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Slan Hunter

Page 16

by Kevin J. Anderson

Jem avrebbe voluto vedere la faccia del grande cacciatore di slan quando aveva appreso che il consigliere capo del presidente era un voltagabbana senzantenne.

  Poi Petty lo sorprese ancora di più. «Siamo uguali noi due, Lorry. Mi irrita essere qui col presidente, che si è rivelato il mio più grande nemico. Tu ed io abbiamo qualcosa in comune... entrambi vogliamo sbarazzarci di Kier Gray, quindi ascoltami bene. Organizzeremo questo incontro al vertice, ma io propongo un doppio gioco. Ti consegnerò la testa di Gray su un vassoio d'argento.»

  Jem inarcò le ciglia. Dapprima non si fidò della proposta, ma lui e Petty si conoscevano da anni, erano tutti e due spietati e ambiziosi. Doveva ammettere che un doppio gioco si addiceva a Petty... un modo di capovolgere la situazione a danno del governo in esilio, di eliminare Gray, sua figlia slan Kathleen. Forse perfino Jommy Cross. Era un'occasione che Jem Lorry non poteva proprio lasciarsi sfuggire.

  Sperando che il suo segnale non fosse intercettato dalla persona sbaglia-ta, Jem rispose subito. Il cacciatore di slan doveva essere ancora là alla console in attesa della sua risposta. «Mi piace la tua proposta, Petty. Quello che voglio davvero è distruggere il presidente Gray ed eliminare il governo. Nonostante quello che dice il mio sciocco genitore, non m'interessa affatto concludere la pace con gli slan o gli umani. Perché dovrebbe? Abbiamo già vinto. Tu sei realista. Forse potrei trovare il modo di raggiungere un accordo, per quanto riguarda te e qualche altro essere umano. Sono disposto a fare concessioni.»

  Jem sorrise tra sé mentre chiudeva la trasmissione, sapendo che Petty avrebbe accettato. Tutto si stava concretizzando. E una volta organizzata ogni cosa, pensò Jem, perché limitarsi a un semplice doppio gioco?

  Quell'incontro al vertice sarebbe stato la comoda soluzione di tutti i problemi.

  25

  Quando arrivò a Centropolis scansando macerie e cercando di non farsi notare, Jommy vide che il grande palazzo non era l'unica cosa completamente distrutta.

  Aveva guidato tutta la notte tenendo fuori vista la vettura il più possibile. Nascosto dall'oscurità, Jommy aveva scorto in cielo segnali luminosi che indicavano il passaggio ravvicinato di audaci veicoli spaziali nemici.

  Dopo aver parcheggiato sotto un folto gruppo di alberi, aveva atteso in automobile che le squadriglie si allontanassero.

  Anche se le aeronavi erano una minaccia, Jommy sapeva che si trattava solo di ricognitori e non di vere e proprie squadriglie d'incursione. Con le difese della Terra già sgominate, il bombardamento delle città era cessato.

  Le forze d'avanguardia degli invasori non si aspettavano ulteriore resistenza da parte della popolazione sconfitta della Terra.

  Ma Jommy e i suoi amici erano ancora in lotta contro il nemico. Jommy aveva i taccuini di suo padre, disponeva della tecnologia slan superiore, aveva il presidente Gray. Sfortunatamente il padre di Kathleen non era riuscito a contattare nessuno dei suoi agenti slan del vecchio governo, mentre Petty non era stato in grado di mettersi in contatto con gli uomini della sua polizia segreta che sosteneva lui avrebbero potuto formare una resistenza organizzata. Una delle altre speranze di Jommy per quella missione era di trovare l'enclave segreta di slan nella metropoli devastata, l'antico nascondiglio che suo padre aveva indicato nei taccuini. Jommy sapeva che alcuni appartenenti alla sua razza dovevano essere ancora vivi e che senza dubbio erano pronti a combattere.

  Gli slan rimanenti sicuramente erano stati costretti a nascondersi, ma quella che un tempo era una razza superiore non poteva essere stata ster-minata del tutto. Ma dov'erano i superstiti? Perché non avevano lottato contro gli invasori? Possibile che i veri slan temessero i senzantenne ancor più degli umani? Jommy sapeva di non essere l'unico disposto a battersi per il proprio pianeta.

