Rune

Home > Other > Rune > Page 28
Rune Page 28

by Christopher Fowler


  — Sì.

  — D'accordo. Ma devo dirti che ti sbagli. L'azienda di tuo pa­dre sapeva benissimo quale fosse la provenienza del materiale acquistato. Però ignoravano un particolare: quei videotape non erano innocui come credevano. Al contrario. Naturalmente, nemmeno Coltis sapeva che si trattava di nastri speciali, altri­menti non li avrebbe venduti così a buon mercato.

  — Come mai ha rubato la mia auto?

  — Una semplice combinazione, una di quelle bizzarre coinci­denze che a volte capitano nella vita. La morte di Coltis, però, non è stata un evento fortuito. È stato punito per il putiferio che aveva scatenato.

  — Cosa c'era sui nastri, allora?

  — Facevano parte di una partita di materiale speciale, da usa­re solo in caso di massima emergenza. Frutto di un processo tec­nologico avanzatissimo.

  — Che utilizza le rune?

  — Precisamente. Quei nastri possono provocare danni fisici, e perfino uccidere. Tuo padre ne ha guardato uno, di sua sponta­nea volontà, e ne ha subito le conseguenze.

  Carmody gli posò una mano sulla spalla. — So che per te è sta­to difficile... ma cerca di capire la mia posizione. Immagina cosa succederebbe se, diciamo, un ladro penetrasse in uno stabilimen­to chimico e rubasse una coltura di batteri sperimentali. Se gli ac­quirenti della refurtiva morissero, di chi sarebbe la colpa? — La voce di Carmody aveva la forza di persuasione di un ipnotizzato­re esperto. Harry si sforzò di ricordare che l'uomo di fronte a lui si era macchiato del sangue di tutte le persone che avevano in­tralciato il cammino della odel.

  — Perché creare dei dispositivi così pericolosi? — chiese.

  — Le rune ci proteggono dai nostri nemici e dai rivali in affari. Non c'è bisogno di fare quella faccia shoccata. Oggigiorno non è insolito che le grandi società assumano dei killer, lo sapevi? Negli Stati Uniti, parecchie compagnie cinematografiche sono sotto accusa per questo motivo. Noi stiamo solo proteggendo i nostri interessi.

  — Non se persone innocenti ci vanno di mezzo.

  — Harry, non esistono più persone innocenti, ormai.

  Harry pensò alla morte di suo padre in una strada di Londra bagnata dalla pioggia. Vide Hilary stesa sul selciato, ridotta a brandelli. Beth, tranciata in due sul binario. Eden, imprigionata nella scala mobile. La tutela degli interessi sembrava una ragione maledettamente insufficiente per morire.

  Carmody lo stava osservando, cercando di valutare la sua rea­zione. Se adesso avesse fallito, poteva considerare chiusa la par­tita. Si sforzò di sorridere, conciliante. — Accetto la posizione — disse. — È un concetto interessante. Come funziona?

  Carmody continuò a osservarlo per qualche secondo, poi si ri­lassò e sorrise. Harry capì di avere appena fatto la sua migliore presentazione a un cliente. Aveva convinto il magnate della pro­pria buona fede.

  — La maggior parte del lavoro è già fatta — stava spiegando Carmody. — È tutto nell'alfabeto runico. Le rune sono tutt'in­torno a noi da secoli, ma noi non ce ne accorgiamo più. Queste semplici forme e configurazioni influenzano le nostre vite. Proiettate nella sequenza giusta, possono calmarci o farci arrab­biare, trasformarci in bulli aggressivi o in recettori passivi. Unite alla nuova tecnologia, possono aiutarci a sognare, o provocare degli incubi viventi.

  — Siete nel settore delle telecomunicazioni, adesso. Pensi che sia giusto adottare simili tecniche?

