Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2)

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Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2) Page 36

by Dante


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  quasi alimento che di mensa leve,

  prende nel core a tutte membra umane

  virtute informativa, come quello

  42

  ch’a farsi quelle per le vene vane.

  Ancor digesto, scende ov’ è più bello

  tacer che dire; e quindi poscia geme

  45

  sovr’ altrui sangue in natural vasello.

  Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme,

  l’un disposto a patire, e l’altro a fare

  48

  per lo perfetto loco onde si preme; →

  e, giunto lui, comincia ad operare

  coagulando prima, e poi avviva

  51

  ciò che per sua matera fé constare.

  Anima fatta la virtute attiva →

  qual d’una pianta, in tanto differente,

  54

  che questa è in via e quella è già a riva,

  tanto ovra poi, che già si move e sente,

  come spungo marino; e indi imprende →

  57

  ad organar le posse ond’ è semente.

  Or si spiega, figliuolo, or si distende

  la virtù ch’è dal cor del generante,

  60

  dove natura a tutte membra intende.

  Ma come d’animal divegna fante, →

  non vedi tu ancor: quest’ è tal punto, →

  63

  che più savio di te fé già errante,

  sì che per sua dottrina fé disgiunto

  da l’anima il possibile intelletto,

  66

  perché da lui non vide organo assunto.

  Apri a la verità che viene il petto; →

  e sappi che, sì tosto come al feto

  69

  l’articular del cerebro è perfetto,

  lo motor primo a lui si volge lieto

  sovra tant’ arte di natura, e spira

  72

  spirito novo, di vertù repleto,

  che ciò che trova attivo quivi, tira

  in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,

  75

  che vive e sente e sé in sé rigira.

  E perché meno ammiri la parola, →

  guarda il calor del sol che si fa vino,

  78

  giunto a l’omor che de la vite cola.

  Quando Làchesis non ha più del lino, →

  solvesi da la carne, e in virtute

  81

  ne porta seco e l’umano e ’l divino:

  l’altre potenze tutte quante mute;

  memoria, intelligenza e volontade

  84

  in atto molto più che prima agute.

  Sanza restarsi, per sé stessa cade →

  mirabilmente a l’una de le rive;

  87

  quivi conosce prima le sue strade.

  Tosto che loco lì la circunscrive,

  la virtù formativa raggia intorno

  90

  così e quanto ne le membra vive.

  E come l’aere, quand’ è ben pïorno,

  per l’altrui raggio che ’n sé si reflette,

  93

  di diversi color diventa addorno;

  così l’aere vicin quivi si mette

  e in quella forma ch’è in lui suggella

  96

  virtüalmente l’alma che ristette;

  e simigliante poi a la fiammella

  che segue il foco là ’vunque si muta,

  99

  segue lo spirto sua forma novella.

  Però che quindi ha poscia sua paruta, →

  è chiamata ombra; e quindi organa poi

  102

  ciascun sentire infino a la veduta.

  Quindi parliamo e quindi ridiam noi;

  quindi facciam le lagrime e ’ sospiri

  105

  che per lo monte aver sentiti puoi.

  Secondo che ci affliggono i disiri

  e li altri affetti, l’ombra si figura;

  108

  e quest’ è la cagion di che tu miri.”

  E già venuto a l’ultima tortura →

  s’era per noi, e vòlto a la man destra,

  111

  ed eravamo attenti ad altra cura.

  Quivi la ripa fiamma in fuor balestra, →

  e la cornice spira fiato in suso

  114

  che la reflette e via da lei sequestra;

  ond’ ir ne convenia dal lato schiuso

  ad uno ad uno; e io temëa ’l foco

  117

  quinci, e quindi temeva cader giuso.

  Lo duca mio dicea: “Per questo loco

  si vuol tenere a li occhi stretto il freno,

  120

  però ch’errar potrebbesi per poco.”

  “Summae Deus clementïae” nel seno →

  al grande ardore allora udi’ cantando,

  123

  che di volger mi fé caler non meno;

  e vidi spirti per la fiamma andando;

  per ch’io guardava a loro e a’ miei passi,

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  compartendo la vista a quando a quando.

  Appresso il fine ch’a quell’ inno fassi,

  gridavano alto: “Virum non cognosco”; →

  129

  indi ricominciavan l’inno bassi.

  Finitolo, anco gridavano: “Al bosco →

  si tenne Diana, ed Elice caccionne

  132

  che di Venere avea sentito il tòsco.”

  Indi al cantar tornavano; indi donne →

  gridavano e mariti che fuor casti

  135

  come virtute e matrimonio imponne.

  E questo modo credo che lor basti

  per tutto il tempo che ’l foco li abbruscia:

  con tal cura conviene e con tai pasti →

  139

  che la piaga da sezzo si ricuscia.

