«Aspettami!» grido fingendo di rimproverarlo.
«Sei uguale al mio fratellino, anche lui rimane sempre indietro perché si perde nelle sue fantasticherie.»
«Il tuo fratellino dev’essere un bel tipo. Sognare a occhi aperti è l’unico modo per capire davvero la bellezza del mondo.»
Malik mi guarda con i suoi occhioni scuri e dolci, e sorride. Per la prima volta mi accorgo di quanto sia bello ed elegante. Senza alcuna ragione plausibile, mi vengono in mente i miei genitori e i loro commenti sui bambini biondi e con la pelle chiara. Vorrei urlare tutto il mio disgusto per quelle esternazioni, perciò relego ciò che hanno detto sull’argomento in un angolino remoto del mio cervello, da dove spero che non spunterà mai più fuori.
«Raccontami di tuo fratello», gli chiedo per concentrare i miei pensieri su qualcosa di bello. Sono curiosa di conoscere di più Malik, perché per il momento so davvero poco.
«Si chiama Theo, ha otto anni, ma si fa già mettere sotto dalle sorelle più piccole. Credo sia per questo che spesso si chiude in se stesso.»
«Quante sorelle hai?»
«Quattro.»
«Quattro! Wow. Quindi in totale siete in sei? Dev’essere una faticaccia per i tuoi genitori.»
«Bah, a casa mia ci prendiamo tutti cura l’uno dell’altro. Affrontiamo i problemi insieme. E, alla fine, in qualche modo ce la caviamo.»
«È bello», dico, pensando alla mia famiglia e alla mia infanzia. I miei genitori non si sono mai curati molto di me e dei miei fratelli, era un compito che affidavano alle tate.
«E tu? Hai fratelli o sorelle?» domanda Malik.
«Tre orribili fratelli maggiori», rispondo. «Da noi, invece, non ci prendiamo molto cura l’uno dell’altro. Prima di tutto ognuno pensa a se stesso.» Non vorrei suonare troppo triste, ma non riesco a nascondere la mia amarezza.
«Non si direbbe, conoscendoti», commenta Malik, sorridendomi dall’alto dei suoi due metri. Ha uno sguardo caldo e profondo che mi fa subito dimenticare la tristezza.
«Posso chiederti una cosa?» dico. «Puoi anche dirmi di no, non fa niente.»
«Chiedi pure.»
«Un giorno mi fai salire sulle tue spalle?» Le parole mi sono rotolate fuori con naturalezza dalle labbra, anche se so che la mia è una richiesta inopportuna e parecchio strana. A volte non riesco a tenere a freno la lingua, proprio come non riesco a fare con il cervello.
«Vuoi che ti porti sulle spalle?» chiede Malik divertito. «Perché?»
«Be’, prima di tutto», rispondo, «perché mi piace essere trasportata, e alla mia età non succede più così spesso. Poi mi sono chiesta se il mondo dalla tua prospettiva sia molto diverso da come lo vedo io, e mi dispiacerebbe molto non poter giudicare di persona.» Abbasso lo sguardo, perché ho timore di essere un po’ arrossita. È vero che voglio vedere il mondo dalla prospettiva di Malik, ma detto così, ad alta voce, sembra una cosa molto stupida.
«Direi che sono due ottime ragioni», considera lui. «Salta su.»
Si mette in ginocchio e io rimango sbalordita, perché non pensavo di farlo qui, subito. Ma mi arrampico all’istante su di lui, che si rialza senza alcuna fatica, come se non avesse il peso di una persona adulta sulla schiena.
«Wooooow!» esclamo. Mi sento un po’ in bilico quassù, e non so bene a cosa tenermi. Tamsin e Rhys si voltano e, appena ci vedono, scoppiano a ridere.
«Allora? Come ci si sente?» chiede Malik, stringendomi i polpacci. È una sensazione piacevole e, in un certo senso, tranquillizzante.
«Alti!» rispondo, guardandomi intorno. Da quassù il bosco sembra davvero diverso. Diverso, eppure uguale. Il terreno è così lontano che non riesco nemmeno a distinguere i singoli granelli di ghiaia. Ma in compenso vedo molti più alberi.
