The Inferno (The Divine Comedy series Book 1)

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The Inferno (The Divine Comedy series Book 1) Page 33

by Dante

e trassel sù, che mi parve una lontra.

  I’ sapea già di tutti quanti ’l nome, →

  sì li notai quando fuorono eletti,

  39

  e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.

  “O Rubicante, fa che tu li metti

  li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!”

  42

  gridavan tutti insieme i maladetti.

  E io: “Maestro mio, fa, se tu puoi,

  che tu sappi chi è lo sciagurato

  45

  venuto a man de li avversari suoi.”

  Lo duca mio li s’accostò allato;

  domandollo ond’ ei fosse, e quei rispuose:

  48

  “I’ fui del regno di Navarra nato. →

  Mia madre a servo d’un segnor mi puose,

  che m’avea generato d’un ribaldo,

  51

  distruggitor di sé e di sue cose.

  Poi fui famiglia del buon re Tebaldo;

  quivi mi misi a far baratteria,

  54

  di ch’io rendo ragione in questo caldo.”

  E Cirïatto, a cui di bocca uscia

  d’ogne parte una sanna come a porco,

  57

  li fé sentir come l’una sdruscia.

  Tra male gatte era venuto ’l sorco;

  ma Barbariccia il chiuse con le braccia →

  60

  e disse: “State in là, mentr’ io lo ’nforco.”

  E al maestro mio volse la faccia;

  “Domanda,” disse, “ancor, se più disii

  63

  saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia.”

  Lo duca dunque: “Or dì: de li altri rii →

  conosci tu alcun che sia latino

  66

  sotto la pece?” E quelli: “I’ mi partii,

  poco è, da un che fu di là vicino. →

  Così foss’ io ancor con lui coperto,

  69

  ch’i’ non temerei unghia né uncino!”

  E Libicocco “Troppo avem sofferto,” →

  disse; e preseli ’l braccio col runciglio,

  72

  sì che, stracciando, ne portò un lacerto.

  Draghignazzo anco i volle dar di piglio

  giuso a le gambe; onde ’l decurio loro

  75

  si volse intorno intorno con mal piglio.

  Quand’ elli un poco rappaciati fuoro,

  a lui, ch’ancor mirava sua ferita,

  78

  domandò ’l duca mio sanza dimoro:

  “Chi fu colui da cui mala partita

  di’ che facesti per venire a proda?”

  81

  Ed ei rispuose: “Fu frate Gomita, →

  quel di Gallura, vasel d’ogne froda,

  ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,

  84

  e fé sì lor, che ciascun se ne loda.

  Danar si tolse e lasciolli di piano,

  sì com’ e’ dice; e ne li altri offici anche

  87

  barattier fu non picciol, ma sovrano.

  Usa con esso donno Michel Zanche →

  di Logodoro; e a dir di Sardigna

  90

  le lingue lor non si sentono stanche.

  Omè, vedete l’altro che digrigna; →

  i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello

  93

  non s’apparecchi a grattarmi la tigna.”

  E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello

  che stralunava li occhi per fedire,

  96

  disse: “Fatti ’n costà, malvagio uccello!”

  “Se voi volete vedere o udire,” →

  ricominciò lo spaürato appresso,

  99

  “Toschi o Lombardi, io ne farò venire;

  ma stieno i Malebranche un poco in cesso, →

  sì ch’ei non teman de le lor vendette;

  102

  e io, seggendo in questo loco stesso,

  per un ch’io son, ne farò venir sette

  quand’ io suffolerò, com’ è nostro uso

  105

  di fare allor che fori alcun si mette.”

  Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,

  crollando ’l capo, e disse: “Odi malizia

  108

  ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!”

  Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,

  rispuose: “Malizioso son io troppo,

  111

  quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia.”

  Alichin non si tenne e, di rintoppo

  a li altri, disse a lui: “Se tu ti cali,

  114

  io non ti verrò dietro di gualoppo,

  ma batterò sovra la pece l’ali.

  Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,

  117

  a veder se tu sol più di noi vali.”

  O tu che leggi, udirai nuovo ludo:

  ciascun da l’altra costa li occhi volse,

  120

  quel prima, ch’a ciò fare era più crudo.

  Lo Navarrese ben suo tempo colse;

  fermò le piante a terra, e in un punto

  123

  saltò e dal proposto lor si sciolse.

  Di che ciascun di colpa fu compunto, →

  ma quei più che cagion fu del difetto;

  126

  però si mosse e gridò: “Tu se’ giunto!”

  Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto

  non potero avanzar; quelli andò sotto,

  129

  e quei drizzò volando suso il petto:

  non altrimenti l’anitra di botto,

  quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa,

  132

  ed ei ritorna sù crucciato e rotto.

