Rune

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Rune Page 29

by Christopher Fowler


  — La prego, mi tenga compagnia. Dev'esserci ancora del tè. — Harry indicò la sedia di fronte.

  — Solo un minuto. Devo andare. Spero che abbia dormito be­ne. Il letto di quella stanza è orribile. — Sembrava più rilassata della sera prima, probabilmente perché il resto del gruppo non era più a portata d'orecchio. Anche se la loro conversazione era innocente, Harry aveva la sensazione che si stessero scambiando dei segni segreti, come due cospiratori.

  — Perché non è alla riunione? — gli chiese lei, prendendo una fetta di pane tostato.

  — A quanto pare, Daniel si sta occupando di cose che per ora non mi riguardano. Devo partecipare solo alla seduta pomeridia­na.

  — Oh, lo fa anche con me. Zone Proibite. Molto esasperante. — Sembrava pronta a lasciar perdere i convenevoli per confidar­si con lui. Forse capiva che era diverso dagli altri. Harry decise di rischiare.

  — Mi spiace per ieri sera, quando le ho chiesto dei bambini. È stata un'impertinenza.

  — No — sospirò Celia. — È una domanda così ovvia. Non so mai cosa rispondere.

  — Immagino che non gradisca affatto la nostra presenza qui. Tutta questa gente. Sconvolgerà la sua vita familiare.

  — No, mi piace, glielo assicuro. Ma naturalmente non ho voce in capitolo...

  — Perché?

  — Nel grande piano, il mio voto conta pochissimo. — Si udì un rumore di piatti alle loro spalle, mentre una cameriera comin­ciava a sparecchiare i tavoli. Celia s'interruppe, fissandolo negli occhi per un brevissimo istante. La sua espressione colpevole era conclusiva come la confessione di un traditore. Harry capì che aveva un bisogno enorme di confidarsi con qualcuno, ma che aveva una paura folle di scegliere la persona sbagliata. Probabil­mente, tastava il terreno coi candidati promettenti mese dopo mese, senza mai trovare qualcuno disposto ad accantonare la propria devozione nei confronti di Daniel abbastanza a lungo da darle retta.

  — Forse potremo parlare più tardi — suggerì Harry. — Dopo pranzo.

  — No — rispose subito Celia. — Lei deve partecipare alla riu­nione, altrimenti, bacchettata sulla mano. E poi, devo andare a Norwich. — Si alzò. — Questa sera prima di cena prenderemo l'aperitivo. Probabilmente ci vedremo allora. Ciao ciao. — E si allontanò, passando tra i tavoli con un atteggiamento esagerata­mente disinvolto. Ormai Harry non aveva più dubbi, era sicuro di poter conquistare completamente la fiducia della padrona di casa.

  Trascorse la maggior parte della mattinata in camera, preparando appunti e domande per la riunione pomeridiana. Il pranzo fu leggero e elegante. I raffinati piatti vegetariani non avrebbero sfigurato in un buon ristorante francese, e Carmody tenne banco allegramente con i giapponesi, che si erano rivelati i maggiori in­vestitori potenziali del seminario.

  La riunione pomeridiana fu lunga e noiosa. Carmody continuò a illustrare i piani di espansione, questa volta in modo più detta­gliato. Vennero fatti circolare grafici e tabelle, con le proiezioni di sviluppo e i profitti previsti sempre evidenziati in rosso. Harry notò che il magnate adottava locuzioni evangeliche quando par­lava dei consumatori. Gli altri, probabilmente, sapevano che Carmody stava promuovendo una crociata più che una campa­gna, ma se erano al corrente dei suoi progetti di "riallineamento" della società, non lo palesavano.

  Al termine della seduta, Carmody promise delle rivelazioni per domenica mattina, quando avrebbe discusso delle applica­zioni del sistema runico nell'ambito della struttura delle reti tele­visive. Era l'unica volta che aveva accennato alle rune nel corso della giornata.

