Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2)

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Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2) Page 38

by Dante


  venire appresso, vestite di bianco;

  66

  e tal candor di qua già mai non fuci.

  L’acqua imprendëa dal sinistro fianco, →

  e rendea me la mia sinistra costa,

  69

  s’io riguardava in lei, come specchio anco.

  Quand’ io da la mia riva ebbi tal posta,

  che solo il fiume mi facea distante,

  72

  per veder meglio ai passi diedi sosta,

  e vidi le fiammelle andar davante, →

  lasciando dietro a sé l’aere dipinto,

  75

  e di tratti pennelli avean sembiante;

  sì che lì sopra rimanea distinto

  di sette liste, tutte in quei colori

  78

  onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto.

  Questi ostendali in dietro eran maggiori →

  che la mia vista; e, quanto a mio avviso,

  81

  diece passi distavan quei di fori.

  Sotto così bel ciel com’ io diviso,

  ventiquattro seniori, a due a due, →

  84

  coronati venien di fiordaliso.

  Tutti cantavan: “Benedicta tue →

  ne le figlie d’Adamo, e benedette

  87

  sieno in etterno le bellezze tue!”

  Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette

  a rimpetto di me da l’altra sponda

  90

  libere fuor da quelle genti elette,

  sì come luce luce in ciel seconda,

  vennero appresso lor quattro animali, →

  93

  coronati ciascun di verde fronda.

  Ognuno era pennuto di sei ali; →

  le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo,

  96

  se fosser vivi, sarebber cotali.

  A descriver lor forme più non spargo →

  rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne,

  99

  tanto ch’a questa non posso esser largo;

  ma leggi Ezechïel, che li dipigne →

  come li vide da la fredda parte

  102

  venir con vento e con nube e con igne;

  e quali i troverai ne le sue carte,

  tali eran quivi, salvo ch’a le penne

  105

  Giovanni è meco e da lui si diparte. →

  Lo spazio dentro a lor quattro contenne →

  un carro, in su due rote, trïunfale,

  108

  ch’al collo d’un grifon tirato venne. →

  Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale →

  tra la mezzana e le tre e tre liste,

  111

  sì ch’a nulla, fendendo, facea male.

  Tanto salivan che non eran viste;

  le membra d’oro avea quant’ era uccello, →

  114

  e bianche l’altre, di vermiglio miste.

  Non che Roma di carro così bello →

  rallegrasse Affricano, o vero Augusto,

  117

  ma quel del Sol saria pover con ello;

  quel del Sol che, svïando, fu combusto

  per l’orazion de la Terra devota,

  120

  quando fu Giove arcanamente giusto.

  Tre donne in giro da la destra rota →

  venian danzando; l’una tanto rossa

  123

  ch’a pena fora dentro al foco nota;

  l’altr’ era come se le carni e l’ossa

  fossero state di smeraldo fatte;

  126

  la terza parea neve testé mossa;

  e or parëan da la bianca tratte,

  or da la rossa; e dal canto di questa

  129

  l’altre toglien l’andare e tarde e ratte.

  Da la sinistra quattro facean festa, →

  in porpore vestite, dietro al modo

  132

  d’una di lor ch’avea tre occhi in testa.

  Appresso tutto il pertrattato nodo →

  vidi due vecchi in abito dispari,

  135

  ma pari in atto e onesto e sodo.

  L’un si mostrava alcun de’ famigliari

  di quel sommo Ipocràte che natura

  138

  a li animali fé ch’ell’ ha più cari;

  mostrava l’altro la contraria cura

  con una spada lucida e aguta,

  141

  tal che di qua dal rio mi fé paura.

  Poi vidi quattro in umile paruta; →

  e di retro da tutti un vecchio solo

  144

  venir, dormendo, con la faccia arguta.

  E questi sette col primaio stuolo →

  erano abitüati, ma di gigli

  147

  dintorno al capo non facëan brolo,

  anzi di rose e d’altri fior vermigli;

  giurato avria poco lontano aspetto

  150

  che tutti ardesser di sopra da’ cigli.

  E quando il carro a me fu a rimpetto, →

  un tuon s’udì, e quelle genti degne

  parvero aver l’andar più interdetto,

  154

  fermandosi ivi con le prime insegne.

  PURGATORIO XXX

  Quando il settentrïon del primo cielo, →

  che né occaso mai seppe né orto

  3

  né d’altra nebbia che di colpa velo,

  e che faceva lì ciascuno accorto

  di suo dover, come ’l più basso face

  6

  qual temon gira per venire a porto,

  fermo s’affisse: la gente verace,

  venuta prima tra ’l grifone ed esso, →

  9

  al carro volse sé come a sua pace;

  e un di loro, quasi da ciel messo, →

  “Veni, sponsa, de Libano” cantando

  12

  gridò tre volte, e tutti li altri appresso.

