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Rune

Page 8

by Christopher Fowler


  In quell'istante, una bmw verde nuova di zecca accostò dietro di lui, strusciando orribilmente i coprimozzi contro il bordo del marciapiede. Dave riconobbe subito il rumore del motore e si staccò dall'albero per dare un'occhiata.

  Era fortunato. L'automobilista sembrava proprio un ricco bab­beo. Non appena smontò dalla vettura col suo bel vestito elegan­te da sfruttatore e trotterellò svelto in un'edicola vicina, Dave entrò in azione.

  Sottrarre le chiavi alla vittima mentre sfogliava le riviste di ar­redamento fu un gioco da ragazzi. Dopo di che, Dave dovette so­lo avviarsi verso l'auto pavoneggiandosi come se fosse davvero sua, aprire la portiera e saltare a bordo. Mentre si immetteva con abilità nel traffico scorrevole, vide che l'unica persona che si era accorta della sua partenza era un'idiota in Mercedes che aspetta­va di parcheggiare al suo posto.

  Mentre la scintillante bmw percorreva un viale orlato di olmi in germoglio in direzione di Belsize Park, Dave cercò della musi­ca decente nel vano portaoggetti, ma c'erano soltanto dei nastri di Andrew Lloyd Webber e del jazz all'acqua di rose. Era quello il guaio della gente, oggigiorno. La mancanza di classe. Avrebbe dovuto accontentarsi della radio. Sintonizzò l'apparecchio e tro­vò un brano di musica classica: Vivaldi, sembrava.

  Carico di enormi tronchi tagliati nel bosco vicino, un camion del comune sporco di fango avanzò stridendo e sferragliando. In fondo al tronco sporgente più lungo sventolava una bandierina rossa, simile a una fiamma guizzante. Dave rallentò, cauto. Il se­maforo più avanti diventò verde, e il camion accelerò piazzando­si di fronte alla bmw.

  Il segnale radio si fece confuso, e si sentì un suono prodotto presumibilmente percuotendo con le unghie una chitarra elettri­ca. Alcuni secondi dopo, solo scariche statiche. Dave allungò la mano e battè leggermente sui comandi, ma l'interferenza au­mentò. Quel tizio ha pasticciato con lo stereo. Non merita un ap­parecchio di questo livello pensò.

  Davanti a lui, gli stop del camion si accesero. Con una reazio­ne automatica, Dave premette adagio il freno, quindi cercò di sintonizzare di nuovo la radio.

  La stazione della metropolitana di Belsize Park scorse a sinistra dell'auto. Continuando a guidare, Dave estrasse dalla giacca il foglio coperto di simboli e tornò a esaminarlo. Cosa diavolo significava?

  Fu allora che notò gli strani simboli spaziati sull'altro lato. Al­zando il foglio controluce, si rese conto che i segni cabalistici, privi di senso se considerati separatamente, acquistavano una chiarezza improvvisa una volta combinati.

  Il giovane ladro corrugò la fronte, assimilando lentamente il messaggio. Scosse il capo, quasi volesse scacciare dalla mente quei pensieri estranei, poi si affrettò a girare il volante quando vide che la bmw stava uscendo dalla corsia.

  Mentre un caos di voci cominciava a riempirgli la testa, per la prima volta in vita sua Dave seppe esattamente cosa doveva fare.

  Venerdì sera, Grace se ne stava raggomitolata sul divano e guardava il telegiornale delle sette su Channel Four. Riparando­si sotto un ombrello, vicino alla stazione della metropolitana di Belsize Park, un reporter stava parlando direttamente all'obietti­vo della telecamera.

  — È qui che il ladro d'auto si è fermato. — Il reporter indicò un negozio di ferramenta alle sue spalle.

  — E entrato e ha chiesto un pezzo di corda di nylon. Come questo. — Il negoziante mostrò un campione preparato. — Bar­collava, e si teneva la testa.

  — Poi cos'è successo? — chiese il cronista.

  — Ha comprato la corda, e un temperino. Gli ho incartato la roba, e lui è uscito.

