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Rune Page 15

by Christopher Fowler


  — Quando pensa che potrà parlare, la signora?

  — Adesso è sveglia, ma posso permettere solo le visite dei parenti per ora. La signora parla, ma non dice cose molto sen­sate. Le abbiamo somministrato dosi massicce di antibiotici per arrestare l'infezione; i suoi occhi si stanno coprendo di croste, l'organismo cerca di riparare il danno. Quando le sue condizio­ni si saranno stabilizzate del tutto, avrà bisogno di cure psichiatriche.

  — Lei le ha parlato, dottore? — chiese Harry. — Si è fatto un'idea di cosa le sia passato per la testa?

  — Oh, sembra felicissima di come sono andate le cose, è questo l'aspetto più sconcertante. È stato un gesto intenzionale e de­liberato.

  — Ma perché?

  — Ha detto a suo figlio che si è trattato di una specie di prote­zione — rispose Clarke, prendendo distrattamente un'altra siga­retta dal pacchetto sgualcito nel taschino. — Dice che l'ha fatto per proteggersi dal Diavolo.

  — Questa storia sta diventando troppo strampalata per me — commentò Grace, mentre uscivano e attraversavano il parcheg­gio dell'ospedale. — Che diavolo sta succedendo da queste par­ti?

  — Pensavo che potessi illuminarmi un po' tu.

  — Cosa vorresti dire?

  — Be', sembra che sia stata tu a dare il via a questa faccenda. — La frustrazione di Harry aveva bisogno di scaricarsi in qualche modo. Si sfogò trasformandosi in un sarcasmo irrazionale nei confronti di Grace.

  — Io ho dato il via? Cristo, questa è bella. — Grace salì nella cabina di guida e sbattè con forza la portiera. — È tutta colpa di tuo padre. Perché scappava? — Accese il motore con un'accelerata rabbiosa. — Se sei tanto in gamba, come mai non riesci a scoprirlo, eh?

  — Aspetta! Senti, mi dispiace, scusa. — Harry agitò le braccia davanti al camion, mentre lei usciva dal parcheggio in retromar­cia. — Ho bisogno del tuo aiuto.

  Questo era quello che Grace voleva sentire. — Continua.

  — Devo intrufolarmi nella sede dell'Instant Image.

  — E come? In questo momento, Brian Lack ti vedrebbe vo­lentieri morto. Immagino che potremmo penetrare nel palazzo di notte e perquisire la sua scrivania.

  — Proviamo un sistema legale, prima — disse Harry. — Devo occuparmi della pubblicità della odel. Chiederò un incontro con Daniel Carmody e cercherò di sapere qualcosa da lui sull'a­zienda di mio padre. — Le spiegò cos'era successo con Sharpe in precedenza.

  — Giusto — disse Grace, invitandolo a salire con un cenno. — Se dobbiamo cacciarci in guai seri, tanto vale fare le cose in gran­de stile e cominciare dall'alto.

  22

  Carmody

  Si riunirono nella sala del consiglio d'amministrazione al dicias­settesimo piano dopo la chiusura serale degli uffici. I direttori della odel erano stati pregati di presentarsi al completo. Nessu­no riusciva a immaginare come mai la riunione dovesse svolgersi così tardi. Perfino il vecchio Harwood aveva accettato controvo­glia di sedere per un po' all'estremità del tavolo. Una sedia era ancora vuota. I direttori fumavano, giocherellavano coi bloc-notes, conversavano... qualsiasi cosa pur di nascondere il fatto di essere trattenuti lì da una persona più potente di loro. Tutte le teste si girarono quando la porta si aprì e apparve Daniel Car­mody.

  Il nuovo amministratore delegato era un uomo molto alto e magro, con capelli grigioneri legati in un codino elegante sulla nuca. Il suo occhio sinistro era di un azzurro vivo penetrante; quello destro, pur essendo di una tinta grosso modo uguale, ave­va la fissità inerte del vetro colorato.

  Daniel Carmody prese posto a capotavola, posò la borsa e ne tolse un taccuino di pelle nera. Rivolse un brusco cenno di saluto ad Harwood, quindi si voltò verso gli altri seduti attorno a lui.