  Si era impegnato tutta la vita per trovare gli slan scomparsi. Se il numero di superstiti era ingente, dubitava che si trovassero sulla Terra... e se si trovavano ancora lì e avevano deciso di non fare nulla, allora forse Jommy preferiva non incontrarli affatto...

  Quando il cielo notturno fu di nuovo sgombro, Jommy proseguì con la macchina lungo le strade deserte. Finalmente raggiunse i sobborghi della metropoli, mentre le prime luci dell'aurora dipingevano l'orizzonte a est con i colori del sangue e del fuoco.

  Le strade di Centropolis erano un folle tumulto di edifici crollati e superstiti dagli occhi infossati. Incendi incontrollati si erano diffusi, interi isolati erano stati ridotti in cenere. Nonostante la loro superiorità militare, i senzantenne non avevano cercato di attenuare la distruzione ingiustificata.

  Avrebbero potuto conseguire la vittoria con una carneficina molto minore.

  Davvero volevano impossessarsi della Terra anche lasciando nient'altro che una palla carbonizzata? Non aveva senso.

  Mentre continuava a guidare sempre all'erta, Jommy capì che i superstiti disperati forse non ragionavano. Avevano passato giorni d'inferno, come minimo avrebbero cercato di portargli via la macchina. Anche se i comandi erano predisposti in maniera tale da funzionare solo se toccati da lui, la folla frastornata non lo sapeva. Avrebbe dovuto spargere una gran quantità di sangue inutile per difendersi... e quelli non erano i suoi veri nemici.

  Sperando di evitarlo, Jommy trovò un vicolo tranquillo pieno di lunghe ombre proiettate dagli edifici intatti. Con la sensibilità straordinaria di cui disponeva grazie alle antenne, ascoltò le scariche di pensieri frenetici e paura ma non percepì nessuno che lo stesse osservando. Infilò la vettura già graffiata in una specie di rimessa parzialmente crollata, poi senza fare rumore ammucchiò dei detriti attorno al cofano e al tettuccio. La mimetizza-zione non avrebbe retto a un esame accurato, ma la maggior parte della gente lanciando un'occhiata da quella parte avrebbe pensato che l'automobile fosse rimasta sepolta sotto le macerie in seguito a un'esplosione.

  Prendendo nota della posizione della macchina, Jommy s'incamminò arrancando nelle strade pericolose. Indossava abiti anonimi e aveva con sé soltanto il piccolo congegno di rilevamento che lo avrebbe aiutato a loca-lizzare il suo tubo disintegratore, dovunque potesse essere sepolto sotto le macerie del palazzo.

  Mentre il mattino diventava più luminoso, passò accanto a persone indaffarate a garantirsi la sopravvivenza. Spingevano carriole, portavano zaini pieni di scatolame o gioielli. C'erano sciacalli che entravano e uscivano di corsa dai negozi, scassinando vetrine e svaligiando registratori di cassa. Facce pallide e spaventate guardavano fuori da finestre oscurate.

  Jommy udì sporadici spari, grida e risate. Un uomo lo superò correndo a grandi falcate come un pollo, portando tre borse piene zeppe di cappelli multicolori. Jommy non capì cosa stese facendo quell'uomo, ma un secondo individuo rosso in volto lo stava inseguendo, sbraitando: «Ridammeli!

  Sono miei. Portali indietro!»

  Alcuni istanti dopo, qualcuno sparò a Jommy che si gettò a terra mentre le pallottole rimbalzavano sul selciato e sui muri dell'edificio accanto a lui.

  Non riuscì a vedere da dove provenissero gli spari o chi avesse offeso. Si rialzò e si portò in fretta fuori tiro.

  Attraverso una strada principale, qualcuno aveva steso del filo spinato e costruito una rudimentale barricata usando mobili vecchi, un frigorifero e pezzi d'automobile. Un enorme cartello recava delle lettere rosse goccio-lanti che dicevano: "Il mio territorio". Tre corpi straziati erano appesi al fi-lo spinato come macabri trofei. Jommy scelse un percorso alternativo.

