Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)
Page 29
Questo io a lui; ed elli a me: “S’io posso →
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
96
terrai lo viso come tien lo dosso.
Lo ben che tutto il regno che tu scandi → →
volge e contenta, fa esser virtute
99
sua provedenza in questi corpi grandi.
E non pur le nature provedute →
sono in la mente ch’è da sé perfetta,
102
ma esse insieme con la lor salute:
per che quantunque quest’ arco saetta →
disposto cade a proveduto fine,
105
sì come cosa in suo segno diretta.
Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine →
producerebbe sì li suoi effetti,
108
che non sarebbero arti, ma ruine;
e ciò esser non può, se li ’ntelletti →
che muovon queste stelle non son manchi,
111
e manco il primo, che non li ha perfetti.
Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?” →
E io “Non già; ché impossibil veggio
114
che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi.”
Ond’ elli ancora: “Or dì: sarebbe il peggio →
per l’omo in terra, se non fosse cive?”
117
“Sì” rispuos’ io; “e qui ragion non cheggio.”
“E puot’ elli esser, se giù non si vive →
diversamente per diversi offici?
120
Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive.”
Sì venne deducendo infino a quici; →
poscia conchiuse: “Dunque esser diverse →
123
convien di vostri effetti le radici:
per ch’un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
126
che, volando per l’aere, il figlio perse.
La circular natura, ch’è suggello → →
a la cera mortal, fa ben sua arte,
129
ma non distingue l’un da l’altro ostello.
Quinci addivien ch’Esaù si diparte →
per seme da Iacòb; e vien Quirino
132
da sì vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino →
simil farebbe sempre a’ generanti,
135
se non vincesse il proveder divino.
Or quel che t’era dietro t’è davanti: →
ma perché sappi che di te mi giova,
138
un corollario voglio che t’ammanti. →
Sempre natura, se fortuna trova →
discorde a sé, com’ ogne altra semente
141
fuor di sua regïon, fa mala prova.
E se ’l mondo là giù ponesse mente →
al fondamento che natura pone,
144
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religïone →
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone;
148
onde la traccia vostra è fuor di strada.”
PARADISO IX
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, →
m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni
3
che ricever dovea la sua semenza;
ma disse: “Taci e lascia muover li anni”;
sì ch’io non posso dir se non che pianto
6
giusto verrà di retro ai vostri danni.
E già la vita di quel lume santo →
rivolta s’era al Sol che la rïempie →
9
come quel ben ch’a ogne cosa è tanto.
Ahi anime ingannate e fatture empie, →
che da sì fatto ben torcete i cuori,
12
drizzando in vanità le vostre tempie! →
Ed ecco un altro di quelli splendori →
ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi →
15
significava nel chiarir di fori.
Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi
sovra me, come pria, di caro assenso
18
al mio disio certificato fermi. →
“Deh, metti al mio voler tosto compenso, →
beato spirto,” dissi, “e fammi prova
21
ch’i’ possa in te refletter quel chi’io penso!” →
Onde la luce che m’era ancor nova,
del suo profondo, ond’ ella pria cantava, →
24
seguette come a cui di ben far giova:
“In quella parte de la terra prava → →
italica che siede tra Rïalto
27
e le fontane di Brenta e di Piava,
si leva un colle, e non surge molt’ alto,
là onde scese già una facella →
30
che fece a la contrada un grande assalto.
D’una radice nacqui e io ed ella: → →
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
33
perché mi vinse il lume d’esta stella;
ma lietamente a me medesma indulgo →
la cagion di mia sorte, e non mi noia;
36
che parria forse forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e cara gioia →
del nostro cielo che più m’è propinqua, →
39
grande fama rimase; e pria che moia,
questo centesimo anno ancor s’incinqua: →
vedi se far si dee l’omo eccellente, →
42
sì ch’altra vita la prima relinqua.
E ciò non pensa la turba presente →
che Tagliamento e Adice richiude,
45
né per esser battuta ancor si pente;
ma tosto fia che Padova al palude →
cangerà l’acqua che Vincenza bagna,
48
per essere al dover le genti crude;
e dove Sile e Cagnan s’accompagna, →
tal signoreggia e va con la testa alta,
51
che già per lui carpir si fa la ragna.