  — Harry, Harry... — Carmody alzò le mani, fingendosi dispe­rato. — Ormai, cosa c'è di giusto nel mondo degli affari? Lo spionaggio industriale è giusto? E che mi dici delle multinaziona­li del tabacco che stampano avvisi di pericolo di morte sui loro prodotti, dei produttori di alcolici che nella pubblicità spacciano stili di vita affascinanti alle loro vittime, delle compagnie d'assi­curazione che pagano solo quando non hanno più clausole a cui appigliarsi? Che mi dici dei produttori di bibite zuccherate e di dolciumi e di altra robaccia alimentare, delle società che utilizza­no la manodopera straniera e apppoggiano l'apartheid, delle in­dustrie che distruggono le foreste tropicali per poter stampare dei volantini e propagandare il loro senso ecologico? Qual è il li­mite da non superare, Harry? La tua agenzia ha degli uffici in Sudafrica. Qual è il tuo limite?

  Erano talmente vicini che le loro facce si toccavano quasi. L'occhio vitreo di Carmody fissava spento un punto imprecisato. Carmody abbassò le mani, in un gesto di rassegnazione, ma la tensione tra loro non svanì. Per Harry fu uno shock scoprire nel­l'avversario parte del suo stesso ardore.

  — Sai, Harry, via via che questi fornitori di bugie quotidiane ci seppelliscono sotto tonnellate di carta indesiderata, inquinan­do la nostra società con ideali immaginari irrealizzabili, mi rendo conto sempre più dell'assoluta giustezza del nostro cammino. So che qualcuno deve mostrare la strada, fungere da guida.

  Non capisce pensò Harry. È caduto nella stessa trappola fari­saica di ipocrisia. Crede che il mondo degli affari operi in una spe­cie di compartimento stagno morale, crede di non essere responsa­bile nei confronti della gente comune. Giudica le altre società, ma per la sua contano solo i risultati. Vuole imporsi ad ogni costo, e continuerà a fare a modo suo.

  Carmody prese una sedia e si accomodò. Con un cenno, invitò Harry a imitarlo. — Viviamo in un'epoca di rumore bianco — disse. — Tutti vogliono farsi sentire e gridano contemporanea­mente. Le rune sono un sistema per penetrare in questa barriera di rumore, sfondandola. — Raccolse una piànta ed esaminò le foglie screziate. — Se tu fossi uno scienziato e osservassi le no­stre rune codificate, diresti che le configurazioni provocano nel cervello reazioni sinaptiche dimenticate. Risvegliano emozioni primordiali sepolte in profondità, come una droga psichedelica, producendo allucinazioni. Possono evocare le paure più tremen­de di ognuno, le cose che ci terrorizzano maggiormente. L'uomo nero della nostra infanzia, la paura di cadere, la claustrofobia. L'esperienza è reale. Almeno, per l'osservatore. Ed è possibile programmarla perché accada in qualsiasi momento. Cinque mi­nuti dopo avere visto le rune, o cinque anni dopo. Ma se fossi un parapsicologo, diresti che le rune sono una maledizione, un me­todo per provocare delle vittime tutt'altro che casuale. Un modo di riportare il Diavolo sulla terra.

  — Prima dovete indurre qualcuno a guardare il vostro nastro, però.

  Carmody ridacchiò. — Oh, no, Harry, non hai proprio affer­rato. Quello era solo il nostro esperimento iniziale. Adesso pos­siamo digitalizzare le rune. Possiamo codificarle nei segnali ra­dio, registrarle sui compact disk, inserirle di nascosto nelle me­morie dei computer, nelle linee telefoniche, diffonderle via fax, radioteletrasmetterle, disseminarle nel crepitio etereo di scari­che statiche delle radioonde. Ci sono migliaia di sistemi diversi per comunicare, e noi possiamo usarne uno qualsiasi per tra­smettere le rune. Naturalmente, stiamo imparando a perfeziona­re il messaggio. Basta minacce di morte alla concorrenza o sim­boli tracciati grossolanamente su pezzi di carta. Stiamo allesten­do una rete via satellite che si rivolgerà direttamente agli utenti. Siamo di fronte a un sottile cambiamento delle abitudini consumistiche, a un'attenta alterazione delle priorità personali, a un riallineamento dei valori: come puoi immaginare, le possibilità sono infinite.

