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Sussurri Page 7

by Dean Koontz

"Esatto."

  "E che nome era segnato sul documento?"

  Otto aggrottò le sopracciglia. "Non ne sono sicuro."

  "Era Robert Valdez?"

  "Non mi sembra."

  "Cerchi di ricordare."

  "Era un nome messicano."

  "Valdez è un nome messicano."

  "Era ancora più messicano."

  "Che cosa vuole dire?"

  "Be'... più lungo... con un paio di zeta."

  "Zeta?"

  "E qualche q. Ha capito che tipo di nome intendo. Qual­cosa come Velazquez."

  "Era Velazquez?"

  "No, ma qualcosa del genere."

  "Iniziava con la v?"

  "Non potrei giurarci. Sto solo parlando del suono che fa­ceva."

  "E il nome?"

  "Quello credo di ricordarlo."

  "Allora?"

  "Juan."

  "J-U-A-N?"

  "Già. Molto messicano."

  "Ha notato l'indirizzo sul documento?"

  "Non mi interessava."

  "Le ha detto dove abitava?"

  "Non eravamo quello che si dice due vecchi amici."

  "Ma non ha raccontato niente di sé?"

  "Si è limitato a bere e se n'è andato."

  "E non è più tornato?"

  "Esatto."

  "Ne è sicuro?"

  "Non è più tornato, almeno durante il mio turno."

  "Ha un'ottima memoria."

  "Solo per quelli che creano problemi e per le ragazze ca­rine."

  "Vorremmo mostrare queste foto segnaletiche ad alcuni dei suoi clienti," propose Frank.

  "Certo, fate pure."

  La biondina seduta di fianco a Tony Clemenza chiese: "Posso vederle da vicino? Forse ero qui quando è venuto. Magari gli ho anche parlato."

  Tony prese le fotografie e ruotò sullo sgabello.

  Nello stesso momento la ragazza oscillò verso di lui sfio­randogli le ginocchia. Quando prese le fotografie, le dita indugiarono per un attimo sulla mano di Tony. Era una fervente sostenitrice dell'approccio visivo. Sembrava vo­lesse scandagliargli il cervello e trafiggerlo con lo sguardo.

  "Io sono Judy. Come ti chiami?"

  "Tony Clemenza."

  "Lo sapevo che eri italiano. Si capisce al volo, con quegli occhi scuri e pieni di sentimento."

  "Mi tradiscono sempre."

  "E poi i capelli scuri così folti. E ricci."

  "E che cosa ne dice della macchia di pomodoro sulla ca­micia?"

  Lei lanciò un'occhiata alla camicia.

  "In realtà non c'è alcuna macchia," le spiegò.

  La ragazza aggrottò la fronte.

  "Stavo scherzando. Uno scherzetto innocuo," le spiegò.

  "Oh."

  "Riconosce Bobby Valdez?"

  La ragazza si decise a osservare la foto. "No. Probabilmente non c'ero la sera in cui capitò qui. Ma non è male, vero? È piuttosto carino."

  "Ha la faccia da bambino."

  "Sarebbe come andare a letto con il mio fratellino," disse. "Proprio buffo." Fece una smorfia.

  Tony riprese le foto.

  "Sei molto elegante con quel vestito," commentò lei.

  "Grazie."

  "Ha un bel taglio."

  "Grazie."

  Non era semplicemente una donna emancipata che eser­citava il proprio potere di aggredire sessualmente. Gli pia­cevano quelle emancipate. Ma quella biondina era un'altra cosa. Aveva qualcosa di strano. Apparteneva a quel genere di donne che amano le fruste e le catene. O forse peggio. Lo faceva sentire come un bocconcino prelibato, una gu­stosa tartina, l'ultimo pezzettino di pane tostato coperto di caviale appoggiato su un vassoio d'argento.

  "Non si vedono molti vestiti del genere in un posto come questo," proseguì.

  "Immagino."

  "Magliette, jeans, giubbotti di pelle e stile hollywoodia­no: ecco che cosa impazza da queste parti."

  Tony si schiarì la voce. "Be'," bofonchiò a disagio, "vor­rei ringraziarla per l'aiuto che ci ha dato."

