Rune

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Rune Page 14

by Christopher Fowler


  Ma non era sola, perché all'improvviso si udì un rumore di passi frettolosi alle sue spalle. Eden si girò, ma la curva della sca­la le impedì di vedere se si stesse avvicinando qualcuno. Abbas­sò lo sguardo mentre correva, attenta a non scivolare sui cunei d'acciaio stretti che sfilavano sotto i suoi piedi. L'aria nel pozzo della scala era calda, viziata, e puzzava di urina. Probabilmente era piena di germi, pensò. Ecco perché tanti pendolari prende­vano il raffreddore, viaggiando avanti e indietro in quella rete di gallerie vecchia di cent'anni.

  I passi dietro di lei erano più vicini, adesso. Tornò a girarsi, ma non riuscì a vedere nulla. Era assurdo, lo sapeva, ma aumentò l'andatura per distanziare l'altro viaggiatore. La gonna stretta non le consentiva di muoversi molto più in fretta. La tromba pia­strellata si snodava verso il basso in una spirale vertiginosa, in­terminabile. Sui gradini sottostanti qualcuno aveva gettato un giornale. Eden si girò ancora, poi voltò la testa giusto in tempo per vedere il proprio piede che scivolava sui fogli del quotidiano e spariva sotto di lei. Improvvisamente priva di peso, sentì che il suo corpo schizzava in avanti. I gradini scorsero rapidi. Precipitò a capofitto. Il suo ultimo pensiero fu che forse il tipo che la segui­va, con uno scatto prodigioso, l'avrebbe raggiunta e superata, attutendo la sua caduta col proprio corpo...

  Dalle minuscole stalattiti calcificate che pendevano dai bulloni del soffitto cadeva di tanto in tanto una goccia di acqua fuliggino­sa. Furono la prima cosa che Eden vide riprendendo i sensi. Un dolore intenso le tormentava la gamba destra. Una tempia le pulsava in modo sordo.

  Alzò la mano e si toccò la faccia, adagio. La pelle sulla fronte era tesa. C'era un taglio, non lungo, ma il sangue le era colato sulle sopracciglia, raggrumandosi. Le braccia e il torace sembravano più in basso delle gambe. Era ancora sulle scale, stesa all'ingiù.

  Con cautela, girò il capo.

  Era in fondo alla scala, vicino all'ingresso del corridoio che conduceva alle banchine. Riuscì a drizzarsi a sedere senza soffri­re troppo. Mani e ginocchia erano piene di abrasioni. Le ossa principali sembravano intatte, anche se alla gamba destra si era prodotta sicuramente uno strappo muscolare. Perché l'altro tipo sulla scala non l'aveva soccorsa? Possibile che lei avesse scambia­to l'eco dei propri passi per la presenza di una persona?

  Si alzò in piedi, malferma. Il tessuto sottile della gonna era la­cerato su un fianco. Per quanto tempo era rimasta svenuta? Il quadrante del suo orologio era rotto, le lancette si erano fermate appena oltre mezzanotte. Mentre si ripuliva alla bell'e meglio, si rese conto che le tremavano le mani. La camicetta era coperta di macchioline di sangue secco. Appoggiandosi al muro, si staccò barcollando dalla scala e imboccò l'angusto corridoio. Le luci erano ancora accese. Forse l'ultimo treno non era ancora transi­tato. A meno che i corridoi non rimanessero illuminati tutta la notte...

  Entrambe le banchipe della Linea Nord erano deserte. Il ta­bellone elettronico appeso al soffitto sembrava spento. Eden si appoggiò al cartellone pubblicitario di un nuovo film di Steven Spielberg e cercò di riordinare le idee. Possibile che avessero chiuso la stazione con lei dentro? Forse avrebbe dovuto trascor­rere la notte tutta sola, a parte la compagnia dei topi grigiastri che andavano in cerca di rifiuti tra i binari. Quel pensiero la ter­rorizzò.

