Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)
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raggio di luce permanendo unita.
S’io era corpo, e qui non si concepe →
com’ una dimensione altra patio,
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ch’esser convien se corpo in corpo repe, →
accender ne dovria più il disio
di veder quella essenza in che si vede
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come nostra natura e Dio s’unio.
Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
non dimostrato, ma fia per sé noto
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a guisa del ver primo che l’uom crede.
Io rispuosi: “Madonna, sì devoto →
com’ esser posso più, ringrazio lui
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lo qual dal mortal mondo m’ha remoto.
Ma ditemi: che son li segni bui
di questo corpo, che là giuso in terra
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fan di Cain favoleggiare altrui?” →
Ella sorrise alquanto, e poi “S’elli erra →
l’oppinïon,” mi disse, “d’i mortali
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dove chiave di senso non diserra,
certo non ti dovrien punger li strali
d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi
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vedi che la ragione ha corte l’ali.
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi.” →
E io: “Ciò che n’appar qua sù diverso →
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credo che fanno i corpi rari e densi.”
Ed ella: “Certo assai vedrai sommerso →
nel falso il creder tuo, se bene ascolti
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l’argomentar ch’io li farò avverso.
La spera ottava vi dimostra molti → →
lumi, li quali e nel quale e nel quanto
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notar si posson di diversi volti.
Se raro e denso ciò facesser tanto,
una sola virtù sarebbe in tutti,
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più e men distributa e altrettanto.
Virtù diverse esser convegnon frutti
di principi formali, e quei, for ch’uno,
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seguiterieno a tua ragion distrutti.
Ancor, se raro fosse di quel bruno → →
cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
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fora di sua materia sì digiuno
esto pianeto, o, sì come comparte
lo grasso e ’l magro un corpo, così questo
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nel suo volume cangerebbe carte.
Se ’l primo fosse, fora manifesto
ne l’eclissi del sol, per trasparere
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lo lume come in altro raro ingesto.
Questo non è: però è da vedere
de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi, →
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falsificato fia lo tuo parere.
S’elli è che questo raro non trapassi,
esser conviene un termine da onde
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lo suo contrario più passar non lassi;
e indi l’altrui raggio si rifonde
così come color torna per vetro
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lo qual di retro a sé piombo nasconde.
Or dirai tu ch’el si dimostra tetro →
ivi lo raggio più che in altre parti,
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per esser lì refratto più a retro.
Da questa instanza può deliberarti →
esperïenza, se già mai la provi,
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ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti.
Tre specchi prenderai; e i due rimovi
da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
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tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
ti stea un lume che i tre specchi accenda
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e torni a te da tutti ripercosso.
Ben che nel quanto tanto non si stenda
la vista più lontana, lì vedrai
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come convien ch’igualmente risplenda.
Or, come ai colpi de li caldi rai →
de la neve riman nudo il suggetto
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e dal colore e dal freddo primai,
così rimaso te ne l’intelletto
voglio informar di luce sì vivace,
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che ti tremolerà nel suo aspetto.
Dentro dal ciel de la divina pace →
si gira un corpo ne la cui virtute
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l’esser di tutto suo contento giace.
Lo ciel seguente, c’ha tante vedute, →
quell’ esser parte per diverse essenze,
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da lui distratte e da lui contenute.
Li altri giron per varie differenze →
le distinzion che dentro da sé hanno
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dispongono a lor fini e lor semenze.
Questi organi del mondo così vanno, →
come tu vedi omai, di grado in grado,
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che di sù prendono e di sotto fanno.
Riguarda bene omai sì com’ io vado →
per questo loco al vero che disiri,
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sì che poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtù d’i santi giri, →
come dal fabbro l’arte del martello,
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da’ beati motor convien che spiri;
e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello, →
de la mente profonda che lui volve
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prende l’image e fassene suggello.
E come l’alma dentro a vostra polve →
per differenti membra e conformate
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a diverse potenze si risolve,
così l’intelligenza sua bontate
multiplicata per le stelle spiega,
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girando sé sovra sua unitate.