  La ragazza sussurrò: "Mi piacciono gli uomini che hanno gusto nel vestire."

  I loro sguardi si incrociarono e Tony notò un guizzo di ingordigia e di bramosia animalesca. Aveva l'impressione che, se l'avesse seguita nel suo appartamento, la porta si sa­rebbe chiusa dietro di loro come due enormi fauci. Gli sa­rebbe saltata addosso immediatamente e lo avrebbe manipolato e rigirato come un fantoccio; lo avrebbe distrutto succhiandogli tutta la linfa vitale e lo avrebbe usato fino a farlo a pezzi, fino a quando avesse cessato di esistere se non come parte di lei.

  "Devo tornare al lavoro," disse, scendendo dallo sga­bello. "Ci vediamo."

  "Lo spero proprio."

  Per circa un quarto d'ora, Tony e Frank mostrarono le fotografìe di Bobby Valdez ai clienti del Paradise. Mentre si spostavano da un tavolo all'altro, l'orchestra riprese a suonare brani dei Rolling Stones, di Elton John e dei Bee Gees a un volume tale che a Tony iniziarono a vibrare persino i denti. Si rivelò solo una perdita di tempo. Nessuno al Paradise ricordava l'assassino con il viso infantile.

  Prima di uscire, Tony si fermò davanti al lungo bancone dove Otto stava preparando alcuni Margaritas. "Mi spieghi una cosa," urlò cercando di farsi sentire.

  "Dica pure," strillò Otto.

  "Ma la gente non viene in questi posti per incontrare i suoi simili?"

  "Stabilire un contatto. Vengono per questo."

  "E allora perché diamine ci sono orchestre come questa nei bar per single?"

  "Che cosa c'è che non va in questo gruppo?"

  "Molte cose. Ma fondamentalmente la musica troppo alta."

  "E allora?"

  "E allora come si fa a intavolare una conversazione inte­ressante?"

  "Una conversazione interessante?" si stupì Otto. "Ehi, amico. Non vengono qui per chiacchierare, vengono qui per incontrarsi, per vedere se l'altro fa al caso loro e per decidere con chi andare a letto."

  "E niente conversazione?"

  "Ma li guardi. Si dia un'occhiata intorno. Di che cosa po­trebbero parlare? Se la musica non è abbastanza alta o se si interrompe per un attimo, iniziano a diventare nervosi."

  "Perché dovrebbero sforzarsi di riempire quegli attimi di silenzio."

  "Esattamente. E se ne andrebbero da un'altra parte."

  "Dove la musica è assordante e dove possono comuni­care con il linguaggio del corpo."

  Otto si strinse nelle spalle. "È una caratteristica della no­stra epoca."

  "Forse avrei dovuto vivere in un'altra epoca," commentò Tony.

  La notte sembrava mite ma sapeva che sarebbe diventata più fredda. Dal mare proveniva una sottile foschia, una specie di soffio umido e appiccicoso che permeava l'aria e si concentrava in tanti aloni attorno alle luci.

  Frank lo aspettava al volante della macchina della poli­zia. Tony si sedette al suo fianco e si allacciò la cintura di sicurezza.

  Avevano un'altra pista da controllare prima di smontare per quel giorno. Un paio di persone al bar di Century City avevano affermato di aver visto Bobby Valdez in un locale chiamato The Big Quake sul Sunset Boulevard, a Holly­wood.

  Il traffico era piuttosto denso in direzione del centro. A volte Frank diventava impaziente e saltava da una corsia al­l'altra, aprendosi un varco in mezzo al traffico grazie al clacson e all'uso sapiente dei freni, nel tentativo di supe­rare una macchina dopo l'altra, ma non quella sera. Quella sera aveva deciso di seguire il flusso.

  Tony si chiese se Frank Howard non avesse per caso di­scusso di filosofia con Otto.

  Dopo un po', Frank ruppe il silenzio. "Avresti potuto fartela."

  "Chi?"

  "Quella bionda. Quella Judy."

  "Ero in servizio, Frank."

  "Avresti potuto organizzare qualcosa per dopo. Ti mo­riva dietro."

  "Non è il mio tipo."

  "Era stupenda."