  Quando finalmente raggiunse quello che un tempo era stato il grande palazzo vide solo un ampio cratere pieno di macerie. Sepolta chissà dove nelle rovine, auspicabilmente vicino alla superficie, c'era la sua arma potente e unica.

  «Come trovare un ago in mille pagliai» disse Jommy a voce alta. «Ma almeno questo ago particolare ha un segnale di localizzazione.» Estrasse il congegno di rilevamento e minuscole luci lampeggianti indicarono la scansione dell'area alla ricerca di un segnale.

  Dal cumulo di macerie si alzava ancora del fumo, volute di centinaia di fuochi che ardevano in sotterranei e uffici distrutti là sotto. Jommy si arrampicò sui detriti come un esploratore in una nuova e pericolosa catena montuosa. Trovò spess
i muri rinforzati spaccati in due, bordi frastagliati simili a denti in un cranio.

  Si tenne in equilibrio su blocchi caduti, quindi salì su una scrivania di metallo scassata semisepolta tra i calcinacci. Puntò il congegno di rilevamento verso le macerie girando lentamente su se stesso. Nient'altro che scariche grigie apparvero sullo schermo. Impronte termiche residue di putrelle che si stavano raffreddando e incendi non ancora spenti nascondeva-no il segnale.

  Jommy si avventurò ulteriormente tra le macerie, procedendo in precario equilibrio su blocchi di calcestruzzo crollati. Controllò in passaggi bui e senza sbocco che sembravano pericolosi pozzi di miniera, sperando di cogliere una traccia del segnale col rivelatore. Una volta individuata la posizione dell'arma, si sarebbe trovato di fronte al compito ancor più arduo di recuperarla, ed estrarla magari da sotto una montagna di detriti. Quello avrebbe messo a dura prova la sua forza fisica slan e la sua ingegnosità tecnica.

  A mezzogiorno, lordo di sudore e polvere e fuliggine, si sedette a riposa-re cercando di non essere troppo demoralizzato. Mentre appoggiava i gomiti sulle ginocchia, scorse all'improvviso un debole segnale sullo schermo del congegno. Sorpreso, puntò l'estremità del localizzatore verso il basso, aumentò il fattore di amplificazione e captò un impulso più forte. Una volta calcolata come meglio poteva la posizione mise in tasca l'apparecchio e a mani nude spinse da parte le lastre di pietra. Svellendo un tubo metallico spezzato, lo usò come leva per smuovere altre macerie pesanti.

  Non c'era in giro nessuno nella zona bombardata. Jommy scavò con rin-novato vigore ed entusiasmo, togliendo ghiaia, pietrisco, pezzi d'intonaco.

  Poi trovò un portello blindato. Assicuratosi che il segnale di localizzazione provenisse dalla camera dietro il portello, continuò a scavare finché non scoprì una porta massiccia, ermeticamente chiusa e bloccata. Stentava a credere che il rivelatore avesse captato un segnale attraverso un ostacolo del genere.

  Dopo un'altra ora di scavo instancabile, Jommy si rese conto di avere trovato un'intera camera isolata. Sembrava il caveau di una banca... proprio come aveva detto Petty. La camera blindata era rimasta intatta anche se il resto del palazzo era crollato tutt'intorno. Adesso la struttura cubica era inclinata sui detriti come un forziere sepolto nella polvere.

  Attivando di nuovo il rivelatore, Jommy vide che le interferenze erano minori, il segnale più forte. Le spesse pareti metalliche del caveau avevano bloccato gran parte del segnale di localizzazione, ma il tubo disintegratore era sicuramente all'interno della camera blindata. Doveva trovare il modo di aprire la porta massiccia. Ora che aveva una possibilità, aveva anche la speranza. Fu sufficiente a farlo lavorare ben oltre il punto in cui di solito era stremato.

  Finalmente, quando ebbe liberato da ogni ostruzione la porta, Jommy valutò come procedere. La porta della camera blindata pesava parecchie tonnellate ed era bloccata da grossi pistoni. Comunque, nonostante la sua mole, i motori e la serratura erano controllati da un semplice meccanismo idraulico caricato a molla.

