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Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2)

Page 25

by Dante


  39

  per che l’occhio da presso nol sostenne, →

  ma chinail giuso; e quei sen venne a riva

  con un vasello snelletto e leggero,

  42

  tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva. →

  Da poppa stava il celestial nocchiero,

  tal che faria beato pur descripto; →

  45

  e più di cento spirti entro sediero. →

  “In exitu Isräel de Aegypto” →

  cantavan tutti insieme ad una voce

  48

  con quanto di quel salmo è poscia scripto.

  Poi fece il segno lor di santa croce; →

  ond’ ei si gittar tutti in su la piaggia:

  51

  ed el sen gì, come venne, veloce.

  La turba che rimase lì, selvaggia →

  parea del loco, rimirando intorno

  54

  come colui che nove cose assaggia.

  Da tutte parti saettava il giorno →

  lo sol, ch’avea con le saette conte

  57

  di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno,

  quando la nova gente alzò la fronte

  ver’ noi, dicendo a noi: “Se voi sapete,

  60

  mostratene la via di gire al monte.” →

  E Virgilio rispuose: “Voi credete

  forse che siamo esperti d’esto loco;

  63

  ma noi siam peregrin come voi siete. →

  Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,

  per altra via, che fu sì aspra e forte, →

  66

  che lo salire omai ne parrà gioco.” →

  L’anime, che si fuor di me accorte,

  per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,

  69

  maravigliando diventaro smorte. →

  E come a messagger che porta ulivo →

  tragge la gente per udir novelle,

  72

  e di calcar nessun si mostra schivo,

  così al viso mio s’affisar quelle

  anime fortunate tutte quante,

  75

  quasi oblïando d’ire a farsi belle.

  Io vidi una di lor trarresi avante →

  per abbracciarmi, con sì grande affetto,

  78

  che mosse me a far lo somigliante.

  Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! →

  tre volte dietro a lei le mani avvinsi,

  81

  e tante mi tornai con esse al petto.

  Di maraviglia, credo, mi dipinsi;

  per che l’ombra sorrise e si ritrasse, →

  84

  e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.

  Soavemente disse ch’io posasse; →

  allor conobbi chi era, e pregai

  87

  che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.

  Rispuosemi: “Così com’ io t’amai

  nel mortal corpo, così t’amo sciolta:

  90

  però m’arresto; ma tu perché vai?”

  “Casella mio, per tornar altra volta →

  là dov’ io son, fo io questo vïaggio,”

  93

  diss’ io; “ma a te com’ è tanta ora tolta?” →

  Ed elli a me: “Nessun m’è fatto oltraggio, →

  se quei che leva quando e cui li piace,

  96

  più volte m’ha negato esto passaggio;

  ché di giusto voler lo suo si face:

  veramente da tre mesi elli ha tolto

  99

  chi ha voluto intrar, con tutta pace.

  Ond’ io, ch’era ora a la marina vòlto

  dove l’acqua di Tevero s’insala,

  102

  benignamente fu’ da lui ricolto.

  A quella foce ha elli or dritta l’ala,

  però che sempre quivi si ricoglie

  105

  qual verso Acheronte non si cala.”

  E io: “Se nuova legge non ti toglie →

  memoria o uso a l’amoroso canto

  108

  che mi solea quetar tutte mie doglie,

  di ciò ti piaccia consolare alquanto

  l’anima mia, che, con la sua persona

  111

  venendo qui, è affannata tanto!” →

  “Amor che ne la mente mi ragiona” →

  cominciò elli allor sì dolcemente, →

  114

  che la dolcezza ancor dentro mi suona.

  Lo mio maestro e io e quella gente

  ch’eran con lui parevan sì contenti,

  117

  come a nessun toccasse altro la mente.

  Noi eravam tutti fissi e attenti →

  a le sue note; ed ecco il veglio onesto

  120

  gridando: “Che è ciò, spiriti lenti?

  qual negligenza, quale stare è questo?

  Correte al monte a spogliarvi lo scoglio

  123

  ch’esser non lascia a voi Dio manifesto.” →

  Come quando, cogliendo biado o loglio, →

  li colombi adunati a la pastura,

  126

  queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,

  se cosa appare ond’ elli abbian paura,

  subitamente lasciano star l’esca,

  129

  perch’ assaliti son da maggior cura;

  così vid’ io quella masnada fresca

  lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,

  com’ om che va, né sa dove rïesca;

  133

  né la nostra partita fu men tosta. →

  PURGATORIO III

  Avvegna che la subitana fuga →

  dispergesse color per la campagna,

  3

  rivolti al monte ove ragion ne fruga,

  I’ mi ristrinsi a la fida compagna:

  e come sare’ io sanza lui corso?