  Irato Calcabrina de la buffa,

  volando dietro li tenne, invaghito

  135

  che quei campasse per aver la zuffa;

  e come ’l barattier fu disparito,

  così volse li artigli al suo compagno,

  138

  e fu con lui sopra ’l fosso ghermito.

  Ma l’altro fu bene sparvier grifagno

  ad artigliar ben lui, e amendue

  141

  cadder nel mezzo del bogliente stagno.

  Lo caldo sghermitor sùbito fue;

  ma però di levarsi era neente,

  144

  sì avieno inviscate l’ali sue.

  Barbariccia, con li altri suoi dolente, →

  quattro ne fé volar da l’altra costa

  147

  con tutt’ i raffi, e assai prestamente

  di qua, di là discesero a la posta;

  porser li uncini verso li ’mpaniati,

  ch’eran già cotti dentro da la crosta.

  151

  E noi lasciammo lor così ’mpacciati. →

  INFERNO XXIII

  Taciti, soli, sanza compagnia →

  n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,

  3

  come frati minor vanno per via.

  Vòlt’ era in su la favola d’Isopo →

  lo mio pensier per la presente rissa,

  6

  dov’ el parlò de la rana e del topo;

  ché più non si pareggia “mo” e “issa”

  che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia

  9

  principio e fine con la mente fissa.

  E come l’un pensier de l’altro scoppia,

  così nacque di quello un altro poi,

  12

  che la prima paura mi fé doppia.

  Io pensava così: “Questi per noi

  sono scherniti con danno e con beffa

  15

  sì fatta, ch’ assai credo che lor nòi.

  Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa,

  ei ne verranno dietro più crudeli

  18

  che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa.”

  Già mi sentia tutti arricciar li peli →

&
nbsp; de la paura e stava in dietro intento,

  21

  quand’ io dissi: “Maestro, se non celi

  te e me tostamente, i’ ho pavento

  d’i Malebranche. Noi li avem già dietro;

  24

  io li ’magino sì, che già li sento.”

  E quei: “S’i’ fossi di piombato vetro, →

  l’imagine di fuor tua non trarrei

  27

  più tosto a me, che quella dentro ’mpetro.

  Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei,

  con simile atto e con simile faccia,

  30

  sì che d’intrambi un sol consiglio fei.

  S’elli è che sì la destra costa giaccia,

  che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,

  33

  noi fuggirem l’imaginata caccia.”

  Già non compié di tal consiglio rendere, →

  ch’io li vidi venir con l’ali tese

  36

  non molto lungi, per volerne prendere.

  Lo duca mio di sùbito mi prese, →

  come la madre ch’al romore è desta

  39

  e vede presso a sé le fiamme accese,

  che prende il figlio e fugge e non s’arresta,

  avendo più di lui che di sé cura,

  42

  tanto che solo una camiscia vesta;

  e giù dal collo de la ripa dura

  supin si diede a la pendente roccia,

  45

  che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.

  Non corse mai sì tosto acqua per doccia →

  a volger ruota di molin terragno,

  48

  quand’ ella più verso le pale approccia,

  come ’l maestro mio per quel vivagno,

  portandosene me sovra ’l suo petto,

  51

  come suo figlio, non come compagno.

  A pena fuoro i piè suoi giunti al letto →

  del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle

  54

  sovresso noi; ma non lì era sospetto:

  ché l’alta provedenza che lor volle

  porre ministri de la fossa quinta,

  57

  poder di partirs’ indi a tutti tolle.

  Là giù trovammo una gente dipinta →

  che giva intorno assai con lenti passi,

  60

  piangendo e nel sembiante stanca e vinta.

  Elli avean cappe con cappucci bassi →

  dinanzi a li occhi, fatte de la taglia

  63

  che in Clugnì per li monaci fassi.

  Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia; →

  ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,

  66

  che Federigo le mettea di paglia. →

  Oh in etterno faticoso manto!

  Noi ci volgemmo ancor pur a man manca

  69

  con loro insieme, intenti al tristo pianto;

  ma per lo peso quella gente stanca

  venìa sì pian, che noi eravam nuovi

  72

  di compagnia ad ogne mover d’anca.

  Per ch’io al duca mio: “Fa che tu trovi

  alcun ch’al fatto o al nome si conosca,

  75

  e li occhi, sì andando, intorno movi.”

  E un che ’ntese la parola tosca, →

  di retro a noi gridò: “Tenete i piedi,

  78

  voi che correte sì per l’aura fosca!

  Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi.”

  Onde ’l duca si volse e disse: “Aspetta,

  81

  e poi secondo il suo passo procedi.”

  Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta

  de l’animo, col viso, d’esser meco;

  84

  ma tardavali ’l carco e la via stretta.

  Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco

  mi rimiraron sanza far parola;

  87

  poi si volsero in sé, e dicean seco:

  “Costui par vivo a l’atto de la gola;

  e s’e’ son morti, per qual privilegio

  90

  vanno scoperti de la grave stola?”

  Poi disser me: “O Tosco, ch’al collegio

  de l’ipocriti tristi se’ venuto, →

  93

  dir chi tu se’ non avere in dispregio.”

  E io a loro: “I’ fui nato e cresciuto

  sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,

  96

  e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.

  Ma voi chi siete, a cui tanto distilla

  quant’ i’ veggio dolor giù per le guance?

  99

  e che pena è in voi che sì sfavilla?”

  E l’un rispuose a me: “Le cappe rance

  son di piombo sì grosse, che li pesi

  102

  fan così cigolar le lor bilance. →

  Frati godenti fummo, e bolognesi; →

  io Catalano e questi Loderingo →

  105

  nomati, e da tua terra insieme presi

  come suole esser tolto un uom solingo,

  per conservar sua pace; e fummo tali,

  108

  ch’ancor si pare intorno dal Gardingo.”

  Io cominciai: “O frati, i vostri mali …” →

  ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse →

  111

  un, crucifisso in terra con tre pali.

  Quando mi vide, tutto si distorse,

  soffiando ne la barba con sospiri;

  114

  e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,

  mi disse: “Quel confitto che tu miri,

  consigliò i Farisei che convenia

  117

  porre un uom per lo popolo a’ martìri.

  Attraversato è, nudo, ne la via, →

  come tu vedi, ed è mestier ch’el senta

  120

  qualunque passa, come pesa, pria.

  E a tal modo il socero si stenta →

  in questa fossa, e li altri dal concilio

  123

  che fu per li Giudei mala sementa.”

  Allor vid’ io maravigliar Virgilio →

  sovra colui ch’era disteso in croce

  126

  tanto vilmente ne l’etterno essilio.

  Poscia drizzò al frate cotal voce:

  “Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci

  129

  s’a la man destra giace alcuna foce

  onde noi amendue possiamo uscirci,

  sanza costrigner de li angeli neri →

  132

  che vegnan d’esto fondo a dipartirci.”

  Rispuose adunque: “Più che tu non speri →

  s’appressa un sasso che da la gran cerchia

  135

  si move e varca tutt’ i vallon feri,

  salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;

  montar potrete su per la ruina,

  138

  che giace in costa e nel fondo soperchia.”

  Lo duca stette un poco a testa china;

  poi disse: “Mal contava la bisogna

  141

  colui che i peccator di qua uncina.”

  E ’l frate: “Io udi’ già dire a Bologna →

  del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’

  144

  ch’elli è bugiardo e padre di menzogna.”

  Appresso il duca a gran passi sen gì, →

  turbato un poco d’ira nel sembiante;

  ond’ io da li ’ncarcati mi parti’

  148

  dietro a le poste de le care piante.

  INFERNO XXIV

  In quella parte del giovanetto anno →

  che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra

  3

  e già le notti al mezzo dì sen vanno,

  quando la brina in su la terra assempra

  l’imagine di sua sorella bianca,

  6
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  ma poco dura a la sua penna tempra,

  lo villanello a cui la roba manca,

  si leva, e guarda, e vede la campagna

  9

  biancheggiar tutta; ond’ ei si batte l’anca,

  ritorna in casa, e qua e là si lagna,

  come ’l tapin che non sa che si faccia;

  12

  poi riede, e la speranza ringavagna,

  veggendo ’l mondo aver cangiata faccia

  in poco d’ora, e prende suo vincastro

  15

  e fuor le pecorelle a pascer caccia.

  Così mi fece sbigottir lo mastro

  quand’ io li vidi sì turbar la fronte,

  18

  e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro;

  ché, come noi venimmo al guasto ponte,

  lo duca a me si volse con quel piglio

  21

  dolce ch’io vidi prima a piè del monte.

  Le braccia aperse, dopo alcun consiglio →

  eletto seco riguardando prima

  24

  ben la ruina, e diedemi di piglio.

  E come quei ch’adopera ed estima,

  che sempre par che ’nnanzi si proveggia,

  27

  così, levando me sù ver’ la cima

  d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia

  dicendo: “Sovra quella poi t’aggrappa;

  30

  ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia.”

  Non era via da vestito di cappa, →

  ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, →

  33

  potavam sù montar di chiappa in chiappa.

  E se non fosse che da quel precinto

  più che da l’altro era la costa corta,

 

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