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The Inferno

Page 31

by Dante


  che fu la mia, quando vidi ch’i’ era

  ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta

  114

  ogne veduta fuor che de la fera.

  Ella sen va notando lenta lenta; →

  rota e discende, ma non me n’accorgo

  117

  se non che al viso e di sotto mi venta.

  Io sentia già da la man destra il gorgo

  far sotto noi un orribile scroscio,

  120

  per che con li occhi ’n giù la testa sporgo.

  Allor fu’ io più timido a lo stoscio,

  però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;

  123

  ond’ io tremando tutto mi raccoscio.

  E vidi poi, ché nol vedea davanti,

  lo scendere e ’l girar per li gran mali

  126

  che s’appressavan da diversi canti.

  Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali, →

  che sanza veder logoro o uccello

  129

  fa dire al falconiere “Omè, tu cali!”

  discende lasso onde si move isnello,

  per cento rote, e da lunge si pone

  132

  dal suo maestro, disdegnoso e fello;

  così ne puose al fondo Gerïone

  al piè al piè de la stagliata rocca,

  e, discarcate le nostre persone,

  136

  si dileguò come da corda cocca.

  INFERNO XVIII

  Luogo è in inferno detto Malebolge, →

  tutto di pietra di color ferrigno,

  3

  come la cerchia che dintorno il volge.

  Nel dritto mezzo del campo maligno

  vaneggia un pozzo assai largo e profondo,

  6

  di cui suo loco dicerò l’ordigno.

  Quel cinghio che rimane adunque è tondo

  tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura,

  9

  e ha distinto in dieci valli il fondo.

  Quale, dove per guardia de le mura

  più e più fossi cingon li castelli,

  12

  la parte dove son rende figura,

  tale imagine quivi facean quelli;

  e come a tai fortezze da’ lor sogli

  15

  a la ripa di fuor son ponticelli,

  così da imo de la roccia scogli

  movien che ricidien li argini e ’ fossi

  18

  infino al pozzo che i tronca e raccogli.

  In questo luogo, de la schiena scossi →

  di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta

  21

  tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.

  A la man destra vidi nova pieta, →

  novo tormento e novi frustatori,

  24

  di che la prima bolgia era repleta.

  Nel fondo erano ignudi i peccatori;

  dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto,

  27

  di là con noi, ma con passi maggiori,

  come i Roman per l’essercito molto, →

  l’anno del giubileo, su per lo ponte

  30

  hanno a passar la gente modo colto,

  che da l’un lato tutti hanno la fronte

  verso ’l castello e vanno a Santo Pietro,

  33

  da l’altra sponda vanno verso ’l monte.

  Di qua, di là, su per lo sasso tetro

  vidi demon cornuti con gran ferze, →

  36

  che li battien crudelmente di retro.

  Ahi come facean lor levar le berze

  a le prime percosse! già nessuno

  39

  le seconde aspettava né le terze.

  Mentr’ io andava, li occhi miei in uno

  furo scontrati; e io sì tosto dissi:

  42

  “Già di veder costui non son digiuno.”

  Per ch’ïo a figurarlo i piedi affissi;

  e ’l dolce duca meco si ristette,

  45

  e assentio ch’alquanto in dietro gissi.

  E quel frustato celar si credette

  bassando ’l viso; ma poco li valse,

  48

  ch’io dissi: “O tu che l’occhio a terra gette,

  se le fazion che porti non son false,

  Venedico se’ tu Caccianemico. →

  51

  Ma che ti mena a sì pungenti salse?”

  Ed elli a me: “Mal volontier lo dico;

  ma sforzami la tua chiara favella,

  54

  che mi fa sovvenir del mondo antico.

  I’ fui colui che la Ghisolabella

  condussi a far la voglia del marchese,

  57

  come che suoni la sconcia novella.

  E non pur io qui piango bolognese; →

  anzi n’è questo loco tanto pieno,

  60

  che tante lingue non son ora apprese

  a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno;

  e se di ciò vuoi fede o testimonio,

  63

  rècati a mente il nostro avaro seno.”

  Così parlando il percosse un demonio

  de la sua scurïada, e disse: “Via,

  66

  ruffian! qui non son femmine da conio.” →

  I’ mi raggiunsi con la scorta mia;

  poscia con pochi passi divenimmo

  69

  là ’v’ uno scoglio de la ripa uscia.

  Assai leggeramente quel salimmo;

  e vòlti a destra su per la sua scheggia,

  72

  da quelle cerchie etterne ci partimmo. →

  Quando noi fummo là dov’ el vaneggia →

  di sotto per dar passo a li sferzati,

  75

  lo duca disse: “Attienti, e fa che feggia

  lo viso in te di quest’ altri mal nati,

  ai quali ancor non vedesti la faccia

  78

  però che son con noi insieme andati.”