  Harry fece la doccia e si cambiò per la cena, ma quando scese nello studio principale per l'aperitivo non trovò traccia di Celia. Dopo alcuni minuti di garbata conversazione con la signorina Mariposo, notò che Carmody era di nuovo impegnato in intense trattative coi giapponesi, per cui uscì alla chetichella e raggiunse la serra.

  Celia aspettava il suo arrivo, seduta nella semioscurità con un bicchiere di brandy accanto.

  — Mi ha spaventata — disse sottovoce. — Ero venuta qui a ri­posare un po' prima di cena.

  Harry capì che avrebbe continuato a fingere che si trattasse di una chiacchierata frivola, indipendentemente dall'argomento af­frontato. Per lei era un meccanismo protettivo, caso mai dovesse apparire all'improvviso il marito.

  — Posso andarmene, se vuole.

  — Non sia sciocco. Si sieda. — Harry obbedì. Quanto tempo sarebbero rimasti soli, prima che Carmody venisse a cercarli? si domandò.

  — Ha frainteso, Harry — disse infine Celia. — A proposito dei bambini... Daniel li desidera, ma io non voglio darglieli. — Prese il bicchiere e bevve, nervosa. Non era il primo brandy del­la serata.

  — Perché, Celia?

  — Perché non voglio che crescano odiando il loro padre.

  — È un uomo di successo. Avete tanto. Questa casa...

  — Questa è sempre stata mia. Appartiene alla mia famiglia da generazioni. Eravamo... dopo la guerra, i soldi sono finiti. Il mantenimento è diventato insostenibile. Adesso la casa è sua. Io sono sua.

  Lui stette alle regole del gioco. — Mi dispiace, non avrei dovu­to chiedere.

  — No, non avrei dovuto rispondere. Lei è solo cortese con la moglie del capo. C'è qualcos'altro che desidera sapere?

  — Sì. — Harry indicò il corridoio, dove si notava chiaramen­te il segno di una lampada a muro tolta di recente. — Perché vi sbarazzate dell'arredamento? Sembra una cosa così... triste.

  — Lo sa, è la prima persona ad accorgersene. — Celia riempì il bicchiere, sospirando. — Le rivelerò un segreto. Mi promette di non dirlo a nessuno?

  — Promesso.

  — Ogni volta che faccio qualcosa che lo infastidisce, vende qualche oggetto, qualcosa a cui io tengo particolarmente. Lo fa per punirmi. A poco a poco, sta smantellando i miei ricordi. — Celia abbassò lo sguardo, prossima alle lacrime. — Ogni giorno, un'altra piccola umiliazione. Tutto perché...

  S'interruppe.

  — Perché...? — la sollecitò garbato Harry.

  Celia alzò gli occhi. — Perché so... so tutto, e non approvo.

  Harry avvertì su di sé lo sguardo indagatore della donna, che lo scrutò in viso per vedere se avesse capito. Le prese la mano. — Va bene — mormorò. — Anch'io so.

  Tra loro c'era un legame, adesso. Harry sentì la sua gratitudi­ne che s'irradiava nel buio. — Andrò avanti io — disse. — Po­tremmo fare una strana impressione tornando di là insieme.

  42

  Visione

  Harry aprì la porta della camera da letto il più silenziosamente possibile, ma i cardini avevano bisogno di essere oliati. Sperava che il rumore dei suoi movimenti venisse assorbito dalle dimensioni della casa, ma a ogni passo le tavole del pavimento scric­chiolavano. La maggior parte degli ospiti occupava lo stesso pia­no. Carmody e la moglie, apparentemente, erano in un'ala separata oltre il salone. Con un po' di fortuna, sarebbe riuscito a per­quisire lo studio senza che nessuno sentisse.

  Dal pianerottolo del primo piano, guardò il corridoio di pie­tra, notando i piedistalli vuoti del vestibolo. Probabilmente, i bu­sti che un tempo li adornavano erano stati tolti per ordine di Car­mody.

  In fondo alla scala, estrasse una minitorcia elettrica e l'accese, illuminando il percorso fino allo studio. Una pendola a colonna battè l'una e un quarto mentre passava. La casa era silenziosa da poco più di un'ora.

