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Rune

Page 27

by Christopher Fowler


  Harry si era aspettato qualcosa di strano, ma non che si arri­vasse a tanto. Cos'era quella, una specie di lega tecno-nazista? Cominciarono a sudargli le mani.

  — Non dobbiamo mai perdonare né dimenticare le malvagità e i danni del nazismo — continuò la Mariposo. — Una società corrotta dal proprio potere. Il sistema runico male utilizzato ha distrutto colpevoli e innocenti, senza distinzione. Essendo colle­gato a Hitler, è caduto in discredito e, per la prima volta dopo di­versi secoli, in disuso. Nel mondo postbellico ha cessato di avere qualsiasi applicazione. Reintroducendo il sistema runico, ci inte­ressiamo solo delle sue applicazioni tecnologiche per il futuro. Ma dobbiamo sempre ricordare gli orrori del suo passato, e assi­curarci che non possano ripetersi.

  Tra un lieve scroscio di applausi, la signorina Mariposo si se­dette. Carmody si alzò e attese il silenzio.

  — Abbiamo anche parlato dell'ascesa della multinazionale moderna, che troppo spesso cresce senza aspirazioni, a parte quella dell'espansione continua. Dal più umile operaio ai massi­mi livelli dirigenziali, la odel è strutturata in maniera tale da es­sere diversa. Una società riflessiva che rispecchia gli obiettivi del suo fondatore, Sam Harwood, una multinazionale che realizzerà i sogni del suo personale. È così che siamo giunti ad adottare una filosofia runica che unisse le convinzioni personali all'attività imprenditoriale pubblica, permettendoci di conservare alti ideali e fruttando nel contempo ingenti profitti.

  Durante la riunione, per Harry non fu facile tenere a fuoco l'i­dea preconcetta che aveva di Carmody. Il magnate era mutevo­le. Si trasformava. Da peccatore in santo, e viceversa. Comun­que, l'immagine del filantropo visionario che gli stava presentando, non convinceva affatto Harry. Ad Harry sembrava comple­tamente falsa.

  — Pare inevitabile — continuò Carmody — che molte persone siano contrarie al rapido sviluppo di un'organizzazione quale la odel. Forse ritengono sbagliato che un sistema di armonia per­sonale si allei con un metodo che favorisce i risultati commercia­li... anche se penso che i nostri cugini giapponesi da molto anni stiano facendo proprio questo con grande successo. — Il contin­gente orientale mostrò il proprio apprezzamento. — Siamo qui per discutere della prossima fase del nostro programma di espan­sione... la nostra avanzata in Europa e in America. E soprattutto — tese una mano e l'allargò — per incoraggiare gli investimenti futuri dei nostri amici d'oltreoceano.

  Dunque, proprio quando sembrava che la riunione stesse adottando un tono quasi religioso, il suo vero scopo era emerso. In parte era un seminario, in parte una raccolta di fondi. Forse gli obiettivi ultimi della odel e delle società satelliti erano dav­vero nobili. Carmody proseguì.

  — La odel ha già acquisito un considerevole controllo fi­nanziario nella City. In Gran Bretagna, i nostri sostenitori so­no un gruppo potente e impegnato di uomini e donne. Ora questo potere può essere diffuso via satellite, attraverso le no­stre nuove reti televisive via cavo, attraverso le comunicazioni video e i sistemi di computer, fino agli altri centri finanziari del mondo.

  Mentre Carmody illustrava a grandi linee i programmi d'inve­stimento che avrebbero preceduto l'ingresso della odel nel ven­tunesimo secolo, nella mente di Harry cominciò a formarsi un'immagine più fosca. Troppe domande fondamentali erano senza risposta. Per esempio, qual era il prodotto della società? Tecnologia delle comunicazioni? Non sembrava un argomento su cui Carmody desiderasse soffermarsi. Quali erano esattamen­te quei suoi scopi altruistici? Come funzionava il sistema runico della odel? Quegli interrogativi rimasero tali nel prosieguo del­la seduta.