  Quali i beati al novissimo bando →

  surgeran presti ognun di sua caverna,

  15

  la revestita voce alleluiando,

  cotali in su la divina basterna → →

  si levar cento, ad vocem tanti senis, →

  18

  ministri e messagger di vita etterna.

  Tutti dicean: “Benedictus qui venis!” →

  e fior gittando e di sopra e dintorno, →

  21

  “Manibus, oh, date lilïa plenis!” →

  Io vidi già nel cominciar del giorno

  la parte orïental tutta rosata,

  24

  e l’altro ciel di bel sereno addorno;

  e la faccia del sol nascere ombrata,

  sì che per temperanza di vapori

  27

  l’occhio la sostenea lunga fïata:

  così dentro una nuvola di fiori

  che da le mani angeliche saliva

  30

  e ricadeva in giù dentro e di fori,

  sovra candido vel cinta d’uliva →

  donna m’apparve, sotto verde manto

  33

  vestita di color di fiamma viva.

  E lo spirito mio, che già cotanto →

  tempo era stato ch’a la sua presenza

  36

  non era di stupor, tremando, affranto,

  sanza de li occhi aver più conoscenza,

  per occulta virtù che da lei mosse,

  39

  d’antico amor sentì la gran potenza. →

  Tosto che ne la vista mi percosse →

  l’alta virtù che già m’avea trafitto

  42

  prima ch’io fuor di püerizia fosse,

  volsimi a la sinistra col respitto →

  col quale il fantolin corre a la mamma

  45

  quando ha paura o quando elli è afflitto,

  per dicere a Virgilio: “Men che dramma

  di sangue m’è rimaso che non tremi:

  48

  conosco i segni de
l’antica fiamma.” →

  Ma Virgilio n’avea lasciati scemi →

  di sé, Virgilio dolcissimo patre,

  51

  Virgilio a cui per mia salute die’mi;

  né quantunque perdeo l’antica matre, →

  valse a le guance nette di rugiada

  54

  che, lagrimando, non tornasser atre. →

  “Dante, perché Virgilio se ne vada, →

  non pianger anco, non piangere ancora; →

  57

  ché pianger ti conven per altra spada.”

  Quasi ammiraglio che in poppa e in prora →

  viene a veder la gente che ministra

  60

  per li altri legni, e a ben far l’incora;

  in su la sponda del carro sinistra,

  quando mi volsi al suon del nome mio,

  63

  che di necessità qui si registra, →

  vidi la donna che pria m’appario

  velata sotto l’angelica festa, →

  66

  drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.

  Tutto che ’l vel che le scendea di testa,

  cerchiato de le fronde di Minerva, →

  69

  non la lasciasse parer manifesta,

  regalmente ne l’atto ancor proterva

  continüò come colui che dice

  72

  e ’l più caldo parlar dietro reserva:

  “Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. →

  Come degnasti d’accedere al monte?

  75

  non sapei tu che qui è l’uom felice?”

  Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; →

  ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,

  78

  tanta vergogna mi gravò la fronte.

  Così la madre al figlio par superba,

  com’ ella parve a me; perché d’amaro

  81

  sente il sapor de la pietade acerba.

  Ella si tacque; e li angeli cantaro →

  di sùbito “In te, Domine, speravi”;

  84

  ma oltre “pedes meos” non passaro.

  Sì come neve tra le vive travi → →

  per lo dosso d’Italia si congela,

  87

  soffiata e stretta da li venti schiavi,

  poi, liquefatta, in sé stessa trapela,

  pur che la terra che perde ombra spiri,

  90

  sì che par foco fonder la candela;

  così fui sanza lagrime e sospiri

  anzi ’l cantar di quei che notan sempre

  93

  dietro a le note de li etterni giri;

  ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre

  lor compartire a me, par che se detto

  96

  avesser: “Donna, perché sì lo stempre?”

  lo gel che m’era intorno al cor ristretto,

  spirito e acqua fessi, e con angoscia

  99

  de la bocca e de li occhi uscì del petto.

  Ella, pur ferma in su la detta coscia

  del carro stando, a le sustanze pie

  102

  volse le sue parole così poscia:

  “Voi vigilate ne l’etterno die, → →

  sì che notte né sonno a voi non fura

  105

  passo che faccia il secol per sue vie;

  onde la mia risposta è con più cura

  che m’intenda colui che di là piagne,

  108

  perché sia colpa e duol d’una misura.

  Non pur per ovra de le rote magne, →

  che drizzan ciascun seme ad alcun fine

  111

  secondo che le stelle son compagne,

  ma per larghezza di grazie divine,

  che sì alti vapori hanno a lor piova,

  114

  che nostre viste là non van vicine,

  questi fu tal ne la sua vita nova →

  virtüalmente, ch’ogne abito destro

  117

  fatto averebbe in lui mirabil prova.