  Completamente concentrato sul proprio compito, Jommy armeggiò coi comandi che non funzionavano. Aveva bisogno solo di un alimentatore per attivarli, poi avrebbe potuto cortocircuitare e bypassare la combinazione della camera blindata. Per lui era un gioco da ragazzi.

  Adesso che il congegno di rilevamento non gli serviva più, tolse la piastra di chiusura sul retro e scoprì i circuiti. Estraendo il minuscolo alimentatore, lo adattò ai comandi di sicurezza della porta della camera blindata e lo inserì. Vide soddisfatto che le spie luminose sul pannello della serratura si accendevano, verde e ambra. Jommy tolse altri fili dal localizzatore, li unì, quindi collegò il rivelatore ai comandi dei motori della porta.

  Di nuovo alimentate le sbarre di bloccaggio scorsero di lato, facendo vibrare la struttura ermeticamente chiusa. A causa del movimento tutta la camera si spostò e si assestò sulla base instabile di detriti. Jommy sapeva che se il cumulo di macerie fosse crollato sotto di lui entrambi sarebbero potuti sprofondare travolti da una frana colossale. Si sforzò di mantenersi bene in equilibrio, pronto a spiccare un salto e mettersi in salvo all'ultimo istante.

  Poi le spesse sbarre di bloccaggio finalmente rientrarono negli alloggiamenti e la porta si aprì con un sibilo. Grossi cilindri lubrificati sollevarono la massiccia barriera su cardini giganteschi. Dato che il cubo della camera era inclinato all'indietro, la porta si alzò contro la gravità poi si fermò rilut-tante producendo grande stridore, lasciando un varco di poco più di mezzo metro.

  Le macerie si stabilizzarono, il terreno sotto i piedi di Jommy cessò di tremare. Il giovane si avvicinò cauto alla porta del laboratorio. Dall'oscurità fitta dell'interno giungeva un odore di aria viziata, sostanze chimiche ro-vesciate, circuiti bruciati. Il tubo disintegratore doveva essere là dentro.

  Muovendosi ansioso, Jommy si insinuò nello spiraglio e penetrò parzialmente all'interno temendo che i pistoni malsicuri lasciassero la presa da un istante all'altro. Anche se l'alimentazione di fortuna manteneva attivi i comandi, la porta di parecchie tonnellate si sarebbe potuta facilmente ri-chiudere. Sgattaiolò dentro svelto, si lasciò cadere sul pavimento inclinato e si accovacciò, trattenendo il respiro. Non era ancora al sicuro, però... se la porta si fosse chiusa di schianto adesso, sarebbe rimasto intrappolato in una tomba.

  Jommy avanzò a tentoni, sforzandosi di vedere qualche particolare nell'oscurità. Poi inciampò in qualcosa e cadde pesantemente in ginocchio.

  Fermandosi coi palmi piatti sul pavimento di metallo, si ritrovò a fissare in faccia un pallido cadavere.

  L'uomo si era sfracellato. Aveva la faccia piena di lividi, gli occhi aperti.

  Jommy indietreggiò gattoni e urtò un secondo morto. Mentre i suoi occhi si adattavano al buio, notò che entrambi gli uomini portavano al braccio la fascia della polizia segreta. Sembravano entrambi bambolotti rotti, sbatac-chiati da un bambino iperattivo che facesse i capricci.

  Jommy capì cos'era successo. Anche se i muri della camera blindata erano impenetrabili, l'intera stanza si era schiantata tra le macerie durante l'intenso bombardamento del palazzo. Per gli uomini all'interno era stato co-me trovarsi dentro una botte che precipitasse da una cascata. Erano rimasti spappolati.

  La striscia di luce diurna che filtrava dalla porta aperta forniva quel tanto di illuminazione che bastava per consentirgli di esaminare l'interno. Sforzandosi di ignorare i cadaveri, Jommy frugò tra i rottami. Le antenne non gli davano alcun vantaggio. Nella camera dai muri spessi, Jommy non percepiva nulla attorno a sé, nulla all'esterno. C'erano un tavolo rovesciato in mezzo a delle bottiglie rotte, carte sparse qua e là come penne di un pollo spaventato. I supporti fissati alle pareti si erano spezzati, le mensole metalliche erano cadute, ammucchiandosi e deformandosi. Jommy le spinse da parte producendo un gran baccano nel cercare il suo disintegratore.