  6

  chi m’avria tratto su per la montagna?

  El mi parea da sé stesso rimorso: →

  o dignitosa coscïenza e netta,

  9

  come t’è picciol fallo amaro morso!

  Quando li piedi suoi lasciar la fretta, →

  che l’onestade ad ogn’ atto dismaga,

  12

  la mente mia, che prima era ristretta, →

  lo ’ntento rallargò, sì come vaga,

  e diedi ’l viso mio incontr’ al poggio

  15

  che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga. →

  Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio, →

  rotto m’era dinanzi a la figura,

  18

  ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio.

  Io mi volsi dallato con paura →

  d’essere abbandonato, quand’ io vidi

  21

  solo dinanzi a me la terra oscura;

  e ’l mio conforto: “Perché pur diffidi?” →

  a dir mi cominciò tutto rivolto;

  24

  “non credi tu me teco e ch’io ti guidi?

  Vespero è già colà dov’ è sepolto →

  lo corpo dentro al quale io facea ombra;

  27

  Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto. →

  Ora, se innanzi a me nulla s’aombra, →

  non ti maravigliar più che d’i cieli

  30

  che l’uno a l’altro raggio non ingombra.

  A sofferir tormenti, caldi e geli →

  simili corpi la Virtù dispone

  33

  che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.

  Matto è chi spera che nostra ragione →

  possa trascorrer la infinita via

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  che tiene una sustanza in tre persone.

  State contenti, umana gente, al quia; →

  ché, se potuto aveste veder tutto, →

  39

  mestier non era parturir Maria;

  e disïar vedeste sanza frutto →

  tai che sarebbe lor dis
io quetato,

  42

  ch’etternalmente è dato lor per lutto:

  io dico d’Aristotile e di Plato

  e di molt’ altri”; e qui chinò la fronte,

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  e più non disse, e rimase turbato.

  Noi divenimmo intanto a piè del monte; →

  quivi trovammo la roccia sì erta,

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  che ’ndarno vi sarien le gambe pronte.

  Tra Lerice e Turbìa la più diserta, →

  la più rotta ruina è una scala,

  51

  verso di quella, agevole e aperta.

  “Or chi sa da qual man la costa cala,” →

  disse ’l maestro mio fermando ’l passo,

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  “sì che possa salir chi va sanz’ ala?”

  E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso

  essaminava del cammin la mente,

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  e io mirava suso intorno al sasso,

  da man sinistra m’apparì una gente →

  d’anime, che movieno i piè ver’ noi,

  60

  e non pareva, sì venïan lente.

  “Leva,” diss’ io, “maestro, li occhi tuoi: →

  ecco di qua chi ne darà consiglio,

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  se tu da te medesmo aver nol puoi.”

  Guardò allora, e con libero piglio

  rispuose: “Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;

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  e tu ferma la spene, dolce figlio.”

  Ancora era quel popol di lontano,

  i’ dico dopo i nostri mille passi,

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  quanto un buon gittator trarria con mano,

  quando si strinser tutti ai duri massi

  de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti

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  com’ a guardar, chi va dubbiando, stassi. →

  “O ben finiti, o già spiriti eletti,” →

  Virgilio incominciò, “per quella pace

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  ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,

  ditene dove la montagna giace,

  sì che possibil sia l’andare in suso;

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  ché perder tempo a chi più sa più spiace.”

  Come le pecorelle escon del chiuso →

  a una, a due, a tre, e l’altre stanno

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  timidette atterrando l’occhio e ’l muso;

  e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,

  addossandosi a lei, s’ella s’arresta,

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  semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;

  sì vid’ io muovere a venir la testa

  di quella mandra fortunata allotta,

  87

  pudica in faccia e ne l’andare onesta.

  Come color dinanzi vider rotta

  la luce in terra dal mio destro canto,

  90

  sì che l’ombra era da me a la grotta,

  restaro, e trasser sé in dietro alquanto,

  e tutti li altri che venieno appresso,

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  non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto. →

  “Sanza vostra domanda io vi confesso →

  che questo è corpo uman che voi vedete;

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  per che ’l lume del sole in terra è fesso.

  Non vi maravigliate, ma credete

  che non sanza virtù che da ciel vegna

  99

  cerchi di soverchiar questa parete.”

