02 Hold Me. Qui
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«Prima la portiera dell’auto, adesso la sedia. Sei davvero un gentiluomo», ridacchia.
«Non mi prendere in giro. Finché non protesti, parto dal presupposto che ti faccia piacere.»
«Mi pare una buona regola», dice lei, inarcando con fare ammiccante un sopracciglio. «Tienila a mente anche per dopo.»
Per poco non mi va di traverso il prosecco. Certo, ne avevamo parlato già la settimana scorsa, ma il suo atteggiamento diretto mi provoca un fremito in tutto il corpo, come se fossi stato invaso da una colonia di formiche.
«Raccontami la tua settimana. Anzi no, raccontami tutto di te.»
Scoppio a ridere. «Vuoi sapere tutto?»
«Tutto. Dalla nascita a oggi.»
«In ordine cronologico?»
«Questo puoi sceglierlo tu. L’importante è che alla fine io sappia tutto.»
«E non pensi che sia un po’ noioso venire a sapere tutto al primo appuntamento?» obietto.
«Dipende da quanto trovo intrigante la versione attuale di te, anche se per correttezza dovrei prima paragonarti con altri potenziali candidati. Ma visto che ti trovo già più intrigante di tutte le altre persone con cui potrei confrontarti, alla fine rimani comunque solo tu.» Alza le spalle, come se quello che ha appena detto non fosse il discorso più strano mai pronunciato da una persona sobria a un primo appuntamento.
Comincio a raccontarle della mia famiglia, mi sembra un buon modo per iniziare a conoscermi. Le parlo di mia madre, di mio padre, di Jasmine che non vuole più andare a scuola, della passione che Theo ha per i sassolini da quando aveva due anni, e di quanto è intelligente Ebony. Le racconto anche che Theo e le gemelle mi hanno aiutato a fare la spesa.
«Ellie è stata particolarmente entusiasta dei tuoi capelli, quando ha saputo che sono rosa», dico. «La affascinano tutti i capelli che non sono neri e crespi. Ieri ha chiesto ad Amy se poteva toccare i suoi.»
Rido e allungo una mano sul tavolo per toccare i capelli di Zelda. Glieli scosto dolcemente dietro l’orecchio, e per un istante indugio con la mano sulla sua guancia arrossata. La sua pelle è incredibilmente delicata e morbida.
«Hai fame?»
«Sempre», risponde lei, posando la sua mano sulla mia, come per assicurarsi che resti lì. Poi chiude gli occhi per un attimo.
«Ho preparato un intero menu per te. «Sei portate.»
«Wow!» esclama spalancando gli occhi. «Non dovevi darti così tanto da fare.»
«Lo dici solo perché non sai cosa ti aspetta», rispondo pregustando il momento. «Come antipasto abbiamo concassée di frutta con chaudeau.»
«Come, scusa?» chiede Zelda.
«Macedonia di frutta un po’ pretenziosa, con riduzione di vino bianco», spiego sorridendo.
«Un dessert come antipasto. Mi piace», dice lei, e io mi congratulo con me stesso per aver avuto questa splendida idea.
19
Zelda
MALIK è davanti al bancone della cucina e mi dà le spalle, mentre io ammiro la sua figura possente. La schiena è ampia e muscolosa, vorrei toccarla, ma farlo prima ancora dell’antipasto mi sembra poco cortese. Quando si volta e nota il mio sguardo, mi sento colta sul fatto. Mi schiarisco la voce e sorrido, mentre lui mi posa davanti il piatto. La macedonia è coloratissima, riconosco subito arance, kiwi, mele, banane e uva, e accanto vedo un’appetitosa salsina al vino. Malik, nel frattempo, apre una bottiglia. Quando tira il cavatappi, i muscoli del suo braccio si gonfiano e tendono la stoffa della camicia. Mi rendo conto che lo sto fissando.
«Che bell’aspetto», dico, abbassando gli occhi sul mio dessert-antipasto.
«Intendi la macedonia? O qualcos’altro?» chiede, sfacciato, e io provo a dargli un calcio da sotto il tavolo. Lui però imprigiona il mio piede tra i polpacci.
