02 Hold Me. Qui

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02 Hold Me. Qui Page 17

by Kathinka Engel


  La mattina dopo, la sveglia di Malik suona quando è ancora buio.

  «Scusami», dice lui. «Continua a dormire, io purtroppo devo andare.»

  «No», mormoro, «resta qui.»

  «Sì, sarebbe bello, lo so. Ma non posso. Vieni qui», risponde lui, attirandomi tra le sue braccia. È grande e caldo e confortevole. Sa di sesso e di Malik. Accende le lanterne, così possiamo guardarci.

  «Ciao», lo saluto timidamente, quando i nostri occhi si incrociano. Non è la prima volta che mi sveglio accanto a un uomo, ma è passato un bel po’ di tempo dall’ultima. E comunque, non mi sono mai svegliata accanto a un uomo che mi abbia completamente stesa come ha fatto Malik.

  «Buongiorno», replica lui con la voce roca del mattino. Poi mi rivolge un sorriso esitante.

  Dopo l’intensità della notte scorsa, stamattina ci sentiamo un po’ più estranei, ma non è nulla di cui preoccuparsi. Mi stringo a lui e assaporo gli ultimi minuti che possiamo trascorrere insieme, prima che lui debba andare al lavoro.

  «Prima che me ne dimentichi», dice. «Le mie sorelle hanno fatto dei disegni per te.»

  Allunga una mano sul comodino alle sue spalle e cerca qualcosa, poi mi porge due fogli.

  «Credo che questo sia un cane», e indica il primo. «E questo dovrei essere io con loro.» Sorride e aggiunge: «Non devi prenderli per forza, ma ho promesso a Ellie ed Esther che te li avrei dati».

  «Sei pazzo?» esclamo emozionata. «Sono stupendi, certo che li tengo!»

  Malik si allontana da me con un sospiro per andare a farsi una doccia, e io decido che non mi va di rimanere qui da sola. Perciò mi infilo il vestito di ieri sera e vado a piedi nudi in cucina, dove mi occupo dei piatti.

  Quando lui passa davanti alla porta – ancora bagnato e coperto solo da un asciugamano – scuote la testa.

  «Tu sei pazza», esclama ridendo.

  «Può darsi», rispondo. «Ma in senso buono.»

  «Assolutamente in senso buono», dice Malik, chinandosi su di me per posare le sue labbra calde sulle mie.

  Passo tutto il resto della giornata in una sorta di trance. Un po’ dipende dal fatto che non ho dormito abbastanza, un po’ dal silenzio che regna nella mia testa dopo ieri notte. Riesco solo a sorridere come una scema e a fantasticare su quanto siamo perfetti insieme io e Malik. Come se fossimo fatti l’uno per l’altra, se proprio vogliamo ricorrere a un orribile cliché. Sento ancora un po’ di bruciore tra le gambe, sono ancora un po’ dolorante, ma persino questa sensazione mi riempie di una felicità così grande e di una tranquillità così meravigliosa che quasi non ci posso credere. Non sono sicura di aver mai sperimentato prima questa condizione di assoluto rilassamento sia fisico, sia, soprattutto, emotivo. Tenderei a pensare di no. È come se oggi il mondo fosse qui soltanto per me, con tutti i suoi colori, i suoni, i profumi. Ho l’impressione di essere il centro di tutto, e che tutto il resto ruoti intorno a me. E il mondo è bellissimo e affascinante.

  Quando torno a casa, la sera, non riesco a nascondere la mia felicità. Arush e Leon si scambiano delle occhiate eloquenti, sapevano entrambi che ieri avevo un appuntamento.

  «Ti va di vedere la seconda parte del documentario sui pinguini?» chiede Arush, e io lo seguo in salotto con la stessa aria sognante, perché non sono capace di fare altro. In realtà, non faccio che pensare a Malik. Dov’è adesso? Com’è andata la sua giornata? È stata bella come la mia? Gli scrivo un messaggio.

  Sto fissando il televisore senza capire bene cosa stiano facendo i pinguini. Hanno avuto dei piccoli e si rannicchiano diventando piccole palle di piume per proteggersi da una tempesta di neve.