  PURGATORIO XXVI

  Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro,

  ce n’andavamo, e spesso il buon maestro

  3

  diceami: “Guarda: giovi ch’io ti scaltro”; →

  feriami il sole in su l’omero destro, →

  che già, raggiando, tutto l’occidente

  6

  mutava in bianco aspetto di cilestro;

  e io facea con l’ombra più rovente →

  parer la fiamma; e pur a tanto indizio

  9

  vidi molt’ ombre, andando, poner mente.

  Questa fu la cagion che diede inizio

  loro a parlar di me; e cominciarsi

  12

  a dir: “Colui non par corpo fittizio”; →

  poi verso me, quanto potëan farsi,

  certi si fero, sempre con riguardo

  15

  di non uscir dove non fosser arsi. →

  “O tu che vai, non per esser più tardo, →

  ma forse reverente, a li altri dopo,

  18

  rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo.

  Né solo a me la tua risposta è uopo;

  ché tutti questi n’hanno maggior sete

  21

  che d’acqua fredda Indo o Etïopo.

  Dinne com’ è che fai di te parete

  al sol, pur come tu non fossi ancora

  24

  di morte intrato dentro da la rete.”

  Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora

  già manifesto, s’io non fossi atteso

  27

  ad altra novità ch’apparve allora;

  ché per lo mezzo del cammino acceso

  venne gente col viso incontro a questa,

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  la qual mi fece a rimirar sospeso.

  Lì veggio d’ogne parte farsi presta →

  ciascun’ ombra e basciarsi una con una

  33

  sanza restar, contente a brieve festa;

  così per entro loro schiera bruna

  s’ammusa l’una con l’altra formica,

  36

  forse a sp�
�ar lor via e lor fortuna.

  Tosto che parton l’accoglienza amica,

  prima che ’l primo passo lì trascorra,

  39

  sopragridar ciascuna s’affatica:

  la nova gente: “Soddoma e Gomorra”; →

  e l’altra: “Ne la vacca entra Pasife, →

  42

  perché ’l torello a sua lussuria corra.”

  Poi, come grue ch’a le montagne Rife →

  volasser parte, e parte inver’ l’arene,

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  queste del gel, quelle del sole schife,

  l’una gente sen va, l’altra sen vene;

  e tornan, lagrimando, a’ primi canti

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  e al gridar che più lor si convene;

  e raccostansi a me, come davanti,

  essi medesmi che m’avean pregato,

  51

  attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti.

  Io, che due volte avea visto lor grato,

  incominciai: “O anime sicure

  54

  d’aver, quando che sia, di pace stato,

  non son rimase acerbe né mature →

  le membra mie di là, ma son qui meco

  57

  col sangue suo e con le sue giunture.

  Quinci sù vo per non esser più cieco;

  donna è di sopra che m’acquista grazia,

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  per che ’l mortal per vostro mondo reco.

  Ma se la vostra maggior voglia sazia

  tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi

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  ch’è pien d’amore e più ampio si spazia,

  ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi, →

  chi siete voi, e chi è quella turba

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  che se ne va di retro a’ vostri terghi.”

  Non altrimenti stupido si turba

  lo montanaro, e rimirando ammuta,

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  quando rozzo e salvatico s’inurba,

  che ciascun’ ombra fece in sua paruta;

  ma poi che furon di stupore scarche,

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  lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta,

  “Beato te, che de le nostre marche,”

  ricominciò colei che pria m’inchiese,

  75

  “per morir meglio, esperïenza imbarche! →

  La gente che non vien con noi, offese →

  di ciò per che già Cesar, trïunfando, →

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  ‘Regina’ contra sé chiamar s’intese:

  però si parton ‘Soddoma’ gridando,

  rimproverando a sé com’ hai udito,

  81

  e aiutan l’arsura vergognando.

  Nostro peccato fu ermafrodito; →

  ma perché non servammo umana legge, →

  84

  seguendo come bestie l’appetito,

  in obbrobrio di noi, per noi si legge,

  quando partinci, il nome di colei

  87

  che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge.

  Or sai nostri atti e di che fummo rei:

  se forse a nome vuo’ saper chi semo,

  90

  tempo non è di dire, e non saprei. →

  Farotti ben di me volere scemo:

  son Guido Guinizzelli, e già mi purgo →

  93

  per ben dolermi prima ch’a lo stremo.” →

  Quali ne la tristizia di Ligurgo →

  si fer due figli a riveder la madre,

  96

  tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo,

  quand’ io odo nomar sé stesso il padre →

  mio e de li altri miei miglior che mai

  99

  rime d’amor usar dolci e leggiadre;

  e sanza udire e dir pensoso andai

  lunga fïata rimirando lui,

  102

  né, per lo foco, in là più m’appressai.