  Con la coda dell'occhio colse un movimento rapido. Alzò lo sguardo e vide la segnalazione sul tabellone. I led rossi annun­ciarono:

  HIGH BARNET 3 MINUTI

  Grazie al cielo! Si abbandonò su una scomoda panchina di me­tallo e cominciò a respirare lentamente, calmandosi. Le mani le dolevano. Il taglio sul ginocchio aveva ripreso a sanguinare. Guardò ancora il tabellone:

  HIGH BARNET 2 MINUTI

  Chiuse gli occhi, premendo il capo contro le piastrelle fresche del muro. Se Dexter mi avesse portata a casa con lui, questo non sarebbe successo, pensò. È finita. Abbiamo chiuso. Quando non pensa al sesso, mi ignora. E poi, i suoi video sono noiosi. Cercò di non badare al bruciore alle mani, attendendo il treno. Aprì gli occhi e guardò di nuovo:

  HIGH BARNET 1 MINUTO

  La gonna era rovinata. Avrebbe fatto causa all'Azienda Tra­sporti di Londra per negligenza, o almeno avrebbe preteso come risarcimento che le pagassero un vestito nuovo. Aveva rischiato di uccidersi! Erano scale pericolose. Chissà come facevano le persone anziane a servirsene? Una volta a casa, avrebbe subito telefonato a Dex, raccontandogli tutto. O forse no... meglio un bagno, prima, un bel bagno caldo. Sperava che il taglio sulla fronte non fosse una cosa grave. Forse sarebbe stato necessario un punto di sutura. Stava frugando nella borsa, cercando il por­tacipria, quando l'aria nel tunnel cominciò a vibrare annuncian­do l'arrivo del treno. Osservò ancora il tabellone:

  HIGH BARNET TRENO IN ARRIVO

  Di colpo la scritta sparì, e ne apparve un'altra maiuscola, lam­peggiante:

  CORREZIONE

  Probabilmente avrebbero annunciato che quel treno era diret­to all'altro capolinea, Edgware. Per lei non cambiava nulla. Scendeva alla fermata dove la linea si biforcava. Il rumore del treno in arrivo aumentò e si trasformò in un rombo profondo, rimbombante. Ma non c'erano echi di un contatto metallico in quel rumore, come se le carrozze sfiorassero le rotaie spinte da una raffica di vento. Guardò il tabellone su cui guizzava una nuo­va scritta:

  eden

  Lo fissò, allibita. Impossibile che stesse mostrando il suo no­me... assurdo! Le lettere corsero via rapidamente, e ne compar­vero altre:

  brucia all'inferno troia

  Il respiro le si strozzò in gola. Non stava arrivando nessun tre­no. E qualcosa di grosso, oscuro, inarrestabile, qualcosa di mali­gno e feroce, non un treno che la portasse in salvo, e lei aveva bisogno di fuggire al sicuro adesso. Si alzò dalla panchina, e il ven­to mugghiante eruppe dal tunnel come una creatura viva. Men­tre correva verso l'uscita, folate d'aria sudicia arroventata la tra­volsero, mozzandole il respiro, sbattendola contro la parete della banchina. Un getto di rifiuti esplose dal cestino accanto a lei. Eden si staccò dal muro e barcollò verso la scala mobile, coi tim­pani oppressi da ondate tonanti di pressione dolorosa. Quando svoltò nel corridoio, ebbe un tuffo al cuore. L'ultimo pezzo di scala era stato tolto per i lavori di riparazione. Nel buco s'intra­vedevano degli ingranaggi luccicanti d'olio. Eden spinse da parte la transenna metallica rossa, mentre il vortice venefico le investi­va la schiena. I quattro gradini mancanti creavano un'apertura di circa due metri e mezzo. Se fosse riuscita a superare quell'osta­colo, avrebbe potuto correre fino alla sommità e svegliare la bigliettaia addormentata.

  S'aggrappò al corrimano di gomma e si arrampicò lungo un la­to. Le raffiche impetuose cercavano in tutti i modi di farle perde­re la presa. Eden allungò una gamba, poi l'altra, e all'improvviso si trovò sui gradini al di là dell'apertura. S'inginocchiò, prorom­pendo in una risata isterica quando si rese conto di essere final­mente in salvo. Il vento attorno a lei era cessato con la stessa ra­pidità con cui si era alzato. Nel silenzio assoluto, Eden si drizzò in piedi e cominciò la ripida ascesa per raggiungere di nuovo l'a­trio della stazione.