  — Non vi ruberò molto tempo, signori, ve l'assicuro. Come sapete, la nostra espansione in nuove aree di sviluppo tecnologi­co deve entrare nella fase successiva all'inizio di luglio, tra poco meno di tre mesi. Dopo un accurato esame, però, ho deciso di anticipare quella data al mese prossimo. — La sua voce aveva un vago accento atlantico.

  Ci fu un mormorio di stupore attorno al tavolo. — Non può prendere una decisione del genere da solo, Carmody — disse un direttore. — Non siamo assolutamente pronti. Sarà necessaria una votazione del consiglio.

  Carmody guardò l'uomo che aveva parlato. Un occhio girò, l'altro rimase fisso. — È proprio per questo che vi ho riuniti qui questa sera — disse lentamente. — Ho bisogno del vostro con­senso e del vostro appoggio prima di procedere.

  — Perché dobbiamo stringere i tempi? — chiese un ometto dai capelli radi sulla sinistra del tavolo.

  — C'è un problema. — Carmody alzò il taccuino. Per un atti­mo sembrò un predicatore fanatico che si accingesse a condanna­re i mali del bere. — I nostri concorrenti hanno appena svelato dei progetti che, se attuati, consentiranno loro di occupare i mer­cati di New York e Hong Kong prima del previsto, precedendoci di almeno un mese.

  — Davvero? Stento a crederci. Non ho sentito nessun rappor­to in tal senso dai nostri rappresentanti del settore. — La voce aspra e gracchiante proveniva dall'estremità del tavolo. Sam Harwood era presidente della società da molti anni, e l'aveva guidata senza incidenti attraverso cambiamenti di ragione socia­le, fusioni e assorbimenti. A settantuno anni, godeva ancora del rispetto e della fedeltà dei suoi dipendenti. Inoltre, era l'unica persona attorno al tavolo disposta a contraddire apertamente il nuovo amministratore delegato.

  — Forse i suoi rappresentanti conoscono il mercato meno di quanto pensa, signor Harwood. Oggi pomeriggio l'indice aziona­rio dei nostri concorrenti è salito di parecchi punti dopo il loro annuncio circa l'impiego di nuove tecnologie a fibre ottiche.

  Daniel Carmody aveva un effetto sconvolgente sulla maggior parte dei dirigenti. Anche se era in carica da appena tre mesi, col suo distacco, il suo atteggiamento di degnazione verso i collabo­ratori, e la sua apparente mancanza di cuore, si era già creato un numero considerevole di nemici. Ma nessuno poteva negare la remuneratività delle sue idee originali, né la sua lungimiranza nel dar vita a politiche aziendali a lungo termine da cui alla fine avrebbe tratto profitto ogni dipendente della odel.

  — Ora, fornendo prove documentate, dimostrerò ai presenti che, se non anticiperemo la data d'avvio del programma, perde­remo il vantaggio che abbiamo recentemente conquistato con tanto successo. — Carmody si alzò e si sporse in avanti, appog­giando le mani sul tavolo. — Attrezzarsi per soddisfare la nuova domanda è un'impresa difficile ma non insormontabile. Il nostro maggior problema è la paura. È un'emozione che voi tutti ema­nate, la sento... Paura di espandersi troppo in fretta, paura di fallire. È per questo che sono qui. Per scacciare le vostre paure e sostituirle con qualcosa che so che apprezzerete tutti quanti. Un'aggressività aziendale che porterà a un aumento della reddi­tività.

  Tornò a sedere e guardò Harwood. — I vecchi sistemi non so­no sempre i migliori — disse, chiaramente allusivo. — Non pos­siamo starcene qui e aspettare di vedere come reagisce il merca­to. Dobbiamo colpire con forza e tempestività, e dobbiamo agire subito.

