Sussurri

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Sussurri Page 50

by Dean Koontz


  "Oh, quasi senza intoppi," esclamò Mrs Yancy. "A dire la verità ci sono stati un paio di intoppi."

  "Per esempio?"

  "Per esempio, il giorno in cui lasciò St. Helena per ve­nire da me e avere il bambino, Katherine raccontò a tutti che questa fantomatica Mary Gunther le aveva annunciato la nascita della creatura. E stata stupida. Molto stupida. Katherine disse che sarebbe andata a San Francisco per prendere la creatura. Riferì che Mary parlava di una creatu­rina deliziosa, ma non disse se era maschio o femmina. Ov­viamente era un patetico tentativo di proteggere se stessa, dal momento che non poteva sapere di che sesso fosse il fi­glio che aveva in grembo. Che stupida. Avrebbe dovuto pensarci. Fu il suo unico errore: rivelare che era nato il bambino prima di lasciare St. Helena. Oh, so che era a pezzi. So che praticamente non ragionava più. Ovviamente non poteva essere molto equilibrata dopo tutto quello che aveva subito nel corso degli anni. Per non parlare della gra­vidanza, della necessità di tenerla nascosta e della morte di Leo, sopraggiunta quando più avrebbe avuto bisogno di lui: sarebbe bastato molto meno per farla impazzire com­pletamente. Era sconvolta, fuori di sé e di conseguenza non ha riflettuto abbastanza."

  "Non capisco," disse Joshua. "Perché è stato un errore rivelare che il bambino di Mary era già nato? Dov'è il pro­blema?"

  Continuando ad accarezzare il gatto, Mrs Yancy prose­guì: "A St. Helena, avrebbe dovuto raccontare che il bam­bino della Gunther stava per nascere, non che era già nato, e che preferiva andare a San Francisco per restare vicina al­l'amica. In questo modo non sarebbe stata legata alla storia secondo cui era nato un solo bambino. Ma non ci pensò. Non rifletté su quello che poteva accadere. Riferì a tutti che c'era solo un bambino. Poi arrivò da me e diede alla luce due gemelli."

  Hilary esclamò: "Due gemelli?"

  "Maledizione," sbottò Tony.

  Per la sorpresa, Joshua balzò in piedi.

  Il gatto avvertì la tensione che regnava nella stanza. Alzò la testa e osservò con aria stupita le persone presenti in salotto, una dopo l'altra. I suoi occhi gialli sembravano risplendere di luce propria.

  La stanza nell'attico era spaziosa ma non abbastanza grande perché Bruno non la sentisse chiudersi gradualmente sopra di sé. Doveva trovare qualcosa da fare perché l'inattività ren­deva ancora più penoso il suo senso di claustrofobia.

  Si stancò dei manubri prima ancora che le sue braccia muscolose iniziassero ad avvertire lo sforzo dell'esercizio.

  Prese un libro da una delle mensole e cercò di leggere, ma non riuscì a concentrarsi.

  La sua mente non si era ancora stabilizzata e fluttuava da un pensiero all'altro, come un gioielliere disperato che cerca un sacchetto di diamanti messo fuori posto.

  Parlò alla parte morta di sé.

  Cercò i ragni negli angoli polverosi e li schiacciò.

  Cantò a se stesso.

  Scoppiò a ridere più volte senza sapere che cosa c'era di così divertente.

  Si mise anche a piangere.

  Maledì Katherine.

  Cercò di organizzare un piano.

  E camminò, camminò senza sosta.

  Non vedeva l'ora di lasciare quella casa per iniziare a cercare Hilary-Katherine, ma sapeva che sarebbe stata una pazzia uscire in pieno giorno. Era sicuro che i cospiratori di Katherine fossero sparsi ovunque, a St. Helena. I suoi amici della tomba. Altri morti viventi, uomini e donne del Mondo Oscuro, nascosti in nuovi corpi. Gli avrebbero dato tutti la caccia. Sì. Sì. Probabilmente ce n'erano a decine. Di giorno sarebbe stato troppo rischioso. Doveva aspettare che calasse il sole prima di uscire a cercare quella puttana. Anche se la notte era l'ora preferita dei morti viventi e anche se sarebbe stato in tremendo pericolo inseguendo Hi­lary-Katherine al calare del sole, Bruno sapeva di poter contare sull'oscurità. Le ombre della notte l'avrebbero na­scosto dai morti viventi, che avrebbero comunque goduto dello stesso vantaggio. In quel modo la lotta sarebbe stata equa e avrebbe vinto chi avesse dato prova di maggiore in­telligenza; ma se il criterio si basava esclusivamente su quello, allora Bruno aveva qualche possibilità di spuntarla: Katherine era sveglia, furba e infinitamente malvagia, ma non era certo intelligente quanto il figlio.