  La telecamera seguì il giornalista che si spostava.

  — Il ladro in seguito è stato notato da alcuni passanti. — Girò il mocrofono verso una ragazza cinese.

  — L'ho visto scendere dalla macchina, là — spiegò la ragazza, indicando un tratto di strada battuta dalla pioggia. — All'inizio non sono riuscita a vedere cosa stesse facendo. Poi ho visto che aveva legato la corda a un lampione. Ha controllato che il nodo fosse ben stretto, poi è corso alla macchina con la corda. Gridava in continuazione.

  L'obiettivo inquadrò un uomo anziano con un cane in braccio. — L'ho visto mettersi al volante dell'auto. Era parcheggiata a quattro o cinque metri dal lampione.

  — Poi cos'è successo?

  — Si è infilato in testa l'altro capo della corda.

  — E come?

  Il vecchio guardò il reporter come se fosse stupido. — Aveva fatto un cappio. Poi ha acceso il motore e ha premuto l'acceleratore. Non pensavo che sarebbe partito. Voglio dire, aveva la cor­da attorno al collo.

  La ragazza cinese sembrava prossima alle lacrime. — Si è al­lontanato dal marciapiede a gran velocità.

  — Ha visto cos'è successo in seguito?

  — Non lo dimenticherò mai — rispose la cinesina. — La corda non era tanto lunga. Si è tesa, e gli ha staccato la testa dalle spal­le.

  — Avrebbe dovuto vedere che macello — aggiunse superflua­mente il vecchio.

  Le telecamere non erano arrivate in tempo per mostrare i pe­doni inorriditi che giungevano sul luogo dell'incidente e vedeva­no un getto di sangue zampillare dal troncone del collo del ladro con la violenza con cui poteva uscire da una tubatura rotta. E i microfoni della televisione non avevano potuto registrare l'or­chestra vivaldiana che di colpo riprendeva a suonare alla radio, fornendo un sottofondo fuori luogo al ticchettio del sangue che gocciolava sull'acciaio.

  Sullo schermo, il cronista si spostò di nuovo e indicò i rottami della bmw verde. Mentre l'obiettivo si avvicinava ondeggiando, Grace portò una mano alla bocca.

  — Oh, mio Dio! — strillò. — È l'auto di Harry.

  13

  Immagine istantanea

  — Sì, mi hanno proprio rubato la macchina, maledizione.

  — Ma, caro, è terribile. — Il tono preoccupato di Hilary sem­brava sincero. — Dove diamine l'avevi lasciata?

  — In Hampstead High Street, pensa! Stavo andando al lavoro e mi sono fermato dal giornalaio. È successo in pieno giorno! — Harry prese una sigaretta, si ricordò che stava cercando di smet­tere, poi l'accese ugualmente.

  — Credevo che l'auto avesse l'antifurto.

  — Non si inserisce l'antifurto per scendere un attimo a com­prare il giornale, santo cielo! Comunque, quello mi ha borseg­giato, mi ha sfilato le chiavi di tasca.

  — Oh, insomma, Harry... — Harry riconobbe subito quel to­no. Hilary lo riteneva responsabile, lo accusava in pratica di es­sere rimasto là a ciondolare mentre il ladro se la filava indistur­bato.

  — Be', la polizia cos'ha detto?

  — Parecchio. Quel tizio ha pensato bene di uccidersi in gran­de stile dopo avere percorso appena un paio di chilometri.

  — Cosa, intendi dire che si è ucciso proprio sulla tua auto?

  — Sì. Poi la macchina è finita contro un muro di mattoni a circa ottanta chilometri all'ora.

  — Mio Dio. — Un breve silenzio. — Era assicurata, spero.

  — Completamente.

  — Potrebbero dare la colpa a te?

  Per alcuni istanti, Harry ammutolì. — Cosa... cosa stai dicen­do, Hilary? Maledizione, come può essere stata colpa mia?

  — Forse c'era qualcosa che non andava nei freni...

  — Incredibile. Uno stupido ladro mi ruba l'auto e si uccide, e tu cerchi di dirmi che è colpa mia se quello è morto?