  Del vecchio ponte guardavam la traccia

  che venìa verso noi da l’altra banda,

  81

  e che la ferza similmente scaccia.

  E ’l buon maestro, sanza mia dimanda,

  mi disse: “Guarda quel grande che vene, →

  84

  e per dolor non par lagrime spanda:

  quanto aspetto reale ancor ritene!

  Quelli è Iasón, che per cuore e per senno →

  87

  li Colchi del monton privati féne.

  Ello passò per l’isola di Lenno

  poi che l’ardite femmine spietate

  90

  tutti li maschi loro a morte dienno.

  Ivi con segni e con parole ornate

  Isifile ingannò, la giovinetta

  93

  che prima avea tutte l’altre ingannate.

  Lasciolla quivi, gravida, soletta;

  tal colpa a tal martiro lui condanna;

  96

  e anche di Medea si fa vendetta.

  Con lui sen va chi da tal parte inganna;

  e questo basti de la prima valle

  99

  sapere e di color che ’n sé assanna.”

  Già eravam là ’ve lo stretto calle →

  con l’argine secondo s’incrocicchia,

  102

  e fa di quello ad un altr’ arco spalle.

  Quindi sentimmo gente che si nicchia

  ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,

  105

  e sé medesma con le palme picchia.

  Le ripe eran grommate d’una muffa,

  per l’alito di giù che vi s’appasta,

  108

  che con li occhi e col naso facea zuffa.

  Lo fondo è cupo sì, che non ci basta

  loco a veder sanza montare al dosso

  111

  de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta.

  Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso

  vidi gente attuffata in uno s
terco

  114

  che da li uman privadi parea mosso.

  E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,

  vidi un col capo sì di merda lordo,

  117

  che non parëa s’era laico o cherco.

  Quei mi sgridò: “Perché se’ tu sì gordo

  di riguardar più me che li altri brutti?”

  120

  E io a lui: “Perché, se ben ricordo,

  già t’ho veduto coi capelli asciutti,

  e se’ Alessio Interminei da Lucca: →

  123

  però t’adocchio più che li altri tutti.”

  Ed elli allor, battendosi la zucca:

  “Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe

  126

  ond’ io non ebbi mai la lingua stucca.”

  Appresso ciò lo duca “Fa che pinghe,”

  mi disse, “il viso un poco più avante,

  129

  sì che la faccia ben con l’occhio attinghe

  di quella sozza e scapigliata fante

  che là si graffia con l’unghie merdose,

  132

  e or s’accoscia e ora è in piedi stante.

  Taïde è, la puttana che rispuose →

  al drudo suo quando disse ‘Ho io grazie

  grandi apo te?’: ‘Anzi maravigliose!’

  136

  E quinci sian le nostre viste sazie.”

  INFERNO XIX

  O Simon mago, o miseri seguaci →

  che le cose di Dio, che di bontate

  3

  deon essere spose, e voi rapaci

  per oro e per argento avolterate,

  or convien che per voi suoni la tromba,

  6

  però che ne la terza bolgia state.

  Già eravamo, a la seguente tomba,

  montati de lo scoglio in quella parte

  9

  ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba.

  O somma sapïenza, quanta è l’arte

  che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,

  12

  e quanto giusto tua virtù comparte!

  Io vidi per le coste e per lo fondo

  piena la pietra livida di fóri,

  15

  d’un largo tutti e ciascun era tondo.

  Non mi parean men ampi né maggiori →

  che que’ che son nel mio bel San Giovanni,

  18

  fatti per loco d’i battezzatori;

  l’un de li quali, ancor non è molt’ anni,

  rupp’ io per un che dentro v’annegava:

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  e questo sia suggel ch’ogn’ omo sganni.

  Fuor de la bocca a ciascun soperchiava →

  d’un peccator li piedi e de le gambe

  24

  infino al grosso, e l’altro dentro stava.

  Le piante erano a tutti accese intrambe; →

  per che sì forte guizzavan le giunte,

  27

  che spezzate averien ritorte e strambe.

  Qual suole il fiammeggiar de le cose unte →

  muoversi pur su per la strema buccia,

  30

  tal era lì dai calcagni a le punte.

  “Chi è colui, maestro, che si cruccia

  guizzando più che li altri suoi consorti,”

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  diss’ io, “e cui più roggia fiamma succia?”

  Ed elli a me: “Se tu vuo’ ch’i’ ti porti

  là giù per quella ripa che più giace, →

  36

  da lui saprai di sé e de’ suoi torti.”

