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Sussurri

Page 13

by Dean Koontz


  Ma ogni volta che si risvegliava e sentiva i sussurri, ogni volta che percepiva l'ultima parte del sogno, non era nelle condizioni di rimanere ad ascoltare e di analizzare la situa­zione: veniva sempre preso dal panico e il suo unico desi­derio era di liberarsi di quei sussurri.

  Cercò di addormentarsi alla luce della torcia, ma non ci riuscì. Continuava a rigirarsi. La mente prese a correre. Era completamente sveglio.

  Evidentemente era l'idea di non aver finito il lavoro con quella donna che gli impediva di prendere sonno. Si era tanto preparato a quell'omicidio e poi se l'era fatta sfug­gire. Era nervoso. Si sentiva vuoto e incompleto.

  Aveva cercato di calmare la fame che provava nei con­fronti di quella donna riempiendosi lo stomaco. Non essen­doci riuscito, aveva cercato di distrarsi la mente provo­cando la rissa con i due messicani. Il cibo e la fatica fisica erano stati i due trucchetti di cui si era sempre servito per acquietare i suoi istinti sessuali e per zittire la voglia di sangue che spesso gli bruciava nelle viscere. A lui piaceva il sesso, un sesso brutale e violento che nessuna donna avrebbe mai accettato, quindi doveva soddisfarsi in altro modo. Gli piaceva uccidere e per questo trascorreva ore e ore a sollevare pesi finché non si sentiva i muscoli di gela­tina e la sete di violenza svaniva completamente. Gli psichiatri la chiamavano sublimazione. Ma ultimamente era sempre più difficile annullare i suoi appetiti insaziabili.

  Continuava a pensare a quella donna.

  Al suo corpo levigato.

  Alla pienezza dei suoi fianchi e dei suoi seni.

  Hilary Thomas.

  No. Era solo una copertura.

  Katherine.

  Era quello il suo vero nome.

  Katherine. Katherine, la puttana. In un corpo nuovo.

  Chiudendo gli occhi, riuscì a immaginarla nuda sul letto, inchiodata sotto di lui, con le cosce spalancate, mentre si contorceva, si dimenava, tremando come una lepre davanti alla canna di un fucile. Riusciva a vedere la sua mano che passava sul seno generoso, sul ventre, sulle cosce, sulla montagnetta del sesso... e poi l'altra mano che sollevava il coltello e lo lasciava andare, conficcando la lama affilata nella carne, mentre il sangue iniziava a schizzare. Riusciva a vedere il terrore e il dolore lancinante nei suoi occhi, in­tanto che le lacerava il petto alla ricerca del cuore da strap­pare mentre ancora palpitava. Riusciva quasi a sentire il suo sangue caldo e a odorarne la fragranza quasi metallica. Mentre quella visione gli riempiva la mente e prendeva possesso dei suoi sensi, percepì i testicoli che si indurivano, il pene che si contorceva e si rizzava come un secondo col­tello e, oh, come avrebbe voluto affondarlo dentro di lei, dentro quel corpo meraviglioso. Prima il pene turgido e pulsante, poi la lama del coltello, per trasmetterle le sue paure e le sue debolezze con un'arma e per succhiarle la forza e la vitalità con l'altra.

  Riaprì gli occhi.

  Stava sudando.

  Katherine. La puttana.

  Per trentacinque anni aveva vissuto nella sua ombra e aveva condotto un'esistenza miserabile e permeata dalla paura. Cinque anni prima, era morta di una malattia car­diaca e per la prima volta in vita sua aveva assaggiato il sa­pore della libertà. Ma continuava a resuscitare, fingendo di essere un'altra, alla ricerca di un modo per riprendere il controllo che aveva sempre avuto su di lui.

  Voleva usarla e ammazzarla per dimostrarle che non gli faceva più paura. Che non aveva più alcun potere su di lui. Che ormai era lui il più forte.

  Allungò la mano verso gli stracci di pelle scamosciata ap­poggiati dietro il materasso, li slegò e ne estrasse il coltello di riserva.

  Non sarebbe riuscito a dormire se non l'avesse ammaz­zata.