  Credeva che sarebbe stato al sicuro se fosse rimasto in casa durante il giorno, ma c'era qualcosa di ironico in quella convinzione, perché non si era mai sentito al sicuro nei trentacinque anni che aveva trascorso con Katherine. E ora quella casa rappresentava un porto tranquillo perché era l'ultimo posto nel quale Katherine e i suoi amici l'a­vrebbero cercato. Lei voleva catturarlo per portarlo pro­prio lì. L'aveva capito. Certo che l'aveva capito! Era ritor­nata dalla tomba per un unico motivo: condurlo in cima alla collina, attorno alla casa, verso la porta che si apriva nella terra, in fondo al giardino. Voleva gettarlo in quella fossa nel terreno e rinchiuderlo là dentro per sempre. Gli aveva ripetuto innumerevoli volte che era quello che avrebbe fatto se fosse tornata per punirlo. Non se n'era di­menticato. Katherine era convinta che avrebbe girato alla larga dalla collina e da quella vecchia casa. Non si sarebbe mai e poi mai immaginata di trovarlo proprio in quella stanza, abbandonata da tempo.

  Bruno scoppiò a ridere fragorosamente, compiaciuto della sua stessa strategia.

  , Poi fu assalito da un pensiero orribile: se per caso lei avesse pensato di cercarlo proprio lì e si fosse presentata con un paio di amici, altri morti viventi, in grado di sopraffarlo, non avrebbero fatto fatica a trascinarlo via. E la porta nella terra era proprio dietro la casa. Se Katherine e i suoi amici infernali l'avessero scovato, nel giro di un minuto sareb­bero riusciti a trasportarlo verso quella porta e l'avrebbero gettato in quella stanza buia, in mezzo ai sussurri.

  Terrorizzato, corse verso il letto e si sedette accanto a se stesso, pregandolo di rassicurarlo e di convincerlo che sa­rebbe andato tutto bene.

  Joshua non riusciva a stare fermo. Continuava a camminare avanti e indietro nel salotto di Mrs Yancy.

  La donna proseguì: "Quando Katherine diede alla luce due gemelli, si rese conto che la complicata storia di Mary Gunther non avrebbe potuto reggere. Gli abitanti di St. He­lena erano stati preparati ad accogliere un bambino. Si sareb­bero insospettiti, per quanto lei potesse cercare di giustifi­care il secondo bambino. L'idea che tutti venissero a sapere che cosa era successo fra lei e il padre... be', immagino che questo fosse davvero troppo, dopo tutto quello che aveva già passato. Katherine crollò. Per tre giorni rimase in preda al delirio, farneticando come una pazza. Il medico le sommi­nistrava dei sedativi, ma non sempre facevano effetto. Bal­bettava, vaneggiava e delirava. Forse avrei dovuto chiamare gli sbirri per farla rinchiudere in una bella stanzetta imbot­tita. Ma non volevo farlo. Dannazione, non volevo proprio."

  "Ma aveva bisogno di un aiuto psichiatrico," esclamò Hilary. "Non è stato un bene lasciarla gridare così per tre giorni. Non è stata una bella idea."