  Mentre venivano presentate relazioni e analisi finanziarie, Harry si distrasse. Dalla finestra della sala riunioni improvvisata, scorse il profilo della signora Carmody accanto a una lampada da tavolo nell'ala vicina. La donna rimase a lungo immobile dietro i riquadri della vetrata illuminata. All'inizio, sembrava che stesse leggendo. Poi una cameriera accese le luci nella stanza, e Harry vide che la signora stava semplicemente fissando un tratto di mu­ro vuoto.

  Alle otto, il gruppo lasciò la sala per cambiarsi per la cena, e Harry tornò nella sua stanza piena di spifferi. Seduto sul bordo della vasca di ceramica, in ascolto del gorgogliare dell'acqua nei tubi di rame lucidi, si rese conto che era giunto il momento di stabilire un piano d'azione.

  Ripensò alla figura inerte della signora Carmody. Forse era lei la chiave per capire il magnate. Finora non aveva mostrato molto interesse per gli illustri ospiti del consorte. Probabilmente aveva interessi propri, e non si occupava degli affari di Daniel. Harry osservò la vasca che si riempiva a poco a poco. Si chiese se sape­va che il marito era un pluriomicida.

  Le ruote del Boeing si staccarono dal nastro d'asfalto che scorreva velocissimo, e l'aereo s'impennò nel gelido cielo not­turno. Mentre viravano inclinandosi su Londra ovest, Frank vi­de le stelle che si spostavano e diventavano i lampioni cadmiati dell'autostrada sottostante. Cominciò a contare più in fretta, per tre, poi per cinque. Aveva le palpebre pesanti. Avevano trovato un altro modo per penetrargli nella mente. Lo stavano addormentando. Frank si sforzò di non perdere la coscienza, ma vide le luci svanire dal finestrino, e scivolò in un mondo di sogni.

  E che sogni! Era un gladiatore tracio, armato di scudo tondo e falce, in lotta coi mirmilloni sull'argilla insanguinata dell'are­na. Era un sannita, elmo dorato e pennacchio bianco, vincitore di diavoli, signore dei cieli, che abbatteva le creature infernali con un colpo di lama guizzante. Resistendo alle raffiche di ven­to, si teneva in equilibrio in cima alla montagna, guardia del corpo di Spartaco in persona. L'aria gelida gli sferzava il torso nudo, stringeva ancora la sciabola scintillante nel pugno rosso, era...

  Era nudo, coperto di sangue, davanti al portello aperto del­l'aereo, col frastuono dei motori sotto di sé. L'oscurità vorticosa gli risucchiò l'aria dai polmoni quando girò la testa di scatto per vedere il caos e la carneficina della cabina. La hostess era stesa su un fianco nel corridoio, perdeva sangue da uno squarcio al­l'addome. I passeggeri urlavano. Due, anzi tre, erano feriti, stringevano teste e petti insanguinati. Frank si era lacerato i ve­stiti con il frammento-spada di specchio, aveva spalancato il por­tello d'emergenza centrale, piazzandosi a gambe e braccia divari­cate davanti all'apertura, e urlava nella notte mentre il Boeing ballonzolava su e giù come un vagone delle montagne russe. La differenza di pressione rispetto all'esterno creava un vortice tre­mendo nella cabina, mentre il pilota cercava disperatamente di stabilizzare l'aereo.

  Con la scheggia di specchio conficcata nella destra, stringendo con la sinistra l'orlo del portello, Frank Drake guardò l'universo ondeggiante, le luci celestiali così pure, così vivide... talmente cristiane che scacciarono i demoni pagani dalla sua mente, bru­ciandoli. Il possente apparecchio si aprì un varco tra milioni di stelle, le sue bianche pareti di acciaio curvo riflettevano la radio­sità di una luna al neon.