  "Era un'assassina."

  "Che cosa?"

  "Mi avrebbe mangiato vivo."

  Frank riflette per un paio di secondi, poi proseguì: "Stronzate. Io ci farei un giretto se ne avessi la possibili
tà."

  "Sai dove trovarla."

  "Magari più tardi torno da quelle parti."

  "Accomodati pure," disse Tony. "E quando avrà finito con te, dovrò venire a trovarti in ospedale."

  "Diamine, ma si può sapere che cos'hai? Non era così terribile. È facile trattare con gente del genere."

  "Forse è proprio per questo che non mi interessa."

  "Comunque mandala da me."

  Tony Clemenza era stanco. Si passò una mano sul volto, come se la stanchezza fosse una maschera che poteva to­gliersi. "Era troppo facile, troppo disponibile."

  "Da quando sei diventato un puritano?"

  "Non è questo," rispose Tony. "Oh... sì... è vero, forse lo sono. Solo un po'. Forse da qualche parte nascondo una traccia di puritanesimo. Santo cielo, ho avuto parecchie di quelle che vengono definite 'relazioni importanti'. Non sono certo casto e puro. Ma non mi ci vedo in un posto come il Paradise, a cercare di accalappiare tutte le donne nel tentativo di soddisfare il mio desiderio di carne fresca. Innanzitutto, non potrei rimanere serio intavolando quel genere di conversazione che si usa per riempire i momenti di silenzio fra una canzone e l'altra. Ma mi ci vedi? 'Salve, mi chiamo Tony. Tu come ti chiami? Di che segno sei? Ti interessi di numerologia? Ti interessi di filosofia orientale? Credi nell'incredibile totalità dell'energia cosmica? Credi nel destino come mezzo necessario per la presa di co­scienza cosmica che racchiude il tutto? Credi sia il destino che ci ha fatto incontrare? Credi sia possibile sbarazzarsi di tutto il karma negativo che abbiamo generato individual­mente per creare un'energia positiva insieme? Ti va di sco­pare?'"

  "A parte quando parli di scopare," commentò Frank, "non ho capito assolutamente niente."

  "Nemmeno io. È proprio questo che voglio dire. In un posto come il Paradise la conversazione è fasulla, giusto quattro stupidate spacciate per questioni serie per far scivo­lare qualcuno nel proprio letto senza tanti problemi. Al Pa­radise nessuno chiede a una donna qualcosa di veramente importante. Non le chiedi quali sono i suoi sentimenti, le sue emozioni, il suo talento, le sue paure, le sue speranze, i suoi bisogni, le sue necessità e i suoi sogni. Così finisce che ti ritrovi a letto con una sconosciuta. Oppure, ed è anche peggio, ti ritrovi a fare l'amore con una bomba del sesso, con una fotografia ritagliata da una rivista per soli uomini, un'immagine invece di una donna reale, un pezzo di carne invece di una persona, e questo significa che non stai fa­cendo l'amore. Quell'atto serve solo a soddisfare un biso­gno fisico, esattamente come quando ti gratti la schiena o vai di corpo senza fatica. Se un uomo riduce il sesso a que­sto, allora tanto vale che se ne stia a casa e usi la mano."

  Frank frenò davanti a un semaforo rosso ed esclamò: "Ma con la mano non puoi farti un pompino!"

  "Cristo, Frank, a volte sei davvero volgare."

  "Sono solo pratico."

  "Quello che sto cercando di dire è che, almeno per me, non vale la pena ballare se non conosci il tuo partner. Non sono il tipo che va in discoteca e si mette a ballare per conto suo. Devo sapere come si muove la mia compagna, e perché, quello che pensa e quello che prova. Il sesso è dannatamente migliore se quella persona rappresenta qualcosa per te, se è un individuo, una persona autentica e non solo un bel corpicino con le curve al punto giusto. Deve avere una personalità propria, un carattere formato dall'espe­rienza."

  "Non credo alle mie orecchie," sbottò Frank mentre ri­partiva con il semaforo verde. "E la solita, vecchia lagna sul sesso: se in qualche modo non è implicato l'amore, allora è banale e insoddisfacente."