  Il mio cellulare vibra, un messaggio di Malik! Mi metto subito a sedere.

  Che fai oggi? Ti va di rivedermi? c’è scritto sullo schermo del mio cellulare, e il mio cuore comincia subito ad accelerare. Santo cielo, certo che ho voglia di rivederlo!

  Sì! rispondo subito, con un lieve sorriso sul volto, che Leon e Arush non mancano di notare.

  «Quando ce lo fai conoscere?» chiede Leon.

  «Già, quando ci presenti il tuo futuro sposo? In fondo, siamo noi che dobbiamo decidere se è alla tua altezza», dice Arush. Io gli mostro il dito medio.

  «Sempre elegante come al solito», scherza Leon.

  Dopo neanche dieci secondi, il mio cellulare vibra di nuovo. Quando andrebbe bene per te?

  Per me va bene anche subito, scrivo.

  Da te? chiede lui.

  Passa qui se vuoi, digito sul cellulare.

  A dir la verità sono già davanti al tuo portone, scrive lui, aggiungendo uno smile.

  Il cuore prende a battermi all’impazzata e balzo in piedi.

  «Potete conoscerlo adesso, ma solo se vi comportate bene.»

  «E quando mai ci siamo…» dice Arush, ma io sono già schizzata verso la porta. Percorro tutto il corridoio e premo il pulsante del citofono. Dentro di me si è scatenata una tempesta di gioia ed eccitazione. Apro la porta dell’appartamento e sento i suoi passi per le scale. Sale veloce, due gradini per volta. Quando arriva all’ultima rampa alza la testa, i nostri occhi si incontrano e io non posso fare altro che rivolgergli un sorriso radioso. Anche le sue labbra si incurvano e il mio cervello, che per tutto il giorno ha lavorato il minimo indispensabile, si spegne del tutto. Adesso non riesco più a pensare, posso solo assaporare le mie emozioni. Mi avvicino all’ultimo gradino e, quando arriviamo alla stessa altezza, mi lascio cadere tra le sue braccia. Lui mi stringe e accosta il mio viso al suo.

  «Zelda», sussurra. «Zelda.»

  «Sono contenta di vederti», dico passando le dita tra i suoi capelli.

  «Non sai io!» risponde lui, stringendosi ancora di più a me.

  «Non ce l’hai fatta a resistere», commento a bassa voce.

  «Che intendi?»

  «Non ce l’hai fatta a resistere neanche un giorno senza di me.»

  Gli prendo la mano e lo porto in salotto, cercando di guardare il corridoio con i suoi occhi. Cosa penserà dei biglietti dei concerti e delle fotografie appese alla parete?

  «Azad?» chiede divertito, quando vede il poster ancora appeso alla parete rossa.

  «Un film memorabile», ridacchio, e sto per raccontargli dell’avversione di Arush per Bollywood quando mi rendo conto che non gli ho mai parlato dei miei coinquilini.

  Neanche a farlo apposta, Leon grida dal salotto: «Ehi, non sparite subito in camera!»

  Malik mi lancia un’occhiata perplessa.

  «Devo prima presentarti», lo informo, «o i miei coinquilini si preoccuperanno.»

  Spero di non averlo colto troppo di sorpresa, ma lui mi segue in salotto.

  «Leon, Arush, lui è Malik», dico, trascinandomelo dietro nella stanza. Sono un po’ a disagio mentre gli altri lo squadrano, ma alla fine si comportano bene.

  «Ciao Malik.» Arush gli porge la mano.

  «Piacere», lo saluta Leon facendo lo stesso.

  «Ti piacciono i pinguini?» chiede Arush, indicando il televisore.

  «Ehm, sì, credo di sì», risponde Malik un po’ incerto.

  «Allora siediti qui con noi, questo documentario è pazzesco. Un cucciolo di pinguino si è perso, ma sua madre è riuscita a ritrovarlo. Incredibile.»

  «Solo cinque minuti, ragazzi», annuncio. «Poi lo voglio tutto per me.» Stringo la mano di Malik.

  Arush si siede accanto a Leon, liberando uno dei due divani per noi. Mi siedo in grembo a Malik.