  E subito i gradini scorsero verso il basso rumorosamente, spo­stati dal suo stesso peso. Eden perse l'equilibrio e cadde all'indietro, finendo tra gli ingranaggi sotto la scala mobile, e gli scali­ni scivolarono sopra la sua testa, chiudendo l'apertura con un clangore assordante.

  21

  Sarcofago

  Si svegliò nell'oscurità. Un calore oleoso le opprimeva la pelle viscida. Il suo corpo era incastrato tra strutture d'acciaio. Giran­do la testa contusa, Eden vide una luce gialla intensa scintillare attraverso le fessure della scala sopra di lei. Aveva l'impressione di stare smaltendo i postumi di una sbornia colossale; sapeva che probabilmente avrebbe vomitato se avesse cercato di drizzarsi a sedere. Suoni smorzati filtravano tra i meccanismi, voci di uomi­ni, che chiacchieravano. All'improvviso, un rumore lacerante, metallo contro metallo, un ritmo secco e serrato che echeggiò nella sua prigione di ruote dentate e di sbarre. Doveva parlare, far sapere che era lì, lì sotto, lì dentro. Ma prima ascoltò.

  Fu il suo ult
imo errore.

  Il giovane operaio oltrepassò il cancelletto di sicurezza e chia­mò il compagno in fondo alla scala mobile. — Ehi, Ray, hai lì la borsa degli attrezzi? — L'operaio più anziano alzò lo sguardo. — Qualcuno si è divertito a fare lo stronzo e ha spostato le cose — disse. — L'avevo lasciata aperta ieri sera. — E indicò i gradini che si erano chiusi.

  — Vuoi una mano a riaprirla? — chiese il giovane, preparan­dosi a scendere dal collega. La stazione era aperta da poco più di mezz'ora, e solo pochi pendolari erano giunti a destinazione per iniziare il lavoro nel West End.

  — No — rispose Ray, allungando la mano verso il quadro di controllo. — Stai indietro. La riporto su. — Inserì la chiave, la girò e premette il pulsante rosso di avviamento. Si udì un rumo­re raccapricciante quando la scala si mosse vibrando, e un urlo disumano scaturì dall'interno.

  — Spegni! Spegni 'sta cazzo di scala!

  Gli operai si precipitarono sulla fessura e cercarono di forzarla facendo leva con un martello a coda e un piede di porco. Mentre allargavano a fatica l'apertura, il grido cessò, trasformandosi in un rumore di liquido gorgogliante. Ray estrasse di tasca una tor­cia elettrica e illuminò il buco. Quello che vide l'avrebbe accom­pagnato per il resto dei suoi giorni. Il corpo della ragazza era nel­lo stesso punto in cui era caduto la notte precedente. Solo che adesso non sembrava più un corpo umano, dopo essere stato la­cerato diagonalmente in due pezzi dalla massiccia catena di tra­smissione della scala mobile.

  Ray si appoggiò alla transenna, terreo in viso. — Non lo sape­vo — cercò di spiegare. — Come potevo saperlo? È stato un inci­dente.

  — Come posso saperlo? — chiese Sharpe. — Devi dirmi cosa succede, Harry. Se qui non sei felice, dimmelo, e troveremo una soluzione. — S'interruppe, lasciando che la minaccia venisse recepita. — La settimana scorsa non ti sei quasi fatto vivo in uffi­cio. Mi hai piantato in asso nella presentazione dell'analcolico.

  — Si alzò e si portò davanti alla scrivania, appoggiandosi al bor­do in quella che Harry interpretò come la sua posa paterna. — Ci sono parecchie persone che aspettano tra le quinte una posizione come la tua. Persone più ambiziose, più aggressive, più giovani, che non hanno nulla da perdere. So che la morte di tuo padre è stata uno shock, ma la vita dell'azienda continua. Parlami, Har­ry. — Soddisfatto di avere esposto il problema in modo conciso, Sharpe succhiò il sigaro che si stava spegnendo.