  — Non c'è bisogno di essere così sgarbato. — La temperatura della voce di Hilary scese. — Non mi piace il tuo tono, Harry. Non credo che sia una buona idea quella di incontrarci questa se­ra.

  — Cristo, Hilary, non complicarmi la vita anche tu. — Harry si passò una mano tra i capelli, esasperato. — Ho già perso un'al­tro giorno in ufficio, mentre dovrei lavorare al lancio di quella bibita.

  — Perché, dove sei stato?

  — Dove pensi che sia stato, eh? Ho passato il pomeriggio al commissariato di Kentish Town. È stata la settimana più assurda della mia vita! Anche Janice ha riconosciuto che è un brutto pe­riodo per me.

  — Chi è Janice? — La
voce di Hilary era irta di ghiaccioli.

  — Il sergente di polizia con cui ho parlato dopo l'incidente di mio padre. Per mia fortuna, era appena stata trasferita lì dal commissariato di Bow Street. Mi ha visto entrare.

  — Già, che fortuna. Be', Harry, vedo che sei molto occupato. Non ti tratterrò.

  — No, Hilary, aspetta, riguardo stasera...

  Ma Hilary aveva riattaccato.

  — Non so perché ti stia portando con me — disse Harry, men­tre imboccavano la rampa deserta del cavalcavia.

  — Non mi stai portando con te. Sono io che ti sto portando. Non hai più la macchina, ricordi? Per fortuna, mi sono presa la briga di telefonarti ancora.

  Grace cambiò marcia, mentre il camion si avvicinava allo squallido paesaggio monocromo della rotonda di Sheperd's Bush. Dietro di loro il cielo si era schiarito. Un sole basso proiet­tava raggi ambrati sull'ampio nastro d'asfalto, facendo luccicare minuti frammenti di vetro prigionieri.

  — Ti sei chiesto come mai abbia scelto la tua auto per uccider­si? — Grace staccò gli occhi dalla strada e lo guardò. Harry non aveva notato il colore dei suoi occhi, prima. Erano verde cupo, come la parte più fredda del mare. — Forse non è stata una sem­plice coincidenza.

  — Per me, sì, invece. — Harry non era favorevole alla teoria del complotto. Osservò Grace che superava con disinvoltura la rotonda e svoltava in direzione del fiume. I suoi gesti possedeva­no una grazia sciolta affascinante. La ragazza si accorse subito della sua attenzione.

  — Perché dobbiamo vedere quell'uomo proprio venerdì se­ra? — gli domandò.

  — Perché, hai qualcosa di meglio da fare?

  — Sì. Andare al cinema. Ci vado tutti i venerdì. E molto spesso anche sabato e domenica.

  — E cosa vai a vedere?

  — Qualsiasi cosa. Un po' di tutto. Thriller, fantascienza, orro­re, film artistici. Non pago mai il biglietto.

  — E come entri?

  — Entro quando tutti gli altri escono. Funziona. Dovresti pro­vare qualche volta.

  — Non ne ho bisogno.

  — Una ragione in più per farlo. Colleziono i manifesti.

  — Che rubi nell'atrio mentre esci, immagino.

  — Esatto. Sono attratta dal truculento e dal sensazionale, da cose di dubbio gusto. Probabilmente è per questo che tu mi pia­ci. Siamo arrivati, credo.

  Nonostante la strettezza della stradina periferica, Grace par­cheggiò il veicolo con un'abile manovra. Controllarono l'indiriz­zo, e scesero dalla cabina. Harry dubitava che Brian Lack potes­se far luce sulle circostanze della morte di suo padre. Mentre apriva il cancello perfettamente verniciato del giardino, si rivolse a Grace. — Cerca di non dire nulla e di non fare nulla. Non dobbiamo creare fastidi.

  Lei gli lanciò un'occhiata furiosa, premendo il campanello. Nell'ingresso risuonò uno scampanio.