«Non ci provare. Quando hai tanti fratelli e sorelle impari subito a tenere d’occhio quello che succede sotto il tavolo.»
Versa il vino e brindiamo di nuovo.
«Alla tua abilità di chef», dico.
«E al tuo appetito», aggiunge lui.
Ci guardiamo negli occhi e sento come una fitta nel profondo.
Assaggio la sua macedonia pretenziosa. «Mmmmh», mi sfugge di bocca. Chiudo gli occhi un istante per gustare meglio i diversi sapori.
Malik intanto continua il suo racconto, sono molto colpita da quanto sembra avermi presa sul serio. Tra le mie conoscenze, nessuno sarebbe disposto a fornirmi un ritratto completo di se stesso, nemmeno se li supplicassi. Adesso lui sta parlando delle scarse opportunità che ha avuto nella sua infanzia.
«Ma, forse, proprio per questo eravamo capaci di rendere qualsiasi posto un parco giochi dove vivere un’avventura.»
Poi mi racconta della scuola, di certi insegnanti che l’hanno ispirato, dei compagni di classe che sono diventati amici o acerrimi nemici.
«Da questo punto di vista, l’unica cosa che distingue le scuole di Poorley da tutte le altre è che già dalle elementari ogni mattina all’ingresso ti perquisiscono per controllare se hai delle armi.»
«Davvero?» chiedo perplessa. «E ne hanno mai trovata qualcuna?»
«Ogni tanto un coltello a serramanico. Più raramente armi da fuoco.»
Devo avere un’aria davvero sbalordita, perché Malik scoppia a ridere.
«A lezione privata di francese mi sa che non succedeva, vero?»
È incredibile quanto sia diverso il modo in cui siamo cresciuti. Eppure, adesso siamo seduti qui e stiamo così bene insieme che ogni volta che percepisco il suo sguardo su di me sussulto di felicità.
«La seconda portata è una crème brûlée con fumet di lamponi e brunoise di pesche», annuncia Malik quando finiamo l’antipasto, con un ampio sorriso sulle labbra.
«Anche questo un dessert?» chiedo raggiante. «Mi hai preparato un menu di soli dessert?»
«Non ci sperare», risponde lui, ridendo e posandomi davanti un altro piatto.
Sarebbe troppo bello per essere vero. Anche questo piatto è stupendo. Accanto alla crème brûlée, ricoperta per metà da un liquido rosso scuro, c’è un mucchietto di minuscoli dadini di pesca.
«Continua a raccontare», dico, rompendo con il cucchiaio la crosta del dolce.
Malik prosegue, e io pendo dalle sue labbra. Non è solo quello che dice che mi interessa – adesso sta parlando della sua adolescenza e della famiglia che si è man mano ingrandita – ma soprattutto la sua voce calda e profonda che mi provoca un brivido alla schiena e mi incanta. È come se riuscisse a far vibrare qualcosa dentro di me.
«E non eri geloso di tutti questi nuovi bambini? I miei fratelli mi odiavano, perché tutto a un tratto hanno dovuto dividere con me le attenzioni delle tate.»
«No, non ero geloso, ero contento. Era come se la mia famiglia fosse più completa, così. Poi a un certo punto è diventato pesante», dice lui, e si interrompe. Abbassa lo sguardo sul piatto vuoto e, dopo una breve pausa, aggiunge: «Ed eccoci alla prima portata principale di questa sera: panna cotta con julienne di fragole e mousse all’arancia». Si alza e prende altri due piatti dal frigo.
Sul mio volto compare un sorriso radioso. «Tu sei matto», dico entusiasta, mentre lui serve la panna cotta.
«Temo che sia soprattutto colpa tua», risponde Malik, e io sento di nuovo la fitta di poco fa, e l’impulso ad avvicinarmi a lui come non ho mai fatto con nessun altro prima d’ora.
La panna cotta è così cremosa e soffice che scivola sulla lingua. Accanto c’è un bellissimo mucchietto di striscioline di fragola, che rendono questo piatto un piacere sia per gli occhi sia per il palato. La mousse all’arancia, infine, crea un gradevole contrasto.