  Quella sera.

  Sicuramente non si sarebbe aspettata di rivederlo così presto.

  Diede un'occhiata all'orologio. Mezzanotte.

  La gente stava tornando a casa dai cinema, dai ristoranti, dalle feste. Ben presto, le strade sarebbero state deserte, le abitazioni buie e silenziose e sarebbero diminuite le possi­bilità che qualcuno lo notasse e avvertisse la polizia.

  Decise di partire alla volta di Westwood alle due in punto.

  3

  Arrivò il fabbro, cambiò le serrature della porta principale e di quella sul retro e si diresse a Hancock Park per un al­tro lavoro.

  Gli agenti Farmer e Whitlock se ne andarono.

  Hilary rimase sola.

  Non pensava che sarebbe riuscita a dormire, ma soprat­tutto era sicura che non avrebbe potuto coricarsi nel suo letto. Quando fece per entrare in quella stanza, davanti agli occhi le si presentarono vivide immagini di terrore. Frye che buttava giù la porta, avanzava verso di lei con quel sor­riso demoniaco stampato sul viso, si avvicinava inesorabil­mente al letto, improvvisamente ci saltava sopra, correndo sul materasso con il coltello in alto... Come già le era suc­cesso, per uno strano gioco della mente, il ricordo di Frye si confondeva con quello del padre, così che per un attimo ebbe la terribile sensazione che fosse stato Earl Thomas, uscito dalla tomba, a tentare di ucciderla. Ma non erano solo quelle vibrazioni demoniache a tenerla lontano dalla stanza. Non voleva dormire nella sua camera finché la porta danneggiata non fosse stata sostituita, cosa che non avrebbe potuto essere fatta prima dell'indomani, dopo aver trovato un falegname. Quella porta non aveva resistito a lungo agli attacchi di Frye e Hilary aveva deciso di sosti­tuirla con una di legno più pesante con la serratura in ot­tone. Ma se Frye fosse tornato quella notte e fosse riuscito in qualche modo a introdursi in casa, avrebbe potuto entrare tranquillamente nella sua stanza mentre lei dormiva, ammesso che fosse riuscita a prendere sonno.

  Prima o poi sarebbe tornato. Ne era sicura come mai le era capitato in vita sua.

  Sarebbe potuta andare in un albergo, ma non era da lei. Sarebbe stato come nascondersi, fuggire. Hilary era molto orgogliosa del suo coraggio. Non era mai fuggita da niente e da nessuno; aveva sempre combattuto con tutta la sua in­genuità e la sua forza. Non era fuggita nemmeno dai suoi genitori violenti e insensibili. Non aveva neanche cercato di cancellare il ricordo di quegli ultimi avvenimenti mo­struosi e cruenti accaduti nel piccolo appartamento di Chicago; non aveva accettato quel genere di pace che deriva dalla pazzia o dalla comoda amnesia, metodi che di solito la maggior parte della gente utilizza per fuggire dai ricordi sconvolgenti. Non si era mai tirata indietro di fronte alle infinite sfide che aveva incontrato mentre lottava per farsi strada a Hollywood, prima come attrice e poi come sceneggiatrice. Era andata al tappeto molte volte, ma era sempre riuscita a rimettersi in piedi. Sempre. Aveva tenuto duro, aveva combattuto e aveva vinto. Avrebbe vinto quell'as­surda battaglia con Bruno Frye, anche se avesse dovuto combattere da sola.

  Maledetta polizia!

  Decise di dormire in una delle camere degli ospiti, dove c'era una porta che avrebbe potuto chiudere e bloccare dal­l'interno. Mise le lenzuola e una coperta sul letto matrimo­niale e appese gli asciugamani nel bagno degli ospiti.

  Andò di sotto, rovistò nei diversi cassetti della cucina, tirò fuori una serie di coltelli e ne esaminò il peso e le lame. Quello da macellaio sembrava il più adatto, ma in mano sua era troppo ingombrante. Non sarebbe stato di grande aiuto in una lotta a corpo a corpo, perché avreb­be avuto bisogno di spazio per riuscire a vibrare un colpo deciso. Avrebbe potuto essere un'ottima arma d'attacco, ma non era adatta per l'autodifesa. Scelse invece un nor­male coltello con una lama di nove centimetri, abbastanza piccolo da poter stare nella tasca della vestaglia, ma sufficientemente grande da provocare serie ferite in caso di bi­sogno.