«Puoi mettermi le mani sulla testa, le mie sorelline lo fanno sempre per tenersi meglio in equilibrio.»
Affondo con delicatezza le dita nei suoi capelli corti e neri. La sua testa è calda, i capelli crespi sono allo stesso tempo molto soffici.
«È come avevi immaginato?» chiede Malik.
«Molto meglio! È importante guardare le cose da un’altra prospettiva, per capire di più l’ambiente che ci circonda. D’ora in poi credo che ogni tanto mi metterò in piedi su una sedia.»
Malik ride. «Già ti immagino. Tu in piedi su una sedia in camera tua, a osservare il mondo da una nuova prospettiva.»
«Potresti avvicinarti a un albero?» gli chiedo. «Mi piacerebbe toccare la corteccia in alto, dove sono sicura di essere la prima in assoluto a posare una mano.»
Malik si avvicina a un abete sul ciglio del sentiero e io, a tre metri di altezza, passo la mano sul tronco. Da un punto cola della resina, decido di accarezzare quella ferita con l’indice.
«Che profumo!» dico, annusandomi la mano. «Senti», aggiungo mettendo il dito sotto il naso di Malik.
«Wow!» esclama lui. «Ma non mettermela sui capelli, quella roba è appiccicosissima.»
Mi pulisco il dito sulla corteccia e proseguiamo.
«Se divento troppo pesante dimmelo», suggerisco a Malik. «Da sola non credo di essere in grado di scendere.»
Invece di rispondere, lui stringe ancora più saldamente i miei polpacci e io poso di nuovo le mani sulla sua testa. Senza rendermene conto, comincio a passargli le dita tra i capelli.
«Questo mi pare un buon accordo, tu mi massaggi la testa e io ti porto», dice Malik con voce divertita.
«Raccontami del tuo nuovo lavoro», gli chiedo, continuando a far scivolare le dita sulla sua testa. Mi sento un po’ strana, ma d’altronde mi ci sento quasi sempre, in ogni genere di situazione.
«Che vuoi sapere?» dice lui.
«Tutto!» rispondo.
«Tutto, wow. Allora. La gente che lavora lì è molto strana. Credo che ci vorrà parecchio tempo prima che mi accettino, anche perché a parte me sono tutti bianchi.»
«Le noti sempre queste cose?» Lo trovo un argomento molto interessante, non ho mai riflettuto seriamente sulla questione.
«Be’, sì, è come un riflesso automatico. Entro in una stanza e mi accorgo subito se tutti gli altri hanno un aspetto diverso dal mio. Non che sia una cosa negativa di per sé, però ne sono sempre consapevole.»
«In effetti hai ragione», concordo. «Quello che dici ha senso, non ci avevo mai pensato prima.»
«Sicura? Non provi mai la sensazione di essere ‘diversa’ dagli altri?»
«Uhm», dico pensosa. «Sì, in realtà sì.»
«Credo sia una cosa molto simile», afferma lui.
Mi sorprende scoprire che Malik sia una persona così riflessiva. Non che non lo ritenessi all’altezza, ma finora l’ho sempre visto solo come il migliore amico di Rhys, un compagnone che si comporta e scherza da amico. Vederlo sotto quest’altra luce mi stupisce e mi incuriosisce.
«E cosa hai imparato finora dal tirocinio?» riprendo, per alleggerire un po’ il discorso. Tutto a un tratto percepisco intensamente la pressione delle dita di Malik sulle mie caviglie.
«La lingua francese», risponde lui.
«Come, scusa?» Sono sicura di aver sentito male.
«Nel senso dell’idioma», dice Malik ridendo. «Non è quello che pensi.»
«Non pensavo mica…» comincio, ma poi scoppio a ridere, quando capisco a cosa stia alludendo lui, e gli tiro un orecchio. «Niente oscenità, per favore, non quando hai sulle spalle una gentile fanciulla», lo sgrido.
«Hai cominciato tu, ho solo risposto alla domanda. Comunque, sto davvero imparando il francese, in cucina quasi tutte le espressioni sono in quella lingua. Dalla maniera di impiattare, alle tecniche per tagliare le verdure… tutto.»
«Fammi un esempio», lo sfido.