  Poi che di riguardar pasciuto fui,

  tutto m’offersi pronto al suo servigio

  105

  con l’affermar che fa credere altrui.

  Ed elli a me: “Tu lasci tal vestigio,

  per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro, →

  108

  che Letè nol può tòrre né far bigio.

  Ma se le tue parole or ver giuraro, →

  dimmi che è cagion per che dimostri

  111

  nel dire e nel guardar d’avermi caro.”

  E io a lui: “Li dolci detti vostri, →

  che, quanto durerà l’uso moderno, →

  114

  faranno cari ancora i loro incostri.”

  “O frate,” disse, “questi ch’io ti cerno →

  col dito,” e additò un spirto innanzi,

  117

  “fu miglior fabbro del parlar materno. →

  Versi d’amore e prose di romanzi

  soverchiò tutti; e lascia dir li stolti →

  120

  che quel di Lemosì credon ch’avanzi.

  A voce più ch’al ver drizzan li volti,

  e così ferman sua oppinïone

  123

  prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.

  Così fer molti antichi di Guittone, →

  di grido in grido pur lui dando pregio,

  126

  fin che l’ha vinto il ver con più persone.

  Or se tu hai sì ampio privilegio, →

  che licito ti sia l’andare al chiostro

  129

  nel quale è Cristo abate del collegio,

  falli per me un dir d’un paternostro,

  quanto bisogna a noi di questo mondo,

  132

  dove poter peccar non è più nostro.”

  Poi, forse per dar luogo altrui secondo →

  che presso avea, disparve per lo foco,

  135

  come per l’acqua il pesce andando al fondo.

  Io mi fei al mostrato innanzi un poco,

  e dissi ch’al suo nome il mio disire

  138

  apparecchiava grazïoso loco.

  El cominciò liberamente a dire:

  “Tan m’abellis vostre cortes deman, →

  141

  qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.

  Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;

  consiros vei la passada folor,

  144

  e vei jausen lo joi qu’esper, denan.

  Ara vos prec, per aquella valor

  que vos guida al som de l’escalina,

  sovenha vos a temps de ma dolor!”

  148

  Poi s’ascose nel foco che li affina.

  PURGATORIO XXVII

  Sì come quando i primi raggi vibra →

  là dove il suo fattor lo sangue sparse,

  3

  cadendo Ibero sotto l’alta Libra, →

  e l’onde in Gange da nona rïarse,

  sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva,

  6

  come l’angel di Dio lieto ci apparse. →

  Fuor de la fiamma stava in su la riva,

  e cantava “Beati mundo corde!”

  9

  in voce assai più che la nostra viva.

  Poscia “Più non si va, se pria non morde, →

  anime sante, il foco: intrate in esso,

  12

  e al cantar di là non siate sorde,”

  ci disse come noi li fummo presso; →

  per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi,

  15

  qual è colui che ne la fossa è messo.

  In su le man commesse mi protesi, →

  guardando il foco e imaginando forte →

  18

  umani corpi già veduti accesi.

  Volsersi verso me le buone scorte; →

  e Virgilio mi disse: “Figliuol mio,

  21

  qui può esser tormento, ma non morte. →

  Ricorditi, ricorditi! E se io

  sovresso Gerïon ti guidai salvo,
r />   24

  che farò ora presso più a Dio?

  Credi per certo che se dentro a l’alvo →

  di questa fiamma stessi ben mille anni,

  27

  non ti potrebbe far d’un capel calvo.

  E se tu forse credi ch’io t’inganni, →

  fatti ver’ lei, e fatti far credenza

  30

  con le tue mani al lembo d’i tuoi panni.

  Pon giù omai, pon giù ogne temenza;

  volgiti in qua e vieni: entra sicuro!”

  33

  E io pur fermo e contra coscïenza. →

  Quando mi vide star pur fermo e duro,

  turbato un poco disse: “Or vedi, figlio:

  36

  tra Bëatrice e te è questo muro.”

  Come al nome di Tisbe aperse il ciglio →

  Piramo in su la morte, e riguardolla,

  39

  allor che ’l gelso diventò vermiglio;

  così, la mia durezza fatta solla,

  mi volsi al savio duca, udendo il nome

  42

  che ne la mente sempre mi rampolla.

  Ond’ ei crollò la fronte e disse: “Come!

  volenci star di qua?”; indi sorrise

  45

  come al fanciul si fa ch’è vinto al pome. →

  Poi dentro al foco innanzi mi si mise,

  pregando Stazio che venisse retro, →

  48

  che pria per lunga strada ci divise.

  Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro

  gittato mi sarei per rinfrescarmi,

  51

  tant’ era ivi lo ’ncendio sanza metro.

  Lo dolce padre mio, per confortarmi,

 

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