  "Non sto parlando dell'amore eterno," proseguì Tony. "Non sto parlando delle promesse di fedeltà assoluta da ri­spettare fino alla morte. Puoi amare qualcuno per un breve periodo, in molti modi diversi. E puoi continuare ad amare una donna anche quando termina la relazione dal punto di vista fisico. Sono rimasto amico di donne con cui ho fatto l'amore perché non ci siamo mai considerati come un tro­feo da aggiungere alla lista; avevamo qualcosa in comune e questo anche dopo aver smesso di andare a letto insieme. Insomma, prima di iniziare una scopatina o prima di mettermi con le chiappe al vento, voglio essere sicuro di po­termi fidare di quella donna; voglio che sia speciale, al­meno per me, voglio che valga la pena aprirmi nei suoi confronti ed essere parte di lei, anche se per poco tempo."

  "Stronzate," ribattè Frank con aria di disprezzo.

  "Io la penso così."

  "Lascia che ti dica una cosa."

  "Fai pure."

  "Il miglior consiglio che tu abbia mai ricevuto."

  "Ti sto ascoltando."

  "Se credi davvero che esista qualcosa chiamato amore, se in tutta onestà sei convinto che esista un sentimento forte come l'odio e la paura, allora devi essere pronto a soffrire, a soffrire le pene dell'inferno. È una menzogna, un'enorme menzogna. L'amore è qualcosa che hanno inventato gli scrittori per vendere i libri."

  "Non stai parlando sul serio."

  "Invece sì, cazzo." Frank distolse per un attimo lo sguardo dalla strada e fissò Tony con aria di compati­mento. "Quanti anni hai? Trentatré?"

  "Quasi trentacinque," rispose Tony mentre Frank tor­nava a fissare la strada e sorpassava un camion incredibil­mente lento, carico di rottami.

  "Be', io ne ho dieci di più," proseguì Frank. "Quindi ascolta un vecchio saggio. Prima o poi verrà il giorno in cui crederai di esserti innamorato sul serio di una graziosa si­gnorina, ma quando ti piegherai per baciare i suoi bei pie­dini, lei ti ricompenserà sferrandoti un calcio sui denti. Puoi essere certo che ti spezzerà il cuore se le farai capire di averne uno. Affetto? Certo. Quello va bene. E lussuria. Lussuria è la parola giusta, amico. Tutto ruota attorno alla lussuria. Ma non parlare di amore. Devi dimenticare tutte queste stronzate sull'amore. Cerca di divertirti. Arraffa tutto quello che puoi intanto che sei giovane. Scopa e fuggi. In questo modo non rimarrai mai ferito. Se continui a fantasticare sull'amore, riuscirai solo a farti prendere per il culo, una volta, due volte, mille volte, fino a quando ti metteranno sotto terra."

  "Secondo me sei troppo cinico."

  Frank si strinse nelle spalle.

  Sei mesi prima, il suo matrimonio si era concluso con un divorzio. Quell'esperienza l'aveva reso particolarmente acido.

  "E non credo che tu sia davvero così cinico," proseguì Tony. "Secondo me non sei davvero convinto di quello che dici."

  Frank non rispose.

  "Sei molto sensibile," aggiunse Tony.

  Frank si limitò a scrollare le spalle.

  Per un paio di minuti Tony cercò di proseguire nella conversazione, ma Frank aveva già espresso il proprio pa­rere sull'argomento. Si trincerò nel suo classico silenzio da mummia. Era comunque sorprendente che Frank avesse parlato tanto, dal momento che non era un gran chiacchie­rone. Tony si rese conto addirittura che la breve discus­sione appena conclusa era stata la più lunga che avessero mai avuto.

  Tony lavorava con Frank Howard da più di tre mesi. Ma non era ancora sicuro che l'accoppiamento potesse funzio­nare.

