qui è l’uom felice?”
Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; →
ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
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tanta vergogna mi gravò la fronte.
Così la madre al figlio par superba,
com’ ella parve a me; perché d’amaro
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sente il sapor de la pietade acerba.
Ella si tacque; e li angeli cantaro →
di sùbito “In te, Domine, speravi”;
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ma oltre “pedes meos” non passaro.
Sì come neve tra le vive travi → →
per lo dosso d’Italia si congela,
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soffiata e stretta da li venti schiavi,
poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
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sì che par foco fonder la candela;
così fui sanza lagrime e sospiri
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
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dietro a le note de li etterni giri;
ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
lor compartire a me, par che se detto
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avesser: “Donna, perché sì lo stempre?”
lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
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de la bocca e de li occhi uscì del petto.
Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
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volse le sue parole così poscia:
“Voi vigilate ne l’etterno die, → →
sì che notte né sonno a voi non fura
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passo che faccia il secol per sue vie;
onde la mia risposta è con più cura
che m’intenda colui che di là piagne,
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perché sia colpa e duol d’una misura.
Non pur per ovra de le rote magne, →
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
111
secondo che le stelle son compagne,
ma per larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor piova,
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che nostre viste là non van vicine,
questi fu tal ne la sua vita nova →
virtüalmente, ch’ogne abito destro
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fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto più maligno e più silvestro → →
si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
120
quant’ elli ha più di buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
123
meco il menava in dritta parte vòlto.
Sì tosto come in su la soglia fui →
di mia seconda etade e mutai vita,
126
questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m’era,
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fu’ io a lui men cara e men gradita;
e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
132
che nulla promession rendono intera.
Né l’impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti →
135
lo rivocai: sì poco a lui ne calse!
Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
138
fuor che mostrarli le perdute genti.
Per questo visitai l’uscio d’i morti, →
e a colui che l’ha qua sù condotto,
141
li preghi miei, piangendo, furon porti.
Alto fato di Dio sarebbe rotto, →
se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto
145
di pentimento che lagrime spanda.”
PURGATORIO XXXI
“O tu che se’ di là dal fiume sacro,” →
volgendo suo parlare a me per punta, →
3
che pur per taglio m’era paruto acro,
ricominciò, seguendo sanza cunta,
“dì, dì se questo è vero; a tanta accusa →
6
tua confession conviene esser congiunta.”
Era la mia virtù tanto confusa,
che la voce si mosse, e pria si spense
9
che da li organi suoi fosse dischiusa.
Poco sofferse; poi disse: “Che pense? →
Rispondi a me; ché le memorie triste
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in te non sono ancor da l’acqua offense.”
Confusione e paura insieme miste
mi pinsero un tal “si” fuor de la bocca,
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al quale intender fuor mestier le viste.
Come balestro frange, quando scocca →
da troppa tesa, la sua corda e l’arco,
18
e con men foga l’asta il segno tocca,
sì scoppia’ io sottesso grave carco,
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
21
e la voce allentò per lo suo varco.
Ond’ ella a me: “Per entro i mie’ disiri, →
che ti menavano ad amar lo bene
24
di là dal qual non è a che s’aspiri,
quai fossi attraversati o quai catene →
trovasti, per che del passare innanzi
27
dovessiti così spogliar la spene?
E quali agevolezze o quali avanzi
ne la fronte de li altri si mostraro,
30
per che dovessi lor passeggiare anzi?”
Dopo la tratta d’un sospiro amaro, →
a pena ebbi la voce che rispuose,
33
e le labbra a fatica la formaro.
Piangendo dissi: “Le presenti cose →
col falso lor piacer volser miei passi,
36
tosto che ’l vostro viso si nascose.” →
Ed ella: “Se tacessi o se negassi →
ciò che confessi, non fora men nota
39
la colpa tua: da tal giudice sassi!
>
Ma quando scoppia de la propria gota
l’accusa del peccato, in nostra corte
42
rivolge sé contra ’l taglio la rota.
Tuttavia, perché mo vergogna porte
del tuo errore, e perché altra volta,
45
udendo le serene, sie più forte, →
pon giù il seme del piangere e ascolta: →
sì udirai come in contraria parte →
48
mover dovieti mia carne sepolta.
Mai non t’appresentò natura o arte
piacer, quanto le belle membra in ch’io
51
rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;
e se ’l sommo piacer sì ti fallio
per la mia morte, qual cosa mortale
54
dovea poi trarre te nel suo disio?
Ben ti dovevi, per lo primo strale →
de le cose fallaci, levar suso
57
di retro a me che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso, →
ad aspettar più colpo, o pargoletta
60
o altra novità con sì breve uso.
Novo augelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi da li occhi d’i pennuti →
63
rete si spiega indarno o si saetta.”
Quali fanciulli, vergognando, muti →
con li occhi a terra stannosi, ascoltando
66
e sé riconoscendo e ripentuti,
tal mi stav’ io; ed ella disse: “Quando
per udir se’ dolente, alza la barba, →
69
e prenderai più doglia riguardando.”