  Così ’l maestro; e quella gente degna

  “Tornate,” disse, “intrate innanzi dunque,” →

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  coi dossi de la man faccendo insegna.

  E un di loro incominciò: “Chiunque →

  tu se’, così andando, volgi ’l viso:

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  pon mente se di là mi vedesti unque.”

  Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:

  biondo era e bello e di gentile aspetto, →

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  ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.

  Quand’ io mi fui umilmente disdetto

  d’averlo visto mai, el disse: “Or vedi”;

  111

  e mostrommi una piaga a sommo ’l petto. →

  Poi sorridendo disse: “Io son Manfredi, →

  nepote di Costanza imperadrice; →

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  ond’ io ti priego che, quando tu riedi,

  vadi a mia bella figlia, genetrice

  de l’onor di Cicilia e d’Aragona,

  117

  e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice. →

  Poscia ch’io ebbi rotta la persona

  di due punte mortali, io mi rendei,

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  piangendo, a quei che volontier perdona.

  Orribil furon li peccati miei; →

  ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

  123

  che prende ciò che si rivolge a lei.

  Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia →

  di me fu messo per Clemente allora,

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  avesse in Dio ben letta questa faccia,

  l’ossa del corpo mio sarieno ancora

  in co del ponte presso a Benevento,

  129

  sotto la guardia de la grave mora.

  Or le bagna la pioggia e move il vento →

  di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde, →

  132

  dov’ e’ le trasmutò a lume spento.

  Per lor maladizion sì non si perde,

  che non possa tornar, l’etterno amore,

  135

  mentre che la speranza ha fior del verde.

  Vero è che quale in contumacia more

  di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,

  138

  star li convien da questa ripa in fore,

  per ognun tempo ch’elli è stato, trenta, →

  in sua presunzïon, se tal decreto

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  più corto per buon prieghi non diventa.

  Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,

  revelando a la mia buona Costanza →

  come m’hai visto, e anco esto divieto;

  145

  ché qui per quei di là molto s’avanza.”

  PURGATORIO IV

  Quando per dilettanze o ver per doglie, →

  che alcuna virtù nostra comprenda,

  3

  l’anima bene ad essa si raccoglie,

  par ch’a nulla potenza più intenda;

  e questo è contra quello error che crede

  6

  ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda.

  E però, quando s’ode cosa o vede

  che tegna forte a sé l’anima volta,

  9

  vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;

  ch’altra potenza è quella che l’ascolta,

  e altra è quella c’ha l’anima intera:

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  questa è quasi legata e quella è sciolta.

  Di ciò ebb’ io esperïenza vera,

  udendo quello spirto e ammirando;

  15

  ché ben cinquanta gradi salito era

  lo sole, e io non m’era accorto, quando →

  venimmo ove quell’ anime ad una

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  gridaro a noi: “Qui è vostro dimando.”

  Maggiore aperta molte volte impruna →

  con una forcatella di sue spine

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  l’uom de la villa quando l’uva imbruna,

  che non era la calla onde salìne

  lo duca mio, e io appresso, soli,

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  come da noi la schiera si partìne.

  Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,

  montasi su in Bismantova e ’n Cacume →

  27

  con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;

  dico con l’ale snelle e con le piume

  del gran disio, di retro a quel condotto

  30

 
che speranza mi dava e facea lume.

  Noi salavam per entro ’l sasso rotto,

  e d’ogne lato ne stringea lo stremo,

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  e piedi e man volea il suol di sotto.

  Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo

  de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,

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  “Maestro mio,” diss’ io, “che via faremo?”

  Ed elli a me: “Nessun tuo passo caggia; →

  pur su al monte dietro a me acquista,

  39

  fin che n’appaia alcuna scorta saggia.”

  Lo sommo er’ alto che vincea la vista,

  e la costa superba più assai →

  42

  che da mezzo quadrante a centro lista.

  Io era lasso, quando cominciai:

  “O dolce padre, volgiti, e rimira

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  com’ io rimango sol, se non restai.”

  “Figliuol mio,” disse, “infin quivi ti tira,”

  additandomi un balzo poco in sùe

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  che da quel lato il poggio tutto gira.

  Sì mi spronaron le parole sue,

  ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui, →

  51

  tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.

  A seder ci ponemmo ivi ambedui →

  vòlti a levante ond’ eravam saliti,

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  che suole a riguardar giovare altrui.

  Li occhi prima drizzai ai bassi liti; →

  poscia li alzai al sole, e ammirava

  57

  che da sinistra n’eravam feriti.

  Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava →

  stupido tutto al carro de la luce,

 

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