  "Forse no," ammise Mrs Yancy. "Ma non potevo fare al­tro. Insomma, gestivo un bordello di lusso e non avevo certo voglia di vedere gli sbirri, che si presentavano fin troppo spesso per riscuotere le loro bustarelle. Normal­mente lasciavano in pace i bordelli di classe come il mio. D'altra parte, fra i miei clienti c'erano molti uomini politici influenti e facoltosi uomini d'affari: i poliziotti non vole­vano certo metterli in imbarazzo con una retata. Ma se avessi mandato Katherine in ospedale, i giornali sicura­mente sarebbero venuti a conoscenza dell'intera vicenda e a quel punto gli sbirri sarebbero dovuti intervenire. Non avrebbero potuto chiudere un occhio sulla mia attività con tutta quella pubblicità in giro. No di certo. Assolutamente impossibile. Avrei perso tutto. E il medico temeva di avere la carriera stroncata se i suoi pazienti avessero scoperto che di nascosto curava le prostitute. Oggigiorno un medico può anche permettersi di praticare la vasectomia sugli alligatori usando gli strumenti che ha nello studio, senza rischiare di perdere la faccia. Ma nel 1940 la gente era più... schizzi­nosa. Vi renderete conto quindi che dovevo pensare a me stessa e inoltre proteggere il medico e le mie ragazze..."

  Joshua si avvicinò alla sedia sulla quale era seduta la donna. Abbassò
gli occhi su di lei, cogliendo in un unico sguardo il vestito logoro, il grembiule, le calze elastiche scure, le scarpe ormai consumate e il gatto dal pelo lucido; cercò di andare oltre l'immagine della dolce vecchietta per ritrovare la donna che vi si nascondeva. "Quando accettò i tremila dollari di Katherine, non si assunse anche qualche responsabilità nei suoi confronti?"

  "Non le chiesi io di venire da me per avere il bambino," ribattè Mrs Yancy. "Il mio bordello valeva molto più di tre­mila dollari. Non avevo intenzione di gettare tutto all'aria per uno scrupolo morale. Secondo lei avrei dovuto farlo?" Scosse la testa, incredula. "Se pensa che avrei dovuto farlo, allora lei vive in un altro mondo, mio caro signore."

  Joshua la fissò per un attimo e rimase in silenzio, per il timore di esplodere e di mettersi a urlare. Non voleva che lo buttasse fuori di casa prima di essersi assicurato che gli avesse raccontato tutto quello che sapeva sulla gravidanza di Katherine Ann Frye e sui gemelli. Gemelli!

  Intervenne Tony: "Senta, Mrs Yancy, subito dopo aver accolto Katherine, quando ha scoperto che si avvolgeva strettamente nelle panciere, lei si rese conto che rischiava di perdere il bambino. Ha ammesso che lo stesso dottore aveva parlato di una simile eventualità."

  "Sì."

  "Secondo il medico, anche Katherine rischiava di mo­rire."

  "E allora?"

  "La morte di un neonato o della madre durante il parto avrebbe sicuramente comportato la chiusura del suo bor­dello, esattamente come se avesse chiamato la polizia per far ricoverare una donna in preda a una crisi di nervi. Ep­pure non cacciò Katherine, anche se avrebbe avuto tutto il tempo per farlo. Sapeva che era rischioso, ma accettò i tre­mila dollari e diede a Katherine il permesso di restare. Si­curamente sapeva che, nel caso fosse morto qualcuno, avrebbe dovuto avvisare la polizia, rischiando di dover chiudere."

  "Nessun problema," rispose Mrs Yancy. "Se i bambini fossero morti, li avremmo portati via in una valigia. Li avremmo sepolti da qualche parte in cima alle colline. Op­pure avremmo messo qualche pietra nella valigia e l'a­vremmo fatta cadere dal Golden Gale."

  Joshua provò l'irrefrenabile impulso di afferrare la donna per lo chignon e di sbatterla a terra, per farle per­dere quell'aria compiaciuta e strafottente. Ma si limitò a voltarsi e respirare a fondo, prima di ricominciare a cammi­nare nervosamente sulla passatoia, con gli occhi fissi sul pa­vimento.

  "E Katherine?" domandò Hilary. "Che cos'avrebbe fatto se fosse morta lei?"

  "La stessa cosa che avrei fatto con i due gemelli," af­fermò Mrs Yancy senza scomporsi. "Anche se, natural­mente, non avremmo potuto mettere Katherine in una vali­gia."

  Joshua si bloccò all'estremità della stanza e osservò la donna, sbigottito. Non cercava di essere spiritosa. Non si era assolutamente resa conto del macabro umorismo conte­nuto in quella frase: si era limitata a enunciare un dato di fatto.