  Mentre i motori strapazzati si lamentavano ululando, la figura nuda, una X che si stagliava controluce nel chiarore itterico della cabina, si librò urlando verso la destinazione finale.

  39

  Rumore bianco

  Come gli altri pazienti del reparto, John May era alle prese con un problema di origine virale. Lo aveva proprio davanti, sullo schermo del computer, e non sapeva come regolarsi.

  Venerdì sera, durante l'orario di visita, stava ancora rifletten­do, quando il sergente Longbright arrivò al suo capezzale. Janice constatò con piacere che le condizioni del detective erano note­volmente migliorate.

  — Tramezzini e pan degli angeli, vero? — disse, guardando il suo vassoio. — È bello sapere che certe cose non cambiano mai. — Cos'è questo? — chiese, battendo sullo schermo con un'un­ghia rosso vermiglio.

  — Qualcosa dalla bacheca elettronica sulla odel — rispose May. — A quanto pare, sono membri dell'Associazione di Ri­cerca per la Protezione dei Computer.

  — E cosa sarebbe?

  — Un'organizzazione che mira a controllare i pirati che inseri­scono virus nei sistemi informatici — spiegò May, aprendo un tramezzino ed esaminandolo. — È possibile crea
re software no­civo che si diffonde nelle reti di elaboratori danneggiando i file. Forse ricorderai il micidiale "Verme dell'Internet" americano... e ogni tanto salta ancora fuori il famoso virus "1813" o "Venerdì 13", che si attacca ai programmi e si mangia spazio di memoria. Questi virus possono essere programmati in modo tale da guasta­re o cancellare particolari file, e passano da un compuer all'altro su floppy disk infetti.

  — Sembra quasi una malattia umana.

  — Il meccanismo di base è identico. Fortunatamente, proprio come i dottori hanno scoperto degli antidoti per certe patologie, i programmatori hanno messo a punto del software antivirale "immunizzante" che protegge i dischi dall'infezione. La odel si è impegnata a contribuire alla difesa del settore con investimenti massicci in nuove tecniche di immunizzazione.

  — Non sembrerebbe un comportamento tipico della odel ostruzionista e reticente che figura nei nostri fascicoli — com­mentò Janice. — A meno che non intendano usare il processo di immunizzazione per scopi loro... Nessuna novità sul tuo aggres­sore, purtroppo, anche se abbiamo trovato la sua auto abbando­nata a qualche isolato di distanza, vicino alla stazione ferrovia­ria. Nessuna traccia della cassetta, sfortunatamente.

  — Se vogliamo incriminare un'organizzazione delle dimensio­ni della odel — rifletté May, mangiando il tramezzino — ci ser­vono due cose: delle prove concrete, e un quadro chiaro, assolu­tamente esatto, della situazione. Non è un avversario da prende­re sottogamba.

  — Qual è la prossima mossa?

  — Bryant ha detto che si sarebbe procurato l'archivio riserva­to della odel.

  — Lo sai che è illegale, a meno che non lo sequestriamo uffi­cialmente, e per ora non possiamo farlo.

  — Lo so. Intanto, moriranno delle altre persone.

  — Arthur ti ha spiegato come si sarebbe procurato quei dati? May spinse da parte gli avanzi del pasto e si abbandonò sul cu­scino. — Preferisco non pensarci.

  La cena a casa di Carmody fu un evento di un certo tono, di classe. Dopo la zuppa allo cherry e la millefeuille di gamberetti, fu la volta della langouste au poivre con asparagi. Com'era pre­vedibile, la cantina di Carmody era fornita di vini pregiati e rari. Harry si trovò seduto tra l'avvocato Slattery e un coreano dalla faccia arcigna che rimase in silenzio per tutto il pasto. Aveva spe­rato di occupare un posto vicino al magnate, ma la riunione sera­le aveva determinato un ordine preferenziale ira i colleghi di Carmody, e quelli che avrebbero fatto i maggiori investimenti nelle società satelliti della odel avevano il privilegio di stare a capotavola col padrone di casa.