  Harry si rese conto di avere un ruolo insignificante nei piani di Carmody, e all'improvviso temette per la propria incolumità e per quella di Grace.

  — Stiamo usando le rune per cambiare il mondo — disse Car­mody. — È una responsabilità spaventosa.

  — Potreste anche creare un vero e proprio inferno... l'altera­zione di tutto ciò che è familiare, la distruzione del nostro mon­do... l'inferno.

  — Come sei cupo, Harry! Nessuno parla di distruggere il mon­do, solo di migliorarlo.

  — Come minimo, c'è un problema morale — disse Harry, senza riuscire a eliminare una sfumatura di sarcasmo dalla pro­pria voce. — Soprattutto se qualcuno vi chiede di incrementare le vendite di un certo prodotto. O se una lobby governativa vuo­le che convinciate gli elettori della sua integrità.

  Carmody lo fissò negli occhi, impassibile. — Se volessi farti morire — disse — avrei a mi
a disposizione mille metodi diversi. Ho io il coltello per il manico, Harry. — La maschera d'impassibilità si sciolse, e affiorò un sorriso. — Fortunatamente, conosco il tuo curriculum professionale, e penso che siamo dalla stessa parte. Andiamo. Gli altri si chiederanno dove siamo stati.

  40

  Rufus

  — È assurdo — borbottò Bryant. — È l'una e mezzo di notte. Non dovrei essere qui alla mia età. Dovrei essere a casa, sotto le coperte, con una copia di Bleak House. La prossima volta, man­dino uno più giovane.

  Oltrepassò l'ultima arcata di cemento, entrò in un tunnel male illuminato parallelo al fiume. Arrivato all'estremità, vide che sfociava in un ampio spiazzo sotterraneo delimitato da un muro circolare. In ogni direzione, si ramificavano dei sottopassaggi.

  Bryant si fermò e si appoggiò al bastone da passeggio, mentre l'eco dei suoi passi si spegneva nel silenzio. Si sentì piccolo in quell'ambiente. Quei passaggi pedonali sotterranei erano stati costruiti per permettere ai pendolari della vicina stazione di Waterloo di attraversare la grande rotonda in fondo al Waterloo Bridge. Di notte, però, quell'area si trasformava. Quando c'era buio, erano pochi i pedoni che percorrevano svelti quelle galle­rie. Le chiazze spettrali di luce fioca che dovevano attraversare li spaventavano.

  Bryant si voltò, e scorse una serie interminabile di pilastri sfal­sati... lo spiazzo cavernoso sembrava l'interno di una cattedrale gotica. Attorno alla base di ogni pilastro, come cirripedi attaccati ai pali di un pontile, c'erano alcuni scatoloni contenenti mucchi di stracci. Guardando meglio, si notava che c'erano esseri umani in quegli stracci. Bryant era arrivato a destinazione. Era a "Carton City". I turisti che lasciavano il tepore e la comodità del Na­tional Theatre coi programmi infilati sotto il braccio rimanevano shoccati imbattendosi in quella comunità improvvisata di derelit­ti. Era uno spettacolo che non poteva non rimordere la coscien­za, così i più fortunati abbassavano gli occhi e affrettavano il passo per raggiungere le loro auto.

  Armato solo della descrizione fisica fornitagli da May, Bryant cominciò a chiedersi come avrebbe fatto a individuare il suo uo­mo. Servendosi del computer che aveva accanto al letto, May aveva inserito un annuncio nella bacheca elettronica che la mag­gior parte dei pirati informatici leggeva di tanto in tanto, chie­dendo a Rufus di mettersi in contatto con loro. Quando Bryant era uscito, non era ancora arrivata nessuna risposta.

  — Sono un bersaglio ideale per i rapinatori... è come se avessi un cartello sulla schiena con su scritto derubatemi — brontolò, avanzando circospetto tra gli abitanti addormentati di Carton City.