  Con un brontolio lontano, la camera blindata malferma continuò ad as-sestarsi, il pavimento si inclinò ulteriormente. Jommy annaspò per mantenere l'equilibrio. Tre barattoli intatti e un tubo metallico rotolarono in un angolo nel punto più basso della stanza. Poi, mentre la stanza tornava a fermarsi in equilibrio instabile, Jommy scorse il cilindro lucente e sottile che gli aveva salvato la vita tante volte. L'arma di suo padre!

  Con un'ondata di sollievo accompagnata da un senso di premura improvvisa (un avvertimento dei suoi sensi slan, perfino lì nella camera dai muri così spessi?) Jommy si rese conto che doveva andarsene. Afferrò l'arma e salì a fatica lungo il pavimento ripido e sdrucciolevole, superando i cadaveri raccapriccianti. Vittorioso, col disintegratore in una mano, infilò la testa e le spalle nel varco della porta, poi si issò coi gomiti. Ce l'aveva fatta!

  Mentre batteva le palpebre nella luce bassa del tramonto, stringendo l'arma, udì delle voci all'esterno, altre persone che si aggiravano tra le macerie. Vicine. I cercatori di tesori probabilmente erano a caccia di oggetti preziosi e antichi nelle rovine del palazzo. Jommy non aveva percepito la loro presenza dentro la camera blindata.

  Mentre si orientava e si girava nello spiraglio, avvertì un formicolio, sentì che qualcuno
era vicinissimo... poi delle mani gli afferrarono le spalle da dietro. Un uomo stava proprio sulla porta parzialmente aperta della camera blindata sopra di lui. «Eccolo! Ve l'avevo detto che avevo visto qualcuno qua.»

  Sorpreso mezzo dentro e mezzo fuori dall'apertura, Jommy si dimenò, ma il pavimento e i muri metallici erano sdrucciolevoli e non consentivano una presa salda. Altre persone accorsero e lo abbrancarono. Con suo sgomento, Jommy lasciò cadere il disintegratore mentre cercava di divincolarsi. Udì il rumore del tubo che rotolava di nuovo in mezzo ai rottami.

  Altri sciacalli lo afferrarono, torcendogli le braccia. Qualcuno gli infilò le dita tra i capelli e diede uno strattone doloroso. «Ehi, guardate un po'.

  Ha le antenne!»

  «Le antenne! È un dannato slan!»

  «Pare proprio che abbiamo catturato un nemico.»

  26

  Adesso che la sua mente era piena di conoscenze meravigliose e orribili tratte dall'Archivio vero della biblioteca, Anthea sapeva cosa doveva fare.

  Molto tempo addietro i figli di Samuel Lann avevano costruito un grande nascondiglio sotterraneo proprio sotto il naso degli umani. Il messaggio Porgrave diceva che era stato progettato per durare secoli.

  Ecco dove sarebbe andata.

  Il piccino riposava tranquillo contro il suo petto, mentre Anthea percorreva svelta il corridoio allontanandosi dalla camera blindata. Prima che potesse lasciare il grande edificio di pietra Anthea udì un gran chiasso che proveniva dall'ufficio del signor Reynolds. «Aiuto! Qualcuno mi aiuti!

  Non c'è nessuno lì fuori?»

  Quando sentì il tono lamentoso di Reynolds, le si formò un groppo in gola. Tanta gente si era comportata in modo orribile con lei dopo la nascita del bambino, ma non Reynolds. Che razza di persona stava diventando?

  Doveva abbandonare così quel poveretto inerme? Con tutto lo scompiglio che c'era in città, ci sarebbero stati sciacalli, saccheggiatori... e niente polizia né soccorritori. E se il signor Reynolds fosse morto di fame perché lei lo aveva legato impedendogli di fuggire?

 

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