  Dopo il loro precedente incontro, Harry non si aspettava certo un atteggiamento affabile e loquace da parte di Slattery, ma si sbagliava. Dopo lo scambio rituale di convenevoli, l'avvocato si piegò verso di lui, fissandolo con un occhio cerchiato di rosso. — Immagino che si stia chiedendo perché Daniel l'abbia invitata — disse. — Ormai avrà capito che non è qui come rappresentante della sua agenzia.

  — L'avevo pensato, in effetti. — Harry tagliò un asparago. — Non abbiamo avuto modo di parlare granché, Carmody e io.

  — Allora, forse posso fornirle dei chiarimenti. Le esigenze pubblicitarie della odel saranno estremamente specifiche. Daniel avrà bisogno di creare una équipe che possa dedicarsi a tem­po pieno a questo compito... un gruppo di collegamento tra lui e l'agenzia. Adesso, naturalmente, lei è ancora legato al suo uffi­cio, ma credo che forse riceverà un'offerta di impiego durante questo weekend.

  — Prima dovrò avere più informazioni sui vostri metodi di la­voro. — Harry posò la forchetta. — Ci sono parecchie cose che non capisco.

  — Daniel mi ha autorizzato a rispondere a qualsiasi sua do­manda.

  — Benissimo. — Harry dedicò tutta la propria attenzione al legale. — Tanto per cominciare, non capisco questa faccenda delle rune. Come funziona?

  — So che all'inizio sembra strano, ma è un sistema puramente simbolico, nient'altro. Ci sono parecchi libri sull'argomento in biblioteca. La signora Carmody sarà felice di darglieli.

  — È come la massoneria? — insistè Harry. — Ci sono altre società che riconoscono gli stessi simboli?

  — Non mi risulta. Questa struttura esiste solo nel gruppo odel, anche se comprende molte società diverse.

  Rendendosi conto che l'avvocato stava neutralizzando le sue domande invece di rispondere, Harry affrontò l'argomento da un'altra angolazione.

  — Cosa vuole la odel, se non è solo una questione di espan­sione? Daniel ha fama di filantropo. Mira alla pace mondiale? All'eliminazione del deterrente nucleare?

  — Daniel Carmody desidera quello che qualsiasi uomo equili­brato desidera, signor Buckingham. Un mondo decente in cui al­levare i propri figli. Ha tenuto molte conferenze in proposito. Troverà anche quelle in biblioteca.

  Dopo di che, Harry rinunciò e terminò il pasto in silenzio. Slattery sembrò non farci caso, e continuò a mangiucchiare, ascoltando il suo datore di lavoro che parlava dell'imminente in­gresso della società nel settore televisivo via cavo a New York.

  Conclusa la cena, il gruppo si ritirò nel grande studio per bere il caffè e il cognac. La signora Carmody fece una breve appari­zione, salutando cortese gli ospiti prima di andarsi a sedere in una poltrona lontano dal marito.

  I programmi d'espansione della odel erano sempre l'argo­mento di conversazione principale, e i presenti si divisero in gruppetti, comprendenti perlopiù persone della stessa nazionali­tà. Harry decise che era il momento opportuno per ingraziarsi la moglie di Carmody. Si alzò, attraversò la stanza e le si sedette ac­canto. Il magnate sollevò lo sguardo un istante quando vide che Harry cambiava posto, poi tornò a rivolgere ìa propria attenzio­ne alla discussione in corso.

  — Mi chiedevo quale fosse il suo nome — esordì Harry, sorri­dendo. — Non posso continuare a chiamarla signora Carmody per tutto il weekend.

  — Oh, mi scusi... mi chiamo Celia. Un nome così antiqua­to... lo detesto. — La donna aspirò un'ultima boccata dalla siga­retta prima di schiacciarla nel portacenere. Aveva un'espressio­ne tesa.

  — Io trovo che abbia un suono molto garbato.