«Vedi quei ciottoli squadrati?» mi chiede lui. «Sono dei cubetti non troppo regolari, ovvero una concassée.»
«Concassée», ripeto, con una voce che nelle mie intenzioni dovrebbe essere profonda e sexy.
«Invece i sassolini che vedi accanto sono più piccoli e si chiamerebbero jardinière. Se lo fossero ancora di più sarebbero una brunoise.» Dal tono della sua voce capisco che
sta sogghignando.
«Jardinière, brunoise», ripeto, sempre con voce roca.
«Invece quei rametti che sembrano delle striscioline sottili sono una julienne.»
«Julienne!»
Malik aumenta per un attimo la pressione sulle mie caviglie, come se volesse stritolarmi per scherzo.
«Prendili pure in giro», dice. «Non puoi immaginare come si sente importante quella gente.»
«Oh, posso eccome.» Non ha idea quanto.
Ci avviamo verso casa e quando torniamo vicino al laghetto – nel frattempo ho ripreso a camminare sulle mie gambe – mi viene un’idea.
«Vi va di mettere i piedi nell’acqua?» chiedo. Comincio subito a togliermi le scarpe, e Tamsin mi imita immediatamente.
«Una bain-marie per i piedi», annuncia Malik, scoppiando a ridere. Poi aggiunge per spiegarci: «Sarebbe ‘bagnomaria’, nella lingua della haute cuisine».
«Una bain-marie per i miei piedì», dico imitando l’accento francese e incamminandomi ridendo verso l’acqua.
8
Malik
È SERA e sono in piedi accanto a Zelda, di fronte all’isola della cucina, da cui si vede tutto il soggiorno. Rhys e Tamsin hanno fatto la spesa e stanno liberando il tavolo, mentre noi due cuciniamo. Io mi occupo della pasta e della salsa, Zelda taglia le verdure per fare l’insalata.
«Questo come si chiama?» chiede lei, porgendomi un dadino di carota di media grandezza.
«Jardinière.»
«E questo?» Mi fa vedere un dadino più grande.
«Macédoine.»
«E quest’altro?» È una striscia di cetriolo.
«Aiguilette.»
«Invece così?» La divide in tante striscioline più piccole.
«Julienne. E se le facessi ancora più piccole sarebbe una chiffonade.»
«Ma c’è un nome per ogni forma? Anche per questo?» Mi mostra un pezzo rotondo di peperone.
«Sì, quello si chiama ‘Zelda ci mette una vita a pelare le verdure’.»
Mescolo la salsa all’arrabbiata e la assaggio. Ci vuole ancora un po’ di sale e pepe.
«Posso provare anche io?» chiede Zelda.
Soffio sul cucchiaio e glielo porgo. Lei sporge le labbra in fuori. Sono belle. Rosate.
«Mmm», fa dopo aver assaggiato.
«Sto morendo di fame!» esclama Rhys, mentre prende piatti e posate dalla credenza. «Quanto ci vuole ancora?»
«Dipende da quanti tagli di verdure Zelda ha intenzione di provare», rispondo. «La pasta è pronta tra cinque minuti.»
«L’insalata è pronta da un pezzo», mi contraddice Zelda, mettendomi sotto il naso l’insalatiera, con aria trionfante. Mi guarda dritto negli occhi con le sue iridi azzurre e sfacciate. È davvero una sfida sostenere il suo sguardo, così audace e aperto. La sento di nuovo sulle spalle, la piacevole sensazione di avere i piedi ben saldi per terra, come se il peso del suo corpo fosse proprio ciò che mi mancava per stare in equilibrio. E poi le sue caviglie minuscole tra le mani, le sue dita tra i capelli. È la prima volta che mi capita di stare a così stretto contatto con una bianca e, in generale, è da parecchio che non mi avvicino a una ragazza, e viceversa. Certo, so bene che Zelda è così, che questo è il suo modo normale di interagire con le persone, ma le sue attenzioni mi fanno comunque piacere, così come le sue domande sulla mia famiglia e sul mio lavoro, che mi sembrano mosse da sincero interesse.