  "Se qualcosa fosse andato storto, avremmo eliminato il corpo," proseguì Mrs Yancy rispondendo alla domanda di Hilary. "E avremmo fatto in modo che nessuno venisse a sapere che Katherine era stata da me. E non mi guardi con quell'aria sbigottita e di disapprovazione, signorina bella. Non sono un'assassina. Le sto spiegando che cosa avrei fatto, che cosa avrebbe fatto qualsiasi persona ragionevole nella mia situazione, nel caso in cui la madre o il bambino fossero morti in circostanze naturali. Parlo di morte natu­rale. Santo cielo, se fossi un'assassina, mi sarei sbarazzata della povera Katherine mentre era fuori di sé, quando non sapevo neppure se si sarebbe ripresa. Per me era una mi­naccia. Per colpa sua rischiavo di rimetterci il bordello, i miei soldi, tutto, insomma. Ma non l'ho strangolata. Mio Dio, non ho mai pensato una cosa del genere! Ho nutrito quella povera ragazza fra una crisi e l'altra, l'ho aiutata a uscire dallo stato di follia in cui si ritrovava e poi è andato tutto bene."

  Tony la interruppe: "Ha detto che Katherine balbettava, vaneggiava e delirava. È come se..."

  "Solo per tre giorni," precisò Mrs Yancy. "Dovemmo persino legarla al letto per impedire che si facesse del male. Ma è durato solo tre giorni. Forse non era un vero e pro­prio esaurimento nervoso. Forse era solo una crisi passeg­gera. Infatti, dopo tre giorni, ritornò a star bene come prima."

  "I gemelli," disse Joshua. "Ritorniamo ai gemelli. Sono loro che ci interessano."

  "Penso di avervi raccontato tutto," ribattè Mrs Yancy.

  "Erano identici?" domandò Joshua.

  "Come si fa a dirlo appena nati? Sono tutti grinzosi e rossi. E impossibile stabilire se si somigliano soltanto o se sono identici."

  "Ma il medico avrebbe potuto fare un esame..."

  "Eravamo in un bordello di lusso, Mr Rhinehart, non in un ospedale." Solleticò il gatto sotto il mento e l'animale allungò felice una zampa verso di lei. "Il dottore non aveva né il tempo né gli strumenti necessari per una cosa del ge­nere. E inoltre, perché avrebbe dovuto preoccuparsi di scoprire se i due bambini erano identici o no?"

  Hilary osservò: "Katherine chiamò uno dei due Bruno."

  "Sì," rispose Mrs Yancy. "L'ho scoperto quando ha ini­ziato a spedirmi gli assegni, dopo la morte di Katherine."

  "Come ha chiamato l'altro bambino?"

  "Non ne ho la più pallida idea. Quando se n'è andata, non aveva ancora scelto i nomi."

  "Ma i nomi non sono stati riportati sul certificato di na­scita?" domandò Tony.

  "Non c'era alcun certificato," precisò Mrs Yancy.

  "Ma com'è possibile?"

  "Le nascite non sono state registrate."

  "Ma la legge..."

  "Katherine insistè affinchè i bambini non venissero regi­strati. Ci stava offrendo un bel mucchio di soldi e ci com­portammo come voleva lei."

  "Anche il dottore era d'accordo?"

  "Si beccò mille dollari per far nascere i gemelli e tenere la bocca chiusa," rispose la donna. "A quei tempi mille dol­lari erano una bella somma. Poteva anche infrangere un paio di regole."

  "I due neonati stavano bene?" domandò Joshua.

  "Erano magri," disse Mrs Yancy. "Anzi, scheletrici. Due creaturine patetiche. Probabilmente perché Katherine era rimasta a dieta per mesi. E anche per colpa dei busti. Ma strillavano come tutti gli altri bambini e avevano un di­screto appetito. Insomma, sembravano sani, erano solo un po' mingherlini."

  "Per quanto tempo si è fermata Katherine?" domandò Hilary.

  "Quasi due settimane. Ha avuto bisogno di un po' di tempo per recuperare le forze dopo un parto tanto difficile. E anche i bambini dovevano rimpolpare un po' le ossa." "Quando se ne andò, prese con sé entrambi i bambini?"