  «Per te va bene?»

  Lui annuisce e mi abbraccia.

  «Vi siete conosciuti all’università?» chiede Leon.

  «Ehm, no.» Malik si schiarisce la voce, come se tutto a un tratto fosse in imbarazzo.

  Lancio un’occhiata innervosita a Leon, che alza le spalle come per giustificarsi.

  «Non studio all’università, sto facendo un tirocinio per diventare chef», spiega Malik.

  «Fico!» Arush sembra sinceramente entusiasta. «Se hai bisogno di cavie per i tuoi esperimenti culinari, sai dove trovarci.»

  «Solo che non siamo certi al cento per cento che i nostri fornelli funzionino»
, rifletto, «né se sia sicuro provare ad accenderli.» In effetti, potrebbe essere piuttosto pericoloso, o almeno lo sembra.

  «Però possiamo riscaldare gli avanzi al microonde. Ti avanza mai qualcosa?» chiede Leon.

  «Okay, basta così», li interrompo. «I cinque minuti sono scaduti.» Così la smetteranno di infastidirlo.

  «È stato un piacere, Malik», dice Arush, e Leon aggiunge: «A presto!»

  Camera mia non è molto ordinata, anzi, è proprio tutto il contrario dell’ordine. Persino sulle pareti c’è il caos più totale, perché le ho completamente ricoperte di poster di film e di gruppi musicali. Tra l’uno e l’altro ci sono ritagli di giornale e foto, dietro i quali la parete scompare del tutto. Ho appeso anche i due disegni delle sorelline di Malik, e lui sorride quando li vede. Il mio armadio è spalancato e ci sono vestiti appesi alle ante: sciarpe, gonne, pantaloni, di tutto. La scrivania davanti alla finestra è ingombra di cianfrusaglie: collane, flaconcini di smalto, pile di libri, quaderni e fogli sparsi. Sulla credenza marrone scuro completa di specchio, sono ammucchiati altri gioielli e prodotti per il make-up. Su entrambi i lati dello specchio ci sono due vasi di vetro pieni di fiori di plastica, da cui penzolano collanine colorate. Sono un po’ in imbarazzo per tutto questo disordine, ma non ho avuto molto tempo per mettere a posto.

  «Wow», commenta Malik, «è una stanza incredibile.»

  «Trovi?»

  «Immagino rispecchi un po’ quello che c’è nella tua testa.»

  «Sì, più o meno. Probabilmente è per questo che non sto mai tranquilla. Troppi stimoli.» Alzo le spalle e mi lascio cadere sull’enorme letto matrimoniale al centro della camera, decorato con un copriletto di batik. È davvero così? La mia stanza è davvero il riflesso della mia testa? È un’idea affascinante.

  «Allora, racconta», dico sorridendo. «Cosa ti porta qui?»

  «Ho avuto una brutta giornata e sapevo che l’unica in grado di raddrizzarla eri tu.»

  «Adesso non so se augurarmi che tu abbia sempre brutte giornate, se poi significa che verrai a trovarmi.» Sorrido, Malik ha capito cosa volevo dire.

  22

  Malik

  NEI giorni successivi, mi sembra quasi di camminare a venti centimetri da terra. Passiamo ogni secondo libero insieme, il che da una parte mi provoca una stanchezza cronica, e dall’altra una felicità tale che non mi sognerei mai di desiderare altro.

  Passato il primo momento di timidezza iniziale, adesso mi intendo abbastanza bene con Leon e Arush, che mi hanno persino proposto di scegliere il film per la serata trash della settimana. Stando a quel che dice Zelda, si tratta di un grande onore. Purtroppo quel giorno finivo tardi al lavoro e ho dovuto rinunciare.

  Stare con Zelda non è solo bellissimo, è anche emozionante e divertente. È tutto quello che ho sempre sognato in una relazione. Zelda è la mia ancora. È casa. Con lei mi sento al sicuro, e riesco a sopportare meglio persino le sfuriate di Clément, con una tranquillità che fa meravigliare Lenny. E che alla fine mi frutta anche qualcosa, perché quando un aiutante di cucina se ne va, mi viene chiesto se me la sento di assistere Carl, l’hors d’oeuvier. Eccome se me la sento! Tutto va per il meglio, anche se i turni del weekend, che ogni tanto mi tocca fare, sono abbastanza faticosi.