Si scosta una ciocca di capelli rosa dal viso pallido e punteggiato di lentiggini e mi sorride compiaciuta. Ed ecco la fossetta sulla guancia sinistra. La guardo e mi accorgo con un certo stupore che sto arrossendo.
Mi schiarisco la voce e distolgo lo sguardo. Ma che cavolo mi succede? Vedere Rhys e Tamsin così felici insieme mi ha annebbiato il cervello? Guardo di nuovo Zelda, che sta mescolando l’insalata. Tutto a posto. I miei pensieri riprendono a fluire sui consueti binari e la temperatura del mio corpo torna alla normalità.
Durante la cena beviamo del vino rosso. In realtà sarei più un tipo da birra, ma questa sera mi sento più allegro a bere vino insieme a tutti. Non ne capisco ancora molto, ma ha un sapore pieno e caldo. Le guance di Zelda si fanno rosse dopo solo mezzo bicchiere, formando un incantevole contrasto con il rosa dei suoi capelli. Anche Tamsin è splendida alla luce delle candele, Rhys è stato proprio fortunato a trovare una come lei. Allegra, sicura di sé e di animo buono. Una volta finito il tirocinio, spero anche io di incontrare la ragazza giusta con cui mettere su una grande famiglia. Ma non ancora. Adesso il mio futuro è ancora troppo incerto.
Questa sera Rhys è sorprendentemente ciarliero. Racconta di sua sorella e dei suoi successi a scuola.
«È arrivata in classe da poco, ma la maestra dice che si è già ambientata. Ha ancora qualche problema a interagire con gli altri bambini, ma dopo essere stati trascurati per dieci anni non ci si riprende così facilmente.»
Tamsin gli prende la mano e gliela stringe, lo guarda negli occhi e sorride. E, tutto a un tratto, qualcuno stringe anche la mia mano. È Zelda, che è seduta accanto a me e mi guarda con gli stessi occhi languidi. Mi sento avvampare. Che significa? Che sta facendo?
Lei nota il mio sguardo perplesso e mi lascia la mano, sbuffando. «Dovevi fare un bel sospirone, Malik!» mi rimprovera indicando Rhys e Tamsin, che arrossiscono all’istante e scoppiano a ridere.
«Scusate, ragazzi, andiamo a lavare i piatti», annuncia Tamsin, cominciando a sparecchiare.
«Io vado a sbirciare i giochi da tavolo, magari c’è qualcosa di divertente!» dice Zelda.
Mi accomodo sul divano. Lei è davanti a me, di spalle, seduta per terra a gambe incrociate davanti allo scaffale con i giochi. Osservo la sua schiena delicata. Si è legata i capelli in una coda, lasciando scoperto il collo, bianco e grazioso. Tutto a un tratto mi sembra familiare, come se conoscessi benissimo la sensazione della sua pelle morbida e vellutata. Mi passo le mani sul viso. Forse sono stato un po’ troppo da solo, negli ultimi tempi. Forse non avrei dovuto concentrarmi soltanto sulla mia famiglia, ma stare un po’ di più tra la gente. È che non sono più abituato a stare in compagnia di persone con le quali non condivido un legame di sangue. Da quando sono entrato nel programma di Amy, sto cercando di tenermi alla larga dalla gente che mi ha indotto a compiere scelte sbagliate. E, a parte Rhys e Tamsin, non ho conosciuto nessun altro. Mi sento più sicuro a frequentare persone che sanno chi sono e cosa è successo. Non me ne vergogno, ho commesso degli errori, ma ho anche pagato e imparato dalla mia esperienza. Adesso, però, non sono più così sicuro che sia stata una buona idea tenere il mondo a distanza. E, soprattutto, non so se voglio continuare a farlo. Ma in ogni caso… Zelda? Una ragazza bianca che viene da un mondo popolato di sorbetti e Mini Cooper?
«Questo non è male!» esclama lei entusiasta, strappandomi ai miei pensieri. «Sentite qua: ‘Le verità nascoste. Tutto quello che hai sempre voluto sapere di chi ti sta intorno’. Che ne pensate?»
«Non so se fa per me», dice Rhys, mentre asciuga un piatto. «Sembra una specie di… striptease dell’anima.»