  Quando i direttori uscirono in fila dalla sala, Carmody sapeva già di poter contare sul loro voto favorevole. Lui era il nuovo or­dine; lo detestavano, però si fidavano. Aveva la sicurezza e la capacità di unire quel gruppo eterogeneo di società e presentarle al mondo come un insieme compatto. Presto si sarebbero inseriti in ogni settore delle comunicazioni, dagli studi per la produzione di programmi da vendere, alla rete di satelliti, alla pubblicazione delle riviste di programmi settimanali che gli spettatori tenevano sempre accanto. Un sistema completo, dall'inizio alla fine. Un sogno a portata di mano.

  Dopo che l'ultimo uomo fu uscito, Sam Harwood chiuse la porta.

  — Voglio parlarti un attimo in privato. — Per non affaticare troppo le gambe artritiche si appoggiò allo schienale di una se­dia. — Nessuna rete ha intenzione di anticipare i programmi di espansione, e tu lo sai. Perché hai deciso tutt'a un tratto di strin­gere i tempi? Voglio un motivo concreto.

  — Credo che tu conosc
a già il motivo, Sam. — Carmody si av­vicinò al vecchio, sovrastandolo. — Hai approvato la cosa in li­nea di massima circa due settimane fa.

  — Avevo scelta? Hai detto che era indispensabile. — Har­wood s'interruppe, cercando un eufemismo adeguato, temendo che qualcuno potesse ascoltare dietro la porta. — Indispensabile per sistemare questo contrattempo.

  — Ed è stato fatto, te lo garantisco. — Carmody posò una ma­no scarna sulla spalla di Harwood in un gesto irritante di rassicu­razione. — Entro la mezzanotte di domani l'ultimo colpevole non sarà più in circolazione. Ma c'è un nuovo problema, Sam. Dobbiamo comprare un'azienda, e dobbiamo sbrigarci. — Tor­nò al proprio posto e consultò il taccuino. — Un'azienda che si occupa di videocassette, la Instant Image. Dio, non ci serve pro­prio, però bisogna farlo.

  — E se non accetteranno la proposta?

  — Già provveduto, Sam. Due soci hanno da poco abbandonato bruscamente questa valle di lacrime. L'ultimo socio è favore­vole alla vendita.

  — Intendi dire che noi...?

  — Sono stati loro a provocare la disgrazia che li ha colpiti: po­tevano scegliere. Il fatto è che non posso continuare ad acquistare delle società senza motivo. Anticipando la data del lancio uffi­ciale, posso stornare l'attenzione dalle nostre acquisizioni di minor conto.

  — Ma perché questa azienda?

  — Hanno ricevuto parte della spedizione.

  — Oh, Dio, no. Un'altra! — Harwood si abbandonò pesante­mente sulla sedia. — Quante ancora?

  — Non possono essere molte, non secondo i miei calcoli, Sam. Adesso capisci perché bisogna farlo?

  — Benissimo, ma nessuno spargimento di sangue, chiaro?

  — Non posso promettertelo. Non possono risalire alla odel, questo lo sai.

  — Non ti rendi conto che è sbagliato tutto questo? — gridò Harwood, infischiandosene della presenza eventuale di orecchie indiscrete. — Per anni questa società è stata condotta con correttezza. Volevamo guadagnare, naturalmente, però il senso mora­le non ci mancava. È stato tutto uno sforzo inutile?

  — Risparmiami la fesseria dell'uomo integerrimo senza pecca­to — sbottò Carmody, di colpo rabbioso. — Vorresti dire che non hai mai torto un capello a nessuno? Che non hai mai fregato nessuno? Dirigere una società è come impegnarsi in una guerra territoriale. Non ti metti a combattere se non sei disposto ad ac­cettare una distruzione limitata. Lascia che ti ricordi una cosa, Sam. — Avvicinò la faccia a quella del vecchio. — Questa socie­tà era sull'orlo della rovina quando ho presentato la mia soluzio­ne. Ho spiegato cosa comportava, e tu hai acconsentito. Hai vi­sto cosa avrei dovuto fare per raddrizzare la situazione. Ti è pia­ciuto il programma di espansione verticale, di conquista dei mer­cati internazionali. Come pensavi che ci saremmo riusciti? Que­sta è solo la punta dell'iceberg. Se credi che sia stato spietato fi­nora, non hai ancora visto nulla. Non hai sentito il Primo ministro? Siamo in un mercato libero, adesso. Ognuno per sé. Considerala una corsa. Chi ha del vantaggio sleale vince, e gli storpi vengono calpestati.