  Harry si chiese cosa dovesse dire al direttore. Di solito nelle conversazioni con Sharpe applicava uno degli insegnamenti del corso di pubbliche relazioni, le affrontava come gli avevano inse­gnato ad affrontare la stampa scandalistica: tenendo la bocca chiusa. Quello non era certo il momento adatto per confessare che era sempre più disilluso riguardo al proprio lavoro.

  — Ci sono un paio di cose che devo sistemare — disse infine.

  — Sto attraversando un periodo difficile, ma non c'è problema, è tutto okay.

  — Forse per te, Harry, ma non per me. Io devo sapere che ogni membro del mio. gruppo è là nella mischia a darsi da fare per i nostri clienti. — Il tono di Sharpe si addolcì. — Harry, Harry... — Per un attimo orribile, Harry pensò che Sharpe stes­se per gettargli un braccio paterno attorno alle spalle. Gli piace­va quel gesto, nonostante fosse appena poco più vecchio di Har­ry. — Eri l'uomo più duro della squadra. Che è successo? Sem­bra che tu non abbia più l'interesse di un tempo. Forse hai solo bisogno di qualcosa di stimolante. Be', sei fortunato. — Sharpe si tolse il sigaro di bocca e ne fissò l'estremità spenta, mentre si toglieva un pezzo di tabacco dalle labbra. — La nostra agenzia ha un nuovo cliente.

  — Non pensavo che fossimo a caccia di clienti in questo mo­mento.

  — Infatti. È un acquisto dovuto a una conoscenza di vecchia data del nostro presidente. Intendo affidarti la stesura di una re­lazione. Il nostro cliente vuole informazioni sui costi e sull'effica­cia delle campagne televisive nazionali inserite nella fascia di massimo ascolto. Gli ho detto che eri l'uomo adatto per questo incarico.

  Sharpe prese una cartella di plastica dalla scrivania e gliela porse. — I particolari sono tutti qua dentro. I dati gli servono tra una settimana.

  Harry guardò il logo d'argento stampato in rilievo sulla cartel­la. Diceva:

  ODEL CORPORATION

  Comunicare Oggi il Futuro

  — Ho parlato a quelli della odel dei tuoi successi passati — proseguì Sharpe. — Sono ansiosi di conoscerti.

  Il mercoledì pomeriggio trascorse in un bailamme di confusio­ne e informazioni sbagliate. Prima, una delle dattilografe fu vista piangere nella toilette femminile. Poi, una telefonata della fami­glia di Eden annunciò che la ragazza era morta. Non fu fornito alcun particolare sulle circostanze esatte dell'incidente e, come le dicerie in tempo di guerra, la notizia si diffuse rapidamente in tutto l'edificio arricchendosi via via di dettagli macabri. Infine, l'intera storia apparve sulle edizioni successive dell'Evening Standard. Con un cattivo presentimento, Harry prese una copia del giornale e l'aprì con fare circospetto.

  Evening Standard

  Giovedì 23 aprile

  RAGAZZA MUORE INTRAPPOLATA

  NELLA SCALA MOBILE DEL METRO

  Ignorate le conclusioni di un'indagine sui pericoli delle scale

  Nelle prime ore del mattino, nella stazione della metropolitana di Tottenham Court Road, alcuni operai hanno scoperto il corpo di una giovane donna incastrato negli ingranaggi della scala mobile. Si ritiene che la donna stesse rincasando tardi e che sia caduta nel buco rimasto aperto in seguito ai lavori in corso. L'identità della vittima non viene rivelata in attesa di informare i parenti.