Piangerà Feltro ancora la difalta →
de l’empio suo pastor, che sarà sconcia
54
sì, che per simil non s’entrò in malta. →
Troppo sarebbe larga la bigoncia
che ricevesse il sangue ferrarese,
57
e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia,
che donerà questo prete cortese
per mostrarsi di parte; e cotai doni
60
conformi fieno al viver del paese.
Sù sono specchi, voi dicete Troni, →
onde refulge a noi Dio giudicante;
63
sì che questi parlar ne paion buoni.” →
Qui si tacette; e fecemi sembiante →
che fosse ad altro volta, per la rota
66
in che si mise com’ era davante.
L’altra letizia, che m’era già nota →
per cara cosa, mi si fece in vista
69
qual fin balasso in che lo sol percuota. →
Per letiziar là sù fulgor s’acquista, →
sì come riso qui; ma giù s’abbuia
72
l’ombra di fuor, come la mente è trista.
“Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia,” →
diss’ io, “beato spirto, sì che nulla
75
voglia di sé a te puot’ esser fuia.
Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla
sempre col canto di quei fuochi pii →
78
che di sei ali facen la coculla,
perché non satisface a’ miei disii?
 
; Già non attendere’ io tua dimanda,
81
s’io m’intuassi, come tu t’inmii.”
“La maggior valle in che l’acqua si spanda,” →
incominciaro allor le sue parole,
84
“fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
tra ’ discordanti liti contra ’l sole →
tanto sen va, che fa meridïano
87
là dove l’orizzonte pria far suole.
Di quella valle fu’ io litorano
tra Ebro e Macra, che per cammin corto
90
parte lo Genovese dal Toscano.
Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra ond’ io fui,
93
che fé del sangue suo già caldo il porto. →
Folco mi disse quella gente a cui →
fu noto il nome mio; e questo cielo →
96
di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui; →
ché più non arse la figlia di Belo, →
noiando e a Sicheo e a Creusa,
99
di me, infin che si convenne al pelo;
né quella Rodopëa che delusa
fu da Demofoonte, né Alcide
102
quando Iole nel core ebbe rinchiusa.
Non però qui si pente, ma si ride, →
non de la colpa, ch’a mente non torna,
105
ma del valor ch’ordinò e provide.
Qui si rimira ne l’arte ch’addorna →
cotanto affetto, e discernesi ’l bene
108
per che ’l mondo di sù quel di giù torna.
Ma perché tutte le tue voglie piene →
ten porti che son nate in questa spera,
111
procedere ancor oltre mi convene.
Tu vuo’ saper chi è in questa lumera
che qui appresso me così scintilla
114
come raggio di sole in acqua mera.
Or sappi che là entro si tranquilla →
Raab; e a nostr’ ordine congiunta,
117
di lei nel sommo grado si sigilla.
Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta →
che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma →
120
del trïunfo di Cristo fu assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma
in alcun cielo de l’alta vittoria
123
che s’acquistò con l’una e l’altra palma, →
perch’ ella favorò la prima gloria →
di Iosüè in su la Terra Santa,
126
che poco tocca al papa la memoria.
La tua città, che di colui è pianta →
che pria volse le spalle al suo fattore
129
e di cui è la ’nvidia tanto pianta,
produce e spande il maladetto fiore →
c’ha disvïate le pecore e li agni,
132
però che fatto ha lupo del pastore.
Per questo l’Evangelio e i dottor magni →
son derelitti, e solo ai Decretali
135
si studia, sì che pare a’ lor vivagni.
A questo intende il papa e ’ cardinali; →
non vanno i lor pensieri a Nazarette, →
138
là dove Gabrïello aperse l’ali.
Ma Vaticano e l’altre parti elette
di Roma che son state cimitero
a la milizia che Pietro seguette,
142
tosto libere fien de l’avoltero.”