  Il pensiero di affondare la lama nella carne di un altro essere umano la disgustava, ma sapeva che lo avrebbe fatto se la sua vita fosse stata in pericolo. Spesso, durante l'infan­zia, aveva nascosto un coltello in camera sua, sotto il mate­rasso. Si trattava di un'assicurazione contro gli improvvisi attacchi di violenta pazzia del padre. L'aveva usato una sola volta, l'ultimo giorno, quando Earl aveva cominciato ad avere le allucinazioni derivanti dal delirium tremens e dalla pazzia pura. Aveva visto giganteschi vermi uscire dal muro e granchi immensi che cercavano di entrare dalla finestra. In un impeto
di furia schizofrenica e paranoica, Earl aveva trasformato il piccolo appartamento in un fetido ossario e Hilary si era salvata solo grazie al coltello.

  Un coltello non era certo paragonabile a una pistola. Sa­rebbe riuscita a usarlo solo quando Frye fosse stato sopra di lei e forse sarebbe stato troppo tardi. Ma era tutto quello di cui disponeva. I poliziotti si erano portati via la sua cali­bro 32 automatica quando se n'erano andati, subito dopo il fabbro.

  Che vadano all'inferno!

  Dopo che gli investigatori Clemenza e Howard avevano lasciato la casa, Hilary e l'agente Farmer avevano avuto uno scontro verbale sulle leggi che regolavano il possesso di un'arma. Al solo pensiero, andò su tutte le furie.

  "Miss Thomas, per quanto riguarda la pistola..."

  "Che cosa c'è?"

  "Deve avere un porto d'armi per tenerla in casa."

  "Lo so e infatti ce l'ho."

  "Posso vederlo?"

  "E nel cassetto del comodino. Lo tengo vicino alla pistola."

  "Le spiace se l'agente Whitlock va a prenderlo?"

  "Faccia pure."

  Un paio di minuti dopo:

  "Miss Thomas, vedo che una volta abitava a San Francisco.

  "Ci sono rimasta circa otto mesi. Ho lavorato in alcuni spettacoli teatrali quando cercavo di sfondare come attrice."

  "Su questo documento è riportato l'indirizzo di San Francisco."

  "Avevo affittato un appartamento a North Beach perché co­stava meno. A quel tempo non avevo molte possibilità economiche. E una donna sola in quel quartiere aveva sicuramente bisogno di una pistola."

  "Miss Thomas, non sa che bisogna chiedere un nuovo per­messo quando ci si trasferisce in un'altra città?"

  "No."

  "Davvero non lo sa?"

  "Senta, io scrivo film. Non mi occupo di armi da fuoco."

  "Se si tiene una pistola in casa, bisogna conoscere le leggi che ne governano la registrazione per l'utilizzo."

  "Va bene, va bene. La denuncerò al più presto."

  "Il punto è che, se la rivuole indietro, deve denunciarla im­mediatamente."

  "Come sarebbe a dire se la rivoglio?"

  "Non posso restituirgliela."

  "Sta scherzando?"

  "È la legge, Miss Thomas."

  "Vuol dire che ha intenzione di lasciarmi qui da sola e senza nemmeno una pistola?"

  "Non credo ci sia da preoccuparsi..."

  "Chi le ha messo in testa un'idea del genere?"

  "Sto solo facendo il mio lavoro."

  "Gliel'ha detto Howard, non è vero?"

  "Il tenente Howard mi ha consigliato di controllare il porto d'armi, ma non ha..."

  "Cristo!"

  "Non deve far altro che venire alla centrale, pagare la tassa, compilare un nuovo modulo per ottenere il porto d'armi e noi le restituiremo la pistola."

  "E se Frye dovesse tornare questa notte?"

  "È molto improbabile, Miss Thomas."

  "Ma se dovesse succedere?"