  Anche se la porta dello studio era chiusa, la chiave era stata la­sciata nella toppa. La girò il più lentamente possibile, ma rabbri­vidì allarmato sentendo lo scatto assordante della serratura. Aprì l'uscio e sgattaiolò dentro, puntando il raggio sulla scriva­nia di Carmody. Adagio, richiuse la porta dietro di sé. Attraver­sò la stanza, i passi attutiti dallo spesso tappeto cinese. Sedendo­si alla scrivania, guardò nei cassetti.

  Il primo conteneva la carta da lettere personale di Carmody; lo stemma nobiliare della moglie, stampato in blu su pergamena ruvida. Il secondo era pieno di corrispondenza finanziaria da sbrigare. Il terzo era chiuso a chiave. Incuneando la lampadina nel bracciolo de
lla sedia, Harry prese un temperino, estrasse la lama più piccola e la girò nella serratura. La punta scivolò, graf­fiando l'impiallacciatura del cassetto.

  — Perché non provi a usare un piccone? — disse una voce alle sue spalle. — Probabilmente, faresti meno danni. — Daniel Carmody allungò la mano e accese la lampada sulla scrivania. — Così va meglio. Adesso vedi quel che fai.

  I lineamenti di Carmody furono illuminati. La faccia era palli­da, dura; la coda di cavallo nerissima scintillava sulla spalla come un serpente attoreigliato. — Davvero deludente il tuo comporta­mento, Harry. Ieri sera sei stato promosso a pieni voti. Almeno, mi avevi convinto della tua fedeltà. A proposito, cosa stai cer­cando?

  Harry posò lentamente il temperino e si asciugò le mani sudate sui calzoni. Ormai era inutile mentire. — La prova che avete uc­ciso mio padre — rispose semplicemente.

  Carmody si sedette sul bracciolo del divano vicino, ostentando una falsa espressione di sollievo. — Pensavo che ne avessimo già parlato esaurientemente. Si è ucciso da sé. Si uccidono tutti. Una volta accettate le rune, non possono fare nient'altro. Le lo­ro percezioni sono completamente alterate. Se le loro paure non li uccidessero, impazzirebbero.

  Harry riconobbe subito la bugia. Dapprima aveva pensato che Willie fosse stato ucciso da un nastro. Poi ricordò che al vecchio avevano passato delle rune stampate su un pezzo di carta. La sua morte non era stata un incidente. Era stata provocata deliberata­mente dalla odel.

  — Quanto ha resistito al massimo una persona? — chiese, sa­pendo che doveva guadagnare tempo. Forse poteva far leva sulla curiosità scientifica di Carmody.

  — Non so. Dipende da come vengono assorbite le rune e da quel che dicono. In epoche meno illuminate venivano chiamate le Preghiere del Diavolo...

  — Lo so.

  — Ti sei documentato. Sei preparato. Mi piace. Ma stiamo an­cora imparando. I nastri runici sono il nostro più grande succes­so, sinora. Abbiamo perfino imparato a proteggere le scatole delle videocassette con rune talismaniche... rune inverse che sal­vaguardano gli oggetti. E abbiamo scoperto rune singole che provocano allucinazioni terminali. Ne abbiamo mandata una a Henry Dell dopo avere appurato che aveva comprato una parte dei nostri nastri rubati. Si era barricato nel suo appartamento, così l'abbiamo attaccata su una bottiglia di latte che abbiamo so­stituito a una bottiglia che era già in casa sua. L'effetto è stato straordinario. Dell è finito nel canale a Camden Lock. Abbiamo provato di nuovo con uno dei nostri avversari più rumorosi, un tale Meadows. Si è gettato nel Tamigi. Abbiamo riutilizzato lo stesso sistema con David Coltis... altro risultato straordinario. Ho deciso che le rune stampate andavano perfezionate ulterior­mente. Così erano troppo... evidenti. Stiamo inserendo un'inte­ra gamma di modifiche ingegnose nelle rune. Prendi. — Carmo­dy gli lanciò la chiave della scrivania. — Sai, bastava chiedere.

  Harry tenne la chiave di ottone tra il pollice e l'indice, tituban­te.