  — Una rapidità notevole, considerato che è venerdì sera — disse Brian aprendo la porta. Indossava un grembiule di plastica con la scritta comanda lei! — Nelle ore di punta, il traffico sul­la Westway metterebbe alla prova la pazienza di un santo. — Sfi­lò un guanto di gomma e strinse la mano a Harry. — Mi scusi, stavo lavando i piatti.

  — Questa è la signorina Crispian. — Harry presentò la com­pagna.

  — Felice di conoscerla — disse Brian, incerto. Li condusse in salotto, indicando un paio di poltrone floreali grottesche. — Mia moglie è fuori, al corso di batik, ma preparare una tazza di tè non sarà un problema. — Andò in cucina, lasciando i due seduti sotto una serie di scaffali fatti in casa.

  — Scommetto che passa i weekend girando nei centri di brico­lage — sussurrò Grace. — Harry, devi portarmi via di qui. — Portò una mano alla gola, fingendo di soffocare. — Qualcuno chiami la Squadra Arredamento della polizia e dica che c'è un'e­mergenza.

  — Cerca di comportarti bene per una mezz'ora, e forse scopri­remo qualcosa — disse Harry, guardandosi attorno. — Comun­que, ti capisco.

  Arrivò il tè, e lo bevvero. — Suo padre ci mancherà molto — disse Brian allegramente.

  — Lo ha visto poco prima che morisse, vero? Ha detto che era di buon umore.

  — Oh, ottimo, assolutamente.

  — Eppure il giorno dell'incidente, stando al suo comporta­mento, si direbbe che fosse molto turbato. Io posso solo immagi­nare che avesse qualche problema che lo assillava. Ha idea di co­sa potesse essere?

  — Willie non aveva motivo di essere turbato. — Brian scosse lentamente la testa, in una parodia di perplessità. — Se mai, è vero il contrario.

  — Cosa intende dire?

  — Qualcuno aveva appena presentato un'offerta molto ge­nerosa per acquistare l'azienda, e noi avevamo deciso più o meno di accettarla. L'altro consigliere d'amministrazione torne­rà in ufficio lunedì, e si è già dichiarata favorevole al rileva­mento.

  — Di cosa si occupa esattamente la vostra azienda? — chiese Grace, osservando disgustata il tovagliolo all'uncinetto sotto la propria tazza.

  — L'Instant Image è un servizio di duplicazione video. Per esempio, possiamo prendere un nastro master da un pollice, cioè la matrice originale, e farne cento copie simultanee.

  — In quanti lavorate all'Instant Image?

  Brian contò sulle dita. — Segretaria, contabile, magazzinieri, tre tecnici, più i tre amministratori, due part time... suo padre e la signora Cleveland...

  — Sta parlando di Beth Cleveland, quella che ha partecipato al funerale di mio padre?

  — Proprio lei. Willie l'ha fatta entrare nella nostra società l'anno scorso. È un'amministratrice molto efficiente. Pensavo che lo sapesse.

  — Sapevo solo che si era messa col vecchio.

  — Credo che vivessero insieme, sì. — Brian scelse un'espres­sione più garbata. • Grace alzò lo sguardo. — Ha detto che lei si è assentata...

  — Beth ha preso qualche giorno di libertà. Molto inopportu­no, questo. L'azienda è molto impegnata in questo periodo. Ab­biamo delle comproprietà nel settore video, alcune ditte nella zona di Soho.

  — Dunque, cedere questa azienda non rappresenterebbe un problema?

  — Al contrario. Il guadagno sarà ingente. Quindi, nessun problema. Cioè, a parte la questione della quota di suo padre. Co­me sa, dopo la sua scomparsa, spetta a lei occuparsene.

  — No, non lo sapevo — disse Harry. — Non abbiamo mai di­scusso di questo argomento.

  — Parlando in senso tecnico, ci occorrerà la sua firma prima che si possa procedere con la cessione. Una semplice formalità, naturalmente.

  Gli occhi di Brian brillavano al pensiero del grosso guadagno imminente. Grace rivolse ad Harry una smorfia di disapprova­zione. Era ansiosa di andarsene, evidentemente. Harry ringraziò Brian per il tè e uscì con lei dal salotto traboccante d'oggetti.