PARADISO X
Guardando nel suo Figlio con l’Amore → →
che l’uno e l’altro etternalmente spira,
3
lo primo e ineffabile Valore
quanto per mente e per loco si gira →
con tant’ ordine fé, ch’esser non puote
6
sanza gustar di lui chi ciò rimira. →
Leva dunque, lettore, a l’alte rote →
meco la vista, dritto a quella parte
9
dove l’un moto e l’altro si percuote; →
e lì comincia a vagheggiar ne l’arte →
di quel maestro che dentro a sé l’ama,
12
tanto che mai da lei l’occhio non parte.
Vedi come da indi si dirama
l’oblico cerchio che i pianeti porta,
15
per sodisfare al mondo che li chiama.
Che se la strada lor non fosse torta, →
molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
18
e quasi ogne potenza qua giù morta;
e se dal dritto più o men lontano
fosse ’l partire, assai sarebbe manco
21
e giù e sù de l’ordine mondano.
Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco, →
dietro pensando a ciò che si preliba, →
24
s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.
Messo t’ho innanzi; omai per te ti ciba;
ché a sé torce tutta la mia cura
27
quella materia ond’ io son fatto scriba. →
Lo ministro maggior de la natura, → →
che del valor del ciel lo mondo imprenta
30
e col suo lume il tempo ne misura,
con quella parte che sù si rammenta →
congiunto, si girava per le spire →
33
in che più tosto ognora s’appresenta;
e io era con lui; ma del salire
non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge, →
36
anzi ’l primo pensier, del suo venire.
É Bëatrice quella che sì scorge →
di bene in meglio, sì subitamente
39
che l’atto suo per tempo non si sporge.
Quant’ esser convenia da sé lucente →
quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi,
42
non per color, ma per lume parvente!
Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami, →
sì nol direi che mai s’imaginasse;
45
ma creder puossi e di veder si brami.
E se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non è maraviglia;
48
ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse.
Tal era quivi la quarta famiglia →
de l’alto Padre, che sempre la sazia,
51
mostrando come spira e come figlia.
E Bëatrice cominciò: “Ringrazia, →
ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo
54
sensibil t’ha levato per sua grazia.”
Cor di mortal non fu mai sì digesto
a divozione e a rendersi a Dio
57
con tutto ’l suo gradir cotanto presto,
come a quelle parole mi fec’ io;
e sì tutto ’l mio amore in lui si mise, →
60
che Bëatrice eclissò ne l’oblio.
Non le dispiacque, ma sì se ne rise, →
che lo splendor de li occhi suoi ridenti
63
mia mente unita in più cose devise.
Io vidi più folgór vivi e vincenti →
far di noi centro e di sé far corona,
66
più dolci in voce che in vista lucenti:
così cinger la figlia di Latona
vedem talvolta, quando l’aere è pregno,
69
sì che ritenga il fil che fa la zona.
Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno, →
si trovan molte gioie care e belle
72
tanto che non si posson trar del regno;
e ’l canto di q
uei lumi era di quelle;
chi non s’impenna sì che là sù voli,
75
dal muto aspetti quindi le novelle.
Poi, sì cantando, quelli ardenti soli →
si fuor girati intorno a noi tre volte,
78
come stelle vicine a’ fermi poli,
donne mi parver, non da ballo sciolte,
ma che s’arrestin tacite, ascoltando
81
fin che le nove note hanno ricolte.
E dentro a l’un senti’ cominciar: “Quando →
lo raggio de la grazia, onde s’accende
84
verace amore e che poi cresce amando,
multiplicato in te tanto resplende,
che ti conduce su per quella scala →
87
u’ sanza risalir nessun discende; →
qual ti negasse il vin de la sua fiala
per la tua sete, in libertà non fora
90
se non com’ acqua ch’al mar non si cala.
Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora
questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia
93
la bella donna ch’al ciel t’avvalora.
Io fui de li agni de la santa greggia
che Domenico mena per cammino
96
u’ ben s’impingua se non si vaneggia.
Questi che m’è a destra più vicino, →
frate e maestro fummi, ed esso Alberto
99
è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. →
Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo,
di retro al mio parlar ten vien col viso
102
girando su per lo beato serto.