  "Ci chiami. Ci saranno delle pattuglie in questa zona. Cor­reremo qui e..."

  "... giusto in tempo per chiamare un prete e un'agenzia di pompe funebri."

  "Non ha niente da temere ma..."

  "Temere? Mi dica, agente Farmer, dovete seguire un corso di frasi fatte prima di diventare piedipiatti?"

  "Sto solo facendo il mio dovere, Miss Thomas."

  "Ah... lasciamo perdere."

  Farmer si era portato via la pistola e Hilary aveva impa­rato una lezione preziosa. Il dipartimento di polizia faceva parte del governo e non ci si poteva certo fidare. Se il go­verno non riusciva a far quadrare il proprio bilancio e a ri­durre l'inflazione, se non riusciva a porre fine alla corru­zione dilagante nei suoi uffici, se iniziava persino a perdere il potere e i mezzi per mantenere un esercito e proteggere la nazione, perché mai avrebbe dovuto impedire a un ma­niaco di farla a pezzi?

  Aveva già imparato da tempo che non era facile trovare qualcuno su cui fare affidamento. Non certo i suoi genitori, né i parenti: nessuno voleva essere coinvolto. Nemmeno quei ciarlatani degli assistenti sociali, ai quali si era rivolta in cerca d'aiuto quando era bambina. Né la polizia. Anzi, era sempre più convinta di poter contare solo su se stessa.

  E va bene, pensò furiosa. Okay. Me la vedrò io con Bruno Frye.

  Come?

  In qualche modo.

  Uscì dalla cucina con il coltello in mano, si diresse verso il mobile bar rivestito di specchi, incassato in una nicchia tra il soggiorno e lo studio e si versò una dose generosa di Remy Martin in un bicchiere di cristallo. Portò nella ca­mera degli ospiti il coltello e il brandy, e spense tutte le luci, quasi in segno di sfida.

  Chiuse a chiave la porta della stanza e cercò qualcosa per barricarla. Contro la parete, era appoggiato un casset­tone, un mobile massiccio in pino scuro, più alto di lei. Pe­sava troppo per riuscire a spostarlo, ma Hilary risolse il problema togliendo tutti i cassetti e mettendoli da parte. Trascinò il mobile sul tappeto, lo spinse contro la porta e rimise i cassetti al loro posto. A differenza di molti casset­toni, questo non aveva gambe; poggiava sul pavimento e aveva un baricentro relativamente basso che lo rendeva un ostacolo praticamente insormontabile per chiunque avesse cercato di entrare.

  Andò in bagno, appoggiò il coltello e il brandy sul pavi­mento, riempì la vasca, si spogliò e si immerse lentamente nell'acqua calda. Da quando era rimasta immobilizzata sotto il corpo di Frye, sul pavimento della camera da letto, e aveva sentito la mano dell'uomo palparle l'inguine, strappandole gli slip, si era sentita sporca, contaminata. Si insa­ponò con grande soddisfazione e nell'aria si diffuse un gra­devole profumo di lillà. Si strofinò con forza con una spu­gna, fermandosi solo di tanto in tanto per sorseggiare il Remy Martin. Quando si sentì finalmente pulita, appoggiò la saponetta e si immerse ancora di più nell'acqua profu­mata. Il vapore l'avvolgeva e il brandy la riscaldava inter­namente: la piacevole combinazione di calore interno ed esterno fece comparire qualche goccia di sudore sulla fronte. Chiuse gli occhi e si concentrò sul contenuto del bicchiere di cristallo.

  Il corpo umano non resiste a lungo senza il giusto so­stentamento. Il corpo, dopotutto, è una macchina meravi­gliosa composta da molti tipi di tessuti e liquidi, sostanze chimiche e minerali, un sofisticato insieme con un motore centrale e altri piccoli congegni, un sistema di lubrifica­zione e uno di ventilazione, diretti dal computer-cervello, con ingranaggi costituiti dai muscoli e una struttura in calce. Per funzionare, questa macchina ha bisogno di di­versi elementi, fra i quali l'alimentazione, il riposo e il sonno. Hilary era convinta che non sarebbe riuscita a dor­mire dopo quello che era successo, che avrebbe trascorso la notte con le orecchie tese come un gatto, pronta a cogliere il minimo segnale di pericolo. Ma quella sera aveva già di­sperso molte energie e, nonostante la mente si rifiutasse di rilassarsi, il suo inconscio sapeva che era necessario e inevitabile. Quando finì il brandy, il sonno le impediva quasi di tenere gli occhi aperti.