  — Be', che aspetti? Apri e dimmi cosa c'è dentro.

  Harry inserì la chiave nella serratura e girò. Nel cassetto c'era un barattolo di latta. Lo prese e lo accostò alla lampada. — È una scatola di asparagi — disse perplesso.

  — Questo è ovvio. Cos'altro vedi?

  — C'è un logo della odel... e un codice a barre.

  — Guarda bene quel codice.

  Harry osservò attentamente le linee nere, poi lasciò cadere la scatoletta. Un'ondata di nausea lo assalì.

  — Ah, bene, hai visto la runa — fece Carmody, soddisfatto. — Questa ha un effetto molto interessante. Vieni qui. — Si alzò e raggiunse una portafinestra, aprendola.

  Harry cercò di drizzarsi in piedi, ma la stanza tutt'a un tratto stava sprofondando. Aggrappandosi al bordo della scrivania, riuscì a spingersi fino al divano, poi cadde in ginocchio.

  Incorniciato dal riquadro di luna cangiante della finestra aper­ta, Carmody assunse una posa... una mano nella tasca della giac­ca, una sigaretta spenta nell'altra... una snella parodia saturnina di Noel Coward.

  — Probabilmente ti domanderai cosa ti stia succedendo — dis­se. — In questo momento, una parte inattiva del tuo cervello sta tentando di capire i comandi che ha ricevuto. Immagino che tu abbia un po' di nausea. — Il bagliore di un fiammifero gli illumi­nò il volto. Lo spense e rise sommesso nell'oscurità. — Vieni fuori e dimmi cosa vedi.

  Harry si alzò e barcollò in avanti. Sembrava che tutto quello che si trovava nel suo campo visivo si stesse allontanando, come se apparisse nell'ellisse oltre una lente ottica. Raggiunse la portafinestra, superò Carmody vacillando sulla veranda, poi si spo­stò sulla soffice erba bagnata del prato. Sopra di lui, pareva che le nubi notturne stessero solcando il cielo sempre più rapide, con un impeto rabbioso. Attorno a lui si alzò un vento freddo, e per un attimo sembrò che le raffiche l'avrebbero sollevato da terra.

  — Cosa succede? Cosa senti? — Nella voce di Carmody c'era una nota di insistenza, di eccitazione indiretta.

  — Il mondo — ansimò Harry. — Si muove più in fretta...

  — Che altro? Cosa vedi? Laggiù, in fondo al giardino.

  Carmody indicò un filare di cipressi all'estremità del prato. Harry cercò di mettere a fuoco l'immagine, ma sembrava che l'o­rizzonte si stesse piegando, deformato dalla forza del cielo che scorreva. Poi vide la figura del vecchio che si dibatteva, il suo ve­stito sporco di fango sullo sfondo dei tronchi scuri. Le mani era­no legate da una corda corta a un picchetto di ferro, così il vec­chio era stato costretto a inginocchiarsi sull'erba con le braccia tese di fronte a sé.

  — Un uomo. Vedo un uomo.

  — Descrivilo.

  — Capelli bianchi. Piange. Pensa di stare per morire. — Har­ry cercò di trattenere il respiro. Il vecchio stava tirando il pic­chetto come un animale terrorizzato. All'improvviso, udì degli scricchiolii, dei fruscii, e due alberi cominciarono a separarsi. Frammenti di rami spezzati vennero trascinati via dal vento.

  All'inizio, non riuscì a credere all'esistenza dell'immagine scura che apparve dietro i rami. La creatura che si materializzò era alta quasi quanto la casa alle loro spalle. Si muoveva con l'andatura decisa di un essere umano, ma era coperta di ruvidi peli neri. Si aprì un varco tra gli alberi, tenendoli scostati finché non fu passata, poi si fermò, tentennando al vento, osservando l'uomo singhiozzante con occhi impassibili, chiari e fulgidi come la luna. Ansimava, per lo sforzo dell'avanzata attraverso il bo­schetto. Le folate d'aria gli strappavano fili di saliva dalla ma­scella massiccia, mentre tutt'intorno si diffondeva un tanfo ani­malesco.