  Nei fine settimana, Zelda va spessissimo a trovare la sua famiglia, il che di sicuro fa bene a lei e al rapporto con i suoi genitori. Non racconta mai molto di loro e dei suoi fratelli, e in questo è il mio esatto contrario. Ma spero riescano a risolvere presto qualsiasi cosa sia successa.

  Oggi sono finalmente riuscito ad andarla a trovare all’università. Ci incontriamo lì e poi andremo a una serata open-mic organizzata in un locale per studenti. Sono un po’ nervoso, perché non so cosa aspettarmi, l’università per me è un mondo sconosciuto e di lusso, che non è mai stato tra le mie opzioni. Di sicuro non dopo la mia catastrofica adolescenza. Mi sento un po’ fuori luogo, come se tutti potessero capire già da fuori che non c’entro niente con quel posto, perciò sono contento che Jasmine sia venuta con me. Voleva conoscere la mia ragazza, e anche Zelda è felice di incontrarla.

  Avevo già visto il campus da lontano, ma questo è un quartiere di Pearley dove non ho mai trascorso molto tempo. Non so nemmeno se Jasmine ci sia mai venuta.

  «Wow», commenta lei quando giriamo l’angolo e guardiamo per la prima volta da vicino il vecchio edificio principale, che si staglia imponente contro il cielo azzurro, al centro del prato. «Quindi è qui che vengono a studiare i cervelloni.»

  «O quelli che hanno un sacco di soldi», dico. Stando ai racconti di Zelda, gli studenti qui non sono certo tutti scienziati.

  «La vedi?» chiede Jasmine.

  Mi guardo intorno. Ci sono diversi gruppetti di ragazzi seduti sul prato. Qualcuno legge, altri chiacchierano, e alle loro spalle due studenti giocano a frisbee. L’atmosfera è pacifica e rilassata, nessuno sembra stressato. Tutto il contrario del mio ambiente di lavoro.

  «È lei?»

  Seguo lo sguardo di Jasmine e vedo Zelda, che si è alzata in piedi e ci sta salutando con la mano. «Sì», dico con il sorriso sulle labbra, ricambiando il saluto.

  Zelda viene verso di noi e ci incontriamo a metà strada.

  «Ciao», mi dà un bacio e si volta verso Jas. «Tu devi essere Jasmine. Io sono Zelda», si presenta, e senza troppi indugi abbraccia la mia sorellina.

  «Ciao», dice Jasmine ricambiando l’abbraccio. Nonostante i suoi quindici anni, supera già Zelda di una decina di centimetri in altezza.

  Ci sediamo insieme ai suoi amici, e con un certo sollievo mi accorgo che si tratta di Tamsin e di un tizio di nome Sam, che ho conosciuto alla festa di Rhys.

  Sono elettrizzato dal modo in cui mia sorella si integra subito nel gruppo, senza alcuna timidezza chiede a Sam cosa studia e da dove viene. Il suo entusiasmo cala soltanto quando si ricorda che Tamsin è la ragazza di Rhys, ma lei è così gentile che Jasmine non potrà esserne gelosa ancora per molto.

  «Lo smalto sulle unghie lo metti da sola?» chiede a Zelda.

  «Sì», risponde lei, guardandosi le unghie dipinte di arancione.

  «Sei brava», commenta Jasmine, «io non riesco mai a ottenere questo effetto.»

  «Sono anni di esercizio.» Zelda tira fuori due flaconcini di smalto dalla borsa. «Vuoi provare?» le chiede.

  «Volentieri», risponde Jasmine, scegliendo un più tradizionale lilla.

  Sono contento di vederle diventare amiche. Non che avessi paura che non si piacessero, ma è comunque un sollievo avere la conferma che Zelda si intende bene con la mia famiglia. Se non fosse così, davvero non saprei che cosa fare.