  Erano incredibilmente diversi e sotto qualsiasi punto di vista. Tony era un gran parlatore. Frank di solito si limitava a grugnire in segno di risposta. Tony aveva una vasta gamma di interessi oltre al lavoro: film, libri, cibo, teatro, musica, arte, sci, corsa. Per quanto ne sapeva, a Frank non interessava praticamente nulla al di fuori del suo lavoro. Tony era convinto che un investigatore disponesse di molti sistemi per ottenere informazioni da un testimone, inclusi la gentilezza, l'astuzia, la comprensione, l'empatia, l'atten­zione, il fascino, l'insistenza, l'intelligenza, oltre, naturalmente, all'intimidazione e, in qualche raro caso, anche la forza. Frank, al contrario, sosteneva che erano sufficienti l'insistenza, l'intelligenza, l'intimidazione e un pizzico di violenza in più rispetto ai canoni previsti dal dipartimento; secondo lui gli altri metodi elencati da Tony erano assolu­tamente inutili. Per questa ragione, Tony doveva frenarlo dolcemente, ma con aria decisa, almeno due volte la setti­mana. Frank era solito perdere la pazienza e dare in escan­descenze quando troppe cose andavano storte nel corso della stessa giornata. Tony, da parte sua, era quasi semp
re calmo. Frank era alto un metro e settantasette e di corpora­tura robusta. Tony era alto un metro e ottantatré, magro, slanciato e dall'aria muscolosa. Frank era biondo e aveva gli occhi azzurri. Tony era scuro. Frank era decisamente pessimista. Tony era un ottimista. Sembravano due tipi diametralmente opposti e a volte pareva impossibile che po­tessero lavorare insieme.

  Eppure erano molto simili sotto certi aspetti. Innanzi­tutto, nessuno dei due staccava al termine delle otto ore. Molto spesso, facevano due ore di straordinario, a volte tre, senza essere pagati e nessuno dei due si era mai lamen­tato. Quando stavano per giungere alla conclusione di un caso, quando le tracce e le prove si facevano sempre più decisive, erano disposti a lavorare anche durante il proprio giorno libero, se era necessario. Nessuno chiedeva loro di sgobbare tanto. Nessuno glielo ordinava. Si trattava di una libera scelta.

  Tony desiderava impegnarsi più del dovuto per il dipar­timento perché era ambizioso. Non aveva alcuna inten­zione di rimanere un agente investigativo per il resto della vita. Voleva diventare perlomeno capitano e magari anche qualcosa di più: forse sarebbe arrivato molto in alto, nel­l'ufficio del capo, e lo stipendio e la pensione sarebbero stati decisamente migliori di ciò a cui avrebbe potuto aspi­rare se fosse rimasto un semplice investigatore. Era cre­sciuto in una famiglia numerosa di origine italiana, nella quale l'arte del risparmio rappresentava una seconda reli­gione, importante quanto il cattolicesimo. Suo padre, Carlo, era un immigrato e faceva il sarto. Il pover'uomo aveva sempre sgobbato duramente per riuscire a vestire e sfamare i figli e per garantire loro un tetto, ma spesso si era trovato sull'orlo del fallimento. La famiglia Clemenza era stata colpita da numerose malattie e i conti dell'ospedale e delle farmacie avevano prosciugato gran parte del denaro faticosamente accantonato. Quando Tony era ancora bam­bino, prima ancora che riuscisse a capire i problemi legati al denaro e al magro bilancio familiare, prima ancora che iniziasse a conoscere lo spettro della miseria con la quale suo padre viveva praticamente da sempre, aveva sentito ri­petere centinaia, forse migliaia di brevi ma incisive lezioni sulla responsabilità economica. Carlo lo istruiva quasi quo­tidianamente sull'importanza del lavoro, sull'accortezza fi­nanziaria, sull'ambizione e sulla sicurezza del posto di la­voro. Suo padre avrebbe dovuto lavorare per la cia nel di­partimento che si occupava del lavaggio del cervello. Tony era stato indottrinato completamente e aveva assorbito così bene le paure e i principi del padre, che persino all'età di trentacinque anni, con un eccellente conto in banca e un lavoro fìsso, si sentiva a disagio se si assentava dal lavoro per più di due o tre giorni. Molto spesso, quando decideva di prendersi una lunga vacanza, il periodo di riposo si tra­sformava in un'enorme sofferenza. Ogni settimana faceva molte ore di straordinario perché era il figlio di Carlo Cle­menza e il figlio di Carlo Clemenza non avrebbe potuto comportarsi diversamente.

 

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