  NESSUN RISCHIO ECCESSIVO PER I VIAGGIATORI

  Nelle ultime sei settimane, in quella stazione trafficata, due scale mobili su tre sono state disattivate in seguito a guasti. E anche se il punto dove si svolgono i lavori di riparazione viene sempre la­sciato aperto e incustodito di notte, i responsabili della stazione hanno prontamente fatto rilevare che l'area in questione era tran­sennata e che erano stati messi i segnali di pericolo, come previ­sto dalle norme di sicurezza standard. "Lavori di questo tipo si svolgono in tutta la rete della metropolitana senza alcun rischio eccessivo per i viaggiatori" ha dichiarato oggi pomeriggio un portavoce dell'Azienda Trasporti di Londra.

  un'indagine ha denunciato la situazione di pericolo

  La polizia non sa spiegare come mai la vittima abbia superato la transenne di sicurezza e non abbia notato i cartelli di pericolo vi­sibilissimi in fondo alla scala mobile. Anche se la possibilità di un omicidio non è ancora stata esclusa, gli investigatori affermano che, stando ai primi indizi, dovrebbe trattarsi di un'ipotesi estre­mamente improbabile. Sei mesi fa, un'indagine dell'Ente Tutela Consumatori ha denunciato quanto siano pericolosi per il pubbli­co i lavori in corso nella rete della metropolitana.

  (Servizio a pagina 4)

  Deputato critica aspramente le "stazioni trappola"

  (Segue a pagina 13)

  Harry infilò il giornale nella cartella della odel e tornò in uf­ficio. Eden, morta? Com'era possibile? Cercò di cancellare il pensiero della ragazza intrappolata in un sarcofago d'acciaio, che annaspava mentre sprofondava nell'oscurità. Assurdamen­te, si pentì di non essersi sbrigato a regalarle le scarpe che desi­derava. Adesso era troppo tardi. Entrando nel proprio scomparto, trovò, con sua sorpresa, Grace che lo aspettava seduta sul divano.

  — Dovevo venire — gli disse, alzandosi. — Era una cosa ur­gente.

  — Già, a quanto pare. — Harry versò del caffè bollente in due bicchieri di plastica. — Mi spiace che la mia segretaria non ti abbia annunciata, ma l'hanno appena trovata morta dentro una scala mobile.

  — Cosa? — Lo shock di Grace era più visibile del suo. — Com'è possibile?

  — Non ne ho idea. Forse l'hanno scambiata per me. La stampa si è già impossessata della notizia. — Harry le lanciò il giorna­le. — Sto vivendo in una specie di incubo. È di questo che volevi parlare?

  Grace alzò lentamente lo sguardo dal titolo e lo fissò. — Ho telefo
nato di nuovo alla signora Nahree. Non c'era. Ho parlato con suo figlio.

  — Lei dov'è?

  — All'ospedale, Harry. — La voce di Grace era bassa e misu­rata. — È diventata cieca.

  — È un'autolesione, purtroppo — disse il dottor Clarke, aspi­rando con aria colpevole un'ultima boccata dalla sigaretta prima di gettare il mozzicone nel cortile sporco sottostante. — Si è ac­cecata con un saldatore. Suo figlio l'ha trovata barricata in casa, che piangeva. Era in quello stato da parecchie ore, ma i vicini hanno ignorato i lamenti. — I tre erano sulla terrazza di cemento sul retro dell'ospedale, l'unico posto dove potevano parlare tran­quillamente, a quanto pareva. — L'ho visitata sabato mattina, dopo che aveva trascorso un giorno sotto sedativi. Abbiamo ese­guito due interventi. Uno per asportare il tessuto leso, l'altro per cercare di salvare le retine. Speravamo di restituire parzialmente la vista a un occhio. Non siamo stati fortunati.

  Grace si staccò dalla ringhiera e fissò Harry oltre le spalle del medico. La ragazza aveva un'aria esausta.

  — Ci sono stati altri casi del genere in passato. Non è certo un fatto comune, però non è nemmeno una novità. Certe persone hanno perso la vista fissando semplicemente il sole. Ci vogliono circa sei ore. In alcuni casi, il paziente ha riacquistato parzial­mente la vista per un giorno o giù di lì, solo per un breve perio­do. Poi subentra la cecità permanente.

  — Perché fare una cosa simile? — chiese Harry.

  — A volte c'entra il fanatismo religioso, anche se non so se ci troviamo di fronte a un caso del genere.

 

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