Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)
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con costui puose il mondo in tanta pace, →
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che fu serrato a Giano il suo delubro. →
Ma ciò che ’l segno che parlar mi face →
fatto avea prima e poi era fatturo
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per lo regno mortal ch’a lui soggiace,
diventa in apparenza poco e scuro,
se in mano al terzo Cesare si mira
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con occhio chiaro e con affetto puro;
ché la viva giustizia che mi spira, → →
li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,
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gloria di far vendetta a la sua ira.
Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:
poscia con Tito a far vendetta corse →
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de la vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse →
la Santa Chiesa, sotto le sue ali
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Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Omai puoi giudicar di quei cotali → →
ch’io accusai di sopra e di lor falli,
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che son cagion di tutti vostri mali.
L’uno al pubblico segno i gigli gialli →
oppone, e l’altro appropria quello a parte,
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sì ch’è forte a veder chi più si falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte →
sott’ altro segno, ché mal segue quello
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sempre chi la giustizia e lui diparte;
e non l’abbatta esto Carlo novello →
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
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ch’a più alto leon trasser lo vello. →
Molte fïate già pianser li figli →
per la colpa del padre, e non si creda
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che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!
Questa picciola stella si correda →
d’i buoni spirti che son stati attivi
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perché onore e fama li succeda:
e quando li disiri poggian quivi,
sì disvïando, pur convien che i raggi
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del vero amore in sù poggin men vivi.
Ma nel commensurar d’i nostri gaggi →
col merto è parte di nostra letizia,
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perché non li vedem minor né maggi.
Quindi addolcisce la viva giustizia →
in noi l’affetto sì, che non si puote
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torcer già mai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fanno dolci note;
così diversi scanni in nostra vita
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rendon dolce armonia tra queste rote.
E dentro a la presente margarita →
luce la luce di Romeo, di cui
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fu l’ovra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzai che fecer contra lui →
non hanno riso; e però mal cammina
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qual si fa danno del ben fare altrui.
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
Ramondo Beringhiere, e ciò li fece →
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Romeo, persona umìle e peregrina.
E poi il mosser le parole biece
a dimandar ragione a questo giusto, →
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che li assegnò sette e cinque per diece, →
indi partissi povero e vetusto; →
e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe
mendicando sua vita a frusto a frusto,
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assai lo loda, e più lo loderebbe.”
PARADISO VII
“Osanna, sanctus Deus sabaòth, → → →
superillustrans claritate tua
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felices ignes horum malacòth!” →
Così, volgendosi a la nota sua, →
fu viso a me cantare essa sustanza,
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sopra la qual doppio lume s’addua; →
ed essa e l’altre mossero a sua danza,
e quasi velocissime faville →
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mi si velar di sùbita distanza.
Io dubitava e dicea “Dille, dille!” →
fra me, “dille” dicea, “a la mia donna
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che mi diseta con le dolci stille.” →
Ma quella reverenza che s’indonna →
di tutto me, pur per Be e per ice, →
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mi richinava come l’uom ch’assonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice
e cominciò, raggiandomi d’un riso
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tal, che nel foco faria l’uom felice: →
“Secondo mio infallibile avviso, → →
come giusta vendetta giustamente → →
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punita fosse, t’ha in pensier miso;
ma io ti solverò tosto la mente;
e tu ascolta, ché le mie parole
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di gran sentenza ti faran presente.
Per non soffrire a la virtù che vole →
freno a suo prode, quell’ uom che non nacque, →
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dannando sé, dannò tutta sua prole;
onde l’umana specie inferma giacque →
giù per secoli molti in grande errore, →
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fin ch’al Verbo di Dio discender piacque →
u’ la natura, che dal suo fattore →
s’era allungata, unì a sé in persona
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con l’atto sol del suo etterno amore.
Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona: →
questa natura al suo fattore unita,
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qual fu creata, fu sincera e buona;
ma per sé stessa pur fu ella sbandita
di paradiso, però che si torse
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da via di verità e da sua vita. →
La pena dunque che la croce porse
s’a la natura assunta si misura,
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nulla già mai sì giustamente morse;
e così nulla fu di tanta ingiura,
guardando a la persona che sofferse,
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in che era contratta tal natura.