  "Ma certo. Non gestivo un asilo. Fui felice quando de­cise di tornare a casa."

  "Sapeva che aveva intenzione di riportare solo uno dei gemelli a St. Helena?"

  "Sì, credo fosse questa la sua intenzione."

  "Le ha forse detto che cosa voleva fare dell'altro bam­bino?" intervenne Joshua precedendo Hilary.

  "Penso volesse farlo adottare," rispose Mrs Yancy.

  "Lei pensa?" sbottò Joshua, esasperato. "Non era mini­mamente preoccupata per quello che avrebbe potuto suc­cedere a due creature indifese, nelle mani di una donna evi­dentemente squilibrata?"

  "Si era ripresa."

  "Stronzate."

  "Glielo assicuro, se l'avesse incontrata per strada, non avrebbe mai immaginato che avesse dei problemi."

  "Ma per l'amor del cielo, dietro quella facciata..."

  "Era la madre," ribattè Mrs Yancy. "Non avrebbe fatto loro alcun male."

  "Lei non poteva esserne sicura," continuò Joshua.

  "Certo che ne ero sicura," recitò Mrs Yancy. "Ho sempre avuto il massimo rispetto per la maternità e per l'amore di una madre. L'amore di una madre può operare miracoli."

  Ancora una volta, Joshua dovette reprimere l'impulso di afferrarla per i capelli.

  Tony obiettò: "Katherine non avrebbe potuto far adot­tare il bambino. Non in mancanza di un certificato di na­scita che provasse che il neonato era suo."

  "Questo lascia aperta la strada a possibilità decisamente meno simpatiche," mormorò Joshua.

  "Onestamente, non
riesco a capirvi," protestò Mrs Yancy scuotendo la testa e accarezzando il gatto. "Volete sempre credere al peggio. Non ho mai conosciuto persone più pessimiste di voi. Non avete mai pensato che forse si è limitata a lasciare uno dei due bambini davanti a una porta? Probabilmente l'avrà abbandonato davanti a un or­fanotrofio o a una chiesa, in un luogo dove avrebbero po­tuto trovarlo facilmente e prendersi cura di lui. Immagino sia stato adottato da una giovane coppia facoltosa, in grado di offrirgli una casa confortevole, tanto amore, un'ottima istruzione e una miriade di vantaggi."

  Bruno Frye si sentiva nervoso, annoiato, solo, impaurito, a tratti sonnolento, ma molto più spesso frenetico. In attesa che calasse la notte, trascorse il martedì pomeriggio a con­versare con la parte di sé che era morta. Sperava di calmare la sua mente irritata e di riacquistare una fredda determinazione, ma non riuscì a compiere grandi progressi in tal senso. Decise che si sarebbe sentito sicuramente più felice e meno solo se avesse potuto guardare se stesso negli occhi, come ai vecchi tempi, quando trascorrevano il tempo così, seduti l'uno di fronte all'altro e comunicavano fra loro senza bisogno di parole: quando erano una cosa sola. Si ri­cordò della scena nel bagno di Sally, accaduta solo poche ore prima, quando si era fermato davanti allo specchio e aveva confuso la propria immagine riflessa con quella di se stesso. Guardando negli occhi quello che pensava essere il suo altro sé, si era sentito meravigliosamente bene, in pace con il mondo. Ora doveva assolutamente recuperare quello stato mentale. E non c'era niente di meglio che guardare se stesso diritto negli occhi, per quanto fossero ormai vuoti e ciechi. Ma l'altro era sdraiato sul letto, con gli occhi serrati. Bruno sfiorò l'altro Bruno, quello morto, e sentì due orbite gelide; le palpebre non volevano sollevarsi nonostante il tocco delicato delle sue dita. Esaminò i contorni e avvertì le suture agli angoli, i minuscoli nodi di filo che tenevano abbassate le palpebre. Eccitato all'idea di tornare ad ammi­rare gli occhi dell'altro, Bruno si alzò di scatto e si preci­pitò da basso alla ricerca di un rasoio, di un paio di forbi­cine, di spilli, di un uncinetto e degli altri strumenti chirur­gici di fortuna necessari per riaprire le palpebre dell'altro Bruno.

 

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