  Uscì dalla vasca, aprì lo scarico e si asciugò con un sof­fice telo, mentre l'acqua scorreva via gorgogliando. Rac­colse il coltello e uscì dal bagno, lasciando la luce accesa e la porta socchiusa. Spense le luci della stanza. Muovendosi languidamente nel morbido scintillio e fra le ombre vellutate, appoggiò il coltello sul comodino e scivolò nuda nel letto.

  Si sentiva rilassata, come se il calore le avesse ammorbi­dito le giunture.

  Era anche stordita. Effetto del brandy.

  Si sdraiò con il viso rivolto verso il cassettone. La barri­cata era rassicurante. Sembrava solida, impenetrabile. Bruno Frye non sarebbe riuscito a entrare, si disse Hilary. Nemmeno colpendo la porta con la forza di un ariete. Persino un piccolo esercito avrebbe avuto difficoltà a buttarla giù. Neanche un carro armato ce l'avrebbe fatta. E un vec­chio, immenso dinosauro? si domandò assonnata. Uno di quei tirannosauri che comparivano nei film comici sui mo­stri. Godzilla. Godzilla sarebbe forse riuscito a sfondare quella porta...?

  Giovedì mattina, alle due, Hilary si addormentò.

  Giovedì mattina alle due e venticinque, Bru
no Frye passò lentamente davanti alla casa di Hilary. La nebbia si era spo­stata verso Westwood, ma non era fitta come nei pressi del­l'oceano. Riusciva a vedere la casa abbastanza chiaramente e si rese conto che nessuna luce brillava oltre le finestre. Proseguì per due isolati, girò il furgoncino e passò nuova­mente davanti alla casa, questa volta persino più lenta­mente, studiando con attenzione le macchine parcheggiate lungo la strada. Era convinto che i piedipiatti non avreb­bero lasciato un uomo a proteggerla, ma non voleva cor­rere rischi. Le macchine erano vuote: non c'era sorve­glianza.

  Parcheggiò il Dodge fra due Volvo, un paio di isolati più in là, e tornò a piedi verso la casa, attraverso l'oscurità neb­biosa e gli aloni di luce giallognola proiettati dai lampioni.

  Attraversando il prato, le scarpe affondarono nell'erba ba­gnata di rugiada, emettendo un suono che gli ricordò quanto fosse eterea la notte.

  Si accovacciò vicino a un cespuglio di oleandro e si guardò alle spalle. Non era scattato alcun allarme. Nessuno lo aveva notato.

  Proseguì verso il retro e scavalcò il cancello. Seguì con gli occhi il muro e vide un piccolo quadretto di luce al se­condo piano. A giudicare dalle dimensioni, doveva essere la finestra del bagno; la vetrata più a destra lasciava intra­vedere leggeri tremolii di luce ai bordi delle tende.

  Lei era là.

  Ne era sicuro.

  Avvertiva la sua presenza. Ne sentiva l'odore.

  La puttana.

  Aspettava di essere presa e usata.

  Aspettava di essere uccisa.

  Vuole forse uccidermi? si domandò.

  Rabbrividì. La voleva, si sentiva eccitato, ma allo stesso tempo ne aveva paura.

  Fino ad allora, era sempre morta con facilità. Si era sem­pre reincarnata in un nuovo corpo, nascosta dietro un altro viso, ma era sempre morta senza lottare. Quella sera, in­vece, Katherine era stata una vera tigre, incredibilmente forte, lucida e impavida. Era una condizione nuova e non gli piaceva.

  Ciononostante, doveva tornare da lei. Se non l'avesse se­guita da un'incarnazione all'altra, se non avesse continuato a ucciderla fino a quando non fosse più rinata, non avrebbe mai trovato la pace.

 

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