  Adesso l'uomo canuto taceva, aspettando che la creatura si muovesse. Quest'ultima parve prendere una decisione improv­visa, si piegò, sradicò il picchetto e lo alzò, e la vittima venne sollevata dal terreno, appesa per i polsi.

  Come un bambino con un giocattolo, la creatura tirò la figura da una parte e dall'altra, flettendola ripetutamente. Harry sentì il rumore inconfondibile delle ossa che si spezzavano mentre gli arti del vecchio venivano piegati oltre l'apertura massima delle articolazioni. Infine, annoiato, l'essere mostruoso strappò la te­sta alla vittima e ne sventrò il corpo, pulendosi le dita impiastric­ciate di poltiglia fumante sul prato, prima di gettare i resti nel bo­sco. Poi scorse Harry.

  — Non lasciarlo avvicinare! — urlò Harry, coprendosi il volto con le mani. Le ginocchia gli cedettero, e stramazzò in avanti sul terreno umido.

  — Parlami dei suoi occhi — mormorò Carmody.

  Harry si concentrò sulla voce del magnate e cercò di formulare una risposta. Era un'ancora di salvezza, l'unica cosa che potesse impedirgli di impazzire.

  — Gli occhi... Senza palpebre. Senza...

  — Senza, cosa, Harry?

  — Senza pupille. Portalo via!

  — Devi guardarlo ancora.

  Harry alzò la testa. La creatura non si era avvicinata, era im­mobile, lo fissava. Come in precedenza, tutt'a un tratto decise il da farsi e avanzò fino a pochi metri dalla veranda, allungando il braccio destro. Aveva il respiro stentoreo e bavoso di un grosso orso. I suoi organi genital
i penzolavano rossi e massicci sotto il pelo arruffato.

  Harry sentì nelle narici un fetore di carne putrescente. Urlò, mentre le grandi dita della bestia gli cingevano la testa e il tora­ce, drizzandolo in piedi. Il mostro si allontanò, consentendo a malapena alle gambe di Harry di tenere il passo, trascinandolo attraverso il giardino. La pelle ruvida del palmo era premuta sul naso e sulla bocca della nuova vittima, gli schiacciava la faccia. Harry stava cominciando a soffocare, quando la mano si aprì, lasciandolo cadere su un cumulo di terra smossa di recente.

  Harry capì che la creatura l'avrebbe smembrato se fosse rima­sto in superficie. Doveva rintanarsi in profondità, per sfuggirggli. Era l'unico modo. Piagnucolando, cominciò a scavare grandi manciate di terriccio, per infilarsi nel terreno soffice e bagnato.

  Carmody guardò l'orologio. — Hmmm. Basta così — disse. — Alzati e guardati.

  L'orrore svanì con la stessa rapidità con cui si era manifestato, come se la causa della sua sofferenza atroce fosse stata eliminata all'improvviso. Indolenzito, Harry cercò di drizzare il proprio corpo. Era sporco di fango, aveva la bocca e i capelli pieni di ter­ra. Infilò le dita tra i denti, estraendo grumi di terriccio, vomi­tando sull'erba, raschiandosi la gola e sputando. Era come scen­dere dalle montagne russe. Mentre l'orizzonte a poco a poco si stabilizzava, si rese conto che aveva cercato di seppellirsi vivo.

  — Congratulazioni — disse Carmody, sarcastico. — Sei riusci­to a sradicare le mie splendide rose inglesi. — Indicò l'aiuola de­vastata, attraversata da un solco di un metro. Harry di colpo si guardò attorno, coi lineamenti alterati dalla paura, ma non c'era nessuna traccia né della bestia né della sua vittima.

  — È tutto a posto, stai tranquillo. L'effetto è passato. Ti con­viene venire a pulirti.

  Carmody si avviò verso lo studio. Harry lo seguì, malfermo; non aveva ancora riacquistato il pieno controllo dei movimenti degli arti.

  — Come ti senti?

  — Come se avessi appena avuto un incidente d'auto

  — Sì, è normale.

 

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