  E io: “Tanto m’è bel, quanto a te piace: →

  tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto

  39

  dal tuo volere, e sai quel che si tace.”

  Allor venimmo in su l’argine quarto;

  volgemmo e discendemmo a mano stanca

  42

  là giù nel fondo foracchiato e arto.

  Lo buon maestro ancor de la sua anca

  non mi dipuose, sì mi giunse al rotto

  45

  di quel che si piangeva con la zanca.

  “O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto, →

  anima trista come pal commessa,”

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  comincia’ io a dir, “se puoi, fa motto.”

  Io stava come ’l frate che confessa →

  lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,

  51

  richiama lui per che la morte cessa.

  Ed el gridò: “Se’ tu già costì ritto, →

  se’ tu già costì ritto, Bonifazio?

  54

  Di parecchi anni mi mentì lo scritto. →

  Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio

  per lo qual non temesti tòrre a ’nganno

  57

  la bella donna, e poi di farne strazio?” →

  Tal mi fec’ io, quai son color che stanno,

  per non intender ciò ch’è lor risposto,

  60

  quasi scornati, e risponder non sanno.

  Allor Virgilio disse: “Dilli tosto:

  ‘Non son colui, non son colui che credi’ ”

  63

  e io rispuosi come a me fu imposto.

  Per che lo spirto tutti storse i piedi;

  poi, sospirando e con voce di pianto,

  66

  mi disse: “Dunque che a me richiedi?

  Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,

  che tu abbi però la ripa corsa,

  69

  sappi ch’i’ fui vestito del gran manto; →

  e veramente fui figliuol de l’orsa,

  cupido sì per avanzar li orsatti,

  72

  che sù l’avere e qui me misi in borsa.

  Di sotto al capo mio son li altri tratti

  che precedetter me simoneggiando,

  75

  per le fessure de la pietra piatti.

  Là giù cascherò io altresì quando

  verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,

  78

  allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando.

  Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi →

  e ch’i’ son stato così sottosopra,

  81

  ch’el non starà piantato coi piè rossi:

  ché dopo lui verrà di più laida opra,

  di ver’ ponente, un pastor sanza legge,

  84

  tal che convien che lui e me ricuopra.

  Nuovo Iasón sarà, di cui si legge

  ne’ Maccabei; e come a quel fu molle

  87

  suo re, così fia lui chi Francia regge.”

  Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle, →

  ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:

  90

  “Deh, or mi dì: quanto tesoro volle →

  Nostro Segnore in prima da san Pietro

  ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?

  93

  Certo non chiese se non ‘Viemmi retro.’

  Né Pier né li altri tolsero a Matia

  oro od argento, quando fu sortito

  96

  al loco che perdé l’anima ria.

  Però ti sta, ché tu se’ ben punito;

  e guarda ben la mal tolta moneta

  99

  ch’esser ti fece contra Carlo ardito.

  E se non fosse ch’ancor lo mi vieta

  la reverenza de le somme chiavi

  102

  che tu tenesti ne la vita lieta,

  io userei parole ancor più gravi;

  ché la vostra avarizia il mondo attrista,

  105

  calcando i buoni e sollevando i pravi.

  Di voi pastor s’accorse il Vangelista,

  quando colei che siede sopra l’acque

  108

  puttaneggiar coi regi a lui fu vista;

  quella che con le sette teste nacque,

  e da le diece corna ebbe argomento,

  111

&n
bsp; fin che virtute al suo marito piacque.

  Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;

  e che altro è da voi a l’idolatre,

  114

  se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?

  Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, →

  non la tua conversion, ma quella dote

  117

  che da te prese il primo ricco patre!”

  E mentr’ io li cantava cotai note,

  o ira o coscïenza che ’l mordesse,

  120

  forte spingava con ambo le piote.

  I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,

  con sì contenta labbia sempre attese

  123

  lo suon de le parole vere espresse.

  Però con ambo le braccia mi prese; →

  e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,

  126

  rimontò per la via onde discese.

  Né si stancò d’avermi a sé distretto,

  sì men portò sovra ’l colmo de l’arco →

  129

  che dal quarto al quinto argine è tragetto.

  Quivi soavemente spuose il carco,

  soave per lo scoglio sconcio ed erto

  che sarebbe a le capre duro varco.

  133

  Indi un altro vallon mi fu scoperto.

  INFERNO XX

  Di nova pena mi conven far versi →

  e dar matera al ventesimo canto

  3

  de la prima canzon, ch’è d’i sommersi.

  Io era già disposto tutto quanto →

  a riguardar ne lo scoperto fondo,

  6

  che si bagnava d’angoscioso pianto;

 

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