  Ma tanto più maligno e più silvestro → →

  si fa ’l terren col mal seme e non cólto,

  120

  quant’ elli ha più di buon vigor terrestro.

  Alcun tempo il sostenni col mio volto:

  mostrando li occhi giovanetti a lui,

  123

  meco il menava in dritta parte vòlto.

  Sì tosto come in su la soglia fui →

  di mia seconda etade e mutai vita,

  126

  questi si tolse a me, e diessi altrui.

  Quando di carne a spirto era salita,

  e bellezza e virtù cresciuta m’era,

  129

  fu’ io a lui men cara e men gradita;

  e volse i passi suoi per via non vera,

  imagini di ben seguendo false,

  132

  che nulla promession rendono intera.

  Né l’impetrare ispirazion mi valse,

  con le quali e in sogno e altrimenti →

  135

  lo rivocai: sì poco a lui ne calse!

  Tanto giù cadde, che tutti argomenti

  a la salute sua eran già corti,

  138

  fuor che mostrarli le perdute genti.

  Per questo visitai l’uscio d’i morti, →

  e a colui che l’ha qua sù condotto,

  141

  li preghi miei, piangendo, furon porti.

  Alto fato di Dio sarebbe rotto, →

  se Letè si passasse e tal vivanda

  fosse gustata sanza alcuno scotto

  145

  di pentimento che lagrime spanda.”

  PURGATORIO XXXI

  “O tu che se’ di là dal fiume sacro,” →

  volgendo suo parlare a me per punta, →

  3

  che pur per taglio m’era paruto acro,

  ricominciò, seguendo sanza cunta,

  “dì, dì se questo è vero; a tanta accusa →

  6

  tua confession conviene esser congiunta.”

  Era la mia virtù tanto confusa,

  che la voce si mosse, e pria si spense

  9

  che da li organi suoi fosse dischiusa.

  Poco sofferse; poi disse: “Che pense? →

  Rispondi a me; ché le memorie triste

  12

  in te non sono ancor da l’acqua offense.”

  Confusione e paura insieme miste

  mi pinsero un tal “si” fuor de la bocca,

  15

  al quale intender fuor mestier le viste.

  Come balestro frange, quando scocca →

  da troppa tesa, la sua corda e l’arco,

  18

  e con men foga l’asta il segno tocca,

  sì scoppia’ io sottesso grave carco,

  fuori sgorgando lagrime e sospiri,

  21

  e la voce allentò per lo suo varco.

  Ond’ ella a me: “Per entro i mie’ disiri, →

  che ti menavano ad amar lo bene

  24

  di là dal qual non è a che s’aspiri,

  quai fossi attraversati o quai catene →

  trovasti, per che del passare innanzi

  27

  dovessiti così spogliar la spene?

  E quali agevolezze o quali avanzi

  ne la fronte de li altri si mostraro,

  30

  per che dovessi lor passeggiare anzi?”

  Dopo la tratta d’un sospiro amaro, →

  a pena ebbi la voce che rispuose,

  33

  e le labbra a fatica la formaro.

  Piangendo dissi: “Le presenti cose →

  col falso lor piacer volser miei passi,

  36

  tosto che ’l vostro viso si nascose.” →

  Ed ella: “Se tacessi o se negassi →

  ciò che confessi, non fora men nota

  39

  la colpa tua: da tal giudice sassi!
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  Ma quando scoppia de la propria gota

  l’accusa del peccato, in nostra corte

  42

  rivolge sé contra ’l taglio la rota.

  Tuttavia, perché mo vergogna porte

  del tuo errore, e perché altra volta,

  45

  udendo le serene, sie più forte, →

  pon giù il seme del piangere e ascolta: →

  sì udirai come in contraria parte →

  48

  mover dovieti mia carne sepolta.

  Mai non t’appresentò natura o arte

  piacer, quanto le belle membra in ch’io

  51

  rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;

  e se ’l sommo piacer sì ti fallio

  per la mia morte, qual cosa mortale

  54

  dovea poi trarre te nel suo disio?

  Ben ti dovevi, per lo primo strale →

  de le cose fallaci, levar suso

  57

  di retro a me che non era più tale.

  Non ti dovea gravar le penne in giuso, →

  ad aspettar più colpo, o pargoletta

  60

  o altra novità con sì breve uso.

  Novo augelletto due o tre aspetta;

  ma dinanzi da li occhi d’i pennuti →

  63

  rete si spiega indarno o si saetta.”

  Quali fanciulli, vergognando, muti →

  con li occhi a terra stannosi, ascoltando

  66

  e sé riconoscendo e ripentuti,

  tal mi stav’ io; ed ella disse: “Quando

  per udir se’ dolente, alza la barba, →

  69

  e prenderai più doglia riguardando.”

 

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