  «A casa ho praticamente tutti i colori possibili e immaginabili. Vieni a trovarmi qualche volta, ti aiuterò a dipingere un vero arcobaleno», propone Zelda a una raggiante Jasmine. «Fatti dare il mio numero da Malik.»

  «Fico, grazie», risponde mia sorella. «La madre della mia migliore amica ha un centro estetico specializzato in unghie, mi piacerebbe andare a lavorare lì. Quando avrò finito la scuola», si affretta ad aggiungere dopo aver notato il mio sguardo.

  La serata open-mic è in un locale dentro il campus. Quando arriviamo, la sala è già quasi piena, ma riusciamo ad accaparrarci un tavolo vicino all’entrata, a una certa distanza dal palco.

  «Il primo giro lo offro io», annuncia Sam. «Che volete?»

  Tutti fanno le loro ordinazioni e Jasmine prova a chiedere una birra, ma io scuoto la testa.

  «E va bene, una Coca-Cola allora», afferma facendomi la linguaccia.

  «Ti aiuto a portare i bicchieri», propongo a Sam, e lo seguo al bancone.

  Mentre aspettiamo in fila, chiacchieriamo un po’. Lui è un tipo simpatico, non mi fa sentire a disagio.

  «Tua sorella è troppo divertente», dice mentre la fila scorre. «Piena adolescenza, giusto?»

  «Esatto», confermo. «Non è sempre facile.» Sorrido al pensiero di mia madre e Jasmine, e delle loro feroci litigate su questioni di poco conto.

  L’agitazione di poco fa è completamente svanita. L’università è di sicuro un ambiente che non cono
sco, ma l’atmosfera è rilassata e amichevole e il pubblico, qui, è molto eterogeneo. Nessuno potrebbe accorgersi che io e Jasmine non siamo studenti. Sento sciogliersi la tensione nelle spalle e passo in rassegna il locale con lo sguardo. Alcuni studenti hanno portato delle chitarre. Una ragazza, che evidentemente lavora qui, sta andando di tavolo in tavolo con un foglio in mano, per chiedere se qualcuno vuole mettersi in lista per cantare.

  Quando torniamo al tavolo, Zelda sta raccontando le gioie della vita con dei coinquilini, e Jasmine l’ascolta con gli occhi spalancati.

  «Mi piacerebbe andare a vivere con la mia migliore amica. Finalmente lontano da fratelli e sorelle.»

  «Anche io non vedevo l’ora di andarmene da casa», dice Zelda, «nonostante i miei fratelli fossero già andati via. È una questione di indipendenza, credo.»

  «A me piace un sacco poter decidere da sola cosa avere in frigo. Direi che è l’aspetto migliore di tutta la faccenda!» dice Tamsin ridendo.

  Mi appoggio allo schienale della sedia, bevo una sorsata di birra e mi godo la situazione. Sotto il tavolo Zelda mi accarezza una gamba, poi le sue dita salgono fino a raggiungere un punto particolarmente sensibile. Lei mi guarda e sorride, sa bene dove si stanno dirigendo i miei pensieri. Io le stringo la mano, in modo da impedirle di stuzzicarmi ancora. Sono incredibilmente felice e grato di tutto questo: la vita spensierata, la felicità di stare con Zelda, la compagnia di mia sorella. Non avrei mai pensato di poter vivere giornate così.

  Viene annunciata la prima performance, ovvero due studenti con le chitarre che cantano una canzone folk a due voci. Non è male, anche se non è esattamente il mio genere, ma io mi sento sempre più risucchiato in questa bolla di felicità. Il duo canta un paio di canzoni e un fuori programma finale.

  Segue un gruppo che canta a cappella, anche loro sono bravi, e soprattutto divertenti. Le loro reinterpretazioni di alcuni successi pop sono molto riuscite.

  A un certo punto, alle spalle di Zelda spunta fuori un tizio che le copre gli occhi con le mani. È arrivato insieme a un paio di amici, che sono rimasti dietro di lui, in disparte. Ha il fisico da giocatore di football e un viso che alla prima impressione non mi pare particolarmente simpatico. Diciamo che sembra avere un’aria un po’ presuntuosa.

 

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