«Adesso mi racconti tu della tua famiglia?» chiede Malik.
Io sospiro. «Non c’è molto da raccontare», dico, cercando di evitare l’argomento.
«Dai, ci dev’essere qualcosa di interessante da dire.»
«La mia non è una famiglia molto affettuosa, stare insieme vuol dire principalmente rinfacciarci l’un l’altro i rispettivi difetti.» Voglio restare sul vago, per evitare che Malik cominci a guardarmi con altri occhi.
Qu
ando si accorge che non mi va di parlarne, lascia cadere l’argomento e dice: «Adesso è il momento di un digestivo. Non restarci male, ma è un sorbetto».
Fingo un sospiro di delusione. «E io che pensavo di aver vinto alla lotteria!»
«Però», prosegue lui, «l’ho fatto sciogliere e trasformato in quel che si dice un consommé, così non ci vorrà molto a mangiarlo e potremo passare ad altro.» Mi sorride con aria di trionfo e mi posa davanti un bicchiere da shot pieno di un liquido verde.
«Melone», spiega alzando il suo.
Mi viene in mente la serata di ieri. «Pensa un po’», ridacchio, «ieri ero a un evento di beneficenza con mia madre.» Per un attimo mi si chiude la gola, perché ripensarci mi ha ricordato anche Jason, e il fatto che mi sto comportando male con Malik, evitando di dirgli la verità. Ma è così bello essere me stessa. Solo io e basta, senza avere sulle spalle il peso dell’ambiente da cui provengo. Perciò deglutisco e proseguo: «E c’era un sorbetto mango, vodka e pepe nero… come dessert!» Cerco di comunicargli tutta la mia delusione, ma il sorrisone di Malik mi fa subito ridere.
«Terribile», dice. «Mi dispiace.»
«Direi che sono già stata ampiamente risarcita del danno.» Alzo lo shottino e brindo: «Ai tuoi dessert».
«Al tuo stomaco», risponde lui. «Spero che li contenga tutti.»
Beviamo il sorbetto alla goccia. Ha un sapore delizioso, fresco e fruttato. Malik ha ragione, come digestivo si può fare.
Più restiamo lì seduti, uno davanti all’altra, più forte si fa l’impulso di toccarlo. È bellissimo mangiare in maniera così disinvolta tutti questi dolci insieme a lui, ma il suo profumo, la sua figura, tutto risveglia in me il ricordo della notte insieme nella baita. Dei suoi muscoli sotto le mie dita, delle sue labbra sulle mie, delle sue dita dentro di me. Quest’ultimo pensiero mi provoca un pulsare intenso tra le gambe e un brivido che mi percorre tutto il corpo.
«Sei pronta per la seconda portata principale?» chiede Malik.
Invece di una vera e propria risposta, dalle mie labbra esce solo un lieve «Mmm», perché in questo momento sono fin troppo consapevole di quanto siamo vicini.
«Tieniti forte», dice, cominciando a mettere in tavola una serie di ciotoline con frutta tagliata a pezzetti, biscotti e strane palline. «Il secondo piatto principale di questa sera è una fonduta di cheesecake.»
«Intendi una fonduta di formaggio?»
«No, una fonduta di cheesecake. L’ho inventata io.»
Alzo la testa e i nostri sguardi si incontrano. Malik mi sorride, e io sono così commossa all’idea che abbia composto per me un menu di soli dolci, che mi sento riscaldare dentro. E più passano i minuti, più fa caldo, anche perché adesso Malik ha chinato la testa, si è appoggiato con una mano al tavolo e con l’altra mi sta accarezzando una guancia. Avvicina il viso al mio, e dentro di me sento un impulso che non avevo mai sperimentato prima. Il cuore mi batte all’impazzata, e quando lui mi dà un bacio leggero sulla bocca, chiudo gli occhi per un istante. Il mio labbro superiore è prigioniero delle sue labbra calde e piene, che lui ha proteso leggermente in avanti e che adesso schiude, come per gustare meglio il mio sapore. Proprio nel momento in cui decido di volere qualcosa di più, lui si allontana e torna ad affaccendarsi ai fornelli. Sta mescolando una pentola che ha messo dentro un’altra pentola.