  Sapeva che non era vero. Quelle persone erano stanche e de­luse da un sistema che sembrava incapace di soddisfare i loro bi­sogni, ma non per questo erano dei criminali. Guardò in ogni scatolone, cercando una faccia che corrispondesse alla descrizio­ne. C'erano ragazzini provenienti da famiglie disunite e da fami­glie felici, giovanotti che avevano l'aria di impiegati di banca, donne che non si adattavano all'immagine tradizionale della loro condizione. Metà di queste persone potrebbero essere miei colle­ghi rifletté mesto Bryant, proseguendo. Alle sue spalle si udì il rumore di uno skateboard che veniva bloccato e drizzato.

  — Cerchi me, vecchio. — Accento americano, nero, voce gio­vane. Bryant si girò lentamente e si trovò di fronte a un ragazzi­ne di nove anni che portava una maglietta larga cascante e ber­muda che lo facevano sembrare ancora più piccolo. I capelli era­no rasati in modo da formare un disegno a freccia.

  — Tu, detective? Amico, sei troppo vecchio per essere un de­tective! — Lasciò ricadere lo skateboard e vi montò sopra, riden­do.

  Bryant fremette. — Le apparenze possono ingannare, dovresti saperlo.

  — È la storia della mia vita, amico. Devi essere Bryant. May è all'ospedale, giusto? — Il ragazzino cercò di salutare il detective all'afroamericana, alzando la mano per dare una pacca alla sua, ma Bryant ritrasse la mano confuso. — Quell'uomo è un festaiolo, un tipo ganzo, capisci?

  — Be' — fece Bryant, esasperato — sento quel che dici ma non ho idea di cosa tu stia parlando.

  Nel mondo della pirateria informatica, Rufus era una leggen­da. Due anni prima, aveva provocato uno scandalo nazionale pe­netrando nei conti privati di Lady Diana e addebitando delle somme sulle carte di credito della principessa. Troppo giovane per essere perseguito penalmente, era stato affidato in custodia a un ente assistenziale, ma era fuggito come aveva fatto tante volte in passato.

  — Se leggi le condizioni dell'accordo e accetti, devi venire con me — disse Bryant, estraendo dalla giacca una busta piegata. Rufus la prese e lesse.

  — Qualunque cosa tu faccia — aveva detto prima May — non offendere la sua intelligenza. Anche se ha appena nove anni, il suo QI è 170. E non compatirlo. Vive al di là della legge perché gli piace.

  Rufus infilò in tasca la lettera. — Affare fatto — annunciò sor­ridendo. — Un minuto che chiudo la baracca. — Filò verso uno degli scatoloni più grossi e frugò all'interno. Bryant, che ignora­va il contenuto della lettera, si chiese cosa gli avesse offerto May in cambio della sua collaborazione. Rufus tornò, sfoggiando una felpa pulita col cappuccio bianco e un berretto nero con la visiera al contrario.

  — Ho un'auto qui vicino. — Bryant allungò la mano, ritraendola immediatamente. Doveva ricordarsi di non trattare Rufus come un bambino qualsiasi. — Devo portarti subito all'ospedale, poi puoi stare al commissariato come ospite, finché la tua parte di indagine non sarà finita.

  — Cavolo, amico, mi va benone. Ormai sono giorni che siamo in ammollo qua sotto.

  — Bene, allora andiamo da John. — Salirono la scala sudicia del sottopassaggio. — Com'è che conosci il mio collega?

  — Mi ha beccato l'anno scorso. Ma è stato okay. Gli ho fatto dei favori, mi ha mollato.

  — Perché John ti aveva arrestato?

  — Organizzavo quei party nei capannoni, ripulivo gli sballati in acido. Che pacchia, amico, una storia facile facile, un lavoret­to liscio liscio.

  — Molto interessante. — Bryant gli rivolse una strana occhia­ta e decise di non chiedergli nient'altro finché non fossero giunti a destinazione.