  — Garbato — sbottò lei, quasi con rabbia. Anche se non ave­va partecipato alla cena, sapeva di alcol. — Comunque, credo che non mi vedrà più in questo weekend.

  — Oh, perché?

  — Succede sempre così.

  Ci fu una pausa imbarazzante, durante la quale Harry si spre­mette il cervello in cerca di un argomento adatto. Gli occhi grigi di Celia si spostarono nella sala senza interesse. Sembrava che la conversazione fosse una cosa superflua per lei.

  — Vive qui da molto tempo? — le chiese infine Harry.

  — Da una vita.

  — È una casa bellissima.

  — Sì.

  Celia si guardò attorno, improvvisamente a disagio. Harry os­servò le sue mani intrecciate e decise di insistere.

  — Avete dei figli?

  — No — rispose lei, troppo brusca, e rendendosi conto del proprio errore cercò di riparare. — Senta, signor Buckingham...

  — La prego, mi chiami Harry. — Mentre le riempiva il bic­chiere, notò che Carmody li stava osservando ^all'altro lato della stanza. — Gliel'ho chiesto solo perché questa casa sembra il po­sto ideale per allevare dei figli.

  — Mio marito è un uomo molto occupato. Spesso deve assen­tarsi per affari.

  — Appunto, una ragione di più per...

  — Non gli interessa, non ci interessa. Non possiamo farlo, non ne abbiamo il tempo.

  — Mi scusi, non intendevo essere importuno.

  — Non si preoccupi, non mi pare che sia stato importuno.

  Celia piegò il capo, e in quell'attimo Harry capì quanto odias­se il marito. Carmody aveva invaso la sua casa, aveva usurpato la sua vita, e lei non poteva perdonarlo.

  — Sembra che voi due vi siate affiatati subito. — La voce pro­fonda di Carmody risuonò all'improvviso. Harry rischiò un infar­to. — Celia, cara, non è ora che tu vada a letto? — Il magnate te­se una mano, e lei l'accettò docile. — Celia non è stata
molto be­ne negli ultimi tempi. Non voglio che i nostri discorsi d'affari la stanchino. — La donna uscì senza voltarsi, lasciando Harry in compagnia del capo della odel.

  — Spero che mia moglie non l'abbia annoiata — disse Car­mody, aspirando dal sigaro e rivolgendogli un sorriso allarman­te.

  — No, assolutamente. — Harry cercò di rispondere con la massima disinvoltura. — Lei si accattiva la fedeltà di tutti. Am­mirevole.

  — Non me l'accattivo, Harry, la esigo. È diverso. Slattery le ha già parlato? — Carmody non attese una risposta. — Se gli di­cessi di offrirle ufficialmente la direzione della mia équipe di col­legamento, accetterebbe?

  — Dipende.

  — Da cosa?

  — Da quello che è disposto a dirmi ancora sulla società. Vo­glio sapere come funziona il sistema runico. Lo usate con la con­correnza, vero? Con chi vi intralcia.

  Carmody osservò la punta del sigaro. — Se vuoi sapere di tuo padre, Harry, sarò felice di dirtelo.

  Harry avvertì un brivido lungo il petto. Cercò di mostrarsi il più calmo possibile. — Sarebbe già qualcosa, come inizio — fece lentamente.

  — Allora, vieni con me.

  Il finanziere lo precedette fuori dallo studio fumoso. In fondo a un corridoio alto che conduceva sul retro della casa, entrò in una grande serra vittoriana piena di piante tropicali coriacee, il­luminata dal chiarore basso di un pannello murale.

  — Innanzi tutto — esordì, incrociando le braccia — dimmi cosa pensi che sia successo. Poi ti dirò la verità.

  Harry si schiarì la voce. — In parte la conosco. Mio padre ha scoperto che un suo collega alla Instant Image aveva accettato del materiale appartenente a voi, non sapendo che si trattava di merce rubata. Così l'avete eliminato.

  — Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo?

 

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