«Che stai facendo?» gli chiedo.
«Sto sciogliendo il ripieno della cheesecake con della cioccolata bianca a bain-marie. Ti ricordi? La cottura a bagnomaria.»
Qualche minuto dopo, posiziona uno scaldavivande in mezzo al tavolo, accende le candele e ci mette sopra la pentola con la fonduta. Io osservo affascinata i movimenti delle sue mani. Infine, torna a sedersi e sorride di nuovo alzando il bicchiere di vino.
«A te», dice, «e al fatto che mi togli il fiato.»
Arrossisco e sento di nuovo il ricordo del nostro bacio sulle labbra.
«A te», rispondo a bassa voce, «perché ho proprio voglia di insegnarti a vivere senza respirare.»
Malik mi spiega che le palline sono sfere di impasto crudo e cake pops, che immergiamo insieme alla frutta e ai biscotti nella crema di cheeescake. Assaggio. Non credo di aver mai mangiato niente di simile. Le palline di impasto di sciolgono sulla lingua e sono così dolci che la mia bocca esulta di piacere.
«Wow», dico prima ancora di mandare giù il boccone, e Malik sorride soddisfatto.
La fonduta gocciola sulla tovaglia, ma nessuno di noi due ci fa caso, perché siamo entrambi concentrati a guardarci, quando crediamo che l’altro non se ne accorga. Continuiamo a infilare insieme le forchette nella pentola, ci sorridiamo e ci imbocchiamo a vicenda. È un momento assolutamente perfetto. Il dessert più dolce del mondo, inventato per me dall’uomo più fantastico che abbia mai incontrato. Questa è pura felicità.
«Sono davvero curiosa di sapere cosa c’è per dessert», dico infilzando l’ultimo cake pop e tuffandolo nella fonduta. «Forse del roast beef?»
«Hai voglia di salato dopo tutto questo dolce?»
«Ho voglia di mettermi a studiare Economia aziendale?»
«Non lo so. Magari sì?» chiede Malik.
«Decisamente no», rispondo con voce decisa.
«Il dessert ti piacerà.»
Malik sparecchia e ammucchia i piatti accanto al lavandino. Poi si schiarisce la voce, come se volesse dire qualcosa. Ma restiamo entrambi in silenzio.
Dopo un po’ mi chiede: «Com’è andare all’università?»
Mentre prepara il dessert, gli racconto delle mie lezioni, degli studenti presuntuosi e dei professori noiosi, e anche della mia incapacità di trovare qualcosa che mi entusiasmi al cento per cento. All’inizio non ero sicura di volergliene parlare, alla fine ci conosciamo da così poco che forse non è il caso di rivelargli subito la triste verità su di me. Ma mi fido di lui in una maniera così naturale che mi è venuto spontaneo dirglielo.
«Non che non mi interessi quello che faccio, ma se guardo le altre persone della mia età – Tamsin, Sam, i miei compagni di corso – vedo che hanno tutti una passione.»
«Non sono un esperto in questo campo», dice Malik, «ma credo che semplicemente tu non abbia ancora trovato la cosa giusta.»
«Come hai capito che ti piaceva cucinare?» gli chiedo.
«Mmm», esita lui. «C’entra un po’ quello che mi è successo.»
«Me lo racconti?»
«Quando sono finito dentro per la seconda volta… ho passato dei momenti difficili. Ero spaventato per quanto ero stato stupido, non capivo come fosse potuto accadere di nuovo. Passavo le notti sveglio con davanti agli occhi la faccia delusa di mio padre. E quando intorno a me calava il silenzio, sentivo i singhiozzi di mia madre e di Jasmine. È stato bruttissimo.» Si ferma un momento. Finora mi ha dato le spalle, adesso invece si volta e si appoggia al bancone. «Quando sono stato assegnato alle cucine, le cose hanno cominciato a migliorare. Tenere occupate le mani mi aiutava a tenere libera la testa. Cucinare è un po’ come meditare, secondo me, non hai tempo per pensare troppo, perché devi concentrarti a coordinare le dita. Più o meno. È questo che mi ha salvato, e mi ha dato una prospettiva.» Alza le spalle e io annuisco.