Virtù diversa fa diversa lega →
col prezïoso corpo ch’ella avviva,
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nel qual, sì come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta onde deriva, →
la virtù mista per lo corpo luce
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come letizia per pupilla viva.
Da essa vien ciò che da luce a luce →
par differente, non da denso e raro;
essa è formal principio che produce,
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conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro.”
PARADISO III
Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto, → →
di bella verità m’avea scoverto, →
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provando e riprovando, il dolce aspetto;
e io, per confessar corretto e certo →
me stesso, tanto quanto si convenne
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leva’ il capo a proferer più erto;
ma visïone apparve che ritenne →
a sé me tanto stretto, per vedersi,
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che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi, →
o ver per acque nitide e tranquille,
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non sì profonde che i fondi sien persi,
tornan d’i nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte
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non vien men forte a le nostre pupille;
tali vid’ io più facce a parlar pronte;
per ch’io dentro a l’error contrario corsi →
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a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.
Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi, →
quelle stimando specchiati sembianti,
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per veder di cui fosser, li occhi torsi;
e nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume de la dolce guida,
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che, sorridendo, ardea ne li occhi
santi.
“Non ti maravigliar perch’ io sorrida,” →
mi disse, “appresso il tuo püeril coto,
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poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida,
ma te rivolve, come suole, a vòto:
vere sustanze son ciò che tu vedi, →
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qui rilegate per manco di voto.
Però parla con esse e odi e credi; →
ché la verace luce che le appaga
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da sé non lascia lor torcer li piedi.”
E io a l’ombra che parea più vaga →
di ragionar, drizza’mi, e cominciai, →
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quasi com’ uom cui troppa voglia smaga:
“O ben creato spirito, che a’ rai →
di vita etterna la dolcezza senti
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che, non gustata, non s’intende mai,
grazïoso mi fia se mi contenti
del nome tuo e de la vostra sorte.”
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Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti:
“La nostra carità non serra porte →
a giusta voglia, se non come quella
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che vuol simile a sé tutta sua corte.
I’ fui nel mondo vergine sorella; →
e se la mente tua ben sé riguarda, →
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non mi ti celerà l’esser più bella,
ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda, →
che, posta qui con questi altri beati,
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beata sono in la spera più tarda. →
Li nostri affetti, che solo infiammati →
son nel piacer de lo Spirito Santo,
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letizian del suo ordine formati.
E questa sorte che par giù cotanto, →
però n’è data, perché fuor negletti
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li nostri voti, e vòti in alcun canto.”
Ond’ io a lei: “Ne’ mirabili aspetti →
vostri risplende non so che divino
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che vi trasmuta da’ primi concetti:
però non fui a rimembrar festino;
ma or m’aiuta ciò che tu mi dici,
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sì che raffigurar m’è più latino.
Ma dimmi: voi che siete qui felici, →
disiderate voi più alto loco
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per più vedere e per più farvi amici?”
Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco; →
da indi mi rispuose tanto lieta,
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ch’arder parea d’amor nel primo foco: →
“Frate, la nostra volontà quïeta →
virtù di carità, che fa volerne
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sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
Se disïassimo esser più superne, →
foran discordi li nostri disiri
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dal voler di colui che qui ne cerne;
che vedrai non capere in questi giri,
s’essere in carità è qui necesse,
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e se la sua natura ben rimiri.
Anzi è formale ad esto beato esse →
tenersi dentro a la divina voglia,
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per ch’una fansi nostre voglie stesse;
sì che, come noi sem di soglia in soglia
per questo regno, a tutto il regno piace
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com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
E ’n la sua volontade è nostra pace: →
ell’ è quel mare al qual tutto si move →
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ciò ch’ella crïa o che natura face.”
Chiaro mi fu allor come ogne dove →
in cielo è paradiso, etsi la grazia
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del sommo ben d’un modo non vi piove.
Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia →
e d’un altro rimane ancor la gola,
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che quel si chere e di quel si ringrazia,
così fec’ io con atto e con parola,
per apprender da lei qual fu la tela →
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onde non trasse infino a co la spuola.
“Perfetta vita e alto merto inciela → →
donna più sù,” mi disse, “a la cui norma
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nel vostro mondo giù si veste e vela,
perché fino al morir si vegghi e dorma →
con quello sposo ch’ogne voto accetta
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che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per seguirla, giovinetta
fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi
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e promisi la via de la sua setta.
Uomini poi, a mal più ch’a bene usi, →
fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
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Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
E quest’ altro splendor che ti si mostra → →
da la mia destra parte e che s’accende
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di tutto il lume de la spera nostra,
ciò ch’io dico di me, di sé intende;
sorella fu, e così le fu tolta
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di capo l’ombra de le sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
contra suo grado e contra buona usanza,
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non fu dal vel del cor già mai disciolta.
Quest’ è la luce de la gran Costanza →
che del secondo vento di Soave
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generò ’l terzo e l’ultima possanza.” →
Così parlommi, e poi cominciò “Ave, → →
Maria” cantando, e cantando vanio
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come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia, che tanto lei seguio →
quanto possibil fu, poi che la perse,
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volsesi al segno di maggior disio,
e a Beatrice tutta si converse;
ma quella folgorò nel mïo sguardo
sì che da prima il viso non sofferse;
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e ciò mi fece a dimandar più tardo.
PARADISO IV
Intra due cibi, distanti e moventi → →
d’un modo, prima si morria di fame,
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che liber’ omo l’un recasse ai denti;
sì si starebbe un agno intra due brame →
di fieri lupi, igualmente temendo;
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sì si starebbe un cane intra due dame: →
per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,
da li miei dubbi d’un modo sospinto,
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poi ch’era necessario, né commendo.
Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto
m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,
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più caldo assai che per parlar distinto.
Fé sì Beatrice qual fé Danïello, →
Nabuccodonosor levando d’ira,
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che l’avea fatto ingiustamente fello;
e disse: “Io veggio ben come ti tira →
uno e altro disio, sì che tua cura
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sé stessa lega sì che fuor non spira.
Tu argomenti: ‘Se ’l buon voler dura, → →
la vïolenza altrui per qual ragione
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di meritar mi scema la misura?’
Ancor di dubitar ti dà cagione
parer tornarsi l’anime a le stelle,
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secondo la sentenza di Platone. →
Queste son le question che nel tuo velle → →
pontano igualmente; e però pria
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tratterò quella che più ha di felle.
D’i Serafin colui che più s’india, → →
Moïsè, Samuel, e quel Giovanni → →
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che prender vuoli, io di
co, non Maria,
non hanno in altro cielo i loro scanni →
che questi spirti che mo t’appariro,
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né hanno a l’esser lor più o meno anni; →
ma tutti fanno bello il primo giro, →
e differentemente han dolce vita →
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per sentir più e men l’etterno spiro. →
Qui si mostraro, non perché sortita →
sia questa spera lor, ma per far segno
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de la celestïal c’ha men salita. →
Così parlar conviensi al vostro ingegno, → →
però che solo da sensato apprende
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ciò che fa poscia d’intelletto degno.
Per questo la Scrittura condescende →
a vostra facultate, e piedi e mano
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attribuisce a Dio e altro intende;
e Santa Chiesa con aspetto umano →
Gabrïel e Michel vi rappresenta,
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e l’altro che Tobia rifece sano. →
Quel che Timeo de l’anime argomenta →
non è simile a ciò che qui si vede,
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però che, come dice, par che senta. →
Dice che l’alma a la sua stella riede,
credendo quella quindi esser decisa
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quando natura per forma la diede; →
e forse sua sentenza è d’altra guisa → → →
che la voce non suona, ed esser puote
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con intenzion da non esser derisa.
S’elli intende tornare a queste ruote →
l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse
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in alcun vero suo arco percuote.