  — Non capisco — disse, mentre tornavano verso il centro. — Willie stava per intascare una fortuna vendendo la sua parte d'a­zienda. Un buon motivo per essere felice.

  — A meno che, per qualche suo motivo, non volesse vendere.

  — Non conoscevi mio padre. Se un rapinatore gli avesse pun­tato una pistola alla testa dicendogli: "O la borsa o la vita!", Wil­lie avrebbe cercato di fare un affare con quel tizio.

  — Forse è andata proprio così. Forse era minacciato da qual­cosa.

  Harry respinse l'idea con un cenno della mano. Ma il dubbio gli si insinuò nella mente e vi rimase durante tutto il tragitto di ri­torno.

  14

  Incendio

  — La tua padrona di casa era sicura che ti avrei trovato qui.

  Una figura alta in giacca sportiva blu e calzoni color crema si stava avvicinando sullo spiazzo tra i bacini pieni di rifiuti delle fontane. John May era riuscito a rintracciarlo, e di domenica.

  — La signora Sorrowbridge? — Arthur Bryant si destò dal torpore provocato dal pallido sole pomeridiano e, con riluttanza, cedette una parte della panchina del parco al collega. — A quan­to pare, Alma sa sempre dove sono. Vecchia strega impicciona. Comincio a chiedermi se da qualche parte non sia affisso un an­nuncio
con l'indicazione della mia posizione. — Si drizzò a sede­re e spinse in su il vecchio cappello floscio di feltro, per nulla im­barazzato anche se era stato sorpreso nei suoi vecchi abiti da giardinaggio.

  Dietro di loro l'acqua scura sciabordava contro la pietra, men­tre il Tamigi si alzava con la marea. Di fronte, c'era un'ampia di­stesa di cemento abbandonato. Fontane arrugginite spuntavano dal selciato simili a enormi erbacce metalliche. Ormai, poche persone si prendevano la briga di visitare quel settore di Battersea Park. La maggior parte preferiva i campi da gioco e i vialetti fioriti più a ovest.

  Bryant viveva nei paraggi, in un appartamento piccolo ma ar­redato con eleganza. Era uno dei pochi abitanti originari rimasti, in una zona invasa da giovani professionisti indifferenti.

  — Qui si è svolta la Fiera di Gran Bretagna — disse, indican­do la squallida distesa davanti a loro. — Nel 1951. L'ho visitata. Padiglioni, mostre, invenzioni. C'era una passerella in cima agli alberi, con tanti grandi draghi di carta. Di fronte a noi c'era un lago di fontane che spruzzavano un velo d'acqua azzurra. Guar­da adesso. — Tornò a infilare le mani in tasca.

  May sapeva che era meglio lasciargli ricordare il passato prima di disturbarlo con le notizie del presente. — Abitavamo ancora a Whitechapel, allora — disse. — Non siamo mai venuti alla Fiera. Non capisco perché. Dev'essere stata bellissima.

  — Buon Dio, niente affatto! — esclamò Bryant, infervoran­dosi all'improvviso. — Una cosa assolutamente orrenda. C'era­no slogan dappertutto. "Energia e Luce", "Avanti con la Gran Bretagna", "Guardate il futuro". Mai visto niente di così brutto in vita mia. Grandi spirali di ferro battuto dipinte coi colori della bandiera. Molecole gigantesche, scritte in corsivo e vasi di ce­mento irti di punte. Doveva essere una rappresentazione del fu­turo, in teoria. Invece, sembrava che i russi avessero sfogliato qualche fumetto di Dan Dare e avessero progettato il futuro con un budget limitato. — Bryant si alzò e con un cenno invitò il col­lega a raggiungerlo accanto al lago di cemento vuoto. — Le in­tenzioni erano buone, naturalmente. Volevano risollevarci il mo­rale dopo la guerra. La nuova era elisabettiana si avvicinava. Una grottesca fenice di latta che risorgeva dalle ceneri. C'è mai stato un periodo più misero e deprimente degli anni Cinquanta in Gran Bretagna?

 

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