«Adesso posso servirle il dessert, signorina?» chiede in tono più leggero. Mi affascina il modo in cui un istante prima mi racconta particolari molto intimi della sua vita, e un istante dopo riesce a essere così rilassato. «Tortini al cioccolato con cuore liquido e riduzione di albicocche», annuncia sorridendo e mettendomi davanti il piatto.
«Questa è di gran lunga la cena migliore che abbia mai fatto in vita mia», dico, e lo penso veramente. Affondo il cucchiaio nei piccoli tortini rotondi, coperti di crema di albicocca, e dall’interno spunta fuori la cioccolata liquida. L’impasto è morbido e gustoso, chiudo gli occhi di nuovo per quanto è buono. Sono veramente colpita che Malik mi abbia preparato questo menu speciale, nessuno aveva mai fatto niente del genere per me, prima d’ora. Malik mi fa sentire bene, come mi sento solo con me stessa. È così bello che passerei ore ad accarezzargli il viso per assicurarmi che sia davvero qui, e con una sola cena è s
tato capace di dimostrarmi quanto ci tiene a me. Alla me senza parrucca, scarpe con il tacco alto e imbottiture di silicone. Tutte le remore che avevo prima non contano più nulla, ho aperto il mio cuore a Malik e sono pronta a perdermi completamente in lui, senza opporre resistenza. Voglio abbandonarmi a lui, qui e ora, insieme.
20
Malik
ZELDA sembra felice, chiude gli occhi in estasi dopo ogni boccone di tortino, e una goccia di cioccolato liquido cola dalle sue labbra.
«Ops», dice, cercando di leccarla via con la lingua.
Questo piccolo gesto mi eccita enormemente. Non so ancora come andrà a finire la serata – nel frattempo si è fatta sera davvero –, ma so che non sarò io a trattenermi, se per caso fosse necessario mostrarsi ragionevoli. E poi, che vuol dire essere ragionevoli? Siamo giovani ed evidentemente attratti l’uno dall’altra. Qualsiasi cosa accada tra noi, non può certo essere definita «irragionevole.» Perché mai non dovrebbe funzionare, tra me e Zelda? È vero, veniamo da mondi diversi, e io non ho la minima idea di come sia la sua vita da studentessa, ma posso impararlo. Voglio sapere cosa fa e come passa il suo tempo. E maledizione, voglio essere al suo fianco quando scoprirà qual è la sua vera passione, sono sicuro che sarà uno spettacolo a cui vale la pena assistere. Lei ha così tanta energia, cosa succederà quando deciderà di impegnarsi veramente in qualcosa?
«Ci penso io ai piatti?» chiede, lanciando un’occhiata alla montagna di stoviglie accanto al lavandino.
«No, no, non devi», rispondo subito, ma lei si è già alzata e sta facendo scorrere l’acqua.
Non voglio che lavi i piatti, questa serata è sua, il resto può aspettare. Mi alzo anch’io e mi sposto dietro di lei. Ha le mani già bagnate, perciò le afferro i polsi e le abbasso le braccia con determinata dolcezza. Infine, chiudo il rubinetto.
«Malik», dice lei in tono di rimprovero, «lasciamelo fare, è il minimo dopo la cena spettacolare che mi hai preparato.»
«Ci sono altre cose che possiamo fare», ribatto, sentendomi parecchio audace. Non credo di essere un tipo particolarmente romantico, ma nella mia testa adesso c’è posto soltanto per il desiderio di stringerla finalmente tra le braccia e baciarla. Le lascio liberi i polsi, e lei non prova a riaprire l’acqua. All’improvviso ho caldo, e il mio cuore accelera. Siamo vicinissimi e sento il suo corpo caldo e dolce. La cingo lentamente con le braccia e l’attiro a me, comincio a baciarla sul collo, un po’ timidamente, lei geme di piacere e si appoggia al mio corpo.