  Guardò divertito la faccia sgomenta di Harwood. — Allegro, Sam. Non ci sono storpi nella nostra organizzazione. Noi non as­sumiamo gli handicappati, lasciamo che i vincitori occupino gli spazi loro riservati. Ci aspettano guadagni enormi. La odel sta per diventare universale.

  Harwood si spostò indietro sulla sedia per allontanarsi dall'oc­chio fisso di Carmody. Il cuore gli martellava sotto le costole. Non si sarebbe mai aspettato di conoscere la vera paura a quel­l'età. Carmody chiuse la borsa con uno scatto secco.

  — Tornando a quella piccola azienda: ci saranno delle carte da firmare. Fai preparare i documenti necessari da qualcuno. — Sorrise ad Harwood dalla soglia. — Quando questa fase sarà conclusa, perché non ti prendi una vacanza? Perché non vai in qualche posticino tranquillo e dimentichi per un po' le tue re­sponsabilità manageriali?

  Rimasto solo nella sala riunioni, il vecchio si guardò le mani e vide che tremavano. Se solo non avesse permesso all'organizza­zione di Carmody di entrare nella società... ma era troppo tardi per le recriminazioni. Bisognava fare qualcosa. Bisognava fer­mare Carmody prima che trascinasse tutti quanti all'inferno, rifletté Harwood con una smorfia. Perché stavano proprio finendo dritti all'inferno.

  23

  Il file "incidenti mortali"

  — Non posso permettermi di pensare che qualcuno muoia per­ché è stato maledetto — disse John May, sbattendo il cassetto dello schedario. L'idea di riferire a qualcuno le loro conclusioni cominciava a spaventarlo. — Per me è imbarazzante perfino par­lare di questa teoria. Probabilmente, Hargreave ci farebbe sbat­tere fuori se lo sapesse. — Aveva momentaneamente dimentica­to che si stava riferendo all'amante del sergente.

  — Non vedo perché — disse la Longbright. — Anche lui si è occupato di casi piuttosto strani. Quella faccenda del Vampiro di Leicester Square, il massacro della Telecom Tower, gli omicidi del Savoy. Quindi, dovrebbe essere di mente aperta.

  — Invece, proprio perché ha già avuto a che fare con casi strampalati, non vorrà correre il rischio di esporsi di nuovo al pubblico ludibrio — replicò May. — Ora, abbiamo questo ti­zio... come si chiama...? — Schioccò le dita.

  — Buckingham. Harry Buckingham.

  — ...che è collegato a quattro incidenti insoliti e particolarmente cruenti. Suo padre viene trascinato via da un camion, la sua segretaria scompare dentro una scala mobile, il tipo che gli ruba l'auto si suicida, e l'amichetta del suo vecchio si fa investire da un treno. Eppure solo una di queste quattro persone, cioè Coltis, ha il pezzo di carta magico su cui dovrebbe esserci una maledizione. È un peccato che non riusciamo a collegare Buc­kingham a Dell o Meadows. Cosa ti ha detto quando è venuto al commissariato?

  — Nulla, anche se secondo me qualcosa sa, ma non lo vuole dire. — Janice consultò i propri appunti. May e il sergente ave­vano preparato un database d'identificazione reati per la rete lo­cale. Ogni incidente era stato registrato con una breve descrizio­ne della vittima e delle circostanze del decesso. I nuovi casi che rispondevano ai parametri del database venivano riversati nel fi­le chiamato "incidenti mortali". Janice e May intendevano con­trollarlo durante tutta l'indagine. Così sarebbe stato possibile esaminare ogni nuova informazione pertinente in cerca di indizi. Janice allungò la mano e chiuse la finestrella alle sue spalle. La pioggia aveva bagnato gli appunti sparsi sul tavolo. La sala ope­rativa era sorprendentemente tranquilla per un venerdì mattina.

  — Dov'è Arthur? Non gli avevi chiesto di venire?

