by Dante
me degno a ciò né io né altri ’l crede. →
Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
36
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono.”
E qual è quei che disvuol ciò che volle; →
e per novi pensier cangia proposta,
39
sì che dal cominciar tutto si tolle,
tal mi fec’ ïo ’n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la ’mpresa; →
42
che fu nel cominciar cotanto tosta.
“S’i’ ho ben la parola tua intesa,” →
rispuose del magnanimo quell’ ombra,
45
“l’anima tua è da viltade offesa;
la qual molte fïate l’omo ingombra
sì che d’onrata impresa lo rivolve,
48
come falso veder bestia quand’ ombra. →
Da questa tema a ciò che tu ti solve,
dirotti perch’ io venni e quel ch’io ’ntesi
51
nel primo punto che di te mi dolve.
Io era tra color che son sospesi, →
e donna mi chiamò beata e bella, →
54
tal che di comandare io la richiesi.
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana, →
57
con angelica voce, in sua favella:
‘O anima cortese mantoana, →
di cui la fama ancor nel mondo dura,
60
e durerà quanto ’l mondo lontana,
l’amico mio, e non de la ventura, →
ne la diserta piaggia è impedito; →
63
sì nel cammin, che vòlt’ è per paura;
e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
66
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.
Or movi, e con la tua parola ornata; →
e con ciò c’ha mestieri al suo campare,
69
l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.
I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
72
amor mi mosse, che mi fa parlare.
Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui.’ →
75
Tacette allora, e poi comincia’ io:
‘O donna di virtù sola per cui; →
l’umana spezie eccede ogne contento
78
di quel ciel c’ha minor li cerchi sui,
tanto m’aggrada il tuo comandamento,
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
81
più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento.
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro; →
84
de l’ampio loco ove tornar tu ardi.’
‘Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, →
dirotti brievemente,’ mi rispuose,
87
‘perch’ i’ non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose
c’hanno potenza di fare altrui male;
90
de l’altre no, ché non son paurose.
I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
93
né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale.
Donna è gentil nel ciel che si compiange; →
di questo ’mpedimento ov’ io ti mando,
96
sì che duro giudicio là sù frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando; →
e disse: “Or ha bisogno il tuo fedele
99
di te, e io a te lo raccomando.”
Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov’ i’ era,
102
che mi sedea con l’antica Rachele. →
Disse: “Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
105
ch’uscì per te de la volgare schiera?; →
Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che ’l combatte; →
108
su la fiumana ove ’l mar non ha vanto?”
Al mondo non fur mai persone ratte; →
a far lor pro o a fuggir lor danno,
111
com’ io, dopo cotai parole fatte,
venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
114
ch’onora te e quei ch’udito l’hanno.’
Poscia che m’ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse, →
117
per che mi fece del venir più presto.
E venni a te così com’ ella volse: →
d’inanzi a quella fiera ti levai
120
che del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque: che è? perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
123
perché ardire e franchezza non hai,
poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
126
e ’l mio parlar tanto ben ti promette?”
Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
129
si drizzan tutti aperti in loro stelo,
tal mi fec’ io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
132
ch’i’ cominciai come persona franca:
“Oh pietosa colei che mi soccorse!; →
e te cortese ch’ubidisti tosto
135
a le vere parole che ti porse!
Tu m’hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
138
ch’i’ son tornato nel primo proposto.
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro.” →
Così li dissi; e poi che mosso fue,
142
intrai per lo cammino alto e silvestro. →
INFERNO III
“Per me si va ne la città dolente, →
per me si va ne l’etterno dolore,
3
per me si va tra la perduta gente. →
Giustizia mosse il mio alto fattore; →
fecemi la divina podestate, →
6
la somma sapïenza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create →
se non etterne, e io etterno duro.
9
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.”
Queste parole di colore oscuro →
vid’ ïo scritte al sommo d’una porta;
12
per ch’io: “Maestro, il senso lor m’è duro.” →
Ed elli a me, come persona accorta: →
“Qui si convien lasciare ogne sospetto;
15
ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
18
c’hanno perduto il ben de l’intelletto.” →
E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond’ io mi confortai,
21
mi mise dentro a le segrete cose. →
Quivi sospiri, pianti e alti guai →
risonavan per l’aere sanza stelle,
24
per ch’io al cominciar ne lagrimai. →
Diverse lingue, orribili favelle, →
parole di dolore,
accenti d’ira,
27
voci alte e fioche, e suon di man con elle →
facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’ aura sanza tempo tinta,
30
come la rena quando turbo spira.