«Avanti!» lo supplica Tamsin. «Io lo trovo fichissimo. Proviamo. Malik, tu ci stai?»
«Non mi pare di avere molta scelta», rispondo. In realtà sono molto curioso di sapere come funziona.
«Allora è deciso!» Zelda prende dallo scaffale la scatola di cartone e la posa sul tavolino davanti al divano, poi solleva il coperchio, rivelando un mazzo di carte. «Se ho ben capito, ognuno pesca a turno una carta e risponde alla domanda, che riguarda qualcuno dei presenti. Intrigante, no?» spiega inarcando le sopracciglia e ammiccando.
Rhys e Tamsin arrivano con i nostri bicchieri, che hanno riempito di nuovo. Zelda rimane seduta sul pavimento, Rhys prende posto accanto a me sul divano e Tamsin avvicina una poltrona al tavolo, per stare vicino a lui.
Zelda posiziona davanti a ciascuno di noi un mazzetto di carte. Rhys prende il suo e una gli cade per terra. Mi chino a raccoglierla e gliela porgo, e lui la mette in fondo alla pila.
«Comincia tu, Tamsin.»
Lei scopre la prima carta del suo mazzo e legge ad alta voce: «In quale situ
azione avresti voluto avere accanto a te la persona seduta alla tua sinistra, e perché?»
Rhys si appoggia allo schienale del divano e incrocia le braccia al petto. «In realtà la domanda vera sarebbe: in quale situazione non avresti voluto averlo tra i piedi?» Ridiamo tutti.
«A dir la verità, ti vorrei accanto a me in qualsiasi circostanza, ma un momento in cui ho sentito moltissimo la mancanza di un alleato è stato al funerale di mio nonno. E non sto parlando di un alleato qualsiasi, ma di una persona come te, Rhys, che mi vede per quella che sono.»
«Oooooh», fa Zelda, mentre Rhys si china a baciare Tamsin.
«Adesso tocca a me», dice lui scoprendo la prima carta. «Tra i presenti chi vorresti avere come fratello o sorella?» Rhys sorride. «Direi, Tamsin, che tu sei automaticamente esclusa… E Zelda, non prendertela, sono sicuro che saresti una splendida sorella, ma ho sempre desiderato avere un fratello. Un fratello pronto a lottare insieme a me contro il resto del mondo. E credo che tu potresti davvero esserlo, Malik.»
«Grazie della sviolinata. Ricambio di cuore.»
«Visto quanto è carino questo gioco?» Zelda ride, mettendo di nuovo in mostra la fossetta. Tamsin annuisce.
«La mia carta invece dice: ‘Secondo te, chi tra i presenti è il più bravo a essere se stesso?’» leggo. «Questa è facile. Sei tu, Zelda.»
«Davvero?» chiede lei perplessa. «Come ti viene in mente?»
«Perché dai sempre l’impressione di fare quello che ti va di fare, in ogni momento.»
«Wow, è il complimento migliore che mi abbiano mai fatto», dice lei, portandosi una mano davanti agli occhi.
Ha un’aria incantevole, con il viso così accaldato. Sono stato io a provocarle quel rossore?
«Adesso tocca a me», continua. «Per quali motivi ammiri la persona alla tua sinistra?» Guarda Tamsin e le sorride. «Oh, per un sacco di motivi! Non riuscirei mai a elencarli tutti, ma almeno posso cominciare. Per la tua determinazione, per la tua risolutezza, il tuo coraggio, la tua indipendenza, il tuo affetto. E per i tuoi capelli. Sono meravigliosi!»
Tamsin diventa tutta rossa e ride. «Sei dolce. E ti ammiro tanto anche io. Tra l’altro, anch’io per i capelli.» Poi scopre la carta successiva. «Dimostra a uno dei presenti quanto è importante per te.» Tamsin guarda Rhys. «Okay, però voi dovreste guardare da un’altra parte.» Fa l’occhiolino a Zelda e a me, poi sale in grembo a Rhys e a giudicare dai rumori che sentiamo comincia a baciarlo con passione. Zelda e io abbiamo distolto lo sguardo e per un attimo ci fissiamo, ma siamo entrambi troppo imbarazzati dalla situazione.
02 Hold Me. Qui Page 7