  41

  Celia

  Daily Mail

  Sabato 2 maggio

  DRAMMA A BORDO DI UN JET BRITANNICO

  La notte scorsa un volo della British Airways, partito da Heathrow e diretto ad Amsterdam, ha rischiato di concludersi tragi­camente quando uno dei passeggeri è impazzito: dopo aver ferito cinque persone, ha aperto il portello d'emergenza centrale della cabina e si è gettato nel vuoto. È stato reso noto oggi che si tratta di Frank Drake, 28 anni, bibliotecario, che viaggiava sul volo notturno senza bagaglio. Alcuni minuti dopo il decollo, un'assi­stente di bordo ha notato che Drake stava cercando di togliersi i vestiti. "Sembrava molto agitato" ha dichiarato la hostess Stacy Drabble. "Una mia collega gli si è avvicinata per vedere se pote­va essergli di qualche aiuto, e lui è balzato all'improvviso dal se­dile e l'ha colpita all'addome con un pezzo di specchio rotto." Mentre l'attraente hostess bionda Paula Cullen si accasciava san­guinante sul pavimento, Drake ha tenuto a bada l'equipaggio, fe­rendo i passeggeri che lo intralciavano. Quindi ha alzato la sbarra del portello gettandosi dall'aereo.

  SFIORATA UNA COLLISIONE

  A causa dell'improvviso cambiamento di pressione nella cabina, il Boeing 757 è uscito di rotta. Mentre il pilota cercava di ripren­dere il controllo dell'aereo, un jet della Balcan Air è passato a trecento metri dalla punta dell'ala del Boeing. Gli sgomenti pas­seggeri del volo britannico hanno visto gente proveniente dalla Thailandia che terminava il pasto preparandosi ad atterrare. Og­gi la polizia sta rintracciando gli amici di Frank Drake nel tentati­vo di capire il motivo del suo accesso di pazzia. Il corpo di Drake ha sfondato il tetto della casa situata in Avenell Road n.17, Highbury, Londra Nord, mentre una famiglia stava cenando.

  l'incidente provoca vivaci discussioni sulla sicurezza

  Esperti della British Airways hanno negato che ci sia motivo di dubitare della sicurezza dei portelli dell'aereo. "Quando la
cabi­na è pressurizzata è difficilissimo per chiunque riuscire ad aprire il portello in volo" ha affermato un portavoce della B.A. E ha ag­giunto: "I testimoni dell'incidente hanno notato che Drake sem­brava possedere una forza quasi sovrumana mentre si teneva aggrappato ai bordi della fusoliera". All'apertura del portello, si è gonfiato uno scivolo d'emergenza, che è stato strappato dalla vio­lenza del vento. Le condizioni dell'assistente di volo Paula Cullen sono definite "stabili". Gli altri passeggeri feriti saranno dimessi dall'ospedale entro la mattinata.

  (Segue a pagina 2 col. 2)

  Deputato chiede controlli per verificare sicurezza portelli B.A.

  pagina 2 col. 4

  Proprietario casa intende citare B.A. per tetto sfondato

  pagina 2 col. 3

  Harry piegò il giornale e finì il caffè. Ora anche l'amico di Grace si era ucciso. Doveva essere successo perché aveva guar­dato il nastro: era troppo tardi ormai per rendersi conto che non avrebbero mai dovuto darglielo. Alcuni minuti prima aveva provato a telefonare a Grace dal pesante apparecchio di bache­lite posato sul tavolino dell'ingresso, ma non aveva risposto nessuno.

  Gli altri membri del gruppo stavano già partecipando alla pri­ma riunione mattutina, una seduta da cui lui apparentemente era stato escluso. La colazione era stata servita alle otto, nella serra. Fuori, un sole pallido lambiva campi screziati e siepi gocciolanti. Harry era rimasto solo nella sala. Mentre imburrava il pane to­stato, si chiese che fine avesse fatto il loro prezioso nastro. Frank Drake lo aveva con sé quando si era gettato?

  — Sta ancora mangiando, vedo. — Celia Carmody apparve accanto al suo tavolo. Indossava un maglione beige e una gonna bianca pieghettata che le conferivano un aspetto più giovanile, sui trentacinque anni forse, anche se una certa aria malinconica era ancora presente in lei. Con quegli indumenti chiari, sembra­va ancor più pallida alla luce del giorno.

 

‹ Prev