Però d’un atto uscir cose diverse: →
ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;
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per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.
Non ti dee oramai parer più forte, →
quando si dice che giusta vendetta
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poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi’ or la tua mente ristretta → →
di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
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del qual con gran disio solver s’aspetta.
Tu dici: ‘Ben discerno ciò ch’i’ odo;
ma perché Dio volesse, m’è occulto,
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a nostra redenzion pur questo modo.’ →
Questo decreto, frate, sta sepulto
a li occhi di ciascuno il cui ingegno
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ne la fiamma d’amor non è adulto.
Veramente, però ch’a questo segno
molto si mira e poco si discerne,
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dirò perché tal modo fu più degno.
La divina bontà, che da sé sperne → →
ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
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sì che dispiega le bellezze etterne.
Ciò che da lei sanza mezzo distilla →
non ha poi fine, perché non si move →
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la sua imprenta quand’ ella sigilla.
Ciò che da essa sanza mezzo piove
libero è tutto, perché non soggiace
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a la virtute de le cose nove. →
Più l’è conforme, e però più le piace;
ché l’ardor
santo ch’ogne cosa raggia,
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ne la più somigliante è più vivace.
Di tutte queste dote s’avvantaggia
l’umana creatura, e s’una manca,
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di sua nobilità convien che caggia.
Solo il peccato è quel che la disfranca
e falla dissimìle al sommo bene,
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per che del lume suo poco s’imbianca;
e in sua dignità mai non rivene,
se non rïempie, dove colpa vòta,
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contra mal dilettar con giuste pene.
Vostra natura, quando peccò tota →
nel seme suo, da queste dignitadi,
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come di paradiso, fu remota;
né ricovrar potiensi, se tu badi
ben sottilmente, per alcuna via,
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sanza passar per un di questi guadi:
o che Dio solo per sua cortesia
dimesso avesse, o che l’uom per sé isso
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avesse sodisfatto a sua follia.
Ficca mo l’occhio per entro l’abisso
de l’etterno consiglio, quanto puoi
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al mio parlar distrettamente fisso.
Non potea l’uomo ne’ termini suoi →
mai sodisfar, per non potere ir giuso
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con umiltate obedïendo poi,
quanto disobediendo intese ir suso;
e questa è la cagion per che l’uom fue
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da poter sodisfar per sé dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vie sue →
riparar l’omo a sua intera vita,
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dico con l’una, o ver con amendue.
Ma perché l’ovra tanto è più gradita
da l’operante, quanto più appresenta
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de la bontà del core ond’ ell’ è uscita,
la divina bontà che ’l mondo imprenta,
di proceder per tutte le sue vie,
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a rilevarvi suso, fu contenta.
Né tra l’ultima notte e ’l primo die →
sì alto o sì magnifico processo,
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o per l’una o per l’altra, fu o fie:
ché più largo fu Dio a dar sé stesso
per far l’uom sufficiente a rilevarsi,
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che s’elli avesse sol da sé dimesso;
e tutti li altri modi erano scarsi
a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio
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non fosse umilïato ad incarnarsi.
Or per empierti bene ogne disio,
ritorno a dichiararti in alcun loco,
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perché tu veggi lì così com’ io.
Tu dici: ‘Io veggio l’acqua, io veggio il foco, → →
l’aere e la terra e tutte lor misture
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venire a corruzione, e durar poco;
e queste cose pur furon creature;
per che, se ciò ch’è detto è stato vero,
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esser dovrien da corruzion sicure.’
Li angeli, frate, e ’l paese sincero
nel qual tu se’, dir si posson creati,
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sì come sono, in loro essere intero;
ma li alimenti che tu hai nomati
e quelle cose che di lor si fanno
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da creata virtù sono informati.
Creata fu la materia ch’elli hanno;
creata fu la virtù informante
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in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.