  — È andato dal dottor Kirkpatrick, per ottenere altre infor­mazioni sui foglietti magici. Ci incontreremo più tardi.

  — Giusto così. Tanto è inutile cercare di spiegargli il sistema computerizzato. Un paio d'anni fa, molto controvoglia, ha segui­to un corso di elaborazione testi, ed è riuscito a cancellare parec­chi file importanti prima che gli vietassimo di entrare nella stan­za.

  — Tu e Bryant lavorate insieme da un pezzo, vero? — Janice osservò May che inseriva altri dati nel file.

  — Oh, sì. Siamo vecchi amici.

  — Ho sentito che alcuni del dipartimento trovano che sia un tipo difficile da controllare — azzardò Janice. — Sembra che a te dia retta più che a chiunque altro.

  — Be', abbiamo parecchio in comune. Almeno, l'avevamo. — May s'incupì, come se fosse affiorato un brutto ricordo. Indugiò per un attimo con le mani sopra la tastiera. — Oggi Arthur è davvero felice soltanto quando lavora sodo. — Riprese a batte­re. — E si capisce subito quando sta lavorando sodo, perché si lamenta in continuazione. Se comincia a essere affabile, allora bisogna stare attenti. — Guardò gli appunti di Janice. — La ra­gazza della metropolitana... Cerca la deposizione dell'operaio che ha acceso la scala mobile.

  — Già inserita. — Janice si sporse in avanti, richiamò il file e fece scorrere i rapporti. — Stando ai due operai, i gradini man­canti formavano un'apertura di un paio di metri...

  — È possibile che la scala si sia chiusa dopo che la ragazza era caduta nel buco? Janice controllò gli
appunti. — Dicono di no.

  — Dunque, o qualcuno l'ha chiusa dentro, o è stata lei a farlo. Aveva appena litigato col suo ragazzo...

  — Non l'ha accompagnata fino alla stazione.

  — E nemmeno Buckingham era nei paraggi. Peccato.

  — Vuoi fare un controllo comparativo medico-legale di tutti i casi nel file? Impronte, residui di contatto, analisi spettrochimica?

  — Ah, no, non direi proprio — sospirò May. — Richiede troppo personale, ed è troppo tardi. Il maggiore limite tecnico della scienza medico-legale è la scelta delle prove essenziali du­rante l'indagine iniziale. Immagino che ci sia stata una folla ete­rogenea di investigatori sui luoghi del delitto, tenendo presente che le prime chiamate avranno denunciato degli incidenti e non degli omicidi... il che significa paramedici, agenti, impronte di mani e piedi dappertutto. — Si drizzò, stendendo le braccia in­dolenzite. — Devo trovare un filo conduttore, un elemento co­mune, anche oscuro, indiretto. Anche se sembra inverosimile, non m'importa, lo voglio qui nel file. — Rifletté un istante. — E convoca di nuovo Buckingham per interrogarlo. Oggi stesso, se puoi. Tienilo sulle spine per un po'. Janice Longbright sorrise. — Sarà un piacere.

  — Mi dica, signor Buckingham, la sua vita è sempre così, o sta solo attraversando una settimana particolarmente brutta? — La voce del sergente aveva una sfumatura gelida e ostile che non era presente durante il loro primo incontro.

  — La prego, mi chiami Harry — sospirò Harry. — A questo punto, possiamo anche cercare di conoscerei meglio. — Osservò le finestre della saletta interrogatori, i vetri fuligginosi rigati di pioggia. La Longbright non era in uniforme, ma i suoi modi con­servavano la freddezza e la rigidità formale di quando era in servi­zio. Aveva cambiato abito, ma non atteggiamento. La stanza, piccola, fresca, verde, non offriva alcuno stimolo visivo ai suoi ospiti. Un tavolo di legno spoglio, due sedie e una lampada al neon. Harry era stato portato al commissariato controvoglia, e una volta arrivato lo avevano fatto aspettare più di due ore e mez­zo. Guardò l'orologio e vide che erano quasi le diciotto. Con grande collera del suo direttore, era stato prelevato durante un'altra riunione col cliente perché la polizia aveva bisogno di lui.

 

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