E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: “Maestro, che è quel ch’i’ odo?
33
e che gent’ è che par nel duol sì vinta?”
Ed elli a me: “Questo misero modo →
tegnon l’anime triste di coloro
36
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro →
de li angeli che non furon ribelli
39
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli, →
né lo profondo inferno li riceve,
42
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli.”
E io: “Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?”
45
Rispuose: “Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte, →
e la lor cieca vita è tanto bassa,
48
che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna: →
51
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.”
E io, che riguardai, vidi una ’nsegna →
che girando correva tanto ratta,
54
che d’ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch’i’ non averei creduto
57
che morte tanta n’avesse disfatta.
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, →
vidi e conobbi l’ombra di colui
60
che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d’i cattivi,
63
a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi, →
erano ignudi e stimolati molto
66
da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
69
da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi ch’a riguardar oltre mi diedi, →
vidi genti a la riva d’un gran fiume;
72
per ch’io dissi: “Maestro, or mi concedi
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
75
com’ i’ discerno per lo fioco lume.” →
Ed elli a me: “Le cose ti fier conte →
quando noi fermerem li nostri passi
78
su la trista riviera d’Acheronte.”
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no ’l mio dir li fosse grave,
81
infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
84
gridando: “Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
87
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
E tu che se’ costì, anima viva, →
pàrtiti da cotesti che son morti.”
90
Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
disse: “Per altra via, per altri porti →
verrai a piaggia, non qui, per passare:
93
più lieve legno convien che ti porti.”
E ’l duca lui: “Caron, non ti crucciare: →
vuolsi così colà dove si puote →
96
ciò che si vuole, e più non dimandare.”
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
99
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
102
ratto che ’nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme →
105
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
108
ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia →
loro accennando, tutte le raccoglie;
111
batte col remo qualunque s’adagia. →
Come d’autunno si levan le foglie →
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
114
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
117
per cenni come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l’onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
120
anche di qua nuova schiera s’auna.
“Figliuol mio,” disse ’l maestro cortese,
“quelli che muoion ne l’ira di Dio
123
tutti convegnon qui d’ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona, →
126
sì che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
129
ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona.”
Finito questo, la buia campagna →
tremò sì forte, che de lo spavento
132
la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
136
e caddi come l’uom cui sonno piglia. →
INFERNO IV
Ruppemi l’alto sonno ne la testa →
un greve truono, sì ch’io mi riscossi
3
come persona ch’è per forza desta;
e l’occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
6
per conoscer lo loco dov’ io fossi.
Vero è che ’n su la proda mi trovai
de la valle d’abisso dolorosa
9
che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
12
io non vi discernea alcuna cosa.
“Or discendiam qua giù nel cieco mondo,” →
cominciò il poeta tutto smorto.
15
“Io sarò primo, e tu sarai secondo.”
E io, che del color mi fui accorto, →
dissi: “Come verrò, se tu paventi
18
che suoli al mio dubbiare esser conforto?” →
Ed elli a me: “L’angoscia de le genti →
che son qua giù, nel viso mi dipigne
21
quella pietà che tu per tema senti.
Andiam, ché la via lunga ne sospigne.”
Così si mise e così mi fé intrare
24
nel primo cerchio che l’abisso cigne.
Quivi, secondo che per ascoltare, →
non avea pianto mai che di sospiri
27
che l’aur
a etterna facevan tremare;
ciò avvenia di duol sanza martìri,
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
30
d’infanti e di femmine e di viri. →
Lo buon maestro a me: “Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
33
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
36
ch’è porta de la fede che tu credi;
e s’ e’ furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
39
e di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi
42
che sanza speme vivemo in disio.” →
Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,
però che gente di molto valore →
45
conobbi che ’n quel limbo eran sospesi. →
“Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore,” →
comincia’ io per volere esser certo
48
di quella fede che vince ogne errore:
“uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?”
51
E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
rispuose: “Io era nuovo in questo stato, →
quando ci vidi venire un possente,
54
con segno di vittoria coronato.
Trasseci l’ombra del primo parente, →
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
57