L’anima d’ogne bruto e de le piante →
di complession potenzïata tira
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lo raggio e ’l moto de le luci sante;
ma vostra vita sanza mezzo spira
la somma beninanza, e la innamora
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di sé sì che poi sempre la disira.
E quinci puoi argomentare ancora →
vostra resurrezion, se tu ripensi
come l’umana carne fessi allora
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che li primi parenti intrambo fensi.”
PARADISO VIII
Solea creder lo mondo in suo periclo →
che la bella Ciprigna il folle amore →
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raggiasse, volta nel terzo epiciclo; →
per che non pur a lei faceano onore →
di sacrificio e di votivo grido
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le genti antiche ne l’antico errore;
ma Dïone onoravano e Cupido, →
quella per madre sua, questo per figlio,
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e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; →
e da costei ond’ io principio piglio →
pigliavano il vocabol de la stella
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che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. →
Io non m’accorsi del salire in ella; →
ma d’esservi entro mi fé assai fede
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la donna mia ch’i’ vidi far più bella.
E come in fiamma favilla si vede, →
e come in voce voce si discerne, →
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quand’ una è ferma e altra va e riede,
vid’ io in essa luce altre lucerne →
muoversi in giro più e men correnti, →
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al modo, credo, di lor viste interne.
Di fredda nube non disceser venti,
o visibili o no, tanto festini, →
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che non paressero impediti e lenti
a chi avesse quei lumi divini
veduti a noi venir, lasciando il giro →
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pria cominciato in li alti Serafini;
e dentro a quei che più innanzi appariro
sonava “Osanna” sì, che unque poi →
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di rïudir non fui sanza disiro.
Indi si fece l’un più presso a noi →
e solo incominciò: “Tutti sem presti
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al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
Noi ci volgiam coi principi celesti → →
d’un giro e d’un girare e d’una sete,
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ai quali tu del mondo già dicesti:
‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;
e sem sì pien d’amor, che, per piacerti, →
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non fia men dolce un poco di quïete.” →
Poscia che li occhi miei si fuoro offerti →
a la mia donna reverenti, ed essa
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fatti li avea di sé contenti e certi,
rivolsersi a la luce che promessa
tanto s’avea, e “Deh, chi siete?” fue →
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la voce mia di grande affetto impressa. →
E quanta e quale vid’ io lei far piùe →
per allegrezza nova che s’accrebbe,
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quando parlai, a l’allegrezze sue!
Così fatta, mi disse: “Il mondo m’ebbe →
giù poco tempo; e se più fosse stato,
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molto sarà di mal, che non sarebbe.
La mia letizia mi ti tien celato →
che mi raggia dintorno e mi nasconde
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quasi animal di sua seta fasciato.
Assai m’amasti, e avesti ben onde; →
che s’io fossi giù stato, io ti mostrava
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di mio amor più oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava →
di Rodano poi ch’è misto con Sorga,
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per suo segnore a tempo m’aspettava,
e quel corno d’Ausonia che s’imborga
di Bari e di Gaeta e di Catona,
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da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
/> Fulgeami già in fronte la corona →
di quella terra che ’l Danubio riga
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poi che le ripe tedesche abbandona.
E la bella Trinacria, che caliga →
tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo →
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che riceve da Euro maggior briga,
non per Tifeo ma per nascente solfo, →
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
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nati per me di Carlo e di Ridolfo,
se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
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mosso Palermo a gridar: ‘Mora, mora!’ →
E se mio frate questo antivedesse, →
l’avara povertà di Catalogna
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già fuggeria, perché non li offendesse;
ché veramente proveder bisogna →
per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca
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carcata più d’incarco non si pogna.
La sua natura, che di larga parca →
discese, avria mestier di tal milizia →
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che non curasse di mettere in arca.”
“Però ch’i’ credo che l’alta letizia →
che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
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là ’ve ogne ben si termina e s’inizia,
per te si veggia come la vegg’ io,
grata m’è più; e anco quest’ ho caro
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perché ’l discerni rimirando in Dio.
Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro, →
poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
